In tema di diffamazione a mezzo stampa

Corte di Cassazione, sezione quinta penale, Sentenza 29 aprile 2020, n. 13268.

Massima estrapolata:

In tema di diffamazione a mezzo stampa, l’attribuzione di una condotta intenzionale, che può integrare gli estremi di reato, supera certamente In tema di diffamazione a mezzo stampail limite della continenza, ed esclude, pertanto, la scriminante del diritto di critica, la quale non può essere invocata allorché siano attribuite condotte illecite o moralmente disonorevoli.

Sentenza 29 aprile 2020, n. 13268

Data udienza 15 gennaio 2020

Tag – parola chiave: Diffamazione a mezzo stampa – Circostanze aggravanti – Condanna – Omesso controllo – Responsabilità del direttore del quotidiano – Statuizioni civili – Presupposti – Morte dell’imputato – Estinzione del reato – Sospensione condizionale della pena – Revoca del beneficio – Articolo 190 cpp – Elementi probatori – Articolo 51 cp – Dichiarazioni testimoniali – Utilizzabilità – Valutazione del giudice di merito – Criteri

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUINTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VESSICHELLI Maria – Presidente

Dott. SCARLINI Enrico V. S. – Consigliere

Dott. ROMANO Michele – Consigliere

Dott. SESSA Renata – Consigliere

Dott. CAPUTO Angelo – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 07/06/2018 della CORTE APPELLO di TRIESTE;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. ANGELO CAPUTO.
Uditi in pubblica udienza: il Sostituto Procuratore generale della Repubblica presso questa Corte di cassazione Dr. Epidendio Tomaso, che ha concluso per il rigetto del ricorso;
per le parti civili, l’Avv. (OMISSIS), che ha concluso per il rigetto, depositando conclusioni e nota spese; per il ricorrente, l’Avv. (OMISSIS), che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza deliberata il 30/06/2015, il Tribunale di Gorizia dichiarava (OMISSIS) responsabile del reato di diffamazione aggravata (per aver offeso, in una lettera pubblicata dal quotidiano (OMISSIS), la reputazione dell’Ordine dei Medici Chirurghi della Provincia di Trieste asserendo, tra l’altro, che i provvedimenti disciplinari adottati nei confronti del figlio erano dovuti a deliberato accanimento persecutorio) e (OMISSIS), quale direttore responsabile del quotidiano, del reato di omesso controllo: gli imputati venivano condannati alla pena pecuniaria di giustizia, condizionalmente sospesa, e al risarcimento dei danni in favore delle parti civili Ordine dei Medici Chirurghi della Provincia di Trieste e (OMISSIS), liquidati, per ciascuna di esse, in Euro 10 mila.
Investita del gravame degli imputati, la Corte di appello di Trieste, con sentenza deliberata il 07/06/2018, ha dichiarato non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS), per essere il reato estinto per morte dell’imputato, ha ridotto ad Euro 5 mila l’entita’ del risarcimento dei danni in favore delle parti civili e ha revocato la sospensione condizionale della pena nei confronti di (OMISSIS), confermando nel resto la sentenza di primo grado.
2. Avverso l’indicata sentenza della Corte di appello di Trieste ha proposto ricorso per cassazione (OMISSIS), attraverso il difensore Avvocato (OMISSIS), articolando due motivi di seguito enunciati nei limiti di cui all’articolo 173 disp. att. c.p.p., comma 1.
Il primo motivo denuncia inosservanza o erronea applicazione dell’articolo 190 c.p.p., omessa assunzione di una prova decisiva e vizio di motivazione in relazione all’ordinanza del 09/06/2015 con la quale il Tribunale di Gorizia non aveva accolto l’istanza difensiva di acquisizione di documenti indicati come rilevanti in quanto idonei a contraddire il contenuto delle deposizioni dei testi (OMISSIS) e (OMISSIS). La Corte di appello non ha affatto considerato la documentazione di cui era stata chiesta l’acquisizione, che, in particolare, consisteva in copia degli scritti difensivi prodotti da (OMISSIS) nei procedimenti disciplinari criticati nella lettera, contraddicendosi li’ dove afferma che detti procedimenti si erano svolti nel rispetto della normativa e del diritto di difesa, il che era contestato.
Il secondo motivo denuncia violazione dell’articolo 21 Cost. e dell’articolo 51 c.p.. Nella parte in cui esclude la sussistenza del requisito della continenza, la sentenza impugnata non ha indicato le affermazioni meritevoli di tale conclusione, laddove in nessuna parte della lettera (OMISSIS) aveva utilizzato argomenti ad hominem.
3. Le parti civili Ordine dei Medici di Trieste e (OMISSIS), attraverso il difensore e procuratore speciale Avvocato (OMISSIS), hanno presentato memorie, di analogo contenuto argomentativo, con le quali chiedono che il ricorso sia dichiarato inammissibile o comunque rigettato, osservando che: anche la sentenza di appello ha escluso la sussistenza del requisito delle veridicita’ dei fatti, avendo sottolineato che le gravi condotte di sviamento della funzione non hanno trovato alcun riscontro nei fatti; il primo motivo e’ infondato, posto che la parte civile Ordine degli Avvocati aveva prodotto gli atti dei giudizi disciplinari nei confronti del Dott. (OMISSIS); anche il secondo motivo e’ infondato, alla luce delle espressioni incontinenti, perche’ violentemente diffamatorie, contenute nella lettera di (OMISSIS) pubblicata dal quotidiano diretto dal ricorrente.

