Avviso all’assicuratore per il sinistro quale vero obbligo

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|8 ottobre 2024| n. 26294.

Avviso all’assicuratore per il sinistro quale vero obbligo

Massima: L’avviso all’assicuratore in caso di sinistro, previsto dall’art. 1913 c.c., si connota in termini di obbligo e non di mero onere, il cui inadempimento è da considerarsi doloso quando l’assicurato è consapevole dell’obbligo previsto dalla norma ed ha avuto la cosciente volontà di non osservarlo, perdendo in questo caso il diritto all’indennità, ai sensi dell’art. 1915, comma 1, c.c.

 

Ordinanza|8 ottobre 2024| n. 26294. Avviso all’assicuratore per il sinistro quale vero obbligo

Data udienza 22 maggio 2024

Integrale

Tag/parola chiave: Assicurazione – Assicurazione contro i danni – Avviso del sinistro dell’assicuratore obbligo di avviso ex art. 1913 c.c. – Nozione – Inadempimento – Carattere doloso – Conseguenze.

REPUBBLICA ITALIANA

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE STEFANO Franco – Presidente

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente
ORDINANZA

sul ricorso 16428-2021 proposto da:

OLEIFICIO IL.SO. Sas DI Ju.Ra. (già Oleificio di Pa.Pa. di Di.Ca. Sas), in persona del legale rappresentante “pro tempore”, elettivamente domiciliata in Roma, via Me., presso lo studio dell’Avvocato Fr.DI., rappresentata e difesa dall’Avvocato Ma.IN.;

ricorrente

contro

SI.SO. Spa, in persona del procuratore speciale Al.MO., elettivamente domiciliata in Roma, via Fl., presso lo studio dell’Avvocato Dr.MI.;

controricorrente

Avverso la sentenza n. 1173/2020 della Corte d’Appello di Genova, pubblicata in data 04/12/2020;

udita la relazione della causa svolta nell’adunanza camerale del 22/05/2024 dal Consigliere Dott. Stefano Giaime GUIZZI.

Avviso all’assicuratore per il sinistro quale vero obbligo

FATTI DI CAUSA

1. La società Oleificio “IL.SO.” Sas di Ju.Ra., già Oleificio di Pa.Pa. di Di.Ca. Sas (d’ora in poi, “l’Oleificio”), ricorre, sulla base di un unico motivo, per la cassazione della sentenza n. 1173/20, del 4 dicembre 2020, della Corte d’Appello di Genova, che – respingendone il gravame avverso la sentenza n. 1864/17, del 3 luglio 2017, del Tribunale della stessa città – ha confermato il rigetto della domanda di pagamento dell’indennizzo assicurativo dalla stessa proposta nei confronti della società SI.So. Spa d’ora in poi, SI., in relazione al furto avvenuto in C, nella notte tra il 15 e il 16 febbraio 2010, di 11,2 tonnellate di olio extravergine d’oliva aromatizzato al limone, suddivise in fusti da 25 chilogrammi ciascuno.

2. Riferisce, in punto di fatto, l’odierna ricorrente di aver adito l’autorità giudiziaria, a fronte del rifiuto di SI. di indennizzarla del furto subito, allorché il marito della rappresentante legale dell’Oleificio, nel trasportare il suddetto carico presso l’acquirente (la società Mi.Ca., con sede in B), dopo essersi fermato in un albergo di C per trascorrere la notte, constatava l’avvenuto furto dei fusti d’olio trasportati. Resisteva alla domanda SI., deducendo che l’Oleificio aveva trasmesso la denuncia del sinistro solo il 01 marzo 2010, così perdendo il diritto all’indennizzo, ai sensi dell’art. 1915, comma 1, cod. civ., prospettazione, questa, fatta propria dal giudice di prime cure.

Esperito gravame da parte attrice, il giudice d’appello lo respingeva.

3. Avverso la sentenza della Corte ligure ha proposto ricorso per cassazione l’Oleificio, sulla base – come detto – di unico motivo.

3.1. Esso denuncia – ex art. 360, comma 1, n. 3), cod. proc. civ. – violazione o falsa applicazione degli artt. 1913 e 1915 cod. civ.

Si censura la sentenza impugnata, là dove afferma che la comunicazione dell’avvenuto furto sarebbe dovuta avvenire entro il 19 febbraio 2010, rimarcando il carattere “consistente” del ritardo (dato il “trascorrere del quadruplo del tempo previsto dalla legge per la comunicazione della denuncia”), per poi concludere che “non essendoci prova che un qualche fattore abbia impedito una comunicazione tempestiva, il consistente ritardo fu volontario”.

