Corte di Cassazione, civile, Sentenza|4 novembre 2024| n. 28336.
Ampliamento uso parti comuni in condominio
Massima: In tema di condominio negli edifici, se nell’ambito della relazione di accessorietà supposta dall’art. 1117 cod. civ., ciascun condomino si avvale delle parti comuni in virtù del diritto di condominio, nondimeno il godimento delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, a vantaggio delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, può attuarsi mediante l’ampliamento delle relative facoltà, altrimenti commisurate al valore della rispettiva proprietà, mediante un titolo attributivo di maggiori diritti ex art. 1118, primo comma, cod. civ.; diversamente, se a beneficio di una o più unità immobiliari si impone sulle cose comuni un peso, che la destinazione delle cose in sé, o la misura dell’uso, non consentirebbero, vale a dire quando si assoggetta la parte comune, in favore di una o alcuna proprietà esclusiva, a fornire una utilità ulteriore e diversa, si dà luogo al sorgere di una servitù ex art. 1027 cod. civ. da costituire col consenso di tutti i partecipanti. In altri termini, allorché al partecipante è attribuito convenzionalmente il diritto di utilizzare le cose, i servizi e gli impianti comuni in modo ulteriore e diverso, tale diritto non può che qualificarsi come servitù costituita sulla cosa comune in favore della porzione di proprietà individuale.
Sentenza|4 novembre 2024| n. 28336. Ampliamento uso parti comuni in condominio
Data udienza 12 settembre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Condominio negli edifici – Parti comuni – Singolo condomino – Godimento delle cose, dei servizi e degli impianti comuni – Disciplina applicabile – Assoggettamento della parte comune, in favore di una o alcuna proprietà esclusiva, a fornire una utilità ulteriore e diversa – Costituzione servitù prediale – Configurabilità – Consenso unanime – Necessità
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta da:
Dott. FALASCHI Milena – Presidente
Dott. CARRATO Aldo – Consigliere
Dott. SCARPA Antonio – Consigliere-Rel.
Dott. GUIDA Riccardo – Consigliere
Dott. AMATO Cristina – Consigliera
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. 14077/2019 R.G. proposto da:
Na.Fr., Na.Ch. e Ca.Vi., elettivamente domiciliati in ROMA VI.BA., presso lo studio dell’avvocato SC.PI., che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato DI.GA.
Ricorrenti
Contro
CONDOMINIO (Omissis), CORSO DE.RE., elettivamente domiciliato in ROMA VIA NI.N., presso lo studio dell’avvocato AN.AM., che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato PA.RA.
avverso la SENTENZA delle CORTE D’APPELLO di BOLOGNA n. 360/2019 depositata il 04/02/2019.
Udita la relazione svolta nella pubblica udienza del 12/09/2024 dal Consigliere Antonio Scarpa.
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Stefano Pepe, che ha concluso per il rigetto del ricorso.
Uditi gli Avvocati Ga.Fi. e Pa.Fr. per delega dell’avvocato Am.An..
Ampliamento uso parti comuni in condominio
FATTI DI CAUSA
Na.Fr., Na.Ch. e Ca.Vi. hanno proposto ricorso articolato in sette motivi avverso la sentenza n. 360/2019 della Corte d’Appello di Bologna, depositata il 4 febbraio 2019.
Resiste con controricorso il Condominio (Omissis), sito in Forlì, Corso De.Re..
Il Condominio (Omissis) convenne Na.Fr., Na.Ch. e Ca.Vi., proprietarie di quote degli immobili destinati a cinema all’aperto, abitazione e ufficio, parimenti siti in Corso De.Re. di Forlì, identificati catastalmente al foglio 179, partt. 1834, 1087, sub. 1 e 2, e 1066, sub 1, chiedendo di accertare che tali unità immobiliari siano comprese nell’unitario condominio, stante il collegamento strutturale e funzionale con il corpo centrale del fabbricato, e che perciò le proprietarie siano tenute a concorrere alle spese per le parti comuni.
