Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 2 maggio 2018, n. 18523
Le massime estrapolate
In tema di reati paesaggistici, il rilascio del provvedimento di compatibilita’ paesaggistica non determina automaticamente la non punibilita’ dei predetti reati, in quanto compete sempre al giudice l’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti l’applicazione del cosiddetto condono ambientale (in specie si trattava della realizzazione di un intervento edilizio che comportava l’aumento di superfici utili e volumi, con conseguente ritenuta inapplicabilita’ del condono ambientale nonostante l’intervenuto rilascio del parere di compatibilita’ paesaggistica).
La nozione di superficie utile va individuata, in mancanza di specifica definizione, con riferimento alla finalita’ della disposizione che la contempla e, per quanto riguarda la disciplina paesaggistica…considerando l’impatto dell’intervento sull’originario assetto paesaggistico del territorio, tale da determinare una compromissione ambientale.
Deve ritenersi illegittimo, e non determina l’estinzione del reato edilizio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, lettera b) il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell’alveo di conformita’ agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla gia’ avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica.
In conseguenza, non sarebbe neppure ammissibile il rilascio di una concessione in sanatoria parziale, dovendo l’atto abilitativo postumo contemplare tutti gli interventi eseguiti nella loro integrita’.
In materia edilizia, affinche’ un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualita’, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti. La realizzazione quindi di una piscina, posta al servizio esclusivo di una residenza privata legittimamente edificata, non richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire solo nel caso in cui si accerti la sua natura pertinenziale, la quale va esclusa non solo quando la stessa abbia dimensioni non trascurabili, ma anche quando si ponga in contrasto con le prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue caratteristiche, risulti avere una destinazione autonoma.
Sentenza 2 maggio 2018, n. 18523
Data udienza 8 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. RAMACCI Luca – Presidente
Dott. CERRONI Claud – Rel. Consigliere
Dott. SOCCI Angelo – Consigliere
Dott. LIBERATI Giovanni – Consigliere
Dott. MACRI’ Ubalda – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 11/11/2016 della Corte di Appello di Firenze;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Dott. Cerroni Claudio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. Spinaci Sante, che ha concluso chiedendo l’annullamento senza rinvio per prescrizione;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza dell’11 novembre 2016 la Corte di Appello di Firenze, in parziale riforma della sentenza del 2 dicembre 2014 del Tribunale di Lucca, ha rideterminato in quattro mesi di arresto ed Euro 35000,00 di ammenda la pena, sospesa subordinatamente alla realizzazione delle opere di adeguamento prescritte dalla Pubblica Amministrazione, inflitta ad (OMISSIS) per il reato di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 articolo 181, comma 1-bis e Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, comma 1, lettera c), a seguito della realizzazione, in zona paesaggistica e senza le prescritte autorizzazioni, di una piscina in area di 250 metri quadrati appositamente disboscata, nonche’ della creazione di un tracciato stradale a fondo naturale mediante complessivo asporto di ulteriore vegetazione, per una lunghezza di metri 38 e con una larghezza media di metri 2,30.
2. Avverso la predetta decisione l’interessato ha proposto ricorso per cassazione con sei motivi di censura.
2.1. In particolare, col primo motivo il ricorrente ha lamentato violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza, dal momento che era stata contestata la fattispecie delittuosa ma infine gli era stata inflitta una pena riferibile all’ipotesi contravvenzionale, con evidente lesione del proprio diritto di difesa.
2.2. Col secondo motivo il ricorrente ha osservato che il reato paesaggistico doveva essere dichiarato estinto, stante l’intervenuta sanatoria paesaggistica.
Invero, secondo il ricorrente, il Comune di Lucca aveva rilasciato l’autorizzazione ambientale a seguito di istanza proposta a norma del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42 articolo 181, commi 1-ter e 1-quater. Cio’ posto, il precedente giurisprudenziale contrario si riferiva ad una fattispecie molto piu’ invasiva, si’ che l’avvenuto condono ambientale non comportava, anche a prescindere dalla valutazione amministrativa, un rilevante impatto estetico, in tesi emergente ictu oculi, non sussistendo pertanto alcuna macroscopica lesione dell’interesse ambientale.
2.3. Col terzo motivo, sempre in ordine al cd. reato paesaggistico, il ricorrente ha osservato che il provvedimento impugnato aveva ritenuto l’esistenza di opere non sanabili che presentavano un impatto sul territorio con la creazione di superficie utile (trattandosi tra l’altro di un reato di pericolo), laddove al contrario la creazione di una piscina e di un breve tracciato di fondo naturale ben difficilmente avrebbe provocato un tale incremento. Al contrario, faceva invero difetto qualsiasi valutazione sull’impatto estetico, necessaria per disattendere il provvedimento di condono ambientale.
