L’atto di citazione notificato ad una società già incorporata in un’altra

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 29 maggio 2020, n. 10301.

La massima estrapolata:

L’atto di citazione notificato ad una società già incorporata in un’altra è nullo per inesistenza della parte convenuta, ma tale nullità, rilevabile d’ufficio, resta tuttavia sanata per effetto della costituzione in giudizio della società incorporante, indipendentemente dalla volontà e dall’atteggiamento processuale di questa, atteso che la “vocatio in ius” di un soggetto non più esistente, ma nei cui rapporti sia succeduto un altro soggetto, consente comunque di individuare il rapporto sostanziale dedotto in giudizio, realizzando un vizio meno grave rispetto a quello da cui è affetta la “vocatio” mancante dell’indicazione della parte processuale convenuta, che pure è sanabile mediante la costituzione in giudizio di chi, malgrado il vizio, si sia riconosciuto come convenuto.

Ordinanza 29 maggio 2020, n. 10301

Data udienza 28 febbraio 2020

Tag – parola chiave: Banca – Intermediazione finanziaria – Obblighi informativi ex art. 21 comma 1 lettera b) dlgs n. 58/98 – Fusione per incorporazione – Effetti – Notificazione di citazione a società incorporata – Nullità – Sanatoria – Pronuncia del giudice sull’incompetenza e sul merito – Inidoneità della pronuncia sul merito a passare in giudicato

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente

Dott. SCOTTI Umberto Luigi Cesare Giusepp – rel. Consigliere

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 14448/2015 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende in forza di procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio degli avvocati (OMISSIS) e (OMISSIS) che la rappresentano e difendono in forza di procura speciale in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 2446/2015 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 09/04/2014;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 28/02/2020 dal Consigliere Dott. UMBERTO LUIGI CESARE GIUSEPPE SCOTTI.

FATTI DI CAUSA

1. Con atto di citazione notificato il 15/11/2004 (OMISSIS) convenne in giudizio dinanzi al Tribunale di Roma l’intermediario finanziario (OMISSIS) s.p.a. e il promotore finanziario (OMISSIS) e ne chiese la condanna al risarcimento dei danni subiti in conseguenza dell’investimento, effettuato tramite la Banca, su consiglio del (OMISSIS), in titoli della Repubblica argentina di cui si era verificato il default.
Mentre il (OMISSIS) era rimasto contumace, si costitui’ in giudizio (OMISSIS) s.p.a., conferitaria del ramo di azienda di (OMISSIS) s.p.a., societa’ incorporante (OMISSIS) s.p.a., deducendo, in via preliminare, l’invalidita’ della notifica, indirizzata a un soggetto gia’ estinto, e contestando la domanda dell’attore.
Il Tribunale di Roma, ritenuto sanato il vizio per l’avvenuta costituzione in giudizio della societa’ conferitaria del ramo di azienda della societa’ incorporante, con sentenza del 5/4/2007 ha respinto la domanda rivolta al (OMISSIS) e ha condannato (OMISSIS) a pagare all’attore la somma di Euro 91.205,30, oltre accessori e spese.
Secondo il Tribunale, la Banca convenuta era incorsa nell’inadempimento degli obblighi informativi a suo carico e il danno doveva essere commisurato all’entita’ dell’investimento effettuato, al netto del valore residuo dei titoli e dell’importo corrispondente alle cedole incassate.
2. Avverso la predetta sentenza di primo grado ha proposto appello (OMISSIS), poi fusa per incorporazione in (OMISSIS) s.p.a., a cui ha resistito l’appellato (OMISSIS), proponendo appello incidentale, mentre (OMISSIS) e’ rimasto contumace.
La Corte di appello di Roma, con sentenza del 9/4/2014, in parziale riforma della sentenza di primo grado, ha accolto il gravame principale della Banca, rigettando la domanda proposta dal (OMISSIS) contro di essa e condannando l’attore appellato alla restituzione della somma percepita in forza della sentenza di primo grado, nonche’ alla rifusione delle spese del doppio grado di giudizio.