Le convenute contestarono l’appartenenza delle loro unità al complesso condominiale, trattandosi di stabili autonomi e separati, ed essendo l’androne dell’edificio condominiale piuttosto gravato da servitù di passaggio in favore delle loro proprietà individuali.
L’adito Tribunale di Forlì, con sentenza del 21 agosto 2013, respinse le domande del Condominio Repubblica 108, argomentando che, vertendosi in materia di supercondominio, sarebbe stato necessario accertare la volontà di ricomprendere in esso anche i beni di proprietà Na.Fr., Na.Ch. e Ca.Vi., laddove l’atto costitutivo del condominio, risalente al 14 gennaio 1949, prevedeva, piuttosto, la costituzione di servitù di passo attraverso l’ingresso e l’androne, riservata a favore dei fabbricati per cui è causa.
La Corte d’Appello di Bologna, riformando la sentenza di primo grado, ha tratto la conclusione che le proprietà Na.Fr., Na.Ch. e Ca.Vi. “partecipano al Condominio Corso Repubblica n. 108 avuto riguardo all’ingresso e all’androne di accesso da Corso De.Re.” proprio perché l’atto costitutivo del Condominio, rogito (Omissis) del 14 gennaio 1949, conteneva menzione di una “servitù di passo attraverso l’ingresso e l’androne in favore degli spettatori del pubblico locale esistente nel terreno retrostante e dei fabbricati ivi esistenti”.
Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Carmelo Celentano ha depositato memoria, concludendo per il rigetto del ricorso.
Le parti hanno depositato memorie.
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MOTIVI DELLA DECISIONE
1. Il primo motivo del ricorso di Na.Fr., Na.Ch. e Ca.Vi. deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 1117 c.c., escludendo che ricorra nel caso in esame la presunzione di condominialità del portone e dell’androne con riferimento alle proprietà esclusive delle ricorrenti.
Il secondo motivo del ricorso di Na.Fr., Na.Ch. e Ca.Vi. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1127 e ss. c.c., per aver negato la Corte d’Appello l’opponibilità al Condominio della servitù di passo in favore degli immobili acquistati dai signori Casadei oggetto del rogito del 2 febbraio 1953.
Il terzo motivo del ricorso di Na.Fr., Na.Ch. e Ca.Vi. deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1362 e ss. c.c., quanto alla interpretazione delle clausole contrattuali.
Il quarto motivo di ricorso denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., per l’erronea valutazione delle prove documentali e della CTU.
Il quinto motivo denuncia la violazione e falsa applicazione degli artt. 113 e 132 c.p.c. e dell’art. 111 Cost., per i vizi della motivazione della sentenza impugnata.
Il sesto motivo lamenta l’omesso esame circa un fatto decisivo, circa la preesistenza di una servitù costituitasi per destinazione del padre di famiglia.
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Il settimo motivo deduce la violazione degli artt. 342 c.p.c. e degli artt. 1324 e 1362 e ss. c.c., quanto alla formulazione dei motivi di appello.
2. Non sussistono le ragioni di inammissibilità del ricorso eccepite dal controricorrente, in quanto i motivi soddisfano l’onere di specificità sancito dall’art. 366, comma 1, n. 4) e n. 6), c.p.c., essendo indicate le norme di legge di cui le ricorrenti intendono lamentare la violazione, essendone esaminato il contenuto precettivo e raffrontato con le affermazioni in diritto contenute nella sentenza impugnata, ed essendo le censure corredate dalla indicazione del contenuto rilevante degli atti e dei documenti sui cui le stesse sono fondate.