2.4. Col quarto motivo e’ stata dedotta violazione di legge penale circa l’insussistenza della cd. doppia conformita’, mentre invece si trattava dell’esecuzione di attivita’ di contenuto cosi’ ridotto da doversi considerare alla stregua di mere prescrizioni esecutive, quali l’eliminazione della pista a fondo naturale e l’interramento di alcuni scalini del manufatto, si’ che non poteva escludersi l’avvenuta estinzione del reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, lettera c), data l’esiguita’ dei lavori cosi’ prescritti.
2.5. Col quinto motivo il ricorrente ha negato che la natura pertinenziale della piscina fosse esclusa in ragione delle dimensioni del fabbricato, trattandosi di vasca di 38,25 metri quadrati a corredo di una civile abitazione, opera da ritenere assoggettabile a s.c.i.a., tra l’altro in carenza di aumento del carico urbanistico. In specie la piscina aveva la ridetta dimensione, con una profondita’ di soli metri 1,50, mentre il tracciato stradale a fondo naturale era finalizzato al transito per la realizzazione della piscina, e la precarieta’ di detta opera si evinceva anche dalla sua descrizione.
2.6. Col sesto motivo il ricorrente ha lamentato la mancata concessione delle attenuanti generiche, disattese in ragione di un remoto precedente che, senza contestazione di recidiva, avrebbe dovuto rappresentare elemento sintomatico della capacita’ a delinquere dell’imputato. Al contrario, non era stato tenuto conto della successiva condotta ineccepibile, mentre avrebbe dovuto essere valutata la gravita’ dell’episodio pregresso, piu’ che l’esistenza stessa del precedente penale.
3. Il Procuratore generale ha concluso nel senso dell’annullamento senza rinvio per prescrizione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
4. Il ricorso e’ complessivamente inammissibile.
Va anzitutto osservato che l’esame del ricorso puo’ essere effettuato prendendo in considerazione sia la motivazione della sentenza impugnata sia quella della sentenza di primo grado, e cio’ in quanto i giudici di merito hanno adottato decisioni e percorsi motivazionali comuni (salva la parziale rideterminazione della pena in appello), che possono essere valutati congiuntamente, ai fini di una efficace ricostruzione della vicenda processuale e di una migliore comprensione delle censure del ricorrente.
E’ infatti appena il caso di ricordare che qualora il giudice d’appello abbia accertato e valutato, come in specie, il materiale probatorio con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado, le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscono una sola entita’ logico-giuridica, alla quale occorre far riferimento per giudicare della congruita’ della motivazione, integrando e completando quella adottata dal primo giudice le eventuali carenze di quella d’appello (ex plurimis, Sez. 1, n. 1309 del 22/11/1993, dep. 1994, Scardaccione, Rv. 197250).
Invero, allorche’ le sentenze di primo e secondo grado concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complesso corpo argomentativo (ex plurimis, Sez. 1, n. 8868 del 26/06/2000, Sangiorgi, Rv. 216906).
4.1. In relazione pertanto al primo motivo di censura, la contestazione a carico dell’imputato non e’ mai stata modificata, cosi’ come e’ stata sempre richiesta la condanna dell’odierno ricorrente alle sole pene dell’arresto ovvero dell’ammenda, postulando quindi l’esistenza di reati contravvenzionali. In proposito mai e’ insorto rilievo di sorta, per cui non vi e’ stata alcuna violazione del diritto di difesa atteso che al ricorrente e’ stata sempre contestata l’esecuzione di lavori su beni paesaggistici senza la prescritta autorizzazione o in difformita’ di essa.
4.2. Il secondo ed il terzo profilo di censura possono essere esaminati congiuntamente.
4.2.1. Al riguardo, il Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181 prevede tra l’altro (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1-ter) che, ferma restando l’applicazione delle sanzioni amministrative pecuniarie di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 167, qualora l’autorita’ amministrativa competente accerti la compatibilita’ paesaggistica secondo le procedure di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1-quater, la disposizione di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1 (ossia la sanzione penale) non si applica: a) per i lavori, realizzati in assenza o difformita’ dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazione di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli legittimamente realizzati; b) per l’impiego di materiali in difformita’ dall’autorizzazione paesaggistica; c) per i lavori configurabili quali interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 3.
