Il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 11 giugno 2018, n. 26576.

La massima estrapolata:

Il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva, di guisa che risponde di furto consumato e non semplicemente tentato chi, dopo essersi impossessato della refurtiva, non si sia ancora allontanato dal luogo della sottrazione e abbia esercitato sulla cosa un potere del tutto momentaneo, essendo stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto per il pronto intervento dell’avente diritto o della polizia.
Ai fini della configurazione dell’autonoma disponibilita’ della cosa, che segna il momento acquisitivo a cui l’impossessamento e’ funzionale, non rileva il dato temporale ex se, essendo sufficiente che l’agente abbia conseguito anche solo momentaneamente l’esclusiva signoria di fatto sul bene, assumendo, invece, decisivo rilievo la effettiva concretizzazione del rischio di definitiva dispersione, anche se questa non si sia, di fatto, realizzata per l’intervento di fattori causali successivi ed autonomi. In altri termini, l’agente acquisisce l’autonoma disponibilita’ della cosa sottratta – e la fattispecie si realizza in forma consumata – solo quando il soggetto passivo del reato ne perda, correlativamente, la detenzione, anche mediata attraverso forme indirette di vigilanza e custodia.
Ai fini della ravvisabilita’ del tentativo, occorre, dunque, che il complesso delle cautele adottate dal soggetto passivo del reato consenta un contestuale intervento impeditivo che, di fatto, precluda all’agente l’esercizio di autonomi poteri dispositivi sulla cosa, escludendo ex ante il pericolo di definitiva dispersione del bene sottratto.

Sentenza 11 giugno 2018, n. 26576

Data udienza 16 febbraio 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere

Dott. TUDINO Alessandrin – Consigliere

Dott. SCORDAMAGLIA Irene – Consigliere

Dott. RICCARDI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 18/04/2017 della Corte d’Appello di Napoli;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. Alessandrina Tudino;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dr. Fodaroni Maria Giuseppina, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.
RITENUTO IN FATTO
1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Napoli ha confermato la decisione del Tribunale di Torre Annunziata in data 20 settembre 2016, con la quale – all’esito del giudizio abbreviato – (OMISSIS) e’ stato condannato alla pena di giustizia per il furto aggravato di un ciclomotore.
Pur all’esito delle censure defensionali, la corte territoriale ha ritenuto correttamente qualificato il fatto come consumato ed aggravato, in considerazione dell’acquisizione di autonomi poteri dispositivi sul mezzo, come ricostruito secondo le emergenze probatorie, e dell’esposizione del medesimo alla pubblica fede in quanto parcheggiato sulla pubblica via.
2. Ricorre avverso tale pronuncia l’imputato, personalmente, articolando plurime censure.
2.1. Deduce, con i primi due motivi, violazione e falsa applicazione della legge penale e correlati vizi di motivazione in punto di qualificazione giuridica della condotta, avendo la corte territoriale erroneamente ritenuto configurata la fattispecie di reato in forma compiuta, laddove, invece, la sottrazione del motociclo si era realizzata sotto la costante vigilanza della persona offesa, grazie alla presenza di un impianto di videosorveglianza, e si era limitata al mero spostamento del mezzo dal luogo in cui era stato parcheggiato, avendo l’imputato immediatamente interrotto l’azione antigiuridica a causa dell’intervento del proprietario che, proprio grazie al sistema di monitoraggio, ne aveva seguito la sottrazione.
2.3 Censura, con il terzo motivo, la sussistenza dell’aggravante dell’esposizione alla pubblica fede, in considerazione della vigilanza assicurata dal sistema di videosorveglianza dell’area adibita a parcheggio.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ infondato.
2. Non sussiste l’erronea applicazione della legge penale nella qualificazione giuridica del fatto, censurata con il primo motivo di ricorso.
2.1 La corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi che individuano il momento di consumazione del delitto di furto, in quanto “il criterio distintivo tra consumazione e tentativo risiede nella circostanza che l’imputato consegua, anche se per breve tempo, la piena, autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva” (Sez. 5, Sentenza n.26749 del 11/04/2016 Ud. (dep. 27/06/2016) Rv. 267266), di guisa che “risponde di furto consumato e non semplicemente tentato chi, dopo essersi impossessato della refurtiva, non si sia ancora allontanato dal luogo della sottrazione e abbia esercitato sulla cosa un potere del tutto momentaneo, essendo stato costretto ad abbandonarla subito dopo il fatto per il pronto intervento dell’avente diritto o della polizia” (Sez. 5, Sentenza n.7704 del 05/05/1993 Ud. (dep. 18/08/1993) Rv. 194483).
2.2 Ai fini della configurazione dell’autonoma disponibilita’ della cosa, che segna il momento acquisitivo a cui l’impossessamento e’ funzionale, non rileva il dato temporale ex se, essendo sufficiente che l’agente abbia conseguito anche solo momentaneamente l’esclusiva signoria di fatto sul bene, assumendo, invece, decisivo rilievo la effettiva concretizzazione del rischio di definitiva dispersione, anche se questa non si sia, di fatto, realizzata per l’intervento di fattori causali successivi ed autonomi. In altri termini, l’agente acquisisce l’autonoma disponibilita’ della cosa sottratta – e la fattispecie si realizza in forma consumata – solo quando il soggetto passivo del reato ne perda, correlativamente, la detenzione, anche mediata attraverso forme indirette di vigilanza e custodia.
2.3 Ed in tale prospettiva assumono rilevanza le cautele predisposte al fine di minimizzare l’incidenza dei fattori di rischio che, con riferimento al concreto assetto delle misure di vigilanza e controllo rispetto all’adozione di immediate iniziative contenitive, possono di fatto escludere il conseguimento, da parte dell’agente, di una signoria autonoma sul bene, cristallizzando la condotta nella fase del tentativo.
2.4 Secondo siffatto paradigma si declinano i criteri ermeneutici enucleati dalla giurisprudenza delle Sezioni Unite di questa Corte, secondo cui “In caso di furto in supermercato, il monitoraggio della azione furtiva in essere, esercitato mediante appositi apparati di rilevazione automatica del movimento della merce ovvero attraverso la diretta osservazione da parte della persona offesa o dei dipendenti addetti alla sorveglianza ovvero delle forze dell’ordine presenti nel locale ed il conseguente intervento difensivo “in continenti”, impediscono la consumazione del delitto di furto che resta allo stadio del tentativo, non avendo l’agente conseguito, neppure momentaneamente, l’autonoma ed effettiva disponibilita’ della refurtiva, non ancora uscita dalla sfera di vigilanza e di controllo del soggetto passivo” (Sez. U, Sentenza n. 52117 del 17/07/2014 Ud. (dep. 16/12/2014) Rv. 261186, N. 398 del 1992, N. 3642 del 1999 Rv. 213315, N. 7042 del 2010 Rv. 249835, N. 11592 del 2010 Rv. 246893, N. 21937 del 2010 Rv. 247410). Ai fini della ravvisabilita’ del tentativo, occorre, dunque, che il complesso delle cautele adottate dal soggetto passivo del reato consenta un contestuale intervento impeditivo che, di fatto, precluda all’agente l’esercizio di autonomi poteri dispositivi sulla cosa, escludendo ex ante il pericolo di definitiva dispersione del bene sottratto.
2.5 Nel caso in esame, le enunciate condizioni non si sono integrate e, correttamente, il giudice di merito ha ritenuto configurata la concreta fattispecie nella forma consumata. Nonostante il monitoraggio dell’azione antigiuridica, realizzato attraverso la predisposizione di una telecamera che, di fatto, ha consentito al proprietario di rilevare l’illecito prelievo del ciclomotore, l’agente ha potuto completarne l’impossessamento, portando il mezzo al di fuori della sfera di vigilanza, tentando l’accensione del motociclo ed il definitivo allontanamento nel tempo in cui – in assenza di ulteriori presidi di sicurezza – la persona offesa e’ riuscita a raggiungere la pubblica via lungo la quale l’imputato si era gia’ inoltrato, rinunciando, solo a quel punto, a trattenere il motociclo che, ove immediatamente avviato, sarebbe andato irrimediabilmente disperso. La mera presenza del dispositivo di monitoraggio, in assenza di ulteriori misure di custodia immediatamente attivabili con funzione impeditiva, non ha, dunque, neutralizzato il pericolo di illecita apprensione del mezzo, ma ne ha solo agevolato la constatazione.
2.6 E di siffatta ricostruzione il giudice di merito ha dato analiticamente conto in motivazione, conferendo al fatto la conseguente valutazione giuridica secondo un percorso giustificativo corretto e completo, che si sottrae a censure nella presenta sede di legittimita’.
3. Cosi’ come appare immune da censure anche la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui all’articolo 625 c.p., comma 1, n. 7, che si inscrive in linea di continuita’ logica con i principi appena enunciati.
3.1 Secondo il consolidato orientamento di legittimita’, “nel furto, la circostanza aggravante dell’esposizione della cosa alla pubblica fede non e’ esclusa dall’esistenza, nel luogo in cui si consuma il delitto, di un sistema di videoregistrazione, che non puo’ considerarsi equivalente alla presenza di una diretta e continua custodia da parte del proprietario o di altra persona addetta alla vigilanza” (Sez. 5, Sentenza n.45172 del 15/05/2015 Ud. (dep. 11/11/2015) Rv. 265681, N. 6682 del 2008 Rv. 239095, N. 35473 del 2010 Rv. 248168) e che non garantisce l’interruzione immediata dell’azione criminosa, mentre soltanto una sorveglianza specificamente efficace nell’impedire la sottrazione del bene consente di escludere l’aggravante di cui all’articolo 625 c.p.p., comma 1, n. 7, (Sez. 2, Sentenza n.2724 del 26/11/2015 Ud. (dep. 21/01/2016) Rv. 265808, N. 6682 del 2008 Rv. 239095, N. 35473 del 2010 Rv. 248168, N. 14022 del 2014 Rv. 259870). In altri termini, il sistema di videosorveglianza costituisce un rafforzamento della sola azione di vigilanza, ma non puo’ ritenersi equivalente ad una forma attiva di custodia, idonea a garantire l’immediata interruzione della condotta criminosa.
3.2 Anche sotto tale versante, la decisione impugnata appare corretta in punto di diritto e compiutamente motivata, con conseguente infondatezza dei motivi di ricorso articolati a riguardo.
4. Al rigetto del ricorso consegue, ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento.

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