In tema d’imposte sui redditi, la detrazione del credito d’imposta sui dividendi tassati all’estero

Corte di Cassazione, sezione tributaria, Sentenza 12 luglio 2018, n. 18400.

La massima estrapolata:

In tema d’imposte sui redditi, la detrazione del credito d’imposta sui dividendi tassati all’estero spetta, ai sensi del combinato disposto degli art. 15 e 96 bis del d.P.R. n. 917 del 1986 (nella formulazione applicabile “ratione temporis”) soltanto con riferimento a quella percentuale di dividendi esteri che concorre alla formazione della base imponibile in Italia, pari al 40 per cento in ipotesi degli utili percepiti da società con sede in paesi extracomunitari ed al 5 per cento nel caso degli utili corrisposti da società con sede in paesi comunitari.

Sentenza 12 luglio 2018, n. 18400

Data udienza 15 maggio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente

Dott. CONDELLO A.P. Pasqualina – Consigliere

Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere

Dott. D’ORAZIO Luigi – rel. Consigliere

Dott. DELL’ORFANO Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 22913/2011 R.G. proposto da:
Agenzia delle Entrate, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa ope legis dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso i cui uffici domicilia, in Roma, Via dei Portoghesi n. 12;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.r.l., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’Avv. (OMISSIS) e dall’Avv. (OMISSIS), elettivamente domiciliata presso lo studio del primo, in (OMISSIS), giusta delega a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza della Commissione Regionale del Lazio n. 229/40/2010 depositata il 25 giugno 2010.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 15 maggio 2018 dal Consigliere Luigi D’Orazio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. DE AUGUSTINIS Umberto, che ha concluso chiedendo l’accoglimento del primo motivo e l’assorbimento dei restanti;
udito l’Avv. (OMISSIS), per l’Avvocatura Generale dello Stato e l’Avv. (OMISSIS), per delega dell’Avv. (OMISSIS).

