In tema di dazi doganali

Corte di Cassazione, sezione tributaria civile, Ordinanza 29 maggio 2020, n. 10227.

La massima estrapolata:

In tema di dazi doganali, la sanzione prevista dall’art. 303, comma 1, T.U. dogane per irregolare dichiarazione doganale relativa a “qualità, quantità e valore” delle merci, si applica anche in caso di origine non veritiera di quest’ultime, costituendo detti termini normativi un’esemplificazione dell’elemento oggettivo destinato all’importazione considerato rilevante ai fini del pagamento del tributo, di talché nel concetto di “qualità” di una merce rientra qualsiasi caratteristica, proprietà o condizione che serva a determinarne la natura e a distinguerla da altre simili, ivi compresa l’origine o la provenienza, in quanto elementi sintomatici delle specificità del prodotto, la cui esclusione dall’oggetto della dichiarazione equivarrebbe a vanificare un tratto fondamentale del sistema dazionario di matrice eurounitaria.

Ordinanza 29 maggio 2020, n. 10227

Data udienza 10 settembre 2019

Tag – parola chiave: Tributi erariali diretti – In genere (tributi anteriori alla riforma del 1972) – Tributi doganali (diritti di confine – Dazi all’importazione ed alla esportazione – Diritti doganali) – Sanzioni per le violazioni – In genere dazi – Irregolare dichiarazione – Qualità, qualità e valore della merce – Natura esemplificativa – Origine – Inclusione – Necessità – Fondamento.

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIRGILIO Biagio – Presidente

Dott. D’AQUINO Filippo – Consigliere

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere

Dott. ARMONE Giovanni Maria – rel. Consigliere

Dott. NOVIK Adet Toni – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
Sul ricorso 12251-2018 proposto da:
AGENZIA DELLE DOGANE E DEI MONOPOLI persona del Direttore pro tempere, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHEI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta ed difende;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL IN LIQUIDAZIONE, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo STUDIO LEGALE E TRIBUTARIO (OMISSIS), rarresentato e difeso dagli avvocati (OMISSIS), (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 636/2017 della COMM. TRIB. REG. della Liguria, depositata il 02/05/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 10/09/2019 dal Consigliere Dott. ARMONE GIOVANNI MARIA.

FATTI DI CAUSA

Rilevato che:
1. l’Agenzia delle dogane e dei monopoli propone ricorso per cassazione avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale di Genova n. 636, depositata il 2 maggio 2017, che ha confermato la sentenza di primo grado con cui e’ stato annullato l’atto di contestazione sanzioni n. (OMISSIS) del 6 maggio 2009 emesso dalla stessa Agenzia a carico della CAD (OMISSIS) s.r.l.;
2. che il ricorso e’ affidato a tre motivi;
3. che resiste con controricorso la CAD (OMISSIS) srl in liquidazione.

