L’amministratore di condominio che versa in un unico conto le risultanze delle precedenti gestioni

Corte di Cassazione, sezione seconda penale, Sentenza 31 gennaio 2020, n. 4161

Massima estrapolata:

L’amministratore di condominio che versa in un unico conto le risultanze delle precedenti gestioni, di fatto confondendole, commette il reato di appropriazione indebita. Difatti, sotto il profilo soggettivo non può sostenere di non aver agito con dolo specifico, previsto dall’articolo 646 del codice penale, fattispecie per la configurazione della quale è sufficiente il dolo eventuale.

Sentenza 31 gennaio 2020, n. 4161

Data udienza 19 dicembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DIOTALLEVI Giovanni – Presidente

Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere

Dott. PARDO Ignazio – rel. Consigliere

Dott. DI PISA Fabio – Consigliere

Dott. SARACO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso la sentenza del 09/04/2019 della CORTE DI APPELLO di TORINO;
udita la relazione svolta dal Consigliere IGNAZIO PARDO;
visti gli atti, il provvedimento, il ricorso;
udito il Sostituto Procuratore Generale Dott. RENATO FINOCCHI GHERSI che ha concluso chiedendo dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.
Udito il difensore avv.to (OMISSIS) che si riporta ai motivi.

RITENUTO IN FATTO

1.1 Con sentenza in data 9 aprile 2019, la corte di appello di Torino, confermava la sentenza del tribunale monocratico di Torino del 9 aprile 2018 che aveva condannato (OMISSIS) alle pene di legge in quanto ritenuto responsabile del delitto di appropriazione indebita commesso quale amministratore del condominio (OMISSIS), oltre al risarcimento del danno nei confronti della parte civile costituita.
1.2 Avverso detta sentenza proponeva ricorso per cassazione l’imputato, tramite il proprio difensore di fiducia, avv.to (OMISSIS), deducendo con due distinti motivi:
– inosservanza o erronea applicazione della legge penale e difetto di motivazione della pronuncia di condanna, non essendo stata raggiunta la prova della colpevolezza dell’imputato posto che era stata omesso lo svolgimento di perizia contabile sussistendo dubbi sugli ammanchi di cassa e sulla motivazione di tali mancanze poiche’ l’imputato aveva agito quale gestore di piu’ condomini versando le somme provenienti dalle diverse gestioni in un unico fondo, con conseguente confusione dei pagamenti e delle amministrazioni e cio’ doveva fare escludere il dolo del contestato delitto;
– inosservanza od erronea applicazione della legge penale con riferimento alla subordinazione della sospensione condizionale della pena al pagamento della provvisionale senza che fosse stata effettuata una valutazione delle condizioni economiche dell’imputato, cosi’ facendosi uso distorto del potere discrezionale riconosciuto al giudice.

