Invalidità del testamento: annullabilità e nullità

L’Invalidità del testamento: annullabilità e nullità

ultima modifica 10 febbraio 2023

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1) INTRODUZIONE e PROFILI PROCESSUALI

In generale per testamento si intende l’atto con il quale taluno dispone, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte o parte delle proprie sostanze.

Si tratta, dunque, di un atto a causa di morte, in quanto la sua funzione è quella di regolamentare la sorte dei rapporti giuridici facenti capo al testatore per il tempo in cui avrà cessato di vivere; è un atto sempre revocabile fino all’ultimo istante di vita, unipersonale, in quanto è posto in essere da un unico soggetto, di natura formale, in quanto è necessario rispettare alcuni requisiti di forma, affinché l’atto abbia validità.

Possono fare testamento tutti coloro che abbiano raggiunto la maggiore età, che non siano interdetti per infermità di mente e che, in ogni caso, siano pienamente capaci di intendere e di volere al momento della redazione della scheda testamentaria.

Orbene, fatta questa opportuna e necessaria premessa, il testamento, come ogni altro negozio, può essere nullo o annullabile.

Le fattispecie di invalidità legittimanti l’impugnazione del testamento possono discendere dalla normativa generale in materia di contratti e dalle norme specifiche che disciplinano le successioni per vizi che ne determinano la nullità o l’annullabilità.

Dal testamento invalido (nullo o annullabile) deve essere tenuto distinto il testamento impugnabile in forza dell’azione di riduzione (artt. 553 e ss. c.c.) ovvero il testamento inefficace.

In generale il  testamento impugnabile, si ha quando esso, pur presentendo tutti i requisiti di validità ed essendo idoneo a produrre gli effetti dovuti, può venir meno in virtù d’impugnativa basata su una circostanza estrinseca.

Si pensi, come già scritto, alla riduzione delle disposizioni testamentarie per integrare la quota di riserva (riguardo al primo caso) ed all’istituzione sotto condizione risolutiva (riguardo al secondo caso).

La Nullità e l’annullabilità sono, inoltre, fattispecie differenti anche dall’inesistenza.

Il testamento inesistente, secondo la dottrina, si ha quando, pur esistendo in fatto, è affetto da un vizio così grave e radicale da impedire la stessa possibilità di identificare il testamento come tale: un’ipotesi è stata individuata nel testamento orale, o secondo la Giurisprudenza[1] di legittimità nel caso di un testamento falso.

Al riguardo, è importante già evidenziare, la differenza con le fattispecie invalidanti è tutta incentrata sull’efficacia. Difatti per quanto riguarda, ad es., la nullità non ci si può accontentare del rilievo di carattere generale per cui l’atto nullo non sarebbe idoneo a sortire efficacia alcuna. La legge prescrive infatti che il testamento nullo sia comunque suscettibile di conferma (art. 590 c.c.), donde la notevole importanza di stabilire in concreto se un atto di ultima volontà sia semplicemente nullo oppure se, al contrario, esso sia affetto da un così grave vizio che non possa neppure essere considerato come esistente.

Con tutta evidenza infatti il testamento inesistente non sarà suscettibile di assumere effetti neppure in esito ad un atto di conferma.

Ulteriore precisazione[2] è quella riferita al momento al quale vanno riferite l’invalidità e l’inefficacia del negozio testamentario –

1)     al tempo della confezione del testamento –

A)   si deve aver riguardo per i requisiti soggettivi del testatore (capacità e volontà di disporre)

B)    per la forma del testamento[3] –

C)    e in alcuni casi per la capacità di ricevere per testamento (protutore – notaio testimoni – interprete – persone interposte)

2)     al momento dell’apertura della successione –

A)   per i requisiti dell’oggetto della disposizione –

B)    incapacità di ricevere  per testamento (premorti, nascituri, figli di determinata persona non vivente al tempo della morte del testatore).

Ai fini endo-processuali la proposizione della domanda di nullità del testamento è assolutamente distinta[4] quanto a presupposti, disciplina e conseguenze dalla domanda di annullamento del medesimo, sicché deve escludersi che l’una azione sia compresa nell’altra o che siano tra loro in rapporto di fungibilità anche nel caso in cui risultino fondate sui medesimi fatti.

La Suprema Corte con una sentenza non molto recente

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 25 maggio 2012, n. 8366

ha svolto un’attenta analisi in merito.

Anzitutto, si legge in tale sentenza, è opportuno osservare che una medesima pronuncia della stessa Corte del 30-7-1999 n. 8255, non ha affatto affermato che la ritenuta radicate distinzione tra azioni di nullità e di annullamento nei termini sopra enunciati sia l’effetto di un principio specifico inerente alla materia testamentaria, avendo al contrario rilevato espressamente in motivazione che tale principio è valido “anche” in tale materia, oltre che evidentemente in tema di domanda di invalidità del contratto.

Sulla base di tale premessa, occorre subito aggiungere che in realtà l’orientamento di gran lunga prevalente maturato a tale ultimo proposito ritiene che la domanda giudiziale con cui la parte intenda far accertare la nullità di un contratto al fine di poterne disconoscere gli effetti si pone, rispetto ad un’ipotetica domanda di annullamento di quel medesimo contratto dipendente da una invalidità meno grave, nei termini di maggiore a minore, sicchè il giudice, in luogo della richiesta declaratoria di radicale nullità di un contratto, può pronunciarne l’annullamento, ove quest’ultimo sia fondato sui medesimi fatti, senza che la sentenza sia censurabile per vizio di ultrapetizione (Cass. 12-11-1988 n. 6139; Cass. 13-12-1996 n. 11157; Cass. 26-11-2002 n. 16708; Cass. 18-7-2007 n. 15981).