In proposito (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1-quater), il proprietario, possessore o detentore a qualsiasi titolo dell’immobile o dell’area interessati dagli interventi di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1-ter presenta apposita domanda all’autorita’ preposta alla gestione del vincolo ai fini dell’accertamento della compatibilita’ paesaggistica degli interventi medesimi. L’autorita’ competente si pronuncia sulla domanda entro il termine perentorio di centottanta giorni, previo parere vincolante della soprintendenza da rendersi entro il termine perentorio di novanta giorni.
Cio’ posto, (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1-quinquies) la rimessione in pristino delle aree o degli immobili soggetti a vincoli paesaggistici, da parte del trasgressore, prima che venga disposta d’ufficio dall’autorita’ amministrativa, e comunque prima che intervenga la condanna, estingue il reato di cui al Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1.
4.2.2. Alla stregua di quanto sopra, si ricorda peraltro che, in tema di reati paesaggistici, il rilascio del provvedimento di compatibilita’ paesaggistica non determina automaticamente la non punibilita’ dei predetti reati, in quanto compete sempre al giudice l’accertamento dei presupposti di fatto e di diritto legittimanti l’applicazione del cosiddetto condono ambientale (in specie si trattava della realizzazione di un intervento edilizio che comportava l’aumento di superfici utili e volumi, con conseguente ritenuta inapplicabilita’ del condono ambientale nonostante l’intervenuto rilascio del parere di compatibilita’ paesaggistica)(Sez. 3, n. 13730 del 12/01/2016, Principato, Rv. 266955; cfr. anche Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011, dep. 2012, Falconi e altri, Rv. 251640).
4.2.3. In proposito, dalla lettura della motivazione della sentenza del Tribunale di Lucca si puo’ agevolmente evincere l’entita’ degli interventi di adeguamento richiesti dalla Pubblica amministrazione, quanto all’eliminazione della strada e della pista di esbosco, al ridimensionamento della vasca col completamento della trasformazione della piscina in vasca ad uso irriguo, tramite l’eliminazione delle scalette interne di accesso, l’interramento dei bordi in cemento, il ripristino della scarpata a valle della piscina. Si’ che del tutto corretto risulta il ragionamento siccome somministrato nel merito, atteso che il disboscamento, non autorizzato, aveva creato la condizione per la realizzazione delle superfici utili occupate dalla piscina, infine ridotta a vasca irrigua cosi’ stravolgendo in ogni caso la propria funzione per conseguire l’autorizzazione paesaggistica, e dalla strada a fondo naturale, chiamata a servire proprio l’invaso con funzione certamente non precaria nel tempo.
4.2.4. In definitiva, quindi, sono riproposte le questioni gia’ correttamente risolte dai Giudici del merito.
E’ stata infatti lamentata l’omessa declaratoria di estinzione del reato paesaggistico, nonostante l’esito positivo della procedura ex Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, commi 1-ter e 1-quater; laddove, al contrario, non sussiste alcun automatismo (v. supra) tra provvedimento amministrativo e vicenda penale.
Invero, a fronte dell’introduzione del cd. condono ambientale merce’ l’inserimento del Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, commi 1-ter e 1-quater con la L. 15 dicembre 2004, n. 308, articolo 1, commi 37, 38 e 39 detto condono e’ comunque configurato come diretto agli interventi minori, che sono appunto quelli identificati nel Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1-ter.
Al riguardo, e’ stato ormai ripetutamente affermato che essi sono definiti tali in quanto caratterizzati da un impatto sensibilmente piu’ modesto sull’assetto del territorio vincolato rispetto agli altri considerati nella medesima disposizione di legge. Detti interventi (v. supra) sono cosi’ i lavori, realizzati in assenza o difformita’ dall’autorizzazione paesaggistica, che non abbiano determinato creazioni di superfici utili o volumi ovvero aumento di quelli illegittimamente realizzati (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1-ter, lettera a), quelli che abbiano comportato l’impiego di materiali in difformita’ dall’autorizzazione paesaggistica (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1 ter, lettera b) e quelli che costituiscono interventi di manutenzione ordinaria o straordinaria a norma del Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001 n. 380, articolo 3 (Decreto Legislativo 22 gennaio 2004, n. 42, articolo 181, comma 1 ter, lettera c).