FATTI DI CAUSA

1.Con avviso di accertamento relativo all’anno 2000 l’Agenzia delle entrate effettuava due rilievi nei confronti della (OMISSIS) s.r.l., da un lato, non riconoscendo integralmente il credito di imposta sui dividendi percepiti dalla societa’ collegata estera polacca (OMISSIS), ma solo nella misura del 40 % (unica porzione sottoposta effettivamente a doppia imposizione), e dall’altro, ritenendo assoggettabile ad Irap quale plusvalenza patrimoniale per la somma di lire 3.824.850.101 l’operazione commerciale intercorsa con altre due societa’ del gruppo (OMISSIS) e con la (OMISSIS) s.r.l., escludendo la natura di trasferimento di azienda, ma ritenendo sussistere solo una riconversione produttiva o una mera ristrutturazione.
2.La Commissione tributaria provinciale rigettava il motivo di ricorso sulla pretesa detrazione integrale del credito di imposta ed accoglieva la censura in ordine alla sussistenza di un trasferimento di azienda con plusvalenza non assoggettabile ad Irap.
3.La Commissione tributaria regionale rigettava l’appello principale dell’Agenzia delle entrate, ritenendo sussistente un conferimento di azienda e non una mera riconversione produttiva, ed accoglieva l’appello incidentale della societa’, in quanto il Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 15 non prevedeva un tetto massimo del 40 per la detrazione del credito di imposta.
4.Avverso tale sentenza proponeva ricorso per cassazione l’Agenzia delle entrate.
5. Resisteva con controricorso la societa’.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.Con il primo motivo di impugnazione l’Agenzia delle entrate deduce “Quanto al rilievo Irap:insufficiente e contraddittoria motivazione circa i fatti controversi e decisivi per il giudizio, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 5”, non avendo tenuto conto la Commissione regionale, nella motivazione di una serie di elementi fattuali idonei a dimostrare che l’operazione commerciale era consistita in una ristrutturazione aziendale e non in un mero conferimento di azienda, con la conseguente assoggettabilita’ della plusvalenza all’Irap. In particolare, la Commissione non ha tenuto conto della perizia redatta dal dott. (OMISSIS), del verbale di assemblea straordinaria della societa’ del 10-5-2000, in cui si fa riferimento al “riassetto” del settore auto del gruppo (OMISSIS), attraverso la creazione di un vero e proprio accordo di Joint venture con il gruppo (OMISSIS), il fatto che la stessa societa’, in relazione all’Irpeg, ai sensi del Decreto Legislativo n. 358 del 1997, articolo 4 comma 2 aveva gia’ manifestato di non considerare l’operazione come un conferimento di azienda, ma come vera e propria riconversione aziendale, suscettibile di plusvalenza soggetta a tassazione, ai sensi del Decreto Legislativo n. 446 del 1997, articolo 11. La motivazione presenta, tra l’altro, contraddizioni nel suo percorso argomentativo.
1.1.Tale motivo e’ inammissibile.
Invero, “la ricorrente non ha trascritto il contenuto dei documenti di cui la Commissione non ha tenuto conto, non consentendo, quindi, a questa Corte di poter valutare la sufficienza della motivazione della sentenza oggetto di gravame, incorrendo il motivo nel difetto di autosufficienza.
Inoltre, si rileva che la Commissione ha compiutamente dato conto delle ragioni del suo convincimento esponendo con nettezza che la (OMISSIS) s.p.a., ed altre due societa’ del Gruppo (OMISSIS) ( (OMISSIS) s.p.a. e (OMISSIS) s.p.a.), hanno inteso conferire le proprie aziende in un nuovo soggetto giuridico, ossia in una “realta’ economica nuova”, quale e’ la (OMISSIS) s.r.l., societa’ appartenente al (OMISSIS) s.p.a..
Pertanto, non v’e’ stata una mera riconversione dell’attivita’ produttiva, ma un vero ed effettivo conferimento di azienda in altra societa’, nuova e diversa dalle prime tre societa’ conferenti.
La Commissione, infatti, aggiunge che la societa’ conferente (OMISSIS), una volta “spogliata” del ramo operativo, ha persino modificato l’oggetto sociale della propria attivita’, dedicandosi alla compravendita e gestione immobiliare, oltre che alla compravendita e gestione di partecipazioni.
La societa’ conferitaria (OMISSIS), invece, aggiunge la Commissione, ” e’ una nuova entita’ economica, frutto dell’unione dei due Gruppi completamente diversi e facenti capo a compagini societarie autonome ed indipendenti (Gruppo (OMISSIS) e Gruppo (OMISSIS)) in misura pari al 50 %”.
La ricorrente pretende in questa sede un integrale riesame delle risultanze istruttorie, con diverso apprezzamento dei fatti rispetto alle valutazioni del giudice di merito, con una inammissibile rivalutazione delle prove in sede di legittimita’.
Spetta, infatti, in via esclusiva al giudice di merito il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di controllare l’attendibilita’ e la concludenza delle prove, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad essi sottesi, dando, cosi’, liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova. Conseguentemente, per potersi configurare il vizio di motivazione su un punto decisivo della controversia, e’ necessario un rapporto di causalita’ fra la circostanza che si assume trascurata e la soluzione giuridica data alla controversia, tale da far ritenere che quella circostanza, se fosse stata considerata, avrebbe portato ad una diversa soluzione della vertenza, con un giudizio di certezza e non di mera probabilita’ (Cass.Civ., 14 novembre 2013 n.25608).
Inoltre, per poter considerare la motivazione adottata dal giudice di merito adeguata e sufficiente, non e’ necessario che nella stessa vengano prese in esame (al fine di confutarle o condividerle) tutte le argomentazioni svolte dalle parti, ma e’ sufficiente che il giudice indichi le ragioni del suo convincimento, dovendosi considerare implicitamente disattese tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass.Civ., 2 febbraio 2007 n. 2272).