La Corte di appello, in consapevole dissenso rispetto ad un orientamento della giurisprudenza di legittinnita’, ha ritenuto che il rapporto processuale non fosse stato ritualmente instaurato per effetto della notifica, ritenuta inesistente, perche’ indirizzata alla societa’ incorporata prima della riforma del diritto societario, e pertanto ad un soggetto estinto.
La Corte territoriale ha ritenuto altresi’ che il Tribunale fosse incorso nel vizio di ultrapetizione per aver pronunciato nei confronti di (OMISSIS).
Successivamente, affrontando anche il merito della causa, la Corte di appello ha escluso che vi fosse una discrasia fra il profilo di rischio dell’investitore (OMISSIS) e quello dei titoli acquistati; ha quindi negato l’inadempimento della Banca agli obblighi informativi, comunque dedotto in modo troppo generico dall’attore, e ha sottolineato, fra l’altro, la notorieta’ del rischio di investimento nei titoli argentini; ha ritenuto non raggiunta la prova del nesso di causalita’ fra il preteso mancato assolvimento dell’obbligo informativo e il danno; ha rigettato, infine, l’appello incidentale dell’attore, volto a far valere la nullita’ del contratto di intermediazione finanziaria e la responsabilita’ del promotore (OMISSIS).
3. Avverso la predetta sentenza, non notificata, con atto notificato il 25/5/2015 ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), svolgendo sette motivi.
3.1. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 163 c.p.c. e articolo 164 c.p.c., comma 3, con riferimento alla ritenuta invalida costituzione del rapporto processuale.
3.2. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 112 c.p.c., con riferimento al ravvisato vizio di ultrapetizione.
3.3. Con il terzo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia nullita’ della sentenza per contraddittorieta’ evidente e illogicita’ manifesta in relazione all’articolo 132 c.p.c., n. 4.
La Corte di appello, dopo aver ritenuto la nullita’ della sentenza impugnata per la invalidita’ della costituzione del contraddittorio, avrebbe dovuto esimersi dall’esame dei motivi di diritto posti a base dell’appello nel merito. Le considerazioni svolte sul merito da parte della Corte territoriale erano assolutamente contraddittorie; non si comprendeva a quale genericita’ delle contestazioni inerenti la violazione degli obblighi informativi faccia riferimento la sentenza, visto che essa pur sempre dava atto che il (OMISSIS) lamentava di non essere stato informato in ordine alla forte rischiosita’ dell’investimento, inadeguato al suo profilo di rischio.
Il ricorrente aveva lamentato con chiarezza la classificazione ad alto rischio dei titoli argentini e l’aggravamento di tale situazione nel 2001 secondo l’Agenzia (OMISSIS), che aveva ravvisato un alto rischio di insolvenza.
3.4. Con il quarto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21 e articolo 23, comma 6, articoli 26, 28, 29 e 31 Reg. Consob n. 11522/1998, agli articoli 1175 e 1375 c.c., con riferimento alle obbligazioni della Banca di informare il cliente e di segnalare l’inadeguatezza dell’operazione, ritenute adempiute.
3.5. Con il quinto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23, comma 6, con riferimento alla ritenuta pubblica notorieta’,non circoscritta all’ambito degli operatori finanziari, della circostanza che alla data dell’investimento (24/4/2001) il rating dei bonds dell’Argentina prevedeva affidabilita’ insufficiente con probabilita’ di insolvenza 1/2 e affidabilita’ bassa, estesa al cliente, peraltro non qualificabile come “operatore qualificato” ai sensi dell’articolo 31 Reg. n. 11522/1998.
3.6. Con il sesto motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 4, il ricorrente denuncia nullita’ della sentenza per omessa motivazione, violazione dell’articolo 132 c.p.c. e dell’articolo 111 Cost., comma 6, con riferimento alla pretesa mancata dimostrazione del danno, peraltro liquidato dal Tribunale con liquidazione equitativa.