CONSIDERATO IN DIRITTO

2.1 Entrambi i motivi di doglianza sono manifestamente infondati ed il ricorso appare, pertanto, inammissibile.
Quanto al primo motivo, va innanzitutto ricordato che, nel caso in esame, ci si trova dinanzi ad una “doppia conforme” e cioe’ doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova puo’ essere rilevato in sede di legittimita’ solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato e’ stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado, circostanza questa non sussistente nel caso in esame e neppure adeguatamente prospettata (Sez. 2, n. 5223 del 24/01/2007 Rv. 236130). Inoltre, si afferma ancora che, ai fini del controllo di legittimita’ sul vizio di motivazione, la struttura giustificativa della sentenza di appello si salda con quella di primo grado, per formare un unico complessivo corpo argomentativo, allorquando i giudici del gravame, esaminando le censure proposte dall’appellante con criteri omogenei a quelli del primo giudice ed operando frequenti riferimenti ai passaggi logico giuridici della prima sentenza, concordino nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento della decisione. (Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013, Rv. 257595). E nel caso in esame i giudici di appello hanno proprio fatto riferimento all’accurata verifica operata nella sentenza di primo grado, ove venivano specificate le spese che, pure essendo state riscosse dai condomini non risultavano pagate correttamente ai creditori, sottolineando altresi’ che l’evidente colpevolezza anche sotto il profilo soggettivo del ricorrente e’ resa manifesta dalla omessa consegna della documentazione contabile al nuovo amministratore, manifestante appunto il dolo del commesso reato di appropriazione. Peraltro la tesi difensiva secondo cui il versamento delle somme di diverse amministrazioni condominiali in un unico conto con conseguente confusione delle gestioni ed impossibilita’ poi di individuare gli attivi di ciascuna di esse escluderebbe il dolo di appropriazione indebita, appare evidentemente infondata posto che il reato di cui all’articolo 646 c.p. e’ punibile anche a titolo di dolo eventuale e cioe’ tramite condotte, come quelle ricostruite dalla difesa, che manifestano l’accettazione del rischio dell’appropriazione di somme altrui mediante la confusione in un unico conto. Difatti l’amministratore infedele, versando le somme provenienti da diverse gestioni in un unico fondo, sia esso costituito da impiego bancario o postale ovvero da altra forma di investimento, accetta certamente il rischio che attraverso la confusione delle stesse parte degli attivi riferibili a ciascuna amministrazione vengano distratti con conseguente appropriazione indebita dei medesimi.
Pertanto, le censure riproposte con il presente ricorso, vanno ritenute null’altro che un modo surrettizio di introdurre, in questa sede di legittimita’, una nuova valutazione di quegli elementi fattuali gia’ ampiamente presi in esame dalla Corte di merito la quale, con motivazione logica, priva di aporie e del tutto coerente con gli indicati elementi probatori, ha puntualmente disatteso la tesi difensiva. E non avendo il ricorrente evidenziato incongruita’, carenze o contraddittorieta’ motivazionali, la censura, essendo incentrata tutta su una nuova ed alternativa rivalutazione di elementi fattuali e, quindi, di mero merito, va dichiarata inammissibile.
2.2 In relazione al secondo motivo lo stesso viene specificamente intestato sotto il profilo della violazione di legge; tuttavia con la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinata al pagamento della provvisionale non si e’ incorsi in alcuna violazione di disposizione normative ne’, tanto meno, il ricorso specifica il riferimento che determinerebbe l’illegittimita’ di tale disposizione.
Quanto poi al dedotto cattivo uso del potere discrezionale ed al difetto di motivazione pure lamentato, con differenti pronunce sul tema questa corte ha affermato che in tema di sospensione condizionale della pena, nel caso in cui il beneficio venga subordinato all’adempimento dell’obbligo di risarcimento del danno, il giudice della cognizione non e’ tenuto a svolgere alcun accertamento sulle condizioni economiche dell’imputato, salva l’ipotesi in cui emergano situazioni che ne facciano dubitare della capacita’ economica di adempiere, ovvero quando tali elementi siano forniti dalla parte interessata (Sez. 6, n. 52730 del 28/09/2017, Rv. 271731); si e’ anche precisato che in tema di sospensione condizionale della pena subordinata al risarcimento del danno, il giudice, pur non essendo tenuto a svolgere un preventivo accertamento delle condizioni economiche dell’imputato, deve tuttavia effettuare un motivato apprezzamento di esse, qualora l’imputato abbia diligentemente allegato specifiche circostanze dirette a dimostrare l’assoluta incapacita’ a soddisfare la condizione imposta (Sez. 6, n. 11371 del 15/02/2018, Rv. 272544).
Puo’ pertanto affermarsi che secondo l’indirizzo cui questa corte intende aderire sussiste certamente un onere di motivazione dei giudici di merito che impongano la condizione del risarcimento del danno al beneficio della sospensione condizionale, solo ove siano state dedotte specifiche difficolta’ economiche e finanziarie dell’imputato. Ed ove la suddetta condizione sia stata applicata in sede di giudizio di primo grado e’ onere dell’appellante, per non incorrere nel vizio di aspecificita’ del gravame, dedurre circostanze concrete emerse in sede di istruzione di primo grado sulla base delle quali confutare la correttezza della decisione di prime cure.
Orbene, l’applicazione dei sopra esposti principi comporta dichiarare proprio l’inammissibilita’ del ricorso poiche’ il ricorrente non poteva limitarsi a dedurre l’esistenza di condizioni di difficolta’ finanziaria, dovendo invece specificamente indicare da quali atti del procedimento tali particolari condizioni risultavano. Invero, l’assolvimento dell’onere di diligenza indicato dal suddetto indirizzo giurisprudenziale avrebbe richiesto che nel corso del procedimento fosse stata fornita adeguata dimostrazione delle condizioni comprovanti l’indigenza ed il ricorso per cassazione avrebbe dovuto specificamente richiamare tali risultanze senza potere limitarsi ad una generica doglianza come invece svolto.
Da tali valutazioni ne deriva affermare che sia l’originario motivo di appello che la successiva doglianza avanzata nel presente ricorso per cassazione risultano affette da genericita’, non essendo stati specificati i precisi dati probatori sulla base dei quali potersi affermare che la condizione di indigenza dell’imputato precludeva l’applicazione del beneficio della sospensione condizionale della pena subordinato al risarcimento del danno.
In conclusione, l’impugnazione deve ritenersi inammissibile a norma dell’articolo 606 c.p.p., comma 3; alla relativa declaratoria consegue, per il disposto dell’articolo 616 c.p.p., la condanna dell’imputato ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’ al versamento in favore della Cassa delle ammende di una somma che, ritenuti e valutati i profili di colpa emergenti dal ricorso, si determina equitativamente in Euro 2.000,00.

P.Q.M.

dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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