Orbene tale indirizzo è pienamente convincente e meritevole di adesione, considerato che la nullità e l’annullabilità sono entrambe riconducibili alla invalidità dell’atto negoziale e che esiste tra di loro un rapporto di gradualità, costituendo manifestazione di diversi livelli di non conformità dell’atto al modello normativo; pertanto, dovendosi il “petitum” identificare con riferimento al contenuto sostanziale della pretesa fatta valere in giudizio dalla parte, ne consegue che la pronuncia di annullamento di un contratto, ove fondata sui medesimi fatti dedotti nella domanda, non eccede i limiti della domanda stessa con cui la parte abbia chiesto la declaratoria di nullità del medesimo contratto; a tal riguardo è opportuno chiarire che, ogni qualvolta i fatti dedotti dall’attore stano coerenti con gli effetti giuridici ai quali, esplicitamente o implicitamente, egli abbia collegato la sua pretesa, correttamente il giudice, ove accerti l’esistenza materiale di quei fatti, ed anche indipendentemente dall’esattezza della qualificazione giuridica loro attribuita, accoglie la pretesa.

A tal punto deve rilevarsi che non sussistono ragioni di alcun genere per escludere l’applicazione di tali principi di natura processuale alla materia testamentaria, in presenza di una previsione normativa che disciplina sia le ipotesi di nullità, sia quelle di annullamento del testamento (art. 606 c.c., commi 1 e 2).

Con altro intervento sul punto  la Cassazione,

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 29 ottobre 2018, n. 27414

ha affermato che la domanda giudiziale con cui la parte intenda fare accertare la nullità di un testamento, al fine di poterne disconoscere gli effetti, si pone, rispetto ad un’ipotetica domanda di annullamento di quel medesimo atto dipendente da un’invalidità meno grave, nei termini di maggiore a minore, sicché il giudice, in luogo della richiesta declaratoria di radicale nullità del testamento, può pronunciarne l’annullamento, ai sensi dell’art. 606, comma 2, c.c., ove quest’ultimo risulti fondato sugli stessi fatti, senza che la sentenza sia censurabile per il vizio di ultrapetizione; né rileva, al riguardo, il principio di conservazione delle ultime volontà del defunto, non ricorrendo, nel caso in esame, una questione di interpretazione del testamento, bensì di qualificazione della suddetta domanda di nullità.
Nel testamento olografo l’omessa o incompleta indicazione della data ne comporta l’annullabilità; l’apposizione di questa ad opera di terzi, invece, se effettuata durante il confezionamento del documento, lo rende nullo perché, in tal caso, viene meno l’autografia stessa dell’atto, senza che rilevi l’importanza dell’alterazione. Peraltro, l’intervento del terzo, se avvenuto in epoca successiva alla redazione, non impedisce al negozio “mortis causa” di conservare il suo valore tutte le volte in cui sia comunque possibile accertare la originaria e genuina volontà del “de cuius”. (Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto nullo il testamento al quale il terzo, durante la stesura del medesimo, aveva aggiunto la data ed il luogo di formazione).

Inoltre, nel caso di comunione ereditaria per l’amministrazione dei beni dell’eredità, in ipotesi di pendenza di giudizio di nullità o di annullamento del testamento, le quote ereditarie rimangono provvisoriamente determinate in base alle disposizioni del testamento stesso[5], anche ai fini del calcolo delle maggioranze richieste per la gestione della comunione ereditaria, fino a quando la nullità o l’annullamento del testamento non siano riconosciuti con sentenza definitiva.

Infine, stante una differenza di base tra la volontà negoziale e quella testamentaria, secondo la Suprema Corte[6], l’interpretazione del testamento è caratterizzata, rispetto a quella contrattuale, da una più penetrante ricerca, al di là della mera dichiarazione, della volontà del testatore, la quale, alla stregua delle regole ermeneutiche di cui all’art. 1362 c.c. (applicabili con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria), va individuata sulla base dell’esame globale della scheda testamentaria, con riferimento, essenzialmente nei casi dubbi, anche ad elementi estrinseci alla scheda, come la cultura, la mentalità e l’ambiente di vita del testatore.

Ne deriva che il giudice di merito può attribuire alle parole usate dal testatore un significato diverso da quello tecnico e letterale, quando si manifesti evidente, nella valutazione complessiva dell’atto, che esse siano state adoperate in senso diverso, purché non contrastante ed antitetico, e si prestino ad esprimere, in modo più adeguato e coerente, la reale intenzione del “de cuius” (nel ribadire tali principi, la S.C. ha annullato la decisione di merito che, in relazione all’istituzione di erede risolutivamente condizionata, aveva equiparato, al fine dell’avveramento della condizione “si sine liberis decesserit”, i figli adottivi a quelli legittimi, alla stregua esclusivamente dei parametri normativi di cui agli art. 536 e 567 c.c.).

Accertamento negativo autenticità testamento

Sotto un mero profilo processuale nell’ipotesi di conflitto tra l’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e colui il quale vanti diritti in forza di esso con ultimo intervento le sezioni Unite

Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 15 giugno 2015, n. 12307

hanno difintivamente risolto (si spera) l’annoso problema in merito appunto alla problematica se all’erede legittimo deve ritenersi consentita la facoltà di disconoscere, ai sensi e per gli effetti degli arti. 214 e seguenti c.p.c., il testamento olografo fatto valere contro di lui, e se tale disconoscimento può essere esercitato anche in sede di azione di petitio heraeditatis, nel corso della quale l’erede legittimo esplicitamente contesti l’autenticità del predetto testamento o deve essere proposta la querela di falso con le forme di cui all’art. 221 e ss. cod. proc. civ., con il conseguente onere probatorio a carico della parte che contesti la genuinità della scheda testamentaria.

Ebbene le sezioni unite dopo ampio ragionamento hanno affermato il seguente principio:

La parte che contesti l’autenticità del testamento olografo deve proporre domanda di accertamento negativo della provenienza della scrittura, e l’onere della relativa prova, secondo i principi generali dettati in tema di accertamento negativo, grava sulla parte stessa.

