Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 10 maggio 2018, n. 11288

Le massime estrapolate

I muri perimetrali dell’edificio in condominio – i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta, determinano la consistenza volumetrica dello edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica – sono da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprieta’ singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici.
I muri perimetrali dell’edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all’articolo 1117 c.c. in quanto determinano la consistenza volumetrica dell’edificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell’edificio stesso.
Pertanto, nell’ambito dei muri comuni dell’edificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dello immobile.
In altri termini, il muro perimetrale e’ comune perche’ da’ sagoma all’edificio, ne assicura la fruibilita’ abitativa e la conservazione rispetto agli agenti atmosferici.
Il muro perimetrale puo’ essere portante, ossia maestro, ma anche ove privo di detta funzione strutturale, non risulta esclusa la comproprieta’ per essere comunque condominiale.
Costituisce logico corollario della ritenuta natura del muro perimetrale l’applicazione della Tabella A quanto al riparto delle spese occorrenti per ripristinarne la funzionalita’ e per la distribuzione dei costi per il risarcimento dei danni cagionati al singolo condomino dall’incuria nella conservazione del bene comune.

Sentenza 10 maggio 2018, n. 11288

Data udienza 3 ottobre 2017

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere

Dott. FALASCHI Milena – rel. Consigliere

Dott. CRISCUOLO Mauro – Consigliere

Dott. CORTESI Francesco – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 18072-2013 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS) presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
CONDOMINIO (OMISSIS), in persona dell’Amministratore pro tempore, domiciliato in ROMA, piazza Cavour n. 1, presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difendo dagli avvocati (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1455/2013 del Tribunale di Lecce depositata il 26 aprile 2013;
udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 3 ottobre 2017 dal Consigliere relatore Dott.ssa Milena Falaschi;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Capasso Lucio, che – in assenza delle parti – ha concluso per il rigetto del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con atto di citazione notificato il 4/5 dicembre 2006 (OMISSIS) – nella qualita’ di proprietaria dei locali adibiti ad uso commerciale ubicati in (OMISSIS), inseriti nel complesso condominiale “(OMISSIS)” – evocava, dinanzi al Giudice di pace di Lecce, il Condominio assumendo l’erroneita’ della tabella condominiale A applicata nella ripartizione delle spese relative alla richiesta di risarcimento dei danni lamentati dalla condomina (OMISSIS) alla propria abitazione a seguito di infiltrazioni di acque meteoriche, come da Delib. 31 ottobre 2006, in quanto essendo le sue proprieta’ poste al piano terra ed a civici diversi rispetto all’androne condominiale, avevano una differenza strutturale, funzionale ed estetica rispetto alle proprieta’ dei condomini adibite ad uso abitativo, poste ai piani sovrastanti il piano terra, con la conseguenza che le spese dovevano ripartirsi secondo il diverso criterio di cui alla Tabella B; per l’effetto chiedeva l’annullamento della delibera de qua.
Instaurato il contraddittorio, nella resistenza del convenuto che assumeva la regolarita’ del criterio di riparto dei costi adottato trattandosi di rifacimento delle facciate esterne dell’edificio, da ritenere comuni, il giudice adito, in accoglimento della domanda attorea, la dichiarava esentata dal versamento pro-quota della somma richiesta da terzi al condominio a titolo di risarcimento dei danni da cattiva manutenzione.
In virtu’ di rituale impugnazione interposta dal Condominio, il Tribunale di Lecce, nella resistenza della (OMISSIS), accoglieva il gravame e per l’effetto respingeva la domanda attorea, disponendo in ordine alle restituzioni e alle spese processuali.