In siffatto quadro, atteso che tra gli interventi che il legislatore non consente di qualificare neppure ex post – cioe’ alla luce della concreta valutazione del loro effettivo impatto – compatibili all’ambiente e’ inclusa la creazione di “superfici utili”, e che il legislatore non fornisce, contestualmente, una definizione del concetto “superfici utili” in modo espresso, il suo significato e’ comunque agevolmente identificabile in un’immutazione stabile dell’assetto territoriale attuata a discapito della vincolata conformazione originaria, dalla quale nettamente prescinde, non integrandone alcuna specie di manutenzione (cfr. Sez. 3, n. 889 del 29/11/2011, dep. 2012, Falconi e altri, Rv. 251641). In ragione di cio’, la nozione di superficie utile va individuata, in mancanza di specifica definizione, con riferimento alla finalita’ della disposizione che la contempla e, per quanto riguarda la disciplina paesaggistica…considerando l’impatto dell’intervento sull’originario assetto paesaggistico del territorio, tale da determinare una compromissione ambientale (cosi’, in motivazione, anche Sez. 3, n. 44189 del 19/09/2013, Tognotti, Rv. 257527).
4.2.5. In coerenza e continuita’, pertanto, era stato cola’ qualificato come incisivo mutamento stabile dell’assetto territoriale la realizzazione di “due strade di arroccamento ad elevata pendenza” in un’area senza preesistenti tracce dove inserire le strade, peraltro ricordando che la stessa realizzazione di una strada, anche dove gia’ preesisteva un sentiero, integrava “una immutazione stabile dello stato dei luoghi” non riconducibile ad attivita’ di manutenzione (Sez. 3, n. 3725 del 13/01/2005, Boscacci, Rv. 230679), cosi’ come l’allargamento di una strada preesistente (Sez. 3, n. 33186 del 03/06/2004, Spano, Rv. 229130).
In specie, appunto, addirittura un previo non autorizzato disboscamento aveva consentito l’esecuzione, ancorche’ non ancora ultimata al momento dell’accertamento, delle opere in contestazione (la piscina, tra l’altro, era stata posta in essere in luogo differente rispetto al provvedimento autorizzativo). Del tutto logicamente, quindi, e’ stata ritenuta (in via del tutto assorbente sul punto, in ragione quantomeno dell’indebita attivita’ di estirpazione della vegetazione presente) la ricorrenza del reato paesaggistico, anche al di la’ del concreto pregiudizio all’assetto territoriale di inserimento, la norma prevedendo in ogni caso un reato di pericolo (circostanza pacifica).
4.3. Allo stesso tempo si presenta manifestamente infondato anche il quarto motivo di ricorso.
Al riguardo, infatti, la sanatoria degli abusi edilizi idonea ad estinguere il reato di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 44 non ammettendo termini o condizioni, deve riguardare l’intervento edilizio nel suo complesso e puo’ essere conseguita solo qualora ricorrano tutte le condizioni espressamente indicate dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 380 del 2001, articolo 36 e, precisamente, la doppia conformita’ delle opere alla disciplina urbanistica vigente sia al momento della realizzazione del manufatto, che al momento della presentazione della domanda di sanatoria, dovendo escludersi la possibilita’ di una legittimazione postuma di opere originariamente abusive che, solo successivamente, in applicazione della cosiddetta sanatoria “giurisprudenziale” o “impropria”, siano divenute conformi alle norme edilizie ovvero agli strumenti di pianificazione urbanistica (Sez. 3, n. 47402 del 21/10/2014, Chisci e altro, Rv. 260973). Invero deve ritenersi illegittimo, e non determina l’estinzione del reato edilizio di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 6 giugno 2001, n. 380, articolo 44, lettera b) il rilascio di un permesso di costruire in sanatoria condizionato all’esecuzione di specifici interventi finalizzati a ricondurre il manufatto abusivo nell’alveo di conformita’ agli strumenti urbanistici, in quanto detta subordinazione contrasta ontologicamente con la ratio della sanatoria, collegabile alla gia’ avvenuta esecuzione delle opere e alla loro integrale rispondenza alla disciplina urbanistica (Sez. 3, n. 51013 del 05/11/2015, Carratu’ e altro, Rv. 266034; cfr. anche Sez. 3, n. 19587 del 27/04/2011, Montini e altro, Rv. 250477). In conseguenza, non sarebbe neppure ammissibile il rilascio di una concessione in sanatoria parziale, dovendo l’atto abilitativo postumo contemplare tutti gli interventi eseguiti nella loro integrita’ (Sez. 3, n. 22256 del 28/04/2016, Rongo, Rv. 267290).