È convincimento del collegio che le inevitabili aporie destinate a vulnerare l’una e l’altra ipotesi di soluzione, tra quelle prospettate sino ad oggi in dottrina e in giurisprudenza, possano essere non del tutto insoddisfacentemente superate adottando una terza via, già indicata dalla giurisprudenza di questa Corte con la risalente sentenza del 1951 (Cass. 15.6.1951 n. 1545, Pres. Mandrioli, est. Torrente), e cioè quella predicativa della necessità di proporre un’azione di accertamento negativo della falsità.
Pur nella consapevolezza delle obiezioni mosse ilio tempore a tale ipotesi di soluzione del problema, è convincimento del collegio che la proposizione di una azione di accertamento negativo che ponga una questio nullitatis in seno al processo (anche se, più correttamente, sarebbe a discorrere di una quaestio inexistentiae) consente di rispondere:
1) da un canto, all’esigenza di mantener il testamento olografo definitivamente circoscritto nell’orbita delle scritture private;

2) dall’altro, di evitare la necessità di individuare un (assai problematico) criterio che consenta una soddisfacente distinzione tra la categoria delle scritture private la cui valenza probatoria risulterebbe “di incidenza sostanziale e processuale intrinsecamente elevata, tale da richiedere la querela di falso”, non potendosi esse “relegare nel novero delle prove atipiche” (così la citata Cass. ss.uu. 15161/2010 al folio 4 della parte motiva);

3) dall’altro, di non equiparare l’olografo, con inaccettabile semplificazione, ad una qualsivoglia scrittura proveniente da terzi, destinata come tale a rappresentare, quoad probationis, una ordinaria forma di scrittura privata non riconducibile alle parti in causa;
4) dall’altro ancora, di evitare che il semplice disconoscimento di un atto caratterizzato da tale peculiarità ed efficacia dimostrativa renda troppo gravosa la posizione processuale dell’attore che si professa erede, riversando su di lui l’intero onere probatorio del processo in relazione ad un atto che, non va dimenticato, è innegabilmente caratterizzato da una sua intrinseca forza dimostrativa;
5) infine, di evitare che la soluzione della controversia si disperda nei rivoli di un defatigante procedimento incidentale quale quello previsto per la querela di falso, consentendo di pervenire ad una soluzione tutta interna al processo, anche alla luce dei principi affermati di recente da questa stessa Corte con riguardo all’oggetto e alla funzione del processo e della stessa giurisdizione, apertamente definita “risorsa non illimitata” (Cass. ss.uu. 26242/2014).

2) L’ANNULLABILITA’

L’annullabilità presuppone un’anomalia del negozio considerata dal legislatore di minore gravità (rispetto ai casi di nullità) e comporta una sanzione meno grave.

Il negozio produce, infatti, tutti gli effetti a cui era diretto, ma questi possono venire meno con l’azione di annullamento.

L’azione si prescrive in 5 anni, che nei casi di annullabilità delle disposizioni per incapacità di testare o per vizi di forma, decorre[7] dal giorno in cui è stata data esecuzione alla disposizione stessa, mentre nei casi di annullabilità per vizi di volontà del testatore decorre dal giorno in cui si è avuta rispettivamente notizia dell’errore, della violenza o del dolo.

Inoltre, secondo la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 14656 del 27 agosto 2012

il termine per annullare la transazione fra eredi scatta dalla perizia che dichiara falso il testamento, pertanto i cinque anni per l’azione ex articolo 1973 c.c. decorrono dalla data in cui l’esperto incaricato ha consegnato il suo responso.

Ancora, per altra recente Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 20 febbraio 2020, n. 4449.

il “dies a quo” di decorso del termine di prescrizione quinquennale dell’azione di annullamento del testamento olografo per incapacità del testatore, ex art. 591 c.c., va individuato in quello di compimento di un’attività diretta alla concreta realizzazione della volontà del “de cuius” – come la consegna o l’impossessamento dei beni ereditati o la proposizione delle azioni giudiziarie occorrenti a tale scopo – anche da parte di uno solo dei chiamati all’eredità e senza che sia necessario eseguire tutte le disposizioni del testatore. Ne consegue che, in caso di istituzione di un erede universale, non occorre che questi dimostri, al fine predetto, di aver disposto a titolo esclusivo dei beni costituenti l’intero “universum ius defuncti”. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso che integrasse gli estremi di una condotta esecutrice, sia pure parzialmente, delle disposizioni testamentarie, quella con la quale l’erede aveva continuato a percepire, dopo la morte della “de cuius”, il canone di locazione di un immobile commerciale facente parte del compendio ereditario).

A)   Assolutezza

            L’azione spetta a chiunque ne abbia interesse[8], importante differenza rispetto alla comune  azione di annullamento.

            Ciò trova la sua giustificazione[9] nella natura del negozio testamentario, nel quale non esiste una controparte, non essendo esso recettizio perché destinato ad avere effetti verso una pluralità di soggetti.

Ma secondo la Suprema Corte[10] l’art. 591 c.c., attribuendo la facoltà di impugnare il testamento a chiunque abbia interesse, estende, rispetto alla normale azione di annullamento, la categoria dei soggetti legittimati all’impugnazione, assimilando la relativa disciplina a quella dell’azione di nullità prevista  dall’art. 1421 c.c., ma pone, tuttavia, un preciso limite a detta estensione, rappresentato dalla necessità che chi invoca l’annullamento abbia interesse ad ottenerlo e non sia un “quisque de populo”.

Tale interesse, infatti, deve essere diretto ed attuale e non eventuale e futuro, di guisa che la posizione giuridica soggettiva di chi agisce sia suscettibile di ricevere un concreto ed effettivo pregiudizio dal permanere dell’atto nel mondo del diritto e, per converso, un concreto ed effettivo vantaggio dalla sua caducazione.