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Orbene, il ricorrente – nel richiamare il principio secondo cui è l’assicuratore a dover fornire la prova del carattere volontario del ritardo dell’adempimento dell’obbligo di avviso – sottolinea che non era, dunque, suo onere “dimostrare le ragioni del ritardo”, giacché era l’Assicuratore che “avrebbe dovuto offrire la prova che il ritardo nella comunicazione dell’avviso di sinistro era stato volontario”.

La Corte territoriale, inoltre, ha evidenziato una serie di anomalie, che, a suo dire, rendevano “così ambigua” la situazione, da far apparire “evidente come il ritardo nella denuncia abbia pregiudicato la possibilità di una migliore ricostruzione dei fatti”.

In particolare, essa ha attribuito rilievo:

– al fatto che il conducente del camion, partito nel tardo pomeriggio da Lucera, si è fermato a dormire in albergo lungo la strada, lasciando incustodito il mezzo;

– il carico era diretto in Bacoli, ove però la Mi.Ca. non ha sede;

– l’oggetto sociale di Mi.Ca., molto ampio, non comprendeva il commercio di olio;

– dall’anno 2007 Mi.Ca. non aveva depositato bilanci:

– Gu.Mi. della Mi.Ca. non dava conferma dell’acquisto dell’olio;

– l’assegno di Euro 13.200,00, emesso il 10 febbraio 2010, a titolo di acconto del prezzo di acquisto, non era stato incassato dall’Oleificio;

– gli incaricati dell’assicuratrice non poterono visionare il camion.

Senonché, assume parte ricorrente, la Corte territoriale “avrebbe dovuto fare riferimento ad una condotta volontaria dell’assicurato finalizzata ad impedire la completa ricostruzione degli eventi da parte dell’assicuratore” e non già dedurre dalle surriferite circostanze un supposto pregiudizio conseguente a quel lieve ritardo, “senza tuttavia indicare in cosa esso fosse consistito”.

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4. Ha resistito all’avversaria impugnazione, con controricorso, SI., chiedendo che la stessa sia dichiarata inammissibile o, comunque, rigettata.

5. La trattazione del ricorso è stata fissata ai sensi dell’art. 380-bis cod. proc. civ.

6. La controricorrente ha presentato memoria.

7. Il Collegio si è riservato il deposito nei successivi sessanta giorni.

RAGIONI DELLA DECISIONE

8. Il ricorso va rigettato.

8.1. Il suo unico motivo, infatti, non è fondato.

8.1.1. Il suo scrutinio richiede, tuttavia, qualche precisazione preliminare, anche in relazione ai principi enunciati da questa Corte quanto al carattere doloso dell’inadempimento dell’obbligo di avviso previsto dall’art. 1913 cod. civ., che ha come conseguenza, ai sensi del comma 1 dell’art. 1915 cod. civ., la perdita del diritto all’indennizzo.

In questa prospettiva, è utile rammentare che – come è stato, di recente, ribadito in dottrina – “scopo dell’avviso è quello di consentire all’assicuratore di accertare prontamente le cause del sinistro, nonché di assumere tutti i provvedimenti di salvataggio, idonei a prevenire o attenuare le conseguenze riconducibili all’evento (art. 1914 cod. civ.)” (analogamente, in giurisprudenza Cass. Sez. 3, sent. 8 aprile 1997, n. 3044, Rv. 503587-01); sicché proprio in relazione a tale profilo funzionale si è sottolineato – del pari, in dottrina – che, in realtà, l’assicuratore “non ha interesse tanto per l’avviso del sinistro, quanto per la tempestività dell’avviso”, ragion per cui, più “che di obbligo di avviso, è da parlare, dunque, di obbligo di avviso tempestivo”.

L’essere l’avviso correlato ad un interesse dell’assicuratore, inoltre, connota lo stesso in termini di obbligo e non di onere (come pure, invece, si è sostenuto da parte di certo orientamento dottrinario, qui non condiviso); e ciò perché – come è stato efficacemente osservato – l’onere “postula l’inesistenza di un interesse giuridicamente protetto in un soggetto diverso da quello che l’onere deve osservare”. D’altra parte, non contrasta con la tesi dell’obbligo – come, nuovamente, evidenzia la dottrina maggioritaria – “il fatto che l’assicuratore non abbia azione per costringere l’assicurato all’adempimento, perché il contenuto di simili obblighi non soltanto consiste in un facere o in non facere, ma è tale che, una volta violati, cessa senz’altro l’interesse della controparte ad ottenerne l’osservanza”. Infine, conforta la conclusione che quello previsto dall’art. 1913 cod. civ. sia un obbligo – e non un mero onere – la constatazione per cui, “secondo l’opinione prevalente, l’inadempimento dell’onere rileva per la sua oggettività, a prescindere dall’elemento soggettivo dell’onerato, mentre, nel caso di violazione dell’art. 1913 cod. civ., la legge espressamente conferisce rilievo a tale aspetto, lasciando intendere che, in assenza di colpa, l’omissione è priva di conseguenze”.