RAGIONI DELLA DECISIONE

Considerato che:
1. preliminarmente, vanno esaminate le eccezioni di inammissibilita’ sollevate dalla controricorrente;
2. con la prima eccezione, la CAD (OMISSIS) sostiene l’inammissibilita’ del ricorso avversario in ragione del fatto che la CTR, con la sentenza impugnata, non si e’ espressamente pronunciata su un motivo di appello concernente la responsabilita’ solidale del dichiarante rispetto alle violazioni contestate e il conseguente potere di applicare sanzioni nei suoi confronti; poiche’ tale motivo di gravame non e’ stato riproposto nel ricorso per cassazione con cui e’ stata impugnata la sentenza della CTR, si sarebbe formato il giudicato interno in relazione alla carenza di responsabilita’ del CAD per la sanzione in contestazione;
3. l’eccezione e’ infondata;
4. la sentenza impugnata, pur non pronunciandosi espressamente sul motivo di gravame dedotto dall’Agenzia, ha affrontato il merito della causa sottoposta al suo giudizio, escludendo la responsabilita’ del dichiarante-spedizioniere in concreto;
5. in tal modo la CTR ha esaminato una questione che implicava l’affermazione della astratta configurabilita’ di una responsabilita’ del dichiarante per le violazioni addebitabili all’importatore e ha cosi’ implicitamente accolto (e non gia’ implicitamente respinto, come sostenuto nel controricorso) il primo motivo di appello dell’Agenzia;
6. non puo’ dirsi dunque formato un giudicato favorevole all’attuale controricorrente, giacche’ su quella questione essa era semmai soccombente;
7. la seconda eccezione, concernente la presunta violazione del principio di autosufficienza del ricorso, e’ infondata, poiche’ il ricorso deduce vizi della sentenza impugnata che non richiedono il reperimento di atti processuali, documenti o altri elementi esterni al ricorso e alla sentenza impugnata, e dunque non richiedono l’enunciazione in ricorso di dati necessari alla loro individuazione, che non siano i passaggi della sentenza che si affermano affetti dagli stessi vizi denunciati;
8. passando all’esame dei motivi di ricorso, con il primo motivo parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la nullita’ della sentenza impugnata per violazione degli articolo 132 c.p.c., n. 3 e Decreto Legislativo 31 dicembre 1992, n. 546, articolo 3; la sentenza non conterrebbe ne’ la concisa esposizione dello svolgimento del processo, ne’ le richieste delle parti;
9. il motivo e’ infondato, in quanto la sentenza della CTR, pur molto sintetica, contiene l’indicazione dell’oggetto dell’atto sanzionatorio originariamente impugnato, la descrizione dell’iter processuale, con l’esito del giudizio di primo grado, le ragioni dell’appello proposto dall’Agenzia, soccombente in primo grado, ragioni individuate per relationem mediante rinvio al fondamento dell’accertamento tributario da cui e’ scaturita la sanzione;
10. cio’ e’ sufficiente a integrare i requisiti che la sentenza deve possedere ai sensi delle norme di cui si invoca la violazione e dunque a escluderne la nullita’;
11. con il secondo motivo, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, articolo 303, comma 3, (Testo Unico delle leggi Doganali, d’ora in avanti TULD);
12. in particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame abbia erroneamente ritenuto che il citato articolo 303, nel prevedere l’irrogazione della sanzione amministrativa pecuniaria “qualora le dichiarazioni relative alla qualita’, alla quantita’ ed al valore delle merci destinate alla importazione definitiva, al deposito o alla spedizione ad altra Dogana con bolletta di cauzione, non corrispondano all’accertamento”, non possa trovare applicazione quando venga riscontrata una differenza di origine delle merci;
13. con il terzo motivo, parte ricorrente denuncia, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione e/o la falsa applicazione del Decreto Legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, articolo 5 e dell’articolo 201 del Reg. CEE n. 2454/93 del 2 luglio 1993 (Codice Doganale Comunitario, d’ora in avanti CDC), vigente “ratione temporis”. In particolare, parte ricorrente lamenta che il giudice del gravame abbia fondato la propria decisione sulla presunta buona fede dell’importatore, trascurando che nel sistema degli illeciti amministrativi tributari vige una presunzione di colpa di colui che commetta l’atto vietato, spettando a quest’ultimo l’onere di dimostrare l’inevitabilita’ della violazione;
14. il secondo e il terzo motivo, da analizzare congiuntamente, sono palesemente fondati;
15. secondo il costante orientamento di questa S.C., che va qui ribadito, “i termini adoperati dal Decreto del Presidente della Repubblica n. 43 del 1973, articolo 303, comma 1, (qualita’, quantita’, valore) costituiscono una esemplificazione dell’elemento oggettivo destinato all’importazione e specificamente considerato ai fini del pagamento del dazio e sottointendono la relazione di necessaria corrispondenza sostanziale che deve sussistere tra l’oggetto della dichiarazione doganale e l’oggetto dell’accertamento; poiche’ nel concetto di “qualita’” di una merce rientra qualsiasi caratteristica, proprieta’ o condizione che serva a determinarne la natura e a distinguerla da altre simili, vi rientra anche l’origine (o la provenienza), in quanto elemento sintomatico delle specificita’ del prodotto”; l’articolo 303, comma 1, “punisce anche la dichiarazione non veritiera sull’origine delle merci, poiche’ l’origine e’ elemento distintivo della qualita’, coperto dall’interpretazione estensiva (non analogica) della norma sanzionatoria” (Cass., Sez. V, 25.1.2019, n. 2169 e ivi ampi riferimenti ai precedenti di questa Sezione);
16. come in altra occasione la S.C. ha avuto modo di osservare, “tale interpretazione si impone non solo in forza dei principi nazionali di interpretazione del diritto, quanto per la natura cogente della normativa comunitaria e delle pronunce della Corte di giustizia di materia. Ai sensi dell’articolo 66 e ss. del Reg. CEE n. 2454/93 del 2.7.1993 della commissione, la comunita’ Europea accorda preferenze tariffarie a taluni prodotti originari di paesi in via di sviluppo. In forza di tale regolamento, applicabile in tutti paesi dell’Unione Europea, i parametri in base ai quali una determinata merce viene assoggettata ai diritti di confine sono: qualita’, quantita’, valore e origine. Pertanto l’esatta classificazione dell’origine della merce concorre nella tassazione in maniera determinante, contribuendo a realizzare misure protezionistiche, quali l’antidumping oppure misure a sostegno delle economie dei paesi sviluppati e, in tal caso, si parla di origine preferenziale quando la norma comunitaria prevede una deroga di favore al dazio e alla fiscalita’ ovrebbe essere assoggettata una determinata merce provenientE da paesi extracomunitari. Il certificato di origine, ai sensi dell’articolo 81 Reg. CEE n. 2454/93 e’ condizione per l’ottenimento del beneficio daziario all’atto dell’introduzione della merce nella comunita’, rappresentato dal certificato EUR 1 che costituisce prova dell’origine della merce, mentre l’autorita’ doganale del paese importatore, nella fattispecie la dogana italiana, non ha alcuno autonomo potere di determinazione in ordine all’accertamento dell’origine del prodotto, dovendo procedere al riscontro particolare del certificato d’origine” (Cass., Sez. V, 3.8.2012, n. 14030);
17. non includere l’origine, tra le qualita’ della merce che devono essere indicate in dichiarazione, equivarrebbe a vanificare un profilo fondamentale del sistema daziario di matrice comunitaria ed Eurounitaria;
18. non e’ pertanto corretta la conclusione cui e’ giunta la CTR nella sentenza impugnata, secondo cui la vera origine delle merci, a differenza degli altri elementi elencati dall’articolo 303, non sarebbe verificabile dall’importatore, con la conseguenza che la falsa dichiarazione rispetto a tale elemento non potrebbe portare all’irrogazione delle sanzioni;
19. in tal modo, la sentenza impugnata sovrappone indebitamente l’elemento oggettivo dell’illecito con quello soggettivo; la possibilita’ di ricomprendere l’origine della merce tra le qualita’ che la contraddistinguono va valutata oggettivamente, sulla base di un’interpretazione letterale e funzionale del dato normativo del tipo sopra illustrato, che prescinde dalla conoscenza o conoscibilita’ in astratto della provenienza; solo dopo aver sciolto in senso affermativo tale nodo e aver dunque stabilito che anche l’origine rientra tra le qualita’ della merce che devono formare oggetto di dichiarazione veritiera, sara’ possibile valutare, caso per caso, l’elemento soggettivo dell’infrazione; a voler diversamente ritenere, anche avendo la certezza che il dichiarante conoscesse l’origine effettiva della merce, e dunque in presenza di una sua falsa dichiarazione dolosa, l’importatore e gli altri obbligati andrebbero esenti da sanzione;
20. passando all’esame specifico del terzo motivo, concernente l’elemento soggettivo dell’illecito, ne va anzitutto valutata l’ammissibilita’;
21. la controricorrente la mette in dubbio sulla base di due argomenti: da un lato, il motivo di ricorso, benche’ dedotto in termini di violazione di legge ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, tenterebbe di introdurre nel giudizio di legittimita’ questioni di fatto inerenti alla valutazione degli elementi di prova; dall’altro lato, e in forza di tale riqualificazione del motivo, lo stesso sarebbe inammissibile ex articolo 348-ter c.p.c., comma 5;
22. le due eccezioni di inammissibilita’ non sono fondate;
23. il motivo di ricorso in esame non pretende di far compiere alla Corte un nuovo accertamento di fatto, ma sostiene che il giudice di merito, nel compiere tale accertamento con particolare riferimento all’elemento soggettivo dell’illecito, si e’ fatto guidare da canoni contrari alla legge, per avere sostanzialmente affermato che la buona fede dell’importatore, utile a escluderne la responsabilita’, e’ presunta;
24. in tal modo, parte ricorrente denuncia – fondatamente, come tra breve si dira’ – un errore di sussunzione del fatto nella fattispecie legale; il motivo ricade dunque sotto l’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3;
25. da cio’ discende l’infondatezza anche della seconda eccezione di inammissibilita’, dato che l’articolo 348-ter c.p.c., comma 5, esclude la ricorribilita’ per cassazione della doppia conforme solo per il motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, ipotesi che qui non ricorre;
26. quanto alla questione oggetto del motivo di ricorso, va rammentato che il Decreto Legislativo n. 513 del 1997, articolo 5, sostanzialmente
riproducendo nella materia tributaria la L. 24 novembre 1981, n. 689, articolo 3, pone una presunzione di colpa per l’atto vietato a carico di colui che lo abbia commesso, lasciando a costui l’onere di provare di aver agito senza colpa (Cass., Sez. V, 3.8.2012, n. 14030); una volta integrata la fattispecie tipica, con le precisazioni sopra svolte a proposito dell’origine della merce, non spetta dunque all’Amministrazione dimostrare la presenza del dolo o della colpa, ne’ e’ rilevabile d’ufficio una presunta carenza dell’elemento soggettivo, sotto il profilo della mancanza assoluta di colpa (Cass., Sez. V, 14.3.2014, n. 5965; Cass., Sez. V, 3.8.2012, n. 14030; Cass., Sez. V, 15.6.2011, n. 13068; Cass., Sez. V, 25.10.2006, n. 22890);
27. come osservato dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione nel settore contiguo degli illeciti amministrativi in materia di intermediazione finanziaria, “negli illeciti di mera trasgressione, la loro stessa morfologia renda impossibile individuare, sul piano funzionale, un’intenzione o una negligenza nell’azione, ossia una condotta esterna onde ricostruire i tratti dell’atteggiamento interiore: l’azione, dolosa o colposa che sia, esaurendosi in una mera trasgressione, si identifica allora con la condotta inosservante (la cd. suitas), la quale appare neutra proprio sotto l’ulteriore profilo del dolo o della colpa. Cio’ perche’ la condotta illecita, in tal caso, e’ priva di un risvolto naturalistico e non fornisce indizi percepibili dell’atteggiamento soggettivo e psicologico, onde la tipicita’ del dolo o della colpa si riducono alla mera “suita’” della condotta inosservante, il cui aspetto esteriore appare compatibile con entrambi i possibili atteggiarsi dell’elemento soggettivo dell’illecito. Cosi’, tanto in caso di illecito monosoggettivo di mera trasgressione, quanto in caso di concorso omissivo nell’illecito medesimo (e con riferimento tanto a un divieto quanto a un comando), la mancanza di indizi visibili da cui inferire l’atteggiamento colpevole induce legittimamente a presumerlo entro la (soddisfacente) dimensione della suitas della condotta, e cio’ per evitare impraticabili e defatiganti indagini di tipo introspettivo dal punto di vista dell’accertamento processuale, ove la mancanza in rerum natura di un’azione che rechi le stimmate di un atteggiamento predicabile come colpevole consente ed anzi impone al giudice di limitarsi ad individuare l’autore imputabile dell’inosservanza, senza necessita’ di ulteriori indagini in ordine ad una condotta da verificarsi come modulata sul piano del dolo o della colpa. In questi sensi ed entro questi limiti va pertanto condiviso l’acuta riflessione della migliore dottrina penalistica secondo cui il giudizio di colpevolezza e’ un giudizio “normativo”, inteso sia come verifica della mancanza di elementi di inesigibilita’, sia come valutazione legale del processo motivazionale, cosi’ che per autori “normali” che agiscono in situazioni “normali” si puo’ supporre la rimproverabilita’ della condotta, una volta constatatane con certezza la suitas, qualora possa specularmente escludersi l’esistenza di circostanze anomale che abbiano reso incolpevole il comportamento trasgressivo e, dunque, inesigibile quello osservante. Il giudizio di “colpevolezza colposa” e’ ancorato, dunque, a parametri normativi, esterni al dato puramente psicologico. Tale, condivisibile impostazione del problema della prova dell’elemento soggettivo e’ del tutto idonea, a giudizio di queste sezioni unite, a fondare, mutatis mutandis, la legittimita’ della cd. “presunzione di colpa”, e della conseguente “inversione” dell’onere probatorio: sara’ lo stesso autore “normale” – e dunque presuntivamente colpevole – che dovra’ allegare quelle circostanze “anomale” impeditive di un giudizio di riprovevolezza” (Cass., Sez. Un., 30.9.2009, n. 20930);
28. nel caso in esame, la CTR ha invece desunto l’assenza di colpa dell’importatore sulla base di una semplice quanto erronea inferenza logica, facendo derivare l’assenza di colpa dal tipo di irregolarita’ su cui si fondava l’avviso di rettifica, trascurando inoltre la natura di operatore professionale dello spedizioniere-dichiarante e dunque la necessita’ che a fortiori fosse tale operatore professionale a fornire gli elementi concreti a propria discolpa, idonei ad escluderne la responsabilita’;
29. la sentenza impugnata va dunque cassata con riferimento ai motivi accolti, con rinvio ad altra sezione della stessa CTR della Liguria, che decidera’ uniformandosi ai principi sopra illustrati, provvedendo altresi’ in ordine alle spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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