La Cassazione, da ultimo,

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 novembre 2020| n. 25077.

ha avuto modo di precisare che linteresse del successibile a impugnare il testamento non può essere negato per il fatto che, in linea teorica e astratta, potrebbero esistere altre persone appartenenti a una delle categorie chiamate per legge alla successione. Un siffatto interesse può essere disconosciuto solo in caso di presenza effettiva di un chiamato che lo preceda nell’ordine successorio.

 

B)    Effetti

Il testamento annullabile produce i suoi effetti fino a quando non interviene la sentenza costitutiva di annullamento (efficacia interinale del negozio annullabile[11]).

A seguito della pronunzia di annullamento, la disposizione perde la sua efficacia e gli effetti già prodottisi vengono eliminati, nei confronti degli istituti, retroattivamente, in base al principio generale stabilito dall’art.1445 c.c.

art 1445  c.c.  effetti dell’annullamento nei confronti dei terzi: l’annullamento che non dipende da incapacità legale non pregiudica i diritti acquistati a titolo oneroso dai terzi di buona fede, salvi gli effetti della trascrizione della domanda giudiziale di annullamento.

I terzi sono tutelati in base alle regole relative all’erede apparente –

art. 534 c.c.    diritti dei terzi: l’erede può agire anche contro gli aventi causa da chi possiede a titolo di erede o senza titolo.

Sono salvi i diritti acquistati, (1° elemento costitutivo)   per effetto di convenzioni a titolo oneroso con l’erede apparente, dai terzi i quali provino di avere contrattato   (2° elemento costitutivo)   in buona fede.

La disposizione del comma precedente non si applica ai beni immobili e ai beni mobili iscritti nei pubblici registri, (sia  – 1)  se l’acquisto a titolo di erede (c.c.2648) (sia  –  2)    e l’acquisto dall’erede apparente non sono stati trascritti anteriormente  alla trascrizione dell’acquisto da parte dell’erede o del legatario vero, o alla trascrizione della domanda giudiziale contro l’erede apparente (c.c. 2652, n. 7).

C)   Vizi della volontà

 art. 624 c.c.    violenza, dolo, errore: la disposizione testamentaria[12] può essere impugnata da chiunque vi abbia interesse quando è l’effetto di errore, di violenza o di dolo (c.c.1427 e seguenti).

L’errore sul motivo, sia esso di fatto o di diritto, è causa di annullamento della disposizione testamentaria, quando il motivo risulta dal testamento ed è il solo che ha determinato il testatore a disporre.

L’azione (2652, 2960) si prescrive in cinque anni dal giorno in cui si è avuta notizia della violenza, del dolo o dell’errore.

Il concetto di captazione

La captazione[13] consiste nel creare nel testatore la fallace convinzione di determinare spontaneamente e liberamente la propria volontà, ed integra una forma di dolo specifico alla materia dei testamenti, rimanendo, pertanto, distinta dalla violenza esercitata (direttamente od indirettamente) sul testatore, che costituisce un vizio autonomo del testamento.

Il concetto di dolo contrattuale e dolo testamentario è unitario, non potendosi, in entrambi i casi, prescindere dalla necessità di un voluto e cosciente impiego di mezzi fraudolenti, idonei a trarre in inganno colui verso il quale sono diretti.

Nel caso del testamento, tuttavia, tale idoneità deve essere valutata con maggior larghezza.

Difatti, secondo una ben nota sentenza[14] di legittimità un’impugnazione di una disposizione testamentaria che si assuma effetto di dolo, ovvero possa considerarsi inficiata da captazione, il vizio della volontà deve integrare gli estremi del dolus malus causam dans previsto in ambito contrattuale. Non è pertanto sufficiente la mera pressione di ordine psicologico esercitata dal de cuius attraverso sollecitazioni, blandizie et alia similia, ma si richiede, invece, il concorso di ulteriori elementi che presentino i connotati della callidità e dell’illecito e che siano tali da trarre in inganno il disponente e da indurlo a testare in un senso diverso da quello in cui si sarebbe orientato se la sua volontà non fosse stata subdolamente deviata. L’idoneità dei mezzi de quibus deve però essere valutata, in relazione al testamento, con maggiore larghezza (come già sottolineato in precedenza) rispetto alla materia contrattuale e, in ogni caso, con precipuo riferimento all’età, allo stato di salute e alle condizioni psichiche del de cuius, in considerazione della particolare natura del negozio testamentario nonché del fatto che, nell’atto di compierlo, il disponente potrebbe risultare più facile vittima di altrui suggestioni a causa di anormali condizioni di salute o di spirito.

La relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano, di identificare e ricostruire la attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore[15]. Ai fini del convincimento del giudice in ordine alla capacità del testatore, può essere rilevante anche la forma con cui è stato redatto il testamento. Dette valutazioni costituiscono apprezzamenti di fatto non sindacabile in sede di legittimità, se sorretti da congrua motivazione[16].

Riguardo, sempre, alla prova in un’altra sentenza la Giurisprudenza di merito[17] si è pronunciata stabilendo che un testamento olografo non può essere annullato per l’esistenza di atti di captazione ove non venga fornita una precisa prova in merito alla consistenza di tali atti (nel caso di specie è emerso che il testatore non era stato oggetto di una forma di “isolamento” – che è una delle forme più ricorrenti di suggestione testamentaria – ma soltanto oggetto di particolari attenzioni perché nel corso delle frequenti visite da parte degli interessati parenti costoro non insistessero su argomenti successori, che in precedenza avevano causato nell’anziano una stato d’angoscia ed un vero e proprio malore).