3. Il primo motivo di ricorso sarebbe fondato per la violazione dell’art. 1117 c.c., in quanto il riconoscimento in favore di un’immobile (nella specie, quelli di proprietà esclusiva di Na.Fr., Na.Ch. e Ca.Vi.) di un diritto di servitù costituito per contratto e posto a carico di parti comuni di un condominio edilizio (nella specie, l’ingresso e l’androne del fabbricato del Condominio (Omissis)) non vale affatto (come invece ha concluso la Corte d’Appello di Bologna) a conferire (né a negare) al titolare di tale servitù la qualità di condomino, agli effetti della contitolarità delle parti comuni dell’edificio stabilita appunto dall’art. 1117 c.c., dell’attribuzione dei diritti sulle stesse in proporzione al valore della rispettiva unità immobiliare (art. 1118 c.c.) e dell’obbligo di contribuire alle spese per la conservazione e il godimento a norma dell’art. 1123 c.c.
Questa Corte ha più volte affermato che la disciplina del condominio degli edifici, di cui agli artt. 1117 c.c. e ss., è ravvisabile ogni qual volta sia accertato in fatto un rapporto di accessorietà necessaria che lega alcune parti comuni, quale quelle elencate in via esemplificativa – se il contrario non risulta dal titolo – dall’art. 1117 c.c., a porzioni, o unità immobiliari, di proprietà singola, delle quali le prime rendono possibile l’esistenza stessa o l’uso.
La nozione di condominio si configura, pertanto, non solo nell’ipotesi di fabbricati che si estendono in senso verticale, ma anche nel caso di più unità immobiliari o più edifici adiacenti orizzontalmente, purché aventi in comune alcuna delle parti necessarie all’uso collettivo, o delle aree, delle opere, delle installazioni o dei manufatti destinati, per caratteristiche strutturali e funzionali, all’uso comune ai sensi dell’art. 1117 c.c. (art. 1117-bis c.c.).
Ampliamento uso parti comuni in condominio
Quando, invece, manchi un così stretto nesso strutturale, materiale e funzionale, la condominialità di un complesso immobiliare, che comprenda porzioni eterogenee per struttura e destinazione, può essere comunque frutto della autonomia privata.
L’uso delle parti comuni ex art. 1117 c.c., come ad esempio del portone di ingresso e dell’androne che siano strutturalmente e funzionalmente destinati al servizio di distinti corpi di fabbrica, appartenenti a proprietari diversi, ma costituenti un unico complesso immobiliare, è regolato dall’art. 1102 c.c.
La disciplina del condominio di edifici è, invero, costruita sulla base di un insieme di diritti e obblighi, armonicamente coordinati,
contrassegnati dal carattere della reciprocità, che escludono la possibilità di fare ricorso alla disciplina in tema di servitù, presupponente, invece, fondi appartenenti a proprietari diversi, nettamente separati e posti uno al servizio dell’altro (Cass. n. 884 del 2018).
Se si ravvisa una servitù prediale su un bene condominiale (come nell’esempio di causa sul portone di ingresso e sull’androne del fabbricato del Condominio Corso Repubblica n. 108), in favore di una proprietà esclusiva esterna al complesso immobiliare, tale proprietà non viene per ciò solo a partecipare al condominio, agli effetti degli artt. 1117, 1102, 1118 e 1123 c.c.; l’esercizio della servitù viene regolato, piuttosto, a norma degli artt. 1063 e ss. c.c. e le spese inerenti alle opere necessarie vanno sostenute secondo quanto prescrive l’art. 1069, comma 3, c.c. (Cass. n. 6653 del 2017).
È poi questione di fatto, apprezzabile in sede di interpretazione del titolo costitutivo, accertare se la “servitù di passo” attraverso l’ingresso e l’androne del fabbricato condominiale, esercitabile dagli spettatori del locale pubblico esistente nell’area retrostante, configuri una servitù industriale, nell’ampia accezione di cui all’ultima parte dell’art. 1028 c.c., essendo l’utilità inerente al fondo dominante destinato ad attività commerciale nella sua funzione, o, piuttosto, una servitù aziendale, ove l’utilità sia intesa inerente all’azienda che insiste sull’immobile (cfr. Cass. n. 11064 del 1994; n. 16427 del 2012).