3.7. Con il settimo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione al Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 21 e articoli 28, 29 e 32 Reg. Consob 11522/1998, con riferimento alla prova del nesso causale, in re ipsa perche’ secondo legge la Banca poteva dare il via all’operazione solo in presenza del consenso scritto del cliente.
3.8. Con atto notificato il 2/7/2015 ha proposto controricorso (OMISSIS), chiedendo la dichiarazione di inammissibilita’ o il rigetto dell’avversaria impugnazione.
3.9. La controricorrente ha depositato memoria difensiva.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. L’esame del ricorso richiede una precisazione preliminare in ordine alla peculiarita’ della sentenza impugnata della Corte di appello romana, per vero evidenziata dalle parti contrapposte sia pur senza trarne conseguenze particolari.
1.1. La Corte di appello ha accolto il primo motivo di impugnazione, attinente a questione preliminare processuale, proposto dall’appellante (OMISSIS) avverso la sentenza di primo grado che aveva accolto nel merito la domanda dell’attore e ha ritenuto l’invalidita’ ed anzi l’inesistenza dell’atto di citazione, con il conseguente difetto di costituzione del rapporto processuale.
Cionondimeno la Corte di appello ha esaminato ed accolto anche il secondo motivo di impugnazione, attinente ad ulteriore questione processuale preliminare e ha ritenuto che il Tribunale avesse violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, incorrendo nel vizio di ultrapetizione per aver condannato (OMISSIS) mentre la domanda attorea era indirizzata verso i convenuti e quindi verso (OMISSIS).
Infine la Corte di appello, dopo aver escluso l’instaurazione di un valido rapporto processuale e l’esistenza di una domanda dell’attore verso la Banca incorporante ha ritenuto di esaminare ed accogliere anche tre ulteriori motivi (terzo, quarto e quinto), tutti attinenti al merito della controversia, escludendo l’adempimento da parte della Banca intermediaria ai suoi obblighi informativi.
1.3. Il ricorrente, a pagina 43, nell’incipit del terzo motivo, esordisce rilevando che la Corte di appello avrebbe “potuto”, anzi “dovuto”, dopo aver ritenuto fondato il primo motivo di impugnazione, dichiarare la nullita’ della sentenza impugnata per mancata instaurazione di un valido contraddittorio ed esimersi dall’esame dei motivi di merito. Tuttavia il ricorrente non ritrae da tale premessa alcuna conseguenza ed affronta criticamente anche le considerazioni di merito esposte dalla Corte di appello.
La controricorrente (a pag. 16 del controricorso) stigmatizza come incomprensibile l’avversario rilievo e trova anzi lodevole l’operato della Corte territoriale, osservando che essa avrebbe potuto – e non dovuto – arrestarsi all’esame dei due primi motivi di impugnazione e invece aveva voluto dimostrare l’assoluta infondatezza dell’azione intentata e la totale incomprensione dei fatti di causa da parte del Tribunale di primo grado.
1.4. La giurisprudenza di questa Corte si e’ sovente confrontata con pronunce strutturate secondo la stessa architettura della sentenza in esame, caratterizzata dall’accoglimento di eccezioni preliminari o pregiudiziali iitis impedientes, seguito dall’esame anche delle questioni attinenti al merito della controversia.
Nella specie la Corte di appello di Roma ha escluso la valida costituzione di un rapporto processuale e la proposizione di una valida domanda, ma non si e’ astenuta dall’esame delle questioni riguardanti al merito della controversia, che secondo i principi logici e giuridici sarebbero rimaste assorbite.