Per una pronuncia della S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 4 febbraio 2014, n. 2448

si legge testualmente che è indubitabile che le circostanze riferite in sede di illustrazione in merito allo stato di isolamento  al quale è stata costretta la testatrice, stato di isolamento che avrebbe alterato, minandone la genuinità, la volontà, possono rivestire valenza essenzialmente nel solco dell’art. 624 c.c, segnatamente sub specie di captazione.
Ed è indubitabile, inoltre, perché la captazione possa configurarsi, che non è sufficiente qualsiasi influenza di ordine psicologico esercitata sul testatore mediante blandizie, richieste, suggerimenti o sollecitazioni, ma che occorre la presenza di altri mezzi fraudolenti, i quali – avuto riguardo all’età, allo stato di salute, alle condizioni di spirito dello stesso – siano idonei a trarlo in inganno, suscitando in lui false rappresentazioni ed orientando la sua volontà in un senso in cui non si sarebbe spontaneamente indirizzata (cfr. Cass. 28.5.2008, n. 14011).
Ed è indubitabile, infine, che la relativa prova, pur potendo essere presuntiva, deve fondarsi su fatti certi che consentano di identificare e ricostruire l’attività captatoria e la conseguente influenza determinante sul processo formativo della volontà del testatore. (cfr. Cass. 28.5.2008, n. 14011).

Invece che cosa si intende per errore sul motivo ?

Secondo una lontana sentenza[18] del ‘62 è quello sulla valutazione che della situazione reale abbia fatto il testatore nel suo libero ed insindacabile apprezzamento, circa l’importanza e la conseguenza della realtà stessa in relazione alle sue personali vedute ed aspirazioni ed ai fini perseguiti nel dettare le sue ultime volontà; l’errore sul motivo non è configurabile nell’ipotesi in cui la situazione esistente al tempo della redazione del testamento ed assunta come motivo determinante della disposizione testamentaria sia poi mancata, e cioè sia venuta meno o sia stata modificata per effetto di fatti sopravvenuti, in quanto in questo caso esula l’estremo dell’errore, né si può attribuire rilevanza alla sopravvenienza, in sé e per sé configurata, giacché essa è dalla legge configurata come causa di revocazione ex lege delle disposizioni testamentarie solo in casi tassativamente determinati (artt. 686 e 687 c.c.) fuori dei quali le disposizioni conservano piena efficacia ad onta dei mutamenti verificatisi nella situazione tenuta presente dal testatore, qualora non siano revocate nelle forme e nei modi previsti dagli artt. 680 e 684 c.c.

Per altra sentenza di merito[19], più recente, si configura unicamente qualora emerga con assoluta certezza che la volontà del testatore sia stata dominata dalla rappresentazione di un fatto non veritiero.

In altre parole l’errore sul motivo è quello che cade sulla realtà oggettiva e non sulle valutazioni della medesima e della sua rilevanza in ordine ai fini perseguiti dal testatore.

 D) Incapacità di disporre per testamento

 art. 591 c.c.   casi d’incapacità: possono disporre per testamento tutti coloro che non sono dichiarati incapaci dalla legge.

Sono incapaci di testare:

l)  coloro che non hanno compiuto la maggiore età;

2) gli interdetti per infermità di mente (c.c.414);

3) quelli che, sebbene non interdetti, si provi essere stati, per qualsiasi causa, anche transitoria, incapaci di intendere e di volere nel momento in cui fecero testamento.

Nei casi d’incapacità preveduti dal presente articolo il testamento può essere impugnato da chiunque vi ha interesse.

L’azione si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie (c.c.590, 620, 621, 623).

E) Incapacità naturale

Prima di tutto è opportuno stabilire cosa s’intende per incapacità naturale in senso generale: orbene secondo la Giurisprudenza di legittimità[20] la incapacità di intendere o di volere, costituente causa di annullamento del negozio ai sensi dell’art. 428 c.c., consiste “in un turbamento di normali processi di formazione ed estrinsecazione della volontà, che può essere causato anche da grave malattia e deve essere tale, comunque, da impedire la capacità cosciente e la libera determinazione del soggetto”.

Sempre secondo altra sentenza di Cassazione[21] l’incapacità naturale consiste “in ogni stato psichico abnorme, pur se improvviso e transitorio, e non dovuto a una tipica infermità mentale o a un vero e proprio processo patologico che abolisca o faccia notevolmente scemare le facoltà intellettive o volitive in modo da impedire od ostacolare una seria valutazione degli atti stessi o la formazione di una volontà cosciente”.

Per aversi incapacità naturale di uno dei contraenti al momento della conclusione del contratto non è sufficiente, pertanto, che il normale processo di formazione e di estrinsecazione della volontà sia in qualche modo turbato, come può accadere in caso di grave malattia, ma è necessario che le facoltà intellettive e volitive del soggetto siano, a causa della malattia, perturbate al punto da impedirgli una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio, il che va provato in modo rigoroso e specifico. Non è cioè necessaria la prova che il soggetto, nel momento del compimento dell’atto, versasse in uno stato patologico tale da far venir meno, in modo totale e assoluto, le facoltà psichiche, essendo sufficiente accertare che tali facoltà fossero perturbate al punto da impedire al soggetto una seria valutazione del contenuto e degli effetti del negozio, e quindi il formarsi di una volontà cosciente.

Ebbene, fatta questa necessaria premessa, nell’ambito delle disposizioni testamentarie secondo una  sentenza di merito[22]il testamento può essere annullato per incapacità naturale del testatore, laddove tale incapacità non si configura in una qualsiasi condizione patologica, anche transitoria, che sia astrattamente suscettibile di influenzare il volere del testatore, ma solo in quella alterazione del processo di formazione e di manifestazione della volontà che renda il medesimo assolutamente privo della coscienza del significato dei propri atti e ne escluda, di conseguenza, la capacità di autodeterminazione. Ne consegue che non può essere accolta la richiesta di annullamento del testamento in assenza della prova, da parte degli attori, che il de cuius, al momento della redazione del proprio testamento, fosse incapace, nel senso sopra spiegato, di comprendere il significato e la portata dell’atto che stava compiendo.