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3.1. I giudici del merito, pertanto, avrebbero dovuto ricostruire l’assetto dei rapporti oggetto di causa considerando i principi di seguito enunciati:
a) ai sensi dell’art 1117 c.c. l’androne e il portone d’ingresso che siano strutturalmente e funzionalmente destinati (non oggettivamente al servizio esclusivo di una o più unità immobiliari,
quanto) al servizio di più corpi di fabbrica che si sviluppano orizzontalmente, appartenenti a proprietari diversi, ma costituenti un’unica entità immobiliare, devono presumersi oggetto di comunione dei predetti proprietari, se il contrario non risulti dal titolo (Cass. n. 4986 del 1977; Cass. n. 1737 del 1968);
b) il titolo contrario ex art. 1117 c.c. alla presunzione di condominialità dell’androne, avente tale destinazione oggettiva all’uso comune, richiede una espressa ed inequivoca dichiarazione di volontà, contenuta nel primo atto di frazionamento costitutivo del condominio, che, in contrasto con l’esercizio del diritto comune, faccia ritenere che tale bene sia stato riservato dall’alienante o attribuito ad un singolo condomino in proprietà esclusiva;
c) non configura ex se titolo contrario agli effetti dell’art. 1117 c.c. la costituzione di una servitù a carico di parti comuni ed a vantaggio di una o più proprietà esclusive, in quanto l’esistenza di una siffatta servitù in favore della singola unità immobiliare non esclude la condominialità del fondo servente, del quale resta contitolare anche il proprietario della porzione individuale dominante. Alla ammissibilità di una servitù gravante su un bene condominiale e a favore di una proprietà individuale compresa nell’edificio non ostano, invero, né il principio nemini res sua servit, sussistendo sia la diversità dei fondi (dominante e servente), sia la (parziale) non coincidenza soggettiva dei titolari di tali fondi; né l’assunto difetto di utilità, sul presupposto che il vantaggio attribuito dalla servitù rientrerebbe già nel contenuto del diritto di condominio.
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Piuttosto, se nell’ambito della relazione di accessorietà supposta dall’art. 1117 c.c., ciascun condomino si avvale delle parti comuni in virtù del diritto di condominio, nondimeno il godimento delle cose, dei servizi e degli impianti comuni, a vantaggio delle unità immobiliari in proprietà esclusiva, può attuarsi mediante l’ampliamento delle relative facoltà, altrimenti commisurate al valore della rispettiva proprietà, mediante un titolo attributivo di maggiori diritti ex art. 1118, primo comma, c.c.
Diversamente, se a beneficio di una o più unità immobiliari si impone sulle cose comuni un peso, che la destinazione delle cose in sé, o la misura dell’uso, non consentirebbero, vale a dire quando si assoggetta la parte comune, in favore di una o alcuna proprietà esclusiva, a fornire una utilità ulteriore e diversa, si dà luogo al sorgere di una servitù ex art. 1027 c.c., da costituire col consenso di tutti i partecipanti (Cass. n. 11207 del 1993; n. 3749 del 1999; n. 6994 del 1998; n. 22408 del 2004).
In definitiva, allorché al partecipante è attribuito convenzionalmente il diritto di utilizzare le cose, i servizi e gli impianti comuni in modo ulteriore e diverso, tale diritto non può che qualificarsi come servitù, costituita sulla cosa comune in favore della porzione di proprietà individuale.
4. Nel valutare gli effetti della plausibile cassazione della sentenza impugnata, occorre tuttavia procedere ad un rilievo pregiudiziale.
