Il giudice di appello, ove riformi in senso radicale la condanna di primo grado pronunciando sentenza assolutoria, ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della prima decisione

Corte di Cassazione, sezione sesta penale, Sentenza 23 aprile 2018, n. 18058.

Il giudice di appello che, nel riformare la decisione di condanna del giudice di primo grado, pervenga ad una sentenza di assoluzione, non puo’ limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, con riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni.
Ne discende che il giudice di appello, ove riformi in senso radicale la condanna di primo grado pronunciando sentenza assolutoria, ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della prima decisione, essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova

Sentenza 23 aprile 2018, n. 18058
Data udienza 25 gennaio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FIDELBO Giorgio – Presidente

Dott. RICCIARELLI Massimo – Consigliere

Dott. DE AMICIS Gaetano – rel. Consigliere

Dott. VIGNA Maria Sabina – Consigliere

Dott. SILVESTRI Pietro – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
PROCURATORE GENERALE PRESSO CORTE D’APPELLO DI LECCE;
(OMISSIS), nata il (OMISSIS), parte civile;
(OMISSIS), nata il (OMISSIS), parte civile;
nel procedimento a carico di:
(OMISSIS), nata il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 23/01/2017 della CORTE APPELLO di LECCE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. DE AMICIS GAETANO;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dott.ssa LORI PERLA, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi.
Udito il difensore, avvocato (OMISSIS), in sostituzione dell’avvocato (OMISSIS), in difesa della parte civile (OMISSIS) e in sostituzione dell’avvocato (OMISSIS), in difesa della parte civile (OMISSIS), che conclude per l’accoglimento dei motivi di ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 23 gennaio 2017 la Corte di appello di Lecce ha assolto (OMISSIS) perche’ il fatto non sussiste ai sensi dell’articolo 530 c.p.p., comma 2, cosi’ riformando la decisione assunta all’esito del giudizio abbreviato svoltosi in primo grado, che l’aveva dichiarata colpevole del reato di millantato credito continuato in danno delle sorelle (OMISSIS) e (OMISSIS), condannandola alla pena di anno uno e mesi quattro di reclusione, oltre al risarcimento dei danni cagionati alle parti civili, per essersi fatta consegnare dalle predette somme di denaro di importo compreso fra Euro 10.000,00 ed Euro 15.000,00 ciascuna, garantendo loro l’assunzione presso gli uffici dell’A.S.L., con il pretesto di comprare il favore di pubblici ufficiali ed esponenti politici locali di rilievo.
2. Il P.G. presso la Corte di appello di Lecce ha proposto ricorso per cassazione, deducendo vizi della motivazione e violazioni di legge ex articolo 192 cod. proc. pen. in punto di accertamento della penale responsabilita’, con riferimento all’erronea valutazione di inattendibilita’ delle dichiarazioni delle persone offese, le quali, contrariamente a quanto affermato nella decisione di primo grado, avrebbero evitato, secondo la apodittica spiegazione contenuta nella decisione impugnata, di coinvolgere la sorella (OMISSIS) nella condotta illecita addebitata alla (OMISSIS), ritagliandole un ruolo marginale, probabilmente per sostenere le dichiarazioni della congiunta che, nel procedimento avviato nei suoi confronti, si era difesa sostenendo di aver agito su incarico e determinazione della stessa (OMISSIS), senza essere consapevole di contribuire ad un’attivita’ illecita fino al punto di convincere le sorelle al versamento di somme di denaro necessarie, secondo la (OMISSIS), per la loro assunzione.
Ulteriori illogicita’ vengono prospettate nei passaggi motivazionali ove la Corte d’appello attribuisce un ruolo necessariamente determinante alla condotta di (OMISSIS), quando il suo intervento nella vicenda non consentiva di escludere, per quanto riferito dalle stesse persone offese, un ruolo altrettanto determinante in capo alla (OMISSIS), ovvero la’ dove non si tiene conto della reazione manifestata dalle parti civili una volta venute a conoscenza dell’ingiustizia subita, anche per colpa del comportamento posto in essere dalla loro congiunta.