Altra sentenza di merito[23] ha previsto che l’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche e intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi.

Questi provvedimenti hanno recepito in pieno il principio postulato dalla Suprema Corte[24] in una nota sentenza secondo cui “l’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere.” o ancora[25] l’annullamento del testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice alterazione delle facoltà psichico-intellettive del de cuius, ma la ben più rigorosa prova che, a causa di una infermità transitoria o permanente, il soggetto, all’atto della formazione delle disposizioni testamentarie, sia stato privo in modo assoluto della capacità di autodeterminarsi, così da versare in condizioni analoghe a quelle che, concorrendo l’abitualità, legittimerebbero la pronuncia di interdizione per infermità di mente”.

Principio ribadito da altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 6 novembre 2013, n. 24881

secondo la quale l’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del ‘de cuius’, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere (come previsto testualmente dall’art. 591, comma 2, n. 3) c.c.).

Ancora, con altra pronuncia la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 marzo 2014, n. 5527

ha riaffermato che l’annullamento di un testamento per incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi, con il conseguente onere, a carico di chi quello stato di incapacità assume, di provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere (Cass. n. 9081 del 2010). Invero, posto che lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a colui che impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso è compito di chi vuole avvalersi del testamento dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo” (Cass. n. 8079 del 2005; Cass. n. 9508 del 2005).

Come già stabilito dalla medesima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 30 gennaio 2013, n. 2212

seconda la quale in tema di annullamento del testamento per incapacità del testatore, mentre costituisce onere a carico di chi quello stato di incapacità assume provare che il testamento fu redatto in un momento di incapacità di intendere e di volere del testatore, quando invece risulti lo stato di incapacità permanente di quest’ultimo incombe a colui che faccia valere il testamento dimostrare che la redazione è avvenuta in un intervallo di lucidità.

Principi, già, postulati precedentemente, ovvero: quando la richiesta di annullamento del testamento, appunto, tragga la sua origine in una presunta incapacità naturale del de cuius spetta all’attore l’onere[28] di dimostrare la sussistenza di una effettiva condizione di incapacità del testatore, poiché tale situazione postula la sussistenza di una infermità, transitoria o permanente che sia, che colpisce il soggetto nel momento della redazione dell’atto giuridico e che, pertanto, si configura come una eccezione rispetto alla regola, diversamente da quanto accade, invece, in caso di incapacità totale o permanente dove, stante l’autonoma rilevanza dell’accertata condizione di incapacità, è chi vuole avvalersi del testamento che deve fornire la prova che il suo autore, al momento della stesura, fosse perfettamente lucido e capace di autodeterminarsi. Infatti secondo la Suprema Corte[29], poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a colui che impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso è compito di chi vuole avvalersi del testamento dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo.

Sempre ai fini processuali è stato poi, ribadito nella stessa sentenza del 2014

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 marzo 2014, n. 5527

che quando un giudizio deve necessariamente risultare dall’esame coordinato di numerosi elementi, come nel caso di giudizio sulla capacita di intendere e di volere della persona defunta (al fine di riconoscere o meno la sua capacita di testare), il problema se il giudice del merito abbia o meno motivato adeguatamente va esaminato con riferimento all’insieme di tali elementi e con riguardo al complesso delle difese rispettivamente dedotte dalle parti contrapposte” e che “l’eventuale silenzio della motivazione su taluni degli elementi citati non può essere considerato omesso esame di punti decisivi qualora, nel suo complesso, il giudizio risulti adeguatamente e concretamente giustificato né si possa affermare che senza quel silenzio la decisione avrebbe potuto essere diversa” (Cass. n. 2407 del 1981).

Non paga dei numerosi interventi ancora la Cassazione, 

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, sentenza 30 novembre 2017, n. 28758

ha avuto modo di precisare che l’apprezzamento del giudice di merito circa l’incapacità di intendere e di volere costituisce indagine di fatto e valutazione di merito non censurabile in sede di legittimità, se fondata su congrua motivazione, immune da vizi logici ed errori di diritto. (Cass. n. 162/1981).
Tale giudizio deve necessariamente risultare dall’esame coordinato di numerosi elementi e l’adeguatezza della motivazione del giudice del merito deve essere vagliata con riferimento all’insieme degli stessi, nonché alle difese delle parti, al fine di verificare che, nel suo complesso, il giudizio risulti adeguatamente e concretamente giustificato (Cass. 23900/2016), mentre appare al riguardo irrilevante la distinzione tra testamento olografo e testamento raccolto da notaio, non mutando la nozione di incapacità naturale del testatore, che postula la esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del “de cuius”, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti ovvero della capacità di autodeterminarsi.
Considerato inoltre che lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a colui che impugna il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente (nel qual caso è compito di chi vuole avvalersi del testamento dimostrare che esso fu redatto in un momento di lucido intervallo) (Cass. n. 8079/2005).
Orbene, nel caso di specie, la Corte ha fondato la statuizione secondo cui non può ritenersi provata l’incapacità naturale della de cuius al momento della redazione del testamento olografo, sul complessivo esame delle risultanze istruttorie, sottoposte ad analitico scrutinio, onde la decisione risulta sorretta su un apparato argomentativo logico e del tutto congruo, in quanto il giudice di appello ha dato ampiamente conto in motivazione degli elementi in forza dei quali ha ritenuto che l’attore in impugnazione non abbia assolto all’onere di fornire la prova rigorosa dell’incapacità di intendere e di volere della de cuius al momento della redazione della scheda testamentaria.
Ed invero, seppure il certificato del medico curante prodotto attestava che in epoca prossima alla redazione del testamento la de cuius era affetta da fenomeni patologici gravi, che determinavano l’impossibilità per la medesima di compiere da sola gli atti quotidiani della vita, tale giudizio medico, ben potendo ritenersi riferito alle incombenze squisitamente materiali e dunque ad una compromissione afferente la sfera dell’integrità fisica e non anche psichica, secondo la adeguata valutazione del giudice di merito, non implica di per sé la prova, a quella data, di un decadimento tale da integrare la carenza della capacità di intendere e di volere.