4.1. Il Condominio (Omissis) ha domandato di accertare che gli immobili di proprietà di Na.Fr., Na.Ch. e Ca.Vi., destinati a cinema all’aperto, abitazione e ufficio, identificati catastalmente al foglio 179, partt. 1834, 1087, sub. 1 e 2, e 1066, sub 1, sono compresi nell’unitario contesto dominicale condominiale. Le convenute hanno, viceversa, fatto valere l’esistenza di una servitù posta a vantaggio delle loro proprietà individuali e a carico dell’androne dell’edificio condominiale.
4.2. La domanda di accertamento della qualità di condomino, in quanto inerente all’esistenza del rapporto di condominialità ex art. 1117 c.c., non vede quale legittimato alla causa l’amministratore di condominio, in forza delle attribuzioni e del potere di rappresentanza di cui agli artt. 1130 e 1131 c.c., ed impone, piuttosto, la partecipazione di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario, postulando la definizione della vertenza una decisione implicante una statuizione in ordine a titoli di proprietà configgenti fra loro, suscettibile di assumere valenza solo se, ed in quanto, data nei confronti di tutti i soggetti, asseriti partecipi del preteso unico condominio in discussione (Cass. n. 4697 del 2020; n. 35794 del 2021; n. 16679 del 2018; n. 24431 del 2017; n. 15550 del 2017; n. 6328 del 2003; n. 3119 del 1999).
Parimenti la domanda diretta ad ottenere l’accertamento di una servitù su un fondo di proprietà condominiale va proposta nei confronti di ciascuno dei condòmini, che soli possono disporre del diritto in questione, e non nei confronti dell’amministratore del condominio (Cass. n. 19566 del 2020).
Ampliamento uso parti comuni in condominio
4.3. La domanda del Condominio Repubblica 108, in quanto concerne l’esistenza, o meno, di un condominio unico in ordine ad una serie di unità immobiliari integranti porzioni di un complesso edilizio, e, quindi, la riconducibilità di talune delle strutture della costruzione di cui si tratta alla nozione di parti comuni dell’edificio condominiale di cui all’art. 1117 c.c., imponeva, dunque, la partecipazione quali legittimati alla causa di tutti i condomini in una situazione di litisconsorzio necessario.
Analogamente era imposto il litisconsorzio dei condomini per l’accertamento con efficacia di giudicato della vantata servitù sull’androne dell’edificio condominiale.
4.4. Spetta al giudice di controllare d’ufficio il rispetto del principio del contraddittorio nei casi di litisconsorzio necessario, e tale potere-dovere deve essere esercitato con riferimento a tutte le domande sottoposte al suo giudizio.
Né la decisione della causa nel merito comporta ex se la formazione del giudicato implicito sulla legittimazione ad agire o a resistere o sulla integrità del contraddittorio, ove tali profili non siano stati sollevati dalle parti, posto che una questione può ritenersi decisa dal giudice di merito soltanto ove abbia formato oggetto di discussione in contraddittorio, e che la corretta individuazione delle parti attiene alla stessa finalità della funzione giurisdizionale, anche al fine di non pervenire ad una sentenza suscettibile della potenziale proposizione dell’opposizione di terzo ai sensi dell’art. 404 c.p.c. (cfr. Cass. Sez. Unite n. 7925 del 2019; Cass. n. 21703 del 2009).
5. La causa, ai sensi del combinato disposto degli artt. 383, comma 3, e 354 c.p.c., data la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dei restanti condomini del Condominio (Omissis), sito in Forlì, Corso De.Re., deve essere rimessa al Tribunale di Forlì, giudice di primo grado, che provvederà anche sulle spese di questa fase di legittimità.
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P.Q.M.
La Corte, pronunciando sul ricorso, cassa la sentenza impugnata, dichiara la nullità del giudizio e rinvia, anche per le spese del procedimento di cassazione, al Tribunale di Forlì in persona di diverso magistrato.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della 2 Sezione civile della Corte suprema di cassazione, il 12 settembre 2024.
Depositato in Cancelleria il 4 novembre 2024.
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