A sostegno della decisione adottata il giudice dell’impugnazione, premessa l’ammissibilita’ dell’appello ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., argomentando la censura sulla scorta di rilievi sollevati alla consulenza espletata e proponendone una diversa prospettazione, nel merito evidenziava che nel parallelo giudizio relativo alla delibera di riparto delle spese di manutenzione straordinaria e di rifacimento delle facciate esterne dell’edificio, queste erano state considerate condominiali perche’ elemento portante e strutturale del manufatto, essenziale per la stabilita’ e la sicurezza del fabbricato in proprieta’ necessariamente comune a tutti i condomini; detta affermazione era assolutamente da condividere, onde il danno patito dalla condomina (OMISSIS) doveva essere ripartito secondo il criterio dei millesimi di proprieta’ per essere scaturito dalla cattiva manutenzione delle pareti di prospetto del fabbricato condominiale. Infine attribuiva valore preclusivo al fatto che l’impugnazione non riguardava il riparto delle spese manutentive, per le quali avrebbe, in ipotesi, avuto un senso porsi il problema dell’uso differente delle cose comuni – art 1123 c.c. – bensi’ un risarcimento del danno che ontologicamente andava ripartito secondo i millesimi di proprieta’.
Avverso la indicata sentenza del Tribunale di Lecce ha proposto ricorso per cassazione la (OMISSIS), sulla base di tre motivi, cui ha resistito n Condominio con controricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Con il primo motivo la ricorrente denuncia – ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3 – la violazione e la falsa applicazione dell’articolo 342 c.p.c. (ante novella della L. n. 134 del 2012) in relazione alla mancata declaratoria di inamissibilita’ dell’appello per omessa e/o carente indicazione di motivi specifici. Ad avviso della ricorrente, infatti, il Condominio in appello si era limitato a reiterare semplicemente le censure e le doglianze eccepite in primo grado. Con la conseguenza che cosi’ operando il giudice del gravame avrebbe frustato il principio devolutivo dell’appello, lasciando al giudicante un’inammissibile potere discrezionale di individuare i capi della decisione oggetto di impugnazione. In altri termini, l’atto di appello avrebbe dovuto scontare un contenuto minimo tale da consentire l’effetto devolutivo, non operando automaticamente ai sensi dell’articolo 346 c.p.c.. La ricorrente conclude riportando interi passi degli atti difensivi del Condominio dai quali emergerebbe – a suo dire – la loro perfetta sovrapponibilita’ sia ove prodotti in primo grado sia nella fase di appello, mancando una qualsiasi critica alla decisione del giudice di prime cure.
Il motivo e’ privo di pregio.
Occorre preliminarmente osservare che nel presente giudizio non rileva la questione rimessa alle Sezioni Unite dalla Terza Sezione con l’ordinanza interlocutoria n. 8845 del 2017, giacche’ l’articolo 342 c.p.c. applicabile ratione temporis e’ nel testo anteriore alla riforma di cui al Decreto Legge 22 giugno, n. 23, articolo 54, comma 1, lettera a) conv. con modificazioni dalla L. 7 agosto 2012, n. 152.
Nel merito, giova premettere che, al fine di soddisfare il requisito di specificita’ richiesto dall’articolo 342 c.p.c., occorre che alle argomentazioni svolte nella sentenza impugnata risultino contrapposte quelle dell’appellante, volte ad incrinare il fondamento logico-giuridico delle prime. Se e’ vero infatti che l’esposizione delle ragioni di fatto e di diritto, invocate a sostegno dell’appello, possono sostanziarsi anche nella prospettazione delle medesime ragioni addotte nel giudizio di primo grado, e’ necessario pero’ che cio’ determini una critica adeguata e specifica della decisione impugnata e consenta al giudice del gravame di percepire con certezza il contenuto delle censure, in riferimento alle statuizioni adottate dal primo giudice, (cfr Cass. Sez. Un. n. 28057 del 2008; Cass. n. 7786 del 2010).
Nel caso di specie, il giudice di primo grado aveva ritenuto sussistere autonomia strutturale e funzionale dell’immobile di proprieta’ della (OMISSIS) rispetto all’edificio condominiale, in coerenza alle conclusioni rese dall’ausiliario del giudice, i cui rilievi erano stati contestati dal Condominio gia’ in corso di svolgimento dell’accertamento tecnico, sicche’ il motivo di appello – col quale e’ stata proposta la questione, lamentandosi la contraddittorieta’ della motivazione laddove statuiva che sebbene il fabbricato fosse costituito e sorretto da un’unica struttura portante, vi era autonomia dei locali posti al piano terra rispetto al complesso condominiale posto ai piani sovrastanti – risulta conforme al disposto dell’articolo 342 c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis (vale a dire quello precedente le modifiche apportate dal Decreto Legge n. 83 del 2012 convertito nella L. n. 134 del 2012), come interpretato alla stregua dei principi appena richiamati. E che l’individuabilita’ dei profili delle censure fosse evidente risulta gia’ dal fatto che l’appellata, la medesima (OMISSIS), aveva compreso che i motivi di appello riflettevano la questione della ritenuta autonomia strutturale, funzionale ed estetica – delle varie parti dell’edificio e la