La figura dell’assorbimento in senso proprio ricorre quando la decisione sulla domanda assorbita diviene superflua, per sopravvenuto difetto di interesse della parte, la quale con la pronuncia sulla domanda assorbente ha conseguito la tutela richiesta nel modo piu’ pieno, mentre e’ in senso improprio quando la decisione assorbente esclude la necessita’ o la possibilita’ di provvedere sulle altre questioni, ovvero comporta un implicito rigetto di altre domande (Sez.1, 12/11/2018, n. 28995).
1.5. Secondo le Sezioni Unite di questa Corte, qualora il giudice, dopo una statuizione di inammissibilita’ (o declinatoria di giurisdizione o di competenza), con la quale si e’ spogliato della potestas iudicandi in relazione al merito della controversia, abbia impropriamente inserito nella sentenza argomentazioni sul merito, la parte soccombente non ha l’onere ne’ l’interesse ad impugnare; conseguentemente e’ ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed e’ viceversa inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Sez. U, n. 3840 del 20/02/2007, Rv. 595555-01).
Inoltre le affermazioni contenute nella motivazione della sentenza di appello impugnata con ricorso per cassazione, relative al merito della domanda azionata, devono ritenersi – qualora effettuate nella riconosciuta carenza di potere giurisdizionale estranee all’unica ratio decidendi della sentenza, e, percio’, svolte ad abundantiam, con argomentazioni meramente ipotetiche e virtuali, che la parte soccombente non ha l’onere ne’ l’interesse ad impugnare in sede di legittimita’, con la conseguenza che gli eventuali motivi proposti al riguardo devono essere dichiarati inammissibili (Sez. U, n. 8087 del 02/04/2007, Rv. 595928-01).
1.6. Diverso e’ il caso in cui la sentenza del giudice di merito, la quale, dopo aver aderito ad una prima ragione di decisione, esamini ed accolga anche una seconda ragione, al fine di sostenere la decisione anche nel caso in cui la prima possa risultare erronea; tale pronuncia non incorre nel vizio di contraddittorieta’ della motivazione, che sussiste nel diverso caso di contrasto di argomenti confluenti nella stessa ratio decidendi, ne’ contiene, quanto alla causa petendi alternativa o subordinata, un mero obiter dictum insuscettibile di trasformarsi nel giudicato. Detta sentenza, invece, configura una pronuncia basata su due distinte rationes decidendi, ciascuna di per se’ sufficiente a sorreggere la soluzione adottata, con il conseguente onere del ricorrente di impugnarle entrambe, a pena di inammissibilita’ del ricorso (Sez. 3, n. 10815 del 18/04/2019, Rv. 653585-01; conforme Sez. 3, n. 21490 del 07/11/2005, Rv. 586047-01).
1.7. L’orientamento delineato dai citati arresti del 2007 delle Sezioni Unite e’ stato condiviso da numerose pronunce successive delle sezioni semplici, che hanno affermato che la sentenza con cui il giudice di primo grado, dopo avere riconosciuto, nella motivazione, di essere privo del potere di pronunciarsi abbia poi erroneamente, anziche’ spogliarsi della causa, deciso il merito della stessa, respingendo in dispositivo la domanda, e’, nondimeno, impugnabile esclusivamente in relazione alla statuizione preliminare posto che – essendo la motivazione sul fondo della controversia resa ad abundantiam da un giudice che ha esaurito la propria potestas iudicandi con l’emissione di una pronuncia in rito completamente definitiva della causa dinanzi a se’ anche la statuizione di rigetto, contenuta nel dispositivo, e’ meramente apparente e, come tale, non solo insuscettibile di passare in cosa giudicata, ma anche in concreto inidonea a incidere sulla individuazione del rimedio impugnatorio esperibile (Sez. 2, n. 19754 del 27/09/2011, Rv. 619326-01).