Altro caso da prendere in considerazione è stato quello in cui il Tribunale di Benevento[26] ha rigettato la domanda di annullamento del testamento poiché dalla stessa documentazione prodotta dal ricorrente si evinceva che le malattie indicate a sostegno della richiesta non avevano impedito al de cuius di svolgere attività di gestione del proprio patrimonio e che, pertanto, non poteva essere ritenuto sussistente il presupposto dell’incapacità ad autodeterminarsi del testatore, necessario ai fini dell’annullamento).

Secondo altra pronuncia di merito[27], il testamento deve considerarsi pienamente valido, poiché, sebbene redatto solo due mesi prima della diagnosi di una demenza multinfartuale, trattasi di un semplice elemento presuntivo sulla base del quale eventualmente fondare il ragionamento volto a sostenere che un determinato quadro patologico ad un determinato momento autorizza il giudice a presumere, in presenza del paradigma della gravità, precisione e concordanza del ragionamento presuntivo, che la medesima malattia esistesse qualche tempo prima.

Infine, è opportuno riportare nuovamente una pronuncia recente della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Sentenza 30 gennaio 2019, n. 2702

la quale ha riaffermato una serie di principi, ovvero:

L’incapacita’ naturale del disponente, che, ai sensi dell’articolo 591 c.c., determina l’invalidita’ del testamento, richiede che, al momento della redazione del testamento, il soggetto, a cagione di una infermita’ transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, sia privo della coscienza del significato dei propri atti e della capacita’ di autodeterminarsi. Parte della dottrina ritiene, peraltro, eccessivamente rigoroso l’orientamento giurisprudenziale che considera necessario per l’annullamento del testamento un assoluto difetto di coscienza del testatore, evidenziando il diffondersi di malattie senili che, pur non determinando una situazione di totale incapacita’ della persona, causano abitualmente menomazioni psichiche e riduzioni di capacita’, con conseguenti debolezze decisionali ed affievolimenti della “consapevolezza affettiva”, per cui il disponente puo’ decidere di attribuire i propri beni in modo diverso da come avrebbe fatto in assenza di malattia, sovente subendo, in particolare, l’influenza dei soggetti che lo accudiscono o con cui da ultimo trascorrono la maggior parte delle loro giornate.

La prova che il de cuius, a causa di una malattia o di altra causa perturbatrice, fosse privo della capacita’ di autodeterminarsi al momento della redazione dell’atto di ultima volonta’ puo’ essere acquisita con ogni mezzo o in base a indizi e presunzioni, che anche da soli, se del caso, possono essere decisivi per la sua configurabilita’. L’apprezzamento di tale prova costituisce giudizio di fatto, riservato al giudice di merito, che sfugge al sindacato di legittimita’ se sorretto da congrue argomentazioni, esenti da vizi logici e da errori di diritto.

L’atto pubblico (categoria nella quale rientra il testamento pubblico disciplinato dall’articolo 603 c.c.), a norma dell’articolo 2700 c.c., fa piena prova, fino a querela di falso, delle dichiarazioni delle parti e degli altri fatti che il pubblico ufficiale attesta avvenuti in sua presenza o da lui compiuti, ma nei limiti della sola attivita’ materiale, immediatamente e direttamente richiesta, percepita e constatata dal pubblico ufficiale nell’esercizio delle funzioni. Ne consegue che lo stato di sanita’ mentale, seppur ritenuto e dichiarato dal notaio che redige il testamento pubblico per la mancanza di segni apparenti d’incapacita’ del testatore, puo’ essere contestato con ogni mezzo di prova, senza bisogno di proporre querela di falso.

In tema di incapacita’ naturale conseguente ad infermita’ psichica, ove esista una situazione di malattia mentale di carattere tendenzialmente permanente (nella specie, ipodensita’ degenerativa della sostanza bianca peri-ventricolare, atrofia cortico-sottocorticale), una volta accertata l’incapacita’ di un soggetto in due determinati periodi prossimi nel tempo, per il periodo intermedio la sussistenza dell’incapacita’ e’ assistita da presunzione iuris tantum, sicche’ in concreto si verifica l’inversione dell’onere della prova, dovendo essere dimostrato dalla parte interessata che il soggetto abbia agito in una fase di lucido intervallo o di remissione della patologia.

Infine, è opportuno precisare come di recente ha avuto modo la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|17 novembre 2022| n. 33914

L’incapacità naturale del testatore postula l’esistenza non già di una semplice anomalia o alterazione delle facoltà psichiche ed intellettive del de cuius, bensì la prova che, a cagione di una infermità transitoria o permanente, ovvero di altra causa perturbatrice, il soggetto sia stato privo in modo assoluto, al momento della redazione dell’atto di ultima volontà, della coscienza dei propri atti o della capacità di autodeterminarsi; poiché lo stato di capacità costituisce la regola e quello di incapacità l’eccezione, spetta a chi impugni il testamento dimostrare la dedotta incapacità, salvo che il testatore non risulti affetto da incapacità totale e permanente, nel qual caso grava, invece, su chi voglia avvalersene provarne la corrispondente redazione in un momento di lucido intervallo e delle cause idonee in linea di principio a determinarla.

F) Vizi formali non determinanti la nullità

art. 606 2 CO c.c.     nullità del testamento per difetto di forma: ……..Per ogni altro difetto di forma il testamento può essere annullato (c.c.1441 e seguenti) su istanza di chiunque vi ha interesse. L’azione di annullamento si prescrive nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.