condivisibilita’ o meno delle conclusioni peritali, tant’e’ che l’appellata si era difesa compiutamente, nel merito, anche in grado di appello. La ritenuta specificita’ dei motivi di gravame, infatti, non e’ contraddetta dal fatto che il Condominio sia stato costretto a riproporre in sede di impugnazione argomentazioni giuridiche rimaste sostanzialmente senza risposta nel pregresso grado di giudizio, quali ad esempio il carattere di condominialita’ delle pareti esterne dell’edificio, c.d. pareti portanti, aventi pur sempre la funzione di delimitare la sagoma dello stabile, essendo peraltro inserite nella medesima struttura portante in cemento armato, ed indispensabili per assicurare l’utilizzo abitativo dei vari piani e la conservazione dell’intera costruzione rispetto all’azione degli agenti atmosferici.
Di cio’ vi e’ traccia nello stesso ricorso, in cui viene tratteggiata la critica rivolta, con l’atto di appello, dal Condominio alla sentenza di prime cure (v. pag. 27 ricorso), dal momento che quest’ultima aveva fatto proprie le conclusioni del c.t.u., facendo riferimento proprio alla c.t.u. esperita in primo grado; risultano, poi, confutate le ragioni della ritenuta autonomia ed indipendenza del piano terreno rispetto ai piani superiori dello stabile condominiale (v. pagg. 26 e 28 del ricorso).
E’ infatti indubitabile che l’ampiezza e la portata delle critiche sono commisurate all’ampiezza ed alla portata delle argomentazioni spese dal primo giudice. Pertanto, qualora queste siano talmente generiche da consistere sostanzialmente nella mera affermazione di rigetto delle ragioni della parte ovvero addirittura omesse, ogni censura ben puo’ procedere alla riproposizione delle medesime ragioni, evidenziando che il primo giudice le ha disattese senza alcun supporto motivazionale suscettibile di apposita critica (cfr., tra le altre, Cass. n. 7786 del 2010 nel senso che la valutazione circa il rispetto, da parte dell’appellante, dell’obbligo di indicare specificamente le critiche rivolte contro la sentenza di primo grado, ai sensi dell’articolo 342 c.p.c., va compiuta tenendo presente le argomentazioni addotte dal giudice di primo grado, poiche’ non e’ possibile una contestazione specifica di conclusioni non fondate su basi specifiche).
Con il secondo motivo la ricorrente lamenta la nullita’ della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 2909 c.c. e articolo 324 c.p.c. in ordine alla errata valutazione come fatti non piu’ contestabili di circostanze accertate con sentenze non ancora passate in giudicato. Ad avviso della ricorrente la corte territoriale avrebbe errato nel valutare le circostanze di fatto richiamate come definitivamente accertate, in quanto le stesse formavano oggetto di contenzioso non ancora concluso; la parte fa specifico riferimento al giudizio R.G. n. 615 del 2004 e alla pronuncia n. 1921 del 2010. Il mezzo non puo’ trovare ingresso in quanto le norme di cui si assume la violazione risultano male invocate. Il giudice di appello non ha utilizzato le risultanze cui era pervenuto il giudice relativamente al diverso giudizio instaurato fra le medesime parti con riferimento alla ripartizione dei costi di manutenzione straordinaria delle facciate ritenendo tali statuizioni passate in giudicato, ma ha chiarito di condividere le conclusioni, di cui ha sintetizzato i punti salienti (sostanzialmente costituiti dal riconoscimento della funzione comune delle pareti di prospetto dell’edificio condominiale), cui era pervenuto il giudice in quel giudizio (v. pag. 4 sentenza impugnata).
La ricorrente sostiene in buona sostanza che la corte territoriale nelle sue difese ha letto fatti diversi da quelli realmente dedotti, non tenendo conto di alcuni passaggi argomentativi per basare il suo convincimento; denunzia quindi il travisamento di quanto da lei riferito.
Tale travisamento, se davvero e’ stato commesso, costituisce motivo di revocazione, non di ricorso per cassazione (v., tra le tante, Cass. 13 gennaio 1990 n. 92; Cass. 22 febbraio 1999 n. 1477). E anche se si volesse prescindere dall’osservazione che precede, resterebbe comunque insuperabile il rilevo che la ricorrente ha certamente inteso censurare gli apprezzamenti di merito espressi dalla corte distrettuale con argomentazioni esaustive e prive di vizi logici e giuridici, dopo avere accertato la genericita’ delle difese della condomina inadempiente.