In altri termini, qualora il giudice, oltre a dichiarare l’inammissibilita’ della domanda o del gravame, con cio’ spogliandosi della potestas iudicandi sul merito della controversia, la abbia anche rigettata, la parte soccombente non ha l’onere ne’ l’interesse ad impugnare; di conseguenza e’ ammissibile l’impugnazione che si rivolga alla sola statuizione pregiudiziale ed e’, viceversa, inammissibile, per difetto di interesse, l’impugnazione nella parte in cui pretenda un sindacato anche in ordine alla motivazione sul merito, svolta ad abundantiam nella sentenza gravata (Sez. 2, n. 19754 del 27/09/2011, Rv. 619326-01; Sez. 1, n. 3927 del 12/03/2012, Rv. 621978-01; Sez. 2, n. 2736 del 05/02/2013, Rv. 625070-01; Sez. 5, n. 27049 del 19/12/2014, Rv. 633881-01, Sez. L, n. 22380 del 22/10/2014, Rv. 633495-01, Sez. 5, n. 7838 del 17/04/2015, Rv. 635230-01; Sez. 2, n. 101 del 04/01/2017, Rv. 642185-01; Sez. 6-5, n. 30393 del 19/12/2017, Rv. 646988-01).
Il principio e’ stato ulteriormente confermato anche dalle Sezioni unite sia con la sentenza n. 24469 del 30/10/2013, Rv. 627991-01, sia con l’ordinanza n. 31024 del 27/11/2019, Rv. 656074-01), ribadendo che se il giudice si spoglia della potestas iudicandi con una pronuncia in rito completamente definitoria della causa dinanzi a se’, l’ulteriore statuizione resa anche sul merito della medesima controversia si appalesa meramente apparente e, come tale, e’ insuscettibile di passare in cosa giudicata.
2. Con il primo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 163 c.p.c. e articolo 164 c.p.c., comma 3.
2.1. La Corte di appello non aveva considerato che la notifica a (OMISSIS) era stata effettuata ed accettata presso la sede della Banca appellante, che successivamente si era costituita in giudizio, rivendicando la titolarita’ del rapporto oggetto di causa.
La Corte aveva fatto uso non corretto della categoria dell’inesistenza della notifica, non prevista dalla legge processuale comunque semmai configurabile solo quando l’atto processuale sia affetto da un vizio talmente grave da renderlo insanabile in modo assoluto, in quanto privo dei suoi elementi essenziali indispensabili.
Nella specie la notificazione a (OMISSIS) aveva avuto luogo presso i suoi uffici, gli stessi nei quali poi aveva avuto sede (OMISSIS), titolare del rapporto dedotto in giudizio.
Il ricorrente aggiunge che la citazione di un soggetto estinto a seguito di fusione per incorporazione determina una nullita’ rilevabile d’ufficio, sanabile per effetto della costituzione della societa’ titolare del rapporto dedotto, perche’, nonostante l’erronea indicazione, la vocatio in ius e la editio actionis possono comunque consentire di individuare il rapporto sostanziale dedotto in giudizio e consentire al soggetto cui fa capo la situazione sostanziale di riconoscersi come il soggetto irritualmente convenuto.
2.2. Il ricorrente argomenta circa la non configurabilita’ della categoria dell’inesistenza della notificazione, sia in generale, sia nel caso concreto.
E’ pur vero che nella giurisprudenza di legittimita’ la categoria dell’inesistenza della notificazione in base ai principi di strumentalita’ delle forme degli atti processuali e del giusto processo, e’ stata circoscritta, oltre al caso di totale mancanza materiale dell’atto, alle sole ipotesi in cui venga posta in essere un’attivita’ priva degli elementi costitutivi essenziali idonei a rendere riconoscibile un atto qualificabile come notificazione, ricadendo ogni altra ipotesi di difformita’ dal modello legale nella categoria della nullita’. Tali elementi consistono: a) nell’attivita’ di trasmissione, svolta da un soggetto qualificato, dotato, in base alla legge, della possibilita’ giuridica di compiere detta attivita’, in modo da poter ritenere esistente e individuabile il potere esercitato; b) nella fase di consegna, intesa in senso lato come raggiungimento di uno qualsiasi degli esiti positivi della notificazione previsti dall’ordinamento (in virtu’ dei quali, cioe’, la stessa debba comunque considerarsi, ex lege, eseguita), restando, pertanto, esclusi soltanto i casi in cui l’atto venga restituito puramente e semplicemente al mittente, cosi’ da dover reputare la notificazione meramente tentata ma non compiuta, cioe’, in definitiva, omessa (Sez. U, n. 14916 del 20/07/2016, Rv. 640603-01, recentemente ripresa da Sez. U, n. 299 del 10/01/2020, Rv. 656575-01).
