Il proseguimento dell’attività processuale dopo il decesso della parte assistita in assenza di qualsiasi informativa o tentativo di informativa a favore della stessa o degli eredi

Corte di Cassazione, sezioni unite civili, Sentenza 13 maggio 2019, n. 12636.

La massima estrapolata:

Integra violazione dei doveri di lealtà e correttezza previsti dal codice deontologico forense il proseguimento dell’attività processuale dopo il decesso della parte assistita in assenza di qualsiasi informativa o tentativo di informativa a favore della stessa o degli eredi. Il dovere di informazione a cui è deontologicamente tenuto l’avvocato si concreta infatti nel fondamentale obbligo di rappresentare alla parte i rimedi esperibili e di condividere le scelte processuali.

Sentenza 13 maggio 2019, n. 12636

Data udienza 5 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONI UNITE CIVILI

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MAMMONE Giovanni – Primo Presidente

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – Presidente di Sezione

Dott. VIVALDI Roberta – Presidente di Sezione

Dott. VIRGILIO Biagio – rel. Presidente di Sezione

Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere

Dott. GRECO Antonio – Consigliere

Dott. TRIA Lucia – Consigliere

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere

Dott. GIUSTI Alberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso 2399/2018 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende;
– ricorrente –
contro
CONSIGLIO DELL’ORDINE DEGLI AVVOCATI DI PERUGIA, PROCURATORE GENERALE PRESSO LA CORTE DI CASSAZIONE;
– intimati –
avverso la sentenza n. 152/2017 del CONSIGLIO NAZIONALE FORENSE, depositata il 6/11/2017;
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 05/06/2018 dal Presidente BIAGIO VIRGILIO;
udito il Pubblico Ministero, in persona dell’Avvocato Generale Dott. FINOCCHI GHERSI Renato, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