Va da se’, pertanto, che la lunga serie di prescrizioni contenute nella domanda di sanatoria (v. supra) si presenta come preclusiva di ogni possibilita’ di auspicata estinzione del reato per tale titolo.
4.4. Parimenti non puo’ accogliersi il quinto motivo d’impugnazione.
Come e’ stato gia’ ricordato, infatti, in materia edilizia, affinche’ un manufatto presenti il carattere della pertinenza si richiede che abbia una propria individualita’, che sia oggettivamente preordinato a soddisfare le esigenze di un edificio principale legittimamente edificato, che sia sfornito di autonomo valore di mercato, che abbia ridotte dimensioni, che sia insuscettibile di destinazione autonoma e che non si ponga in contrasto con gli strumenti urbanistici vigenti (Sez. 3, n. 25669 del 30/05/2012, Zeno e altro, Rv. 253064). La realizzazione quindi di una piscina, posta al servizio esclusivo di una residenza privata legittimamente edificata, non richiede il preventivo rilascio del permesso di costruire solo nel caso in cui si accerti la sua natura pertinenziale, la quale va esclusa non solo quando la stessa abbia dimensioni non trascurabili, ma anche quando si ponga in contrasto con le prescrizioni di zona della pianificazione ovvero, per le sue caratteristiche, risulti avere una destinazione autonoma (Sez. 3, n. 39067 del 21/05/2009, Vitti, Rv. 244903).
4.4.1. Il provvedimento impugnato ha correttamente evidenziato che il manufatto, per quanto abbondantemente rilevato, era in contrasto con lo strumento urbanistico, tant’e’ che ne era stata ingiunta la trasformazione in una mera vasca irrigua o antincendio, la cui differenza funzionale con una piscina addetta ad un alloggio privato appare di oggettivo e non discutibile rilievo.
4.5. In relazione all’ultimo motivo d’impugnazione, quanto al trattamento sanzionatorio inflitto, e’ appena il caso di ricordare in primo luogo che la concessione delle attenuanti generiche deve essere fondata sull’accertamento di situazioni idonee a giustificare un trattamento di speciale benevolenza in favore dell’imputato (Sez. 3, n. 9836 del 17/11/2015, Piliero, Rv. 266460). Del pari, esse non possono essere intese come oggetto di benevola e discrezionale “concessione” del giudice, ma come il riconoscimento di situazioni non contemplate specificamente, non comprese cioe’ tra le circostanze da valutare ai sensi dell’articolo 133 c.p., che presentano tuttavia connotazioni tanto rilevanti e speciali da esigere una piu’ incisiva, particolare, considerazione ai fini della quantificazione della pena (Sez. 2, n. 30228 del 05/06/2014, Vernucci, Rv. 260054). Mentre in specie, come e’ stato espressamente rilevato dalla Corte territoriale senza specifica censura, non emergevano elementi tali da consentire la riduzione della pena al di sotto del minimo edittale.
In ordine infine alla richiesta conversione della pena detentiva, la valutazione della sussistenza dei presupposti per l’adozione di una sanzione sostitutiva e’ legata agli stessi criteri previsti dalla legge per la determinazione della pena, e quindi il giudizio prognostico positivo cui e’ subordinata la possibilita’ della sostituzione non puo’ prescindere dal riferimento agli indici individuati dall’articolo 133 c.p., con la conseguenza che il giudice puo’ negare – come in specie – la sostituzione della pena anche soltanto perche’ i precedenti penali rendono il reo immeritevole del beneficio, senza dovere addurre ulteriori e piu’ analitiche ragioni (Sez. 2, n. 28707 del 03/04/2013, Di Pasquale, Rv. 256725).
Infatti deve considerarsi esente da censura la motivazione con cui il giudice di appello, esercitando il potere discrezionale ai sensi della L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 58 respinge l’istanza di conversione della pena detentiva con quella pecuniaria, considerando minima, addirittura inadeguata, la pena irrogata dal primo giudice, sicche’ la richiesta sostituzione avrebbe reso ancor meno effettiva la sanzione (Sez. 3, n. 21265 del 27/02/2003, Mauriello, Rv. 224512).
6. Il ricorso si presenta quindi manifestamente infondato, per cui ne va dichiarata senz’altro l’inammissibilita’.
Tenuto altresi’ conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che “la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, alla declaratoria dell’inammissibilita’ medesima consegue, a norma dell’articolo 616 c.p.p., l’onere delle spese del procedimento nonche’ quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00.
P.Q.M.
Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende.
Leave a Reply