Si pone in rilievo, ancora, il fatto che il Tribunale era pervenuto alla conclusione circa l’attendibilita’ delle dichiarazioni rese dalle persone offese solo all’esito del relativo esame, e che, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, la documentazione bancaria acquisita agli atti costituisce un elemento di riscontro dei fatti narrati dalle parti civili.
3. Nell’interesse della parte civile (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione il difensore, deducendo vizi della motivazione e violazioni di legge in punto di accertamento della penale responsabilita’, con riferimento all’erronea valutazione di inattendibilita’ delle dichiarazioni delle persone offese, che la Corte d’appello ha diversamente apprezzato senza offrire una motivazione idonea a superare in modo convincente gli argomenti esposti nella decisione riformata, tenuto conto, in particolare, del carattere autonomo delle dichiarazioni accusatorie dalle stesse rese in sede di indagini e degli oggettivi elementi di riscontro probatorio al riguardo emersi.
4. Nell’interesse della parte civile (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione il difensore, deducendo, sulla base di argomenti analoghi a quelli sopra illustrati, vizi della motivazione e violazioni di legge in punto di accertamento della penale responsabilita’, con riferimento all’erronea valutazione di inattendibilita’ delle dichiarazioni delle persone offese, in quanto basata sull’assunto, non provato ne’ certo, che la sorella (OMISSIS) fosse concorrente con la (OMISSIS) anche per i fatti oggetto di questo processo.
Ulteriori incongruenze della motivazione vengono evidenziate con riguardo alla valutazione dei tempi di proposizione delle denunce, dovendosi considerare che le sorelle hanno denunziato i fatti dopo essere state ascoltate su iniziativa della P.G. e nel momento in cui la sorella (OMISSIS) aveva gia’ definito la sua posizione processuale patteggiando la pena ai sensi dell’articolo 444 cod. proc. pen..
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. I ricorsi, incentrati su ragioni di doglianza sostanzialmente comuni, sono fondati e vanno accolti per le ragioni di seguito indicate.
2. Questa Corte (Sez. 6, n. 46742 del 8/10/2013, Hamdi Rhida, Rv. 257332; Sez. 6, n. 1253 del 28/11/2013, dep. 2014, Ricotta, Rv. 258005; Sez. 2, n. 50643 del 18/11/2014, Fu, Rv. 261327; Sez. 4, n. 35922 del 11/7/2012, Ingrassia, Rv. 254617) ha da tempo stabilito il principio secondo cui il giudice di appello che, nel riformare la decisione di condanna del giudice di primo grado, pervenga ad una sentenza di assoluzione, non puo’ limitarsi ad inserire nella struttura argomentativa della decisione impugnata, genericamente richiamata, delle notazioni critiche di dissenso, essendo, invece, necessario che egli riesamini, sia pure in sintesi, il materiale probatorio vagliato dal primo giudice, considerando quello eventualmente sfuggito alla sua valutazione e quello ulteriormente acquisito per dare, con riguardo alle parti della prima sentenza non condivise, una nuova e compiuta struttura motivazionale che dia ragione delle difformi conclusioni.
Ne discende che il giudice di appello, ove riformi in senso radicale la condanna di primo grado pronunciando sentenza assolutoria, ha l’obbligo di confutare in modo specifico e completo le argomentazioni della prima decisione, essendo necessario scardinare l’impianto argomentativo-dimostrativo di una decisione assunta da chi ha avuto diretto contatto con le fonti di prova (Sez. 5, n. 21008 del 6/5/2014, Barzaghi, Rv. 260582).
