Il consulente d’ufficio, se ha inutilmente chiesto il dovuto in base al decreto di liquidazione provvisoria del compenso, può esigere il pagamento solidale dalle parti a prescindere dalla diversa ripartizione delle spese

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Sentenza 12 giugno 2018, n. 15204.

La massima estrapolata:

Il consulente d’ufficio, se ha inutilmente chiesto il dovuto in base al decreto di liquidazione provvisoria del compenso, può esigere il pagamento solidale dalle parti a prescindere dalla diversa ripartizione delle spese contenuta nella sentenza che ha definito il giudizio. L’ausiliare opera, infatti, nell’interesse della giustizia in virtù di un mandato neutrale.

Sentenza 12 giugno 2018, n. 15204

Data udienza 28 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. GRAZIOSI Chiara – rel. Consigliere

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 14783-2016 proposto da:
(OMISSIS) in persona del legale rappresentante pro tempore, (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS) giusta procura speciale a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA in persona del legale rappresentante (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
e contro
(OMISSIS);
– intimato –
avverso la sentenza n. 1246/2015 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA, depositata il 11/12/2015;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 28/02/2018 dal Consigliere Dott. CHIARA GRAZIOSI;
udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SOLDI ANNA MARIA che ha concluso per il rigetto del ricorso;
udito l’Avvocato (OMISSIS).
FATTI DI CAUSA
1. Con atto di citazione notificato il 2 dicembre 2005 (OMISSIS) e (OMISSIS) s.a.s. convenivano davanti al Tribunale di Brescia, sezione distaccata di Breno, (OMISSIS), quale proprietario della vettura investitrice, e (OMISSIS) S.p.A., quale sua compagnia assicuratrice, per ottenere la loro condanna a risarcire i danni derivati da un sinistro stradale avvenuto il 6 luglio 2004, e in particolare i danni biologici/morali e patrimoniali subiti dal (OMISSIS) e i danni patrimoniali subiti dalla societa’ di cui il (OMISSIS) era socio accomandatario: la compagnia assicuratrice aveva gia’ versato Euro 10.006 alla societa’ e Euro 7510,31 al (OMISSIS) (di cui Euro 6310,31 per danni alla persona e Euro 1200 per competenze legali), ma gli attori chiedevano un ulteriore risarcimento nella misura di Euro 1724,78 al (OMISSIS) e di Euro 112.645,54 alla societa’, oltre accessori.
Si costituiva, resistendo, la compagnia assicuratrice; con sentenza del 5 settembre 2013 il Tribunale rigettava le domande.
Avendo proposto appello sia il (OMISSIS) sia la societa’, ed essendosi costituita resistendo ancora la compagnia assicuratrice, la Corte d’appello di Brescia, con sentenza del 18 novembre-11 dicembre 2015, rigettava il gravame.
2. Hanno presentato ricorso sia il (OMISSIS) sia la societa’ sulla base di quattro motivi, da cui la compagnia assicuratrice si difende con controricorso.
RAGIONI DELLA DECISIONE
3. Il ricorso e’ infondato.
3.1 Il primo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione degli articoli 1223, 1226, 2043, 2054, 2056 e 2059 c.c. “e dei principi che presiedono alla liquidazione del danno”.
Questo motivo, in realta’, e’ composto da piu’ submotivi.
3.1.1 Il giudice d’appello – si assume in primo luogo – ha ritenuto che non vi fu errore nel quantificare nella somma di Euro 1000 il danno morale subito dal (OMISSIS) e nell’applicazione della rivalutazione e degli interessi legali sugli acconti corrisposti dalla compagnia assicuratrice. L’atto d’appello peraltro avrebbe lamentato che il Tribunale non avrebbe dato “supporto di calcolo” alle sue decisioni; e secondo il pacifico esito peritale al (OMISSIS) spettava la somma di Euro 7493,96 per il danno biologico e la somma di Euro 1000 per il danno morale. Il Tribunale liquidava quindi la somma di Euro 8493,96; ma nel calcolare “il residuo da liquidare” avrebbe erroneamente sommato i due acconti versati dalla compagnia assicuratrice prima della sentenza al (OMISSIS), dell’importo di Euro 3755,16 ciascuno; e sommandoli in Euro 7510,31 non avrebbe tenuto conto che si sarebbe dovuto detrarre l’importo di Euro 1200 per competenze legali. Questo sarebbe stato il primo errore contestato alla sentenza di primo grado sul quale la sentenza di secondo grado “non ha detto parola alcuna”.