Ne’ la motivazione della sentenza risulta contraddittoria, in quanto le argomentazioni sono del tutto lineari, collegate le une alle altre con logicita’ e stretta consequenzialita’.
2.Con il secondo motivo di impugnazione la ricorrente deduce “quanto al recupero del credito Irpeg: violazione e falsa applicazione degli articoli 15 e 96 del vecchio Tuir n. 917/1986, in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, in quanto i dividendi esteri relativi ad una societa’ estera (Polonia) collegata ai sensi dell’articolo 2359 c.c., possono fruire di un credito di imposta in Italia solo per la percentuale del 40 % e non per l’intero valore degli stessi, in quanto solo la quota del 40 % dei dividendi concorre alla formazione del reddito imponibile in Italia, in applicazione in via esclusiva del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 96, solo per tale percentuale dovendosi evitare la “doppia imposizione”.
2.1.Tale motivo e’ fondato.
Deve premettersi che i dividendi percepiti dalla (OMISSIS) s.p.a. sono stati interamente assoggettati a tassazione in Polonia, con aliquota del 10 %, mentre solo il 40 % degli stessi e’ stato assoggettato a tassazione anche in Italia. Pertanto, il 60 % degli stessi e’ stato tassato solo in Polonia, sicche’ tale percentuale non ha subito alcuna doppia imposizione.
Il Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 15 comma 1 e’, infatti, una norma generale in relazione al “credito di imposta per i redditi prodotti all’estero”. Tale disposizione prevede che “Se alla formazione del reddito complessivo concorrono redditi prodotti all’estero, le imposte ivi pagate a titolo definitivo su tali redditi sono ammesse in detrazione dall’imposta netta fino alla concorrenza della quota di imposta italiana corrispondente al rapporto tra i redditi prodotti all’estero ed il reddito complessivo al lordo delle perdite di precedenti periodi di imposta ammesse in diminuzione”.
La Commissione regionale si e’ limitata ad applicare tale disposizione, senza tenere in alcun conto la disposizione speciale di cui al Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 96, in materia di dividendi esteri.
Infatti, la Commissione ha accolto l’appello incidentale della societa’, che intendeva beneficiare del credito di imposta per il valore integrale dei dividendi affermando che “la norma citata (articolo 15) non quantifica la misura della detrazione in un tetto massimo del 40 % come penserebbe l’ufficio, ma si riporta ad una variabile derivante dal risultato del rapporto fra il reddito prodotto all’estero ed il reddito complessivo”.
Tuttavia, deve tenersi conto della norma speciale sui dividendi esteri che prevede (nella versione vigente ratione tamporis) che “gli utili distribuiti da societa’ collegate ai sensi dell’articolo 2359 c.c. non residenti nel territorio dello Stato concorrono a formare il reddito per il 40 % del loro ammontare”.
Per la Suprema Corte, pero’, per determinare il credito di imposta spettante alla societa’ contribuente ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 15, comma 1, deve tenersi conto “solo dell’ammontare delle imposte che hanno inciso la parte di dividendi esteri, nella specie il 40 %, che partecipano alla formazione del reddito complessivo imponibile in Italia”, secondo quanto previsto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 917 del 1986, articolo 96 bis (Cass.Civ., 28 ottobre 2015, n. 21968; in termini anche Cass.Civ., 20 novembre 2012, n. 21351; Cass.Civ., 31 gennaio 2011, n. 2255), sulla scorta quindi, un meccanismo analogo a quello di cui all’articolo 96 del medesimo d.p.r..
In particolare, in motivazione la Corte aggiunge che “con specifico riferimento alla detrazione di utili percepiti da societa’ collegate con sede in Paesi comunitari) che dal dato testuale (in rapporto alle formulazioni applicabili ratione temporis) del combinato disposto dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 017 del 1986, articolo 15 e dai successivi articoli 96 e 96 bis (rispettivamente riferentisi all’ipotesi di utili percepiti da societa’ con sede in Paesi extracomunitari ed a quella di utili percepiti da societa’ con sede in Paesi comunitari) emerge con chiarezza che l’importo detraibile dal percettore degli utili prodotti all’Estero e’ solo quello delle imposte assolte nel Paese straniero sulla percentuale degli utili che concorrono a formare il reddito imponibile anche in Italia (40 %, in ipotesi di utili percepiti da societa’ con sede in Paesi extracomunitari; 5 %, in ipotesi di utili percepiti da societa’ con sede in Paesi comunitari)”.
La Polonia solo dal 2004 e’ entrata nell’Unione Europea.
Pertanto, solo dopo che sia stato determinato il reddito complessivo imponibile in Italia, dovendosi tenere conto solo del 40 % del credito di imposta, entra in gioco il limite di detraibilita’ derivante dal rapporto tra i redditi prodotti all’estero e il reddito complessivo al lordo delle perdite di precedenti perdite di imposta ammesse in diminuzione (Cass.Civ., 30 novembre 2012, n. 21351).
3.La sentenza impugnata va, quindi, cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, decidendo nel merito ai sensi dell’articolo 384 c.p.c., rigetta il ricorso introduttivo della contribuente quanto al recupero Irpeg, che conferma.
4.Dichiara interamente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio, considerate tutte le peculiarita’ della vicenda trattata ed il solo parziale accoglimento del ricorso per cassazione.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il primo motivo; accoglie il secondo motivo, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, rigetta il ricorso introduttivo della contribuente quanto al recupero Irpeg che conferma.
Dichiara integralmente compensate tra le parti le spese dell’intero giudizio.

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