CONSIDERATO IN DIRITTO

1. Il ricorso deve essere rigettato.
2. Il primo motivo non merita accoglimento.
La Corte di appello, nel confermare la legittimita’ dell’ordinanza del 09/06/2015 con la quale il giudice di primo grado aveva rigettato la richiesta di ammissione di documenti indicati come “prova contraria”, ha rilevato che detti documenti risultavano inconferenti rispetto al thema probandum ovvero gia’ acquisiti su richiesta delle parti civili (che, come emerge dalla stessa sentenza impugnata, avevano prodotto la documentazione relativa ai procedimenti disciplinari nei confronti di (OMISSIS)).
Cio’ premesso, la censure del ricorrente non colgono nel segno. Come questa Corte ha avuto modo di affermare, anche la c.d. “prova contraria” deve, al pari di quella diretta, avere ad oggetto fatti rilevanti ai fini dell’imputazione e non puo’ tradursi in un diritto incondizionato volto ad ottenere l’ammissione di una prova manifestatamente superflua o vertente su fatti estranei a quelli contestati (Sez. 2, n. 31883 del 30/06/2016, Di Rocco, Rv. 267483), essendo a tal fine necessario che la parte faccia specifica richiesta di prova contraria sui fatti oggetto delle prove a carico, non essendo sufficiente un generico riferimento alle prove a discarico indicate nella lista depositata (Sez. 6, n. 26048 del 17/05/2016, Gandini, Rv. 266976; Sez. 5, n. 55829 del 08/10/2018, Gemmiti, Rv. 274623). Nel censurare l’ordinanza dibattimentale, l’atto di appello nell’interesse di (OMISSIS) aveva dedotto che dopo l’esame della persona offesa (OMISSIS) e di altri due testimoni, la difesa dell’imputato aveva chiesto l’acquisizione di ulteriori documenti consistenti negli atti dei procedimenti a carico del figlio del coimputato (OMISSIS), nelle motivazioni del conferimento di un’onorificenza al medico da parte del Comune di Trieste, nell’articolo conseguente alle rimostranze dell’Ordine dei Medici e di copia delle pubblicazioni di (OMISSIS). Nei termini indicati, gia’ il motivo di appello era del tutto aspecifico, posto che neppure deduceva la necessaria correlazione tra le testimonianze rispetto alle quali era stata articolata la richiesta dibattimentale di acquisizione di documenti e il contenuto probatorio dei documenti stessi. Del pari generico e’ il motivo di ricorso, che fa riferimento alle memorie depositate da (OMISSIS) nei procedimenti disciplinari a suo carico, procedimenti i cui atti, pero’, la Corte di appello indica come gia’ acquisiti a seguito dell’iniziativa probatoria delle parti civili; nel resto, il ricorso si sottrae alla necessaria, puntuale allegazione della rilevanza degli altri documenti (ad esempio, le pubblicazioni del medico) rispetto al thema probandum.
3. Anche il secondo motivo non merita accoglimento.
Secondo il consolidato orientamento della giurisprudenza di legittimita’, in tema di diffamazione a mezzo stampa, l’attribuzione di una condotta intenzionale, che puo’ integrare gli estremi di reato, supera certamente il limite della continenza, ed esclude, pertanto, la scriminante del diritto di critica, la quale non puo’ essere invocata allorche’ siano attribuite condotte illecite o moralmente disonorevoli (Sez. 5, n. 49019 del 27/10/2004, Nardi, Rv. 231279; conf., ex plurimis, Sez. 5, n. 12807 del 25/02/2005, Ferrara, Rv. 231696). La Corte di appello ha fatto buon governo del principio di diritto richiamato: diversamente da quanto sostenuto dal ricorso, la sentenza impugnata ha, in primo luogo, rimarcato che il tenore delle espressioni utilizzate prospettava senza mezzi termini un uso distorto della funzione da parte dell’Ordine integrante un illecito penale. Il ricorso si sottrae alla puntuale disamina critica dell’argomento valorizzato dal giudice di appello, risultando, sotto questo profilo, del tutto carente della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione (Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012, Pezzo, Rv. 253849).
Rilievo, quest’ultimo, riferibile agli ulteriori argomenti posti a fondamento della confermata esclusione del requisito della continenza, quali l’imponenza dell’invettiva e la reiterazione delle espressioni diffamatorie, la rappresentazione di (OMISSIS) quale “una sorta di dominus plenipotenziario della medicina regionale”. Il ricorso omette di confrontarsi con il contenuto argomentativo della decisione impugnata, risultando del tutto inidoneo ad inficiarne la tenuta motivazionale.
4. Il ricorso, pertanto, deve essere rigettato e il ricorrente deve essere condannato al pagamento delle spese processuali, nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel giudizio di legittimita’ dalle parti civili, che, alla luce della nota spese depositata, si liquidano come da dispositivo.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali nonche’ alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalle parti civili liquidate in complessivi Euro 4200 oltre accessori di legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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