Il secondo errore – che integrerebbe il secondo submotivo – sarebbe consistito nel fatto che la somma da rivalutare avrebbe dovuto ammontare a Euro 6310,31, cioe’ al netto della somma per le competenze legali.
Ancora, qualora vengano pagati acconti, devono essere devalutati alla data del fatto sia l’acconto sia il credito risarcitorio; e “negli atti avanti la Corte territoriale” gli attuali ricorrenti avrebbero evidenziato che cosi’ si sarebbe avuto un credito di Euro 8493,96, devalutato a Euro 7096,04, e un acconto di Euro 6310,31, devalutato a Euro 6235,48. Anche cosi’ sarebbe dovuta “una differenza a credito del (OMISSIS) di Euro 860,56”; ma di nuovo il primo giudice avrebbe errato e il secondo l’avrebbe seguito pedissequamente, “senza fare il minimo cenno alle argomentazioni degli appellanti”.
Questi primi tre submotivi cadono tutti nell’inammissibilita’ per la mancanza di autosufficienza in ordine all’avere denunciato nell’atto d’appello la questione della distinzione della somma per le competenze legali (sostanza del primo submotivo da cui discende logicamente la successiva coppia di doglianze): non ve n’e’ traccia ne’ nella premessa (ricorso, pagine 9-10) ne’ nella illustrazione del motivo (ricorso, pagina 14).
3.1.2 Mediante un ulteriore submotivo i ricorrenti lamentano, in seguito, che il giudice d’appello avrebbe violato anche i principi relativi alla liquidazione del danno biologico, e precisamente almeno due di essi: il principio della personalizzazione e il principio di unitarieta’ del risarcimento. Varrebbe poi qui il principio, nella linea della personalizzazione del risarcimento, per cui, se l’illecito ha causato invalidita’ a un piccolo imprenditore che lavora personalmente nella sua impresa, “l’indennizzo dovuto a titolo di risarcimento del danno non va calcolato sulla sola base del (presunto) reddito di lavoro”, bensi’ sull'”unitario reddito dell’impresa, nella quota corrispondente al grado di invalidita’”; inoltre varrebbe anche l’ulteriore principio per cui, per stabilire se il danno alla persona rileva pure come danno patrimoniale, e’ necessario accertare se vi e’ diminuzione della capacita’ lavorativa, onde l’onere della prova del lucro cessante futuro “attiene agli indirizzi di valutazione preventiva e non all’effettiva verificazione del danno che sarebbe impossibile provare”. Il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto di cio’ perche’ avrebbe chiesto una probatio diabolica del danno che non vi sarebbe stato se non fosse accaduto il sinistro.
E ancora, quale ulteriore submotivo, i ricorrenti lamentano che, per un “confuso richiamo” del Tribunale all’eta’ del danneggiato per determinare il risarcimento, non si comprenderebbe come il giudice d’appello faccia rilevare tale incidenza sulla quantificazione, ovvero se la faccia rilevare a favore o a sfavore del (OMISSIS).
Questa parte finale del plurimo motivo costituisce un affastellamento di principi relativi alla liquidazione del danno biologico, che – ancora una volta – i ricorrenti non indicano specificamente quando avrebbero sottoposto al giudice d’appello; peraltro – si nota quindi meramente ad abundantiam – trattasi di principi (alcuni attinti da una giurisprudenza assai risalente) riguardanti la liquidazione del danno biologico subito da (OMISSIS), laddove e’ evidente che al giudice d’appello fu sottoposta, in ordine alle tematiche degli effetti dell’incidente sul (OMISSIS) in relazione alla sua attivita’ di imprenditore, solo la domanda risarcitoria della societa’ di cui era accomandatario; e non emerge essere stata al giudice d’appello proposta neppure una questione di perdita di capacita’ lavorativa specifica del (OMISSIS), ponendosi invece sempre soltanto la questione dei danni che sarebbero derivati alla societa’ per la sua impossibilita’ di contribuire al lavoro (in particolare, perche’ era l’unica tra le persone che lavoravano nell’impresa a essere dotata della patente C).