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8.1.2. Ciò premesso, le conseguenze dell’inadempimento di tale obbligo variano, tuttavia, a seconda della natura dell’elemento soggettivo – comunque da provarsi, qualsiasi esso sia, da parte dell’assicuratore (Cass. Sez. 3, ord. 30 settembre 2019, n. 24210, Rv. 655436-01) – che sorregge la condotta dell’assicurato, giacché solo in caso di dolo si determina la perdita del diritto all’indennizzo.

In relazione, poi, ai caratteri che deve presentare il contegno dell’assicurato per potersi ritenere “doloso”, appare assolutamente prevalente (e preferibile, per le ragioni di cui si dirà) l’orientamento secondo cui “affinché l’assicurato possa ritenersi dolosamente inadempiente all’obbligo di dare avviso all’assicuratore, ai fini dell’art. 1915, comma 1, cod. civ., con l’effetto di perdere il diritto all’indennità, non è richiesto lo specifico e fraudolento intento di arrecare danno all’assicuratore, ma è sufficiente la consapevolezza dell’obbligo previsto dalla norma e la cosciente volontà di non osservarlo” (così da ultimo, in motivazione, Cass. Sez. 3, ord. 27 luglio 2021, n. 21533, non massimata; in senso conforme già Cass. Sez. 3, sent. 7 novembre 2019, n. 28625, Rv. 655787-01; Cass. Sez. 3, sent. 28 luglio 2014, n. 17088, Rv. 632145-01; Cass. Sez. 3, sent. 30 giugno 2015, n. 13355, Rv. 635980-01; Cass. Sez. 3, sent. 11 marzo 2005, n. 5435, Rv. 581355-01; Cass. n. 3044 del 1997, cit.; Cass. Sez. 3, sent. 3 ottobre 1977, n. 4203, Rv. 387841-01).

Appare, pertanto, isolato quell’arresto secondo cui il dolo si identificherebbe proprio con l’intento fraudolento (in tal senso, Cass. Sez. 3, ord. 24210 del 2019, cit.), pronuncia, peraltro, non andata esente da critiche per aver affermato che, mentre l’ipotesi dolosa impone la prova della fraudolenza, nel caso previsto dall’art. 1915, comma 2, cod. civ., l’assicuratore “dovrà invece dimostrare che l’assicurato volontariamente non ha adempiuto all’obbligo di dare l’avviso”, con ciò – si è osservato efficacemente in dottrina – “ignorando che la tipica manifestazione del comportamento colposo dell’assicurato è l’inosservanza riconducibile a negligenza e non la trasgressione intenzionale dell’obbligo”.

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D’altra parte, la tesi che reputa sufficiente, ai fini del dolo, “la consapevolezza dell’obbligo previsto dalla norma e la cosciente volontà di non osservarlo”, si lascia preferire sul piano sistematico – come coglie un’attenta dottrina – “raccordandosi con la soluzione generalmente accolta in materia contrattuale, ove, ai fini della configurabilità del dolo nell’inadempimento del debitore, si ritiene sufficiente la sua intenzione di non dare esecuzione alla prestazione, pur nella consapevolezza della relativa doverosità” (per questa nozione di inadempimento doloso si veda, in giurisprudenza, Cass. Sez. 3, sent. 16 ottobre 2008, n. 25271, Rv. 605474-01).

Si tratta, per vero, di opzione ermeneutica non priva di insidie, giacché – come si è osservato sempre in dottrina – “in termini di logica probatoria, l’intenzionalità della condotta è senza dubbio più agevolmente individuabile allorché emergano elementi tali da affermarla”; ciò che permette, oltretutto, di “scongiurare il pericolo che la perdita dell’indennità diventi una sorta di sanzione automatica, pur quando l’inadempimento sia riconducibile a mera incuria e trascuratezza dell’assicurato”, dando vita ad “una sorta di presunzione del carattere doloso dell’inadempimento”, peraltro in contraddizione con l’impostazione di questa Corte di legittimità”, secondo cui, “in assenza di prova del dolo” l’inadempimento degli obblighi di avviso e salvataggio “deve presumersi colposo” (cfr., Cass. Sez. Un., sent. 13 giugno 1980, n. 3749, Rv. 407600-01 e Cass. Sez. 3, sent. 3 marzo 1989, n. 1196, Rv. 462085-01).