E’ da rigettare, infine, anche il terzo mezzo con il quale la ricorrente lamenta la nullita’ della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 1117 c.c., in merito alla individuazione del muro perimetrale come parte comune dell’edificio e comunque ritenuto in comproprieta’ con la (OMISSIS), oltre a violazione e a falsa applicazione dell’articolo 1123 c.c. in merito al riparto delle spese di ripristino dello stesso, cosi’ come dell’obbligo risarcitorio per i danni dallo stesso propagati in capo a tutti i condomini e comunque in capo alla (OMISSIS) in proporzione alle quote millesimali secondo la tabella di proprieta’ generale “A”. La ricorrente deduce l’erroneita’ della individuazione del muro perimetrale dello stabile condominiale come parte comune e ribadisce l’autonomia strutturale del piano terra rispetto a quelli sovrastanti, pur riconoscendo che le proprieta’ individuali sono inserite nella medesima struttura portante in cemento armato.
Innanzitutto la critica involge questioni di merito, richiedendo una nuova valutazione delle risultanze peritali.
Quanto alla denuncia di violazione degli articoli 1123 e 1117 c.c., occorre osservare che il sintagma “muro maestro” – che viene riproposto anche nel novellato articolo 1117 c.c. di cui alla L. n. 220 del 2012 – non va inteso in senso strettamente ingegneristico, come vorrebbe la ricorrente, in quanto negli edifici realizzati con intelaiature di pilastri ed architravi in cemento armato, privi pertanto di “mura portanti”, il muro maestro coincide con il muro perimetrale dell’edificio (che altrimenti risulterebbe uno scheletro vuoto, privo di qualsiasi utilita’), perche’ esso vale a conferire al manufatto i caratteri di una struttura abitativa.
La corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi in materia espressi dalla giurisprudenza di questa Corte che ha affermato: “I muri perimetrali dell’edificio in condominio – i quali, anche se non hanno natura e funzioni di muri maestri portanti, delimitano la superficie coperta, determinano la consistenza volumetrica dello edificio unitariamente considerato, proteggendolo dagli agenti termici e atmosferici, e ne delineano la sagoma architettonica – sono da considerare comuni a tutti i condomini anche nelle parti che si trovano in corrispondenza dei piani di proprieta’ singola ed esclusiva e quando sono collocati in posizione, avanzata o arretrata, non coincidente con il perimetro esterno dei muri perimetrali esistenti in corrispondenza degli altri piani, come normalmente si verifica per i piani attici” (Cass. n. 839 del 1978). “I muri perimetrali dell’edificio in condominio, pur non avendo funzione di muri portanti, vanno intesi come muri maestri al fine della presunzione di comunione di cui all’articolo 1117 c.c. in quanto determinano la consistenza volumetrica dell’edificio unitariamente considerato proteggendolo dagli agenti atmosferici e termici, delimitano la superficie coperta e delineano la sagoma architettonica dell’edificio stesso. Pertanto, nell’ambito dei muri comuni dell’edificio rientrano anche i muri collocati in posizione avanzata o arretrata rispetto alle principali linee verticali dello immobile” (Cass. n. 3867 del 1986).
In altri termini, il muro perimetrale e’ comune perche’ da’ sagoma all’edificio, ne assicura la fruibilita’ abitativa e la conservazione rispetto agli agenti atmosferici. Il muro perimetrale puo’ essere portante, ossia maestro, ma anche ove privo di detta funzione strutturale, non risulta esclusa la comproprieta’ per essere comunque condominiale (v. Cass. n. 4437 del 2017); Cass. n. 24295 del 2014; Cass. n. 16097 del 2003; Cass. n. 4314 del 2002; Cass. n. 10008 del 1991).
Costituisce logico corollario della ritenuta natura del muro perimetrale l’applicazione della Tabella A quanto al riparto delle spese occorrenti per ripristinarne la funzionalita’ e per la distribuzione dei costi per il risarcimento dei danni cagionati al singolo condomino dall’incuria nella conservazione del bene comune.
In conclusione, il ricorso va rigettato.
Ne consegue la condanna della ricorrente al pagamento delle spese sostenute dal controricorrente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
Poiche’ il ricorso e’ stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed e’ rigettato, sussistono le condizioni per dare atto – ai sensi della L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, (Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato – Legge di stabilita’ 2013), che ha aggiunto il comma 1-quater al testo unico di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13 – della sussistenza dell’obbligo di versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione.

P.Q.M.

La Corte, rigetta il ricorso;
condanna la ricorrente alla rifusione in favore del controricorrente delle spese di legittimita’ che liquida in complessivi Euro 2.700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misure del 15% e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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