Parimenti quel che il ricorso definisce “confuso richiamo” del Tribunale all’eta’ del danneggiato per determinare il risarcimento e che poi trasferisce sulla decisione del giudice d’appello nel senso che non si comprenderebbe se considera l’eta’ in modo favorevole o sfavorevole e’ un’ulteriore questione non supportata da autosufficienza, non emergendo indicazione specifica di quando sarebbe stata proposta al giudice d’appello la sua fonte, vale a dire il suddetto”confuso richiamo” del Tribunale all’eta’ del danneggiato.
3.2 Il secondo motivo, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, denuncia violazione e falsa applicazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e articolo 2697 c.c.: il giudice d’appello avrebbe disatteso senza motivazione “le indicazioni della CTU e le prove fornite”, onde non si comprenderebbero le sue ragioni decisorie, cosi’ pervenendo alla violazione dell’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4.
Il motivo viene illustrato ribadendo che il giudice d’appello non avrebbe tenuto conto delle attestazioni e delle conclusioni della CTU, sviluppandosi altresi’ in ulteriori argomenti direttamente fattuali.
Premesso che questa parte del motivo e’ palesemente inammissibile, perche’ prospettabile solo in un gravame di merito, per il resto la censura e’ manifestamente infondata, poiche’ la corte territoriale, ictu oculi, ha fornito una motivazione, sia sul piano materiale sia sul piano del contenuto effettivo e non apparente.
3.3 Il terzo motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, omesso esame di fatto discusso e decisivo.
Qui vengono indicati alcuni elementi fattuali che il giudice d’appello non avrebbe “mai preso in considerazione” in tal modo violando, ancora, l’articolo 132 c.p.c., comma 2, n. 4; e comunque tutto il motivo viene sviluppato proponendo argomentazioni di fatto.
A parte quanto si e’ appena rilevato in ordina all’adempimento dell’obbligo motivazionale da parte del giudice d’appello, il motivo non integra la censura prevista dall’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, bensi’ adduce una valutazione alternativa del merito di cui chiede, direttamente a ben guardare, l’assunzione da parte del giudice di legittimita’: il motivo e’ quindi inammissibile.
3.4 Il quarto motivo denuncia, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, violazione e falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002 e successive modifiche, articolo 168.
Il Tribunale avrebbe dovuto compensare almeno le spese delle due consulenze tecniche d’ufficio: il giudice d’appello ha ritenuto che non vi fossero ragioni di compensazione per la totale soccombenza degli attori, avendo questi gia’ ricevuto tutto quanto era loro dovuto prima di avviare la causa. Invece – affermano i ricorrenti – non sarebbe cosi’ per le spese di accertamento tecnico.
Il motivo e’ palesemente infondato: esso invoca giurisprudenza non pertinente con la compensazione, e che anzi afferma l’esistenza della responsabilita’ solidale delle parti rispetto al consulente (Cass. sez. 1, 12 novembre 2015 n. 23133 – per cui “il consulente tecnico d’ufficio che abbia inutilmente chiesto il dovuto in base al decreto di liquidazione provvisoria del compenso puo’ esigerne il pagamento solidale dalle parti a prescindere dalla diversa ripartizione della spesa contenuta nella sentenza che ha definito il giudizio, in quanto – salvi i rapporti interni tra le parti – l’ausiliare opera nell’interesse della giustizia in virtu’ di un mandato neutrale” -). Non si vede, pertanto, in base a quale ragione il giudice d’appello, a fronte di una completa soccombenza, abbia violato le norme per non avere disposto la compensazione.
In conclusione, il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna – in solido per il comune interesse processuale – dei ricorrenti alla rifusione a controparte delle spese processuali, liquidate come da dispositivo.
Sussistono Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2012, ex articolo 13, comma 1 quater, i presupposti per il versamento da parte dei ricorrenti dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso art..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna solidalmente i ricorrenti a rifondere a controparte le spese processuali, liquidate in un totale di Euro 7200, oltre a Euro 200 per esborsi e agli accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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