FATTI DI CAUSA

L L’avv. (OMISSIS) ha proposto ricorso per cassazione avverso la sentenza del Consiglio nazionale forense n. 152 del 2017, depositata il 6 novembre 2017, con la quale e’ stata confermata la sentenza del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia del 2 gennaio 2015, che aveva inflitto alla ricorrente la sanzione disciplinare della censura per violazione dei doveri di lealta’ e correttezza prescritti dall’articolo 6 del codice deontologico forense vigente ratione temporis.
Risulta dalla sentenza impugnata che il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Roma aveva deliberato, nel settembre 2011, l’apertura del procedimento disciplinare a carico dell’avv. (OMISSIS) per i seguenti addebiti: “in virtu’ di procura a margine l’avv. (OMISSIS) patrocinava il sig. (OMISSIS), nato il (OMISSIS), residente all’estero e titolare di pensione in regime internazionale, presentando ricorso per cassazione con atto notificato all’Inps in data 2.12.2005. A seguito di sentenza di accoglimento del ricorso depositava presso la cancelleria della Corte di appello di Roma ricorso in riassunzione ex articolo 392 c.p.c., con il quale il predetto sig. (OMISSIS) conveniva l’Inps per l’udienza del 12.10.2008. Quanto sopra, malgrado il predetto sig. (OMISSIS) risultasse deceduto in data (OMISSIS) e cioe’ in epoca precedente la notifica del ricorso per cassazione (2 dicembre 2005) e del ricorso in riassunzione (17 marzo 2008) redatti sulla base di procura a margine degli atti difensivi. Violava con le condotte i doveri di lealta’ e correttezza di cui all’articolo 6 Codice deontologico forense. In Roma fino alla data dell’apertura del procedimento disciplinare”.
Successivamente, nel marzo 2012, il COA di Roma, in accoglimento di istanza di ricusazione presentata dalla ricorrente, aveva trasmesso gli atti al Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia, il quale, con atto di citazione notificato all’incolpata nel settembre 2013, aveva fissato l’udienza di trattazione per il giorno 19 dicembre 2013, poi rinviata al 2 ottobre 2014.
Il CNF, per quanto qui rileva, ha ritenuto che: a) circa la dedotta intervenuta prescrizione dell’azione disciplinare originariamente esercitata dal COA di Roma in quanto le condotte addebitate si sarebbero esaurite il 2 dicembre 2005 (data della notifica del ricorso per cassazione all’Inps), il COA di Perugia ha correttamente individuato “almeno fino al 12.10.2008”, giorno di trattazione della causa dinanzi alla Corte d’appello di Roma adita in riassunzione, il termine finale delle condotte realizzate dall’incolpata, non aventi carattere istantaneo, bensi’ perdurante nel tempo; b) in tema di giudizi disciplinari nei confronti degli avvocati, e’ sufficiente l’adozione della delibera di apertura del procedimento ai fini dell’interruzione della prescrizione, a prescindere dalla successiva notifica degli stessi atti al professionista: e’, cioe’, idoneo anche il solo compimento degli atti propulsivi, quale manifestazione della volonta’ di procedere; c) nel merito, e’ infondata la tesi della ricorrente secondo cui non si sarebbe verificata alcuna violazione dell’obbligo di informazione verso il cliente, poiche’ commette un illecito deontologico l’avvocato che svolga il mandato conferitogli senza avere cura di fornire tutte le informazioni possibili, non solo al momento dell’assunzione dell’incarico ma anche e soprattutto durante lo svolgimento dello stesso: il dovere d’informazione non e’ solo finalizzato a non far insorgere pregiudizi in capo all’assistito, ma assolve ad un obbligo piu’ ampio, che deve articolarsi nella rappresentazione dei rimedi esperibili e nella condivisione delle scelte processuali (peraltro, correttamente il COA individua nel piu’ ampio dovere di lealta’ e correttezza la violazione posta in essere dalla ricorrente); d) la violazione del dovere di informazione di cui all’articolo 27, commi 7 e 8, del nuovo codice deontologico prevede come pena disciplinare edittale quella della censura e non si ravvisano ragioni per addivenire ad una attenuazione della sanzione “essendo inequivocabilmente emerso il proseguimento di attivita’ professionale per effetto del decesso della parte assistita in assenza di qualsiasi informativa, o tentativo d’informativa, a favore della stessa o degli eredi”.
2. Il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia e il Procuratore generale presso la Corte di cassazione non si sono costituiti.
3. La ricorrente ha depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. Con il primo motivo, la ricorrente, denunciando la violazione o falsa applicazione degli articoli 83, 111 e 112 c.p.c., censura la sentenza impugnata per aver rinvenuto un illecito disciplinare nel fatto che il difensore abbia continuato ad agire pur dopo il decesso del proprio assistito, nonostante che cio’ sia avvenuto in forza di valida procura alle liti: infatti, sia il ricorso per cassazione, sia il ricorso in riassunzione ex articolo 392 c.p.c., sono stati proposti sulla base di procura consolare rilasciata dall’assistito in data 2 luglio 1998 (peraltro, quanto alla validita’ della procura relativa al ricorso per cassazione, vi e’ il giudicato implicito contenuto nella sentenza della Corte n. 18261 del 2007).