Al riguardo, inoltre, le Sezioni Unite di questa Corte, con decisione del 21 dicembre 2017, ric. Troise (v. informazione provvisoria), hanno risolto un contrasto giurisprudenziale avallando siffatta impostazione ermeneutica ed enunciando il principio di diritto secondo cui nell’ipotesi di riforma in senso assolutorio di una sentenza di condanna, il giudice di appello non ha l’obbligo di rinnovare l’istruzione dibattimentale mediante l’esame dei soggetti che hanno reso dichiarazioni ritenute decisive ai fini della condanna di primo grado. Tuttavia, il giudice di appello (previa, ove occorra, rinnovazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva ai sensi dell’articolo 603 cod. proc. pen.) e’ tenuto ad offrire una motivazione puntuale e adeguata della sentenza assolutoria, dando una razionale giustificazione della difforme conclusione adottata rispetto a quella del giudice di primo grado.
3. Considerando, ora, le implicazioni di tale quadro di principii in relazione alla concreta disamina della vicenda storico-fattuale oggetto della regiudicanda, deve rilevarsi come la Corte territoriale, nel privilegiare l’epilogo assolutorio, abbia operato una rivalutazione sommaria delle emergenze probatorie, venendo meno all’obbligo di puntuale e specifica motivazione che grava sul giudice di appello nelle evenienze procedimentali dianzi esaminate.
Si espongono, nella motivazione della decisione impugnata, le ragioni per le quali non sono ritenute condivisibili le conclusioni cui il primo giudice e’ pervenuto in punto di accertamento della penale responsabilita’ e, al contempo, si prospetta come dotata di maggiore plausibilita’ un’ipotesi di ricostruzione alternativa dei fatti, muovendo dal contenuto di dichiarazioni accusatorie assertivamente considerate di incerta attendibilita’, senza confutare le ragioni che il primo giudice aveva congruamente indicato a sostegno della contraria valutazione sotto tale profilo espressa.
La prima decisione aveva ricostruito l’intera dinamica dei fatti oggetto del tema d’accusa ed aveva motivatamente escluso la presenza di qualsiasi dubbio all’esito del vaglio di attendibilita’ delle dettagliate dichiarazioni accusatorie delle persone offese, sia alla luce degli elementi di riscontro provenienti dalle risultanze della documentazione bancaria in atti acquisita – e ritenuta temporalmente compatibile con i prelievi di denaro operati sul conto del padre delle persone offese e con la finalita’ di consegnarne i correlativi importi all’imputata – sia alla stregua del contenuto delle dichiarazioni rese in sede di interrogatorio dalla (OMISSIS), coerentemente ritenute inidonee a smentire la versione dei fatti offerta dalle persone offese nelle rispettive denunce, poi direttamente confermate nell’audizione resa dinanzi al primo giudice.
La decisa valorizzazione degli elementi posti a sostegno dell’attendibilita’ della versione difensiva – dalla Corte d’appello ricavati sulla base della mera lettura delle dichiarazioni rese dalle persone offese – avrebbe dovuto accompagnarsi ad un’attenta disamina del rilievo assegnato ai contrari elementi di prova oggetto delle valutazioni espresse dal primo Giudice, oltre che ad un bilanciamento comparativo del peso specificamente assegnato alle diverse componenti strutturali dell’intero quadro probatorio, sia pure all’interno del perimetro individuato dalle linee argomentative proprie della prospettiva assiologica sopra indicata.
Sui punti or ora evidenziati, ed in relazione ai diversi profili ad essi fattualmente correlati ed investiti dal motivato convincimento espresso dal giudice di primo grado, la Corte territoriale ha omesso di confutarne appieno la consistenza e linearita’ del ragionamento probatorio, trascurando la necessaria valutazione critica di tutti gli elementi di fatto su cui e’ stata fondata la precedente decisione di condanna.
4. Sulla base delle su esposte considerazioni, conclusivamente, l’impugnata sentenza deve essere annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte d’appello in dispositivo indicata, che nella piena liberta’ del correlativo apprezzamento di merito dovra’ porre rimedio ai vizi rilevati, uniformandosi al quadro dei principii di diritto in questa Sede stabiliti.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di appello di Lecce.

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