Di talché, la dottrina – in ragione delle gravi conseguenze che comporta il riconoscimento del carattere doloso dell’inadempimento dell’obbligo di avviso – si mostra particolarmente prudente, sostenendo che l’individuazione della condotta dolosa “dovrebbe essere circoscritta a casi limite, sulla scorta della dimostrazione di elementi gravi, precisi e concordanti, evitando di valorizzare dati di fatto – quale può essere l’ampio lasso di tempo, intercorso tra la data del sinistro e il relativo avviso, isolatamente considerato – di per sé ben poco probanti e potenzialmente forieri di motivazioni apodittiche”.

8.1.3. Nondimeno, è proprio il riferimento alla necessità che sussistano una serie di elementi indiziari, per affermare il carattere “doloso” dell’inadempimento dell’obbligo di (tempestivo) avviso, a costituire, secondo questo Collegio – anche con riguardo al caso che qui occupa – la “chiave di volta” in grado di “tenere insieme” l’identificazione del dolo ex art. 1915, comma 1, cod. civ., nella mera consapevolezza dell’obbligo di avviso e nella cosciente volontà di trasgredirlo, con la necessità di scongiurare il descritto rischio di sancire un’indebita presunzione circa la natura dolosa dell’inadempimento.

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In altri termini, come è stato osservato acutamente in dottrina, la prova del dolo può ritenersi agevolata qualora dalle caratteristiche della fattispecie concreta “si evinca che dall’omissione l’assicurato abbia tratto vantaggio” (o addirittura che “avrebbe potuto trarre vantaggio”), “qualora non fosse stata eccepita”.

8.1.4. Orbene, calando questi principi al caso che occupa, sono proprio quelle anomalie, che ad avviso della Corte genovese rendevano “così ambigua” la situazione, a far apparire “evidente come il ritardo nella denuncia abbia pregiudicato la possibilità di una migliore ricostruzione dei fatti” ed a porsi come rivelatrici di quella situazione di vantaggio che l’assicurato avrebbe potuto trarre dall’omissione.

In buona sostanza, la sussistenza del presupposto della norma applicata, vale a dire il carattere doloso dell’inadempimento dell’obbligo di tempestivo avviso, è adeguatamente ritratta dalla corte territoriale all’esito dello scrutinio di numerosi elementi di fatto, la cui complessiva valutazione, siccome tutt’altro che manifestamente implausibile, è in questa sede incensurabile; e la motivazione della gravata sentenza, se del caso da intendersi in tal senso corretta ed integrata ai sensi dell’ultimo comma dell’art. 384 cod. proc. civ., si sottrae alle censure mosse con l’unico motivo di ricorso.

8.1.5. D’altra parte, e concludendo, che la dimostrazione del dolo civilistico possa “essere data anche attraverso il riferimento a quegli elementi fattuali che, in relazione alle circostanze e secondo la comune esperienza, possono far desumere la sussistenza degli elementi costitutivi del dolo”, è conclusione che – oltre ad essere fatta propria persino da quegli interpreti, inclini a ritenere necessario, nel caso di cui all’art. 1915, comma 2, cod. civ., il “quid pluris” dell’intento fraudolento del soggetto inadempiente – è congruente con gli approdi della stessa giurisprudenza penalistica, in materia di reato doloso.

Essa, difatti, superando la stessa dizione dell’art. 43 cod. pen. (che parrebbe identificare l’oggetto del dolo nel solo evento di reato, ciò che porrebbe, però, l’inconveniente di non poter configurare come dolosi i reati di pura condotta), reputa che il dolo debba investire tutti gli elementi della fattispecie, affidandone, tuttavia, la ricostruzione “alle peculiarità estrinseche dell’azione criminosa, aventi valore sintomatico in base alle comuni regole di esperienza” (tra le molte, Cass. Sez. 1 Pen., sent. dep. 11 marzo 2019, n. 11928, Rv. 275012-01).

9. Le spese del presente giudizio di legittimità vanno interamente compensate tra le parti.

L’esistenza – come si è detto – di orientamenti non del tutto univoci, nella giurisprudenza di questa Corte, circa il carattere “doloso” dell’inadempimento dell’obbligo ex art. 1913 cod. civ. costituisce, infatti, “giusto motivo”, a norma dell’art. 92, comma 2, cod. proc. civ.

10. A carico della ricorrente, stante il rigetto del ricorso, sussiste l’obbligo di versare, al competente ufficio di merito, un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, se dovuto secondo un accertamento spettante all’amministrazione giudiziaria (Cass. Sez. Un., sent. 20 febbraio 2020, n. 4315, Rv. 657198-01), ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115.

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P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso, compensando integralmente tra le part le spese del presente giudizio di legittimità.

Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, nel testo introdotto dall’art. 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, n. 228, la Corte dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, al competente ufficio di merito, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.

Così deciso in Roma, all’esito dell’adunanza camerale della Sezione Terza Civile della Corte di Cassazione, svoltasi il 22 maggio 2024.

Depositato in Cancelleria l’8 ottobre 2024.

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