Appropriazione indebita e contratto di leasing

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46744.

La massima estrapolata:

In tema di appropriazione indebita, se la detenzione del bene sia qualificata in forza di un contratto di leasing, il mero inadempimento dei canoni, cui consegue la risoluzione di diritto del contratto, non integra, di per se’, il reato di cui all’articolo 646 c.p.che, invece, si perfeziona solo nel momento in cui il detentore manifesta la sua volonta’ di detenere il bene “uti dominus”, non restituendo, senza alcuna giustificazione, il bene che gli viene richiesto e sul quale non ha piu’ alcun diritto.
La inutile scadenza del termine di adempimento di una obbligazione civilistica che imponga la restituzione di una cosa altrui non determina ne’ prova, di per se’, la consumazione del reato di appropriazione indebita;perche cio’ avvenga e necessario che, in base a concludenti circostanze di fatto(che possono anche essere diverse dal dare alla cosa una destinazione diversa, incompatibile con il titolo del suo precedente e legittimo possesso, e possono consistere anche nel rifiuto ingiustificato della restituzione), sia rivelato il carattere intenzionale caratterizzante l’elemento soggettivo del reato, della omessa restituzione, nel senso che in quest’ultima coincida, in uno con l’elemento materiale del reato, intrinsecamente inerente alla protrazione non piu giustificata del possesso nella persona dell’agente), anche l’elemento soggettivo,inerente alla volonta di invertire il titolo del possesso medesimo appropriandosi della cosa al fine di trarne ingiusto profitto.

Sentenza 15 ottobre 2018, n. 46744

Data udienza 19 settembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PRESTIPINO Antonio – Presidente

Dott. RAGO Geppino – Consigliere

Dott. BORSELLINO Maria D. – rel. Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – Consigliere

Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 9 giugno 2017 della CORTE di APPELLO di Venezia;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. MARIA DANIELA BORSELLINO;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Dr. SPINACI SANTE che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO E IN DIRITTO

1.La CORTE di APPELLO di Venezia, con sentenza emessa il 9 giugno 2017, parzialmente riformando la sentenza del Tribunale di Treviso del 19 aprile 2016 ha rideterminato la pena inflitta a (OMISSIS) in ordine al reato di appropriazione indebita aggravata dall’abuso di relazioni d’opera e dalla recidiva specifica e infraquinquennale.
2.Propone ricorso per cassazione l’imputato, con atto sottoscritto dal proprio difensore di fiducia deducendo:
2.1 violazione di legge in relazione agli articoli 646, 157, 158 e 163 c.p. poiche’ l’erronea individuazione del momento consumativo del delitto di appropriazione indebita attribuito all’imputato ha comportato la mancata declaratoria della intervenuta prescrizione di almeno uno degli episodi contestati. Ritiene il ricorrente che erroneamente la corte d’appello avrebbe individuato il momento di consumazione del reato nel mese di (OMISSIS), quando la persona offesa, avendo appreso delle vendite effettuate dal suo procuratore speciale, chiedeva invano la consegna delle somme incassate, mentre il reato si sarebbe consumato alla data di stipula del rogito notarile, quando l’imputato ha incassato il denaro senza fornire al proprietario adeguata comunicazione dell’avvenuta stipula. Cio’ posto, il termine di prescrizione per una delle due condotte contestate, quella relativa al rogito stipulato il 30 novembre 2009, sarebbe maturato prima della emissione del decreto di citazione a giudizio.
3. Il ricorso e’ inammissibile in quanto la censura non e’ stata avanzata con i motivi di gravame, incentrati sulla presunta assenza del necessario elemento soggettivo della condotta illecita posta in essere dall’imputato.
La doglianza e’ inoltre manifestamente infondata.
La corte di appello ha fornito idonea motivazione sul punto, rilevando correttamente che la data di consumazione dei reati deve essere collocata non prima del (OMISSIS), quando la persona offesa venendo a conoscenza della stipula dei rogiti notarili, chiese la consegna del denaro incassato.
E’ agevole rilevare che l’imputato ha provveduto a stipulare i rogiti notarili in forza di una specifica procura speciale conferitagli dalla persona offesa e pertanto in quella veste ha legittimamente incassato il denaro provento delle vendite. Di contro deve evidenziarsi che solo quando non ha dato seguito alla richiesta di consegna delle somme incassate da parte dell’avente diritto, l’imputato ha posto in essere un atto contrario al suo ruolo e certamente sintomatico di un atteggiamento appropriativo.
E’ noto che In tema di appropriazione indebita, se la detenzione del bene sia qualificata in forza di un contratto di leasing, il mero inadempimento dei canoni, cui consegue la risoluzione di diritto del contratto, non integra, di per se’, il reato di cui all’articolo 646 c.p.che, invece, si perfeziona solo nel momento in cui il detentore manifesta la sua volonta’ di detenere il bene “uti dominus”, non restituendo, senza alcuna giustificazione, il bene che gli viene richiesto e sul quale non ha piu’ alcun diritto. (Sez. 2, n. 25282 del 31/05/2016 – dep. 17/06/2016, Nunzella, Rv. 26707201)
Questi principi sebbene formulati in relazione al contratto di leasing possono trovare applicazione alla diversa vicenda in esame, in quanto l’imputato ha legittimamente stipulato il rogito notarile in forza di una procura speciale e solo di fronte alla successiva richiesta di consegna del provento della vendita da parte dell’avente diritto, avvenuta nel (OMISSIS), si e’ sottratto all’obbligo di restituzione adottando in quel momento un atto di interversione del possesso, che integra il reato addebitato.
Ed invero gia’ in epoca risalente questa corte di legittimita’ ha avuto modo di precisare che La inutile scadenza del termine di adempimento di una obbligazione civilistica che imponga la restituzione di una cosa altrui non determina ne’ prova, di per se’, la consumazione del reato di appropriazione indebita;perche cio’ avvenga e necessario che, in base a concludenti circostanze di fatto(che possono anche essere diverse dal dare alla cosa una destinazione diversa, incompatibile con il titolo del suo precedente e legittimo possesso, e possono consistere anche nel rifiuto ingiustificato della restituzione), sia rivelato il carattere intenzionale caratterizzante l’elemento soggettivo del reato, della omessa restituzione, nel senso che in quest’ultima coincida, in uno con l’elemento materiale del reato, intrinsecamente inerente alla protrazione non piu giustificata del possesso nella persona dell’agente), anche l’elemento soggettivo,inerente alla volonta di invertire il titolo del possesso medesimo appropriandosi della cosa al fine di trarne ingiusto profitto. (V 116818,anno 1971,ed ivi citate). (Sez. 2, n. 6872 del 02/02/1972 – dep. 18/10/1972, TEMEROLI, Rv. 12211601)
Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso (Corte Cost. 13 giugno 2000, n. 186), al versamento della somma, che ritiene equa, di Euro duemila a favore della cassa delle ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila alla cassa delle ammende.

Avv. Renato D’Isa