Prima di tutto, secondo la Cassazione

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|24 settembre 2021| n. 25936.

perché un atto costituisca disposizione testamentaria, è necessario che lo scritto contenga la manifestazione di una volontà definitiva dell’autore, compiutamente e incondizionatamente formata, diretta allo scopo di disporre attualmente dei suoi beni, in tutto o in parte, per il tempo successivo alla propria morte; pertanto, ai fini della configurabilità di una scrittura privata come testamento non è sufficiente il riscontro dei requisiti di forma, occorrendo, altresì, l’accertamento dell’oggettiva riconoscibilità nella scrittura della volontà attuale del suo autore di compiere non già un mero progetto, ma un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al suo decesso. Siffatto accertamento – che, ove le espressioni contenute nel documento risultino ambigue o di valore non certo, presuppone la necessaria indagine su ogni circostanza, anche estrinseca, idonea a chiarire la portata, le ragioni e le finalità perseguite con la disposizione – involge un apprezzamento di fatto spettante al giudice del merito che, se adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità.

1)     Relativamente al testamento olografo – la mancanza o l’incompletezza della data

l’incompleta o omessa indicazione della data è causa di annullabilità dell’atto, poiché trattasi di requisito richiesto dall’art. 602 c.c. ai fini della sua validità, che non può essere desunta aliunde

Altra sentenza della Suprema Corte

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 25 maggio 2012, n. 8366

conformemente afferma: la mancata indicazione, nel testamento pubblico, dell’ora della sottoscrizione dell’atto può dar luogo al suo annullamento, ai sensi dell’art. 606, secondo comma del codice civile.

L’impugnativa del testamento volta ad accertare la mancanza o incompletezza di tale elemento, peraltro, è svincolata dalla necessità dell’indicazione di una determinata ragione che renda rilevante siffatto accertamento, a differenza dell’ipotesi in cui si agisca in giudizio al fine di provarne la non verità. Secondo alcune pronunce della Corte[30] di Piazza Cavour in tema di validità del testamento olografo, la completa indicazione della data, composta di giorno, mese ed anno, costituisce un requisito essenziale di forma dell’atto anche nel caso in cui, in concreto, l’omissione sia irrilevante rispetto al regolamento d’interessi risultante dalle disposizioni testamentarie. (Nella fattispecie, la Corte ha confermato la pronuncia di annullamento del testamento olografo che non conteneva nella data, accanto al mese e all’anno, l’indicazione del giorno).

Ai fini processuali è importante segnalare anche questa sentenza di merito[31] secondo la quale “l’annullamento del testamento olografo per mancanza di data è ammessa negli stessi limiti in cui è concessa la prova della falsità della stessa, cioè quando si afferma (e si offre di provare) che il testatore è stato, per un certo periodo, incapace di intendere e di volere, oppure che esistono altri testamenti incompatibili con quello impugnato”.

Mentre, ai fini della validità come da arresto della S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 3 settembre 2014, n. 18644

la data dei testamento olografo può essere apposta in ogni parte della scheda, non prescrivendo la legge che essa debba precedere o seguire le disposizioni di ultima volontà.

Si legge nella sentenza in commento che occorre muovere dalla premessa che l’articolo 602 c.c., dopo aver previsto al primo comma che “il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore” ed al secondo comma che “la sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni”, al terzo comma ha sancito che “la data deve contenere l’indicazione del giorno, mese e anno. La prova della non verità della data è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della capacità del testatore, della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento”.
Orbene, premesso che tale norma non prevede che la data debba essere apposta in una parte specifica dei testamento (al contrario della sottoscrizione, che deve essere posta alla fine delle disposizioni), per altro verso si rileva che la funzione ad essa attribuita dall’ordinamento come ricavabile da una interpretazione sistematica della disciplina codicistica (condotta alla luce del terzo comma dell’art. 602 c.c., laddove prevede le ipotesi nelle quali è ammessa la prova della non verità della data) esclude che la data stessa debba essere inserita necessariamente prima della sottoscrizione della scheda testamentaria, come invece ritenuto dal giudice di appello; infatti la data ha lo scopo di individuare l’elemento cronologico dei testamento in riferimento sia alla eventuale indagine sulla capacità o meno di intendere e di volere del testatore, da rapportare appunto al momento di redazione dell’atto (art. 591 n. 3 c.c.), sia al fine di stabilire la priorità tra più testamenti in relazione alla revoca, totale o parziale, dei testamenti precedenti da parte di quello successivo (art. 682 c.c.), sia nei casi in cui ricorra una questione da decidersi in base al tempo dei testamento (vedi ad esempio gli artt. 651 e 657 c.c.).
Pertanto, avendo la data soltanto la funzione di indicare il momento di manifestazione della volontà dei testatore, essa non rientra nelle disposizione di ultima volontà come prevista dall’art. 587 c.c., che si configura come la manifestazione di una volontà definitiva dell’autore nel senso che essa sia compiutamente ed incondizionatamente formata e manifestata e sia diretta a disporre attualmente, in tutto o in parte, dei propri beni per il tempo successivo alla morte (Cass. 24-8-1990 n. 8668; Cass. 8-1-2014 n. 150); conseguentemente la data, non facendo parte delle disposizioni, non deve necessariamente precedere la sottoscrizione (come invece espressamente previsto per le disposizioni dall’art. 602 secondo comma c.c.), ed anzi, se segue la sottoscrizione (come nella fattispecie), indica il momento cronologico preciso in cui la scheda testamentaria è stata definitivamente ultimata e sottoscritta.

Ancora sull’elemento della data è intervenuta la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 23 maggio 2016, n. 10613

secondo la quale e’ certo che la completa indicazione della data, composta di giorno, mese ed anno, costