Ai fini della configurabilita’ del reato previsto dall’articolo 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico ne’ accessibili a terzi senza il consenso del titolare

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 25 settembre 2018, n. 41408.

La massima estrapolata:

Ai fini della configurabilita’ del reato previsto dall’articolo 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico ne’ accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attivita’ lavorativa o professionale. Se dunque, in un negozio di abbigliamento, possono ritenersi assimilabili a luoghi di privata dimora gli spazi che il titolare o i dipendenti riservino a se’ per riporvi effetti personali o per intrattenersi durante eventuali pause lavorative, ergo non accessibili alla clientela, non altrettanto puo’ dirsi per i locali destinati a ricevere chi sia interessato a visionare ed acquistare la merce in vendita.

Sentenza 25 settembre 2018, n. 41408

Data udienza 5 marzo 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BRUNO Paolo Antonio – Presidente

Dott. MICCOLI Grazia – Consigliere

Dott. SETTEMBRE Antonio – Consigliere

Dott. MICHELI Paolo – rel. Consigliere

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza emessa il 05/07/2016 dalla Corte di appello di Catania;
visti gli atti, la sentenza impugnata ed il ricorso;
sentita la relazione svolta dal Consigliere Dott. MICHELI Paolo;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PINELLI Mario Maria Stefano, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui al capo C), perche’ estinto per intervenuta prescrizione, nonche’ il rigetto del ricorso nel resto, con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per la rideterminazione del trattamento sanzionatorio;
udito per il ricorrente l’Avv. (OMISSIS), il quale ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso e l’annullamento della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

Il difensore di (OMISSIS) ricorre avverso la pronuncia indicata in epigrafe, recante la conferma della sentenza del Tribunale di Caltagirone con la quale l’imputato veniva condannato, in concorso con (OMISSIS), per i reati di furto, lesioni personali e rifiuto d’indicazioni sulla propria identita’ personale.
La difesa, con il primo motivo di ricorso, lamenta violazione di legge dolendosi della ritenuta configurabilita’ di un delitto di furto consumato, piuttosto che semplicemente tentato.
Alla luce delle testimonianze acquisite in dibattimento, ed in particolare di quella di un appartenente alle forze dell’ordine casualmente presente allo svolgersi dei fatti, era infatti emerso che il (OMISSIS) ed il (OMISSIS) furono visti mentre un uomo di origini cinesi li inseguiva: l’orientale si era rivolto a uno di loro dandogli del “ladro” e pretendendo la restituzione di un paio di pantaloni, ma a quel punto i due gli si erano avventati contro (l’odierno ricorrente lo aveva materialmente colpito, cagionandogli le lesioni in rubrica). Subito dopo, al teste che, qualificatosi, aveva chiesto loro di esibire i documenti, gli stessi si erano rifiutati di declinare le generalita’.
Sulla base di tali risultanze, dovrebbe intendersi erronea la valutazione della Corte territoriale, secondo cui il bene entro’ nella materiale disponibilita’ di coloro che lo avevano prelevato dal luogo ove era normalmente custodito, trattenendolo al di fuori delle possibilita’ di sorveglianza del proprietario: la presunta refurtiva, al contrario, non era mai uscita dalla sfera di controllo e vigilanza del commerciante, il quale dichiaro’ di non aver mai perso di vista quanto gli era stato sottratto, non potendosi dunque ritenerne realizzato l’impossessamento ad opera (anche) del (OMISSIS).
Con un secondo motivo di ricorso, la difesa deduce che la fattispecie di cui al capo C) della rubrica, per come materialmente descritta, non puo’ integrare il reato sanzionato dall’articolo 651 cod. pen., ma, al piu’, la contravvenzione prevista dall’articolo 4 T.U.L.P.S. sulla mancata esibizione di un documento di identita’.
Da ultimo, nell’interesse del ricorrente si deduce carenza della motivazione della sentenza in ordine alla sussistenza dei presupposti della contestata recidiva: da un lato, i giudici di merito si sarebbero limitati a dare contezza dei precedenti penali del (OMISSIS), senza spiegare perche’ il nuovo reato costituirebbe espressione di maggiore e ribadita pericolosita’; in secondo luogo, la circostanza che egli sia stato destinatario di una misura di prevenzione personale avrebbe dovuto intendersi del tutto irrilevante.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. In via preliminare, deve prendersi atto della sopravvenuta prescrizione dell’illecito contravvenzionale sub C), indipendentemente dalla sussunzione della fattispecie concreta nell’ambito dell’ipotesi criminosa contestata od in quella che la difesa reputa ravvisabile nel caso di specie (la condotta, infatti, risale all'(OMISSIS)). Per le ragioni che seguono, peraltro, il ricorso non puo’ ritenersi inammissibile (vuoi per manifesta infondatezza delle doglianze, vuoi per motivi diversi), sicche’ la causa estintiva deve intendersi operante pur essendosi perfezionata dopo la celebrazione del giudizio di appello.
2. Quanto alla pretesa configurabilita’ di un tentativo di furto, deve osservarsi che – ad avviso della Corte territoriale, come si legge a pag. 8 della motivazione della sentenza impugnata – “il reato ha certamente raggiunto la soglia della consumazione, atteso che il bene e’ passato nella materiale disponibilita’ del soggetto agente che lo ha portato fuori dal luogo in cui era custodito (e’ stato accertato che gli imputati uscivano dal negozio con la refurtiva e si dirigevano verso il loro ciclomotore, sulla pubblica via) e lo ha trattenuto presso di se’, al di fuori della sfera di sorveglianza del proprietario. Irrilevante e’ la breve durata del possesso, cosi’ come l’azione della restituzione avvenuta soltanto dopo che il possesso era stato conseguito”.
Va pero’ ricordato che, secondo le recenti indicazioni delle Sezioni Unite di questa Corte, nel caso di sottrazioni di beni esposti in vendita presso esercizi commerciali “il monitoraggio dell’azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza, ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo in continenti, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza del soggetto passivo” (Cass., Sez. U, n. 52117 del 17/07/2014, Prevete, Rv 261186). Ne deriva che non puo’ parlarsi correttamente di furto consumato, quando la cosa mobile non sia uscita definitivamente dalla sfera di vigilanza del soggetto passivo.
Nella fattispecie oggi sub judice, cio’ non risulta essersi verificato, attesa la versione dell’accaduto esposta dalla persona offesa (OMISSIS), come emergente dalla lettura della decisione di primo grado (“quest’ultimo ha riferito che i due imputati sono entrati nel negozio di abbigliamento di sua proprieta’, che uno dei due ha sottratto un paio di pantaloncini e che lui lo ha inseguito fuori dal negozio dicendogli di restituirgli la merce, al che anche l’altro imputato gli si e’ scagliato contro colpendolo e spingendolo dentro il negozio”). La sottrazione del bene, dunque, non era sfuggita al commerciante, il quale reclamo’ subito il proprio diritto a rientrarne in possesso senza mai perdere il contatto visivo con gli autori della condotta illecita.
Le pronunce di legittimita’ successive alla sentenza Prevete, laddove – in base alle peculiarita’ delle singole vicende – si sono ravvisati gli estremi di un furto consumato, confermano l’indirizzo interpretativo appena illustrato. Si e’ infatti ritenuto che integri “il reato di furto con destrezza nella forma consumata la condotta di colui che, subito dopo essersi impossessato di una borsa, approfittando della disattenzione della persona offesa, venga inseguito e bloccato dalla polizia giudiziaria che lo aveva osservato a distanza, in quanto il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva” (Cass., Sez. 5, n. 26749 dell’11/04/2016, Ouerghi, Rv 267266: in motivazione, la sentenza ora richiamata precisa che l’osservazione a distanza da parte degli agenti non poteva avere rilevanza ai fini della configurabilita’ del tentativo, perche’ casuale ed avvenuto da parte di soggetti diversi dalla persona offesa – che di nulla si era accorta – o da chi risulti avere compiti specifici di vigilanza sui beni de quibus). Analogamente, si e’ affermato che “risponde del delitto di furto consumato e non tentato colui che, pur non essendosi allontanato dal luogo di commissione del reato, abbia ivi occultato la refurtiva, cosi’ sottraendola al controllo della persona offesa e acquisendone il possesso” (Cass., Sez. V, n. 2726/2017 del 24/10/2016, Pavone, Rv 269088): fattispecie, pertanto, in cui risulta decisiva la circostanza di una sottrazione realizzata senza il diretto monitoraggio del soggetto passivo e idonea a concretizzare, mediante l’occultamento in un sito non noto a quest’ultimo, anche l’impossessamento del bene).
3. Deve altresi’ porsi in risalto, al di la’ dei limiti dell’atto di impugnazione, che il reato sub A) appare contestato ai sensi dell’articolo 624-bis cod. pen.; come detto, il ricorso non investe tale profilo (che la difesa ha inteso trattare solo in sede di discussione orale), ma il collegio puo’ senz’altro affrontare temi che investano l’esatta qualificazione giuridica dei fatti in rubrica.
Il furto, come gia’ sottolineato, venne commesso presso un esercizio commerciale (un negozio di abbigliamento) e riguardo’ un paio di pantaloni tipo “bermuda”, verosimilmente da considerare ivi esposti in vendita. Ne deriva che, alla luce degli insegnamenti del massimo organo di nomofilachia, non sembrano sussistere gli estremi per poter considerare l’addebito de quo come realizzato in un luogo destinato a privata dimora, giacche’ “ai fini della configurabilita’ del reato previsto dall’articolo 624-bis cod. pen., rientrano nella nozione di privata dimora esclusivamente i luoghi nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico ne’ accessibili a terzi senza il consenso del titolare, compresi quelli destinati ad attivita’ lavorativa o professionale” (Cass., Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv 270076). Se dunque, in un negozio di abbigliamento, possono ritenersi assimilabili a luoghi di privata dimora gli spazi che il titolare o i dipendenti riservino a se’ per riporvi effetti personali o per intrattenersi durante eventuali pause lavorative, ergo non accessibili alla clientela, non altrettanto puo’ dirsi per i locali destinati a ricevere chi sia interessato a visionare ed acquistare la merce in vendita.
4. Si impongono, pertanto, le determinazioni di cui al dispositivo.

P.Q.M.

Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, limitatamente al reato di cui all’articolo 651 cod. pen., perche’ estinto per prescrizione.
Annulla la stessa sentenza, limitatamente al reato sub A), con rinvio ad altra sezione della Corte di appello di Catania per nuovo esame.
Rigetta nel resto il ricorso.

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