Le considerazioni del ricorrente non appaiono tuttavia pertinenti al contenuto effettivo della decisione, poiche’, a ben vedere, la Corte di appello ha attribuito il vizio non gia’ alla notificazione dell’atto introduttivo di primo grado, ma alla stessa citazione perche’ rivolta a un soggetto giuridico inesistente, (OMISSIS) s.p.a. in quanto incorporata da (OMISSIS) s.p.a..
2.3. La Corte di appello ha preliminarmente richiamato l’attuale impostazione dei termini della questione, secondo cui ai sensi del nuovo articolo 2504-bis c.c., conseguente alla riforma del diritto societario (Decreto Legislativo 17 gennaio 2003, n. 6), la fusione tra societa’ non determina, nelle ipotesi di fusione per incorporazione, l’estinzione della societa’ incorporata, ne’ crea un nuovo soggetto di diritto nell’ipotesi di fusione paritaria, ma attua l’unificazione mediante l’integrazione reciproca delle societa’ partecipanti alla fusione, risolvendosi in una vicenda meramente evolutivo-modificativa dello stesso soggetto giuridico, che conserva la propria identita’, pur in un nuovo assetto organizzativo con l’esclusione che la fusione per incorporazione determini l’interruzione del processo ai sensi dell’articolo 300 c.p.c. (Sez. U, n. 2637 del 08/02/2006, Rv. 586134-01).
Tuttavia, poiche’ nella fattispecie la fusione per incorporazione in questione era avvenuta in epoca anteriore alla riforma del diritto societario, occorreva rifarsi all’impostazione precedente, che scorgeva nella fusione la realizzazione di una situazione corrispondente alla successione universale (Sez. U., n. 27183 del 28/12/2007, Rv. 601193-01).
Cio’ premesso, la Corte romana ha sostenuto che il vizio ravvisato riguardava l’atto di citazione, e precisamente non si limitava alla sola vocatio in ius ma affliggeva anche l’individuazione stessa del convenuto e non fosse pertanto sanabile per effetto della costituzione in giudizio della societa’ incorporante, al pari di una citazione di un soggetto “defunto”.
2.4. Il ragionamento non e’ condivisibile.
E’ pur vero che il vizio colpisce l’atto introduttivo non solo nella vocatio in ius, poiche’ l’invito a comparire ex articolo 163, comma 3, n. 7, viene rivolto al soggetto errato, ma nella stessa editio actionis.
L’articolo 163, comma 3, n. 2, individua nel contenuto della citazione anche il nome, il cognome, la residenza e il codice fiscale dell’attore, il nome, il cognome, il codice fiscale, la residenza o il domicilio o la dimora del convenuto e delle persone che rispettivamente li rappresentano o li assistono. Se attore o convenuto e’ una persona giuridica un’associazione non riconosciuta o un comitato, la citazione deve contenere la denominazione o la ditta, con l’indicazione dell’organo o ufficio che ne ha la rappresentanza in giudizio.
L’articolo 164 codice di rito, sancisce la nullita’ della citazione se e’ omesso o risulta assolutamente incerto alcuno dei requisiti stabiliti dell’articolo 163, nn. 1 e 2, se manca l’indicazione della data dell’udienza di comparizione, se e’ stato assegnato un termine a comparire inferiore a quello stabilito dalla legge ovvero se manca l’avvertimento previsto dell’articolo 163, n. 7.