Aggiunge la ricorrente che il CNF ha violato il principio di corrispondenza tra chiesto e pronunciato, poiche’ ne’ l’originario provvedimento di apertura del procedimento del COA di Roma, ne’ l’atto di citazione del COA di Perugia hanno fatto riferimento all’obbligo di informazione o all’utilizzo di un “mandato in bianco”.
1.2. Col secondo motivo, e’ denunciata la violazione degli articoli 42, 51, 115 e 116 c.p.c., R.Decreto Legge n. 1578 del 1933, articolo 51, articoli 2934 e 2935 c.c., nonche’ – ex articolo 360 c.p.c., n. 5 – l’omessa valutazione di una circostanza determinante.
La ricorrente lamenta l’erroneita’ della sentenza nella parte in cui ha individuato il dies a quo di decorrenza della prescrizione dell’azione disciplinare nel 12 ottobre 2008 (data di trattazione della causa in riassunzione dinanzi alla Corte d’appello di Roma): l’illecito disciplinare addebitato si fonda, infatti, sulla utilizzazione del mandato alle liti posto a margine del ricorso per cassazione, senza che sia ravvisabile continuita’ con il successivo ricorso in riassunzione, il quale si basava sulla sopra citata procura consolare del 1998. Ne consegue che, quando e’ intervenuta la notifica dell’atto di citazione del COA di Perugia (24/9/2013), il termine prescrizionale quinquennale decorrente dall’esaurimento della asserita condotta illecita, e cioe’ dalla data di deposito, nel 2007, della sentenza della Corte di cassazione, era gia’ spirato.
Inoltre, rileva la ricorrente che il giudice a quo non ha considerato che la declaratoria di astensione emessa dal COA di Roma nel marzo 2012 ha determinato, in assenza di espressa statuizione contraria, l’inefficacia di tutti gli atti compiuti dal giudice poi astenutosi.
1.3. Col terzo motivo, infine, si insiste, denunciando la violazione dell’articolo 324 c.p.c., sul giudicato interno relativo alla validita’ del mandato, contenuto nella citata pronuncia di questa Corte.
2.1. Il ricorso, i cui motivi possono essere esaminati congiuntamente, e’ infondato.
2.2. Si legge nella sentenza impugnata che il Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia, nella pronuncia di primo grado, “argomenta circa il comportamento dell’incolpata”, osservando come “nel corso del procedimento non abbia fornito prova di aver saputo del decesso del suo assistito” ed addebitandole “di non aver curato l’iniziativa di contattare lo stesso o i suoi familiari per dar conto e convenire le azioni a tutela dello stesso” e “di aver pertanto assunto le iniziative processuali di propria iniziativa”.
Ha ritenuto pertanto “violato l’obbligo di informazione con l’assistito per oltre 5 anni al punto da ingenerare nei confronti dei giudici aditi e dei contraddittori processuali l’apparente legittimita’ dello specifico incarico, il tutto in spregio alle responsabilita’ connesse al rilievo pubblicistico della funzione difensiva”.
2.3. Da cio’ emerge che il giudice di primo grado, nell’ambito della complessiva condotta contestata alla ricorrente come fonte di illecito disciplinare nella vicenda in esame, ha chiaramente e specificamente individuato e qualificato l’incolpazione essenziale alla stessa addebitata nella violazione dell’obbligo di informazione della parte assistita sullo svolgimento del mandato e sulla necessita’ di compiere determinati atti a tutela dei suoi interessi (obbligo prescritto dall’articolo 40 del codice deontologico previgente, ora articolo 27).
E, a fronte di tale qualificazione, la ricorrente – come anche in questo caso risulta dalla sentenza del CNF senza che cio’ sia smentito nel ricorso – non solo nulla ha eccepito, in appello, in termini di eventuale non correlazione tra addebito contestato e decisione, ma si e’, anzi, pienamente difesa nel merito, negando la configurabilita’ della violazione ascrittale, con conseguente formazione del giudicato interno sul punto.
2.4. Discende da quanto esposto la correttezza della sentenza impugnata, la’ dove il giudice d’appello, sulla base della suddetta incolpazione e della sua natura permanente, ha individuato la cessazione della condotta, e dunque l’inizio della decorrenza del termine prescrizionale quinquennale per l’esercizio dell’azione disciplinare, quanto meno nella data di trattazione dell’udienza dinanzi alla Corte d’appello di Roma adita in riassunzione, cioe’ nel giorno 12 ottobre 2008, con conseguente esclusione della prescrizione, essendo stato l’atto di citazione del COA di Perugia notificato all’incolpata, come detto sopra, il 24 settembre 2013.
3. Il ricorso va, in conclusione, rigettato.
4. Non v’e’ luogo a provvedere sulle spese, in assenza di attivita’ difensiva da parte del Consiglio dell’ordine degli avvocati di Perugia.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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