Tuttavia, se il convenuto non si costituisce in giudizio, il giudice, rilevata la nullita’ della citazione ai sensi del comma 1, deve disporne d’ufficio la rinnovazione entro un termine perentorio, con effetto sanante ex tunc, sicche’ gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono sin dal momento della prima notificazione. Se la rinnovazione non viene eseguita, il giudice ordina la cancellazione della causa dal ruolo e il processo si estingue a norma dell’articolo 307 c.p.c., comma 3.
La costituzione del convenuto sana i vizi della citazione e restano salvi gli effetti sostanziali e processuali, salvo che il convenuto deduca l’inosservanza dei termini a comparire o la mancanza dell’avvertimento previsto dell’articolo 163, n. 7, che comporta la fissazione di una nuova udienza nel rispetto dei termini.
E’ cosi’ evidente che il vizio di identificazione del convenuto, in concreto ravvisato, non determina affatto l’inesistenza giuridica della citazione e tantomeno una nullita’ non sanabile: la nullita’ prevista anche per il caso di omissione o assoluta incertezza della figura del soggetto convenuto, e quindi in un caso ben piu’ grave di quello in discussione della citazione della societa’ dante causa, e’ sanata, retroattivamente, dalla costituzione in giudizio del reale convenuto, giusta parte del processo, ovvero dalla prescritta rinnovazione.
1.5. Questa Corte, con orientamento da cui si e’ discostata la Corte capitolina, ha al proposito osservato che la citazione in giudizio notificata ad una societa’ gia’ incorporata in un’altra e’ nulla per inesistenza della parte convenuta, ma tale nullita’, rilevabile d’ufficio, resta tuttavia sanata per effetto della costituzione in giudizio della societa’ incorporante, indipendentemente dalla volonta’ e dall’atteggiamento processuale di questa, atteso che la vocatio in ius di un soggetto non piu’ esistente, ma nei cui rapporti sia succeduto un altro soggetto, consente comunque di individuare il rapporto sostanziale dedotto in giudizio, realizzando un vizio meno grave rispetto a quello da cui e’ affetta la vocatio mancante dell’indicazione della parte processuale convenuta, che e’ sanabile mediante la costituzione in giudizio di chi, malgrado il vizio, si sia riconosciuto come convenuto (Sez. 3, 18/03/2014, n. 6202; Sez. 1, 28/05/2008, n. 14066).
1.6. Le argomentazioni della sentenza impugnata disapplicano la norma fondamentale dell’articolo 164 c.p.c., ispirata in modo trasparente a una evidente esigenza di economia processuale, contrastano con la giurisprudenza di questa Corte e si basano su di una impropria assimilazione di fattispecie eterogenee.
1.7. Tali conclusioni non possono mutare per il fatto che a costituirsi in giudizio non sia stata la societa’ incorporante di (OMISSIS) s.p.a., ossia (OMISSIS) s.p.a., ma (OMISSIS) s.p.a., ossia la societa’ a cui l’incorporante aveva conferito il ramo aziendale afferente il rapporto controverso in giudizio e pertanto “giusta parte” del rapporto processuale, come del resto riconosce espressamente la stessa sentenza impugnata a pagina 4, ultimo capoverso.
La decisione impugnata non si fonda infatti sulla circostanza che a intervenire sia stata l’acquirente del ramo di azienda, poiche’ ritiene che il vizio non fosse sanabile per effetto della costituzione della societa’ incorporante.
1.8. Non rileva poi che (OMISSIS) s.p.a., conferitaria del ramo aziendale di (OMISSIS), societa’ incorporante di (OMISSIS), si sia costituita eccependo l’invalidita’ della notificazione (rectius della citazione), svolgendo peraltro anche le difese nel merito, stante la rilevanza in termini oggettivi della sanatoria prevista dalla legge.
3. Con il secondo motivo di ricorso, proposto ex articolo 360 c.p.c., n. 3, il ricorrente denuncia violazione o falsa applicazione di legge in relazione all’articolo 112 c.p.c..
3.1. Il ricorrente, nel censurare la statuizione contenuta nella sentenza impugnata circa il vizio di ultrapetizione attribuito alla sentenza di primo grado, sottolinea che (OMISSIS) era il legittimo successore della Banca inizialmente convenuta, che ricevuta la notifica aveva accettato il contraddittorio in quella veste.
Pertanto il fatto che l’attore si fosse riferito nei suoi atti al soggetto successore della parte originariamente convenuta e subentrato nel suo ruolo processuale con il termine “convenuta” e non “intervenuta”, non aveva alcuna rilevanza ne’ sostanziale, ne’ processuale.
3.2. La Corte di appello, per vero pleonasticamente alla luce del precedente accertamento di inesistente costituzione del rapporto processuale, ma pur sempre in linea preliminare processuale, ha ritenuto di esaminare – e accogliere – anche il secondo motivo, che denunciava vizio di mancata corrispondenza tra chiesto e pronunciato.
Dopo la costituzione di (OMISSIS), quale soggetto successore della convenuta originaria (OMISSIS), l’attore nelle sue conclusioni di primo grado (reiterate anche in appello) aveva insistito nel chiedere la condanna dei “convenuti”, termine che non poteva essere riferito a (OMISSIS) (successore a titolo particolare) per conferimento di ramo di azienda, visto che il successore a titolo universale era, semmai, (OMISSIS).
3.3. La decisione e’ improntata a un formalismo nominalistico non condivisibile e il ricorso merita accoglimento.
Da un lato, il termine “convenuto” nel diritto processuale indica il soggetto contro il quale l’attore (soggetto attivo) esercita un’azione legale, mediante proponimento di domanda giudiziale, sicche’ il termine ben puo’ riferirsi anche al successore a titolo particolare subentrato nel processo alla parte estinta originariamente destinataria della citazione.
Anche sotto il profilo meramente letterale ed etimologico il termine, riferendosi a “colui che e’ venuto insieme” dinanzi al giudice, tollera perfettamente tale lettura.
Si aggiunga poi che in concreto – ed e’ quel che conta – non vi era alcuna ambiguita’ possibile nell’interpretazione della domanda del (OMISSIS), visto che oltre a (OMISSIS), che, quale successore a titolo particolare si era difesa nel merito, e al contumace (OMISSIS), che era stato comunque considerato con l’uso del plurale, non vi era alcun altra parte processuale possibile a cui riferire la pretesa di condanna avanzata dall’attore.
Infine, le conclusioni del ricorrente avrebbero dovuto comunque essere interpretate ut magis valeant quam pereant, secondo il canone ermeneutico conservativo, visto che altrimenti (come interpretate dalla Corte, ossia insistentemente dirette verso un soggetto estinto o estraneo al processo) non avrebbero avuto senso alcuno.
3. Tutti i successivi motivi di ricorso sono dedicati ai profili di merito trattati dalla sentenza impugnata.
Alla stregua delle considerazioni esposte nel § 1 e della giurisprudenza ivi citata, i predetti motivi, sviluppati nei confronti delle considerazioni attinenti al merito contenute nella sentenza impugnata, dopo che la Corte di appello si era spogliata della potestas iudicandi, devono ritenersi inammissibili per difetto di interesse: tali affermazioni devono ritenersi meri obiter ditta, privi di rilievo decisorio, che la parte soccombente non aveva ne’ l’onere, ne’ l’interesse ad impugnare.
4. Pertanto devono essere accolti il primo e il secondo motivo di ricorso e dichiarati inammissibili gli altri, e deve essere cassata la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, con rinvio alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte:
accoglie il primo e il secondo motivo di ricorso, inammissibili gli altri, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

Per aprire la pagina facebook @avvrenatodisa
Cliccare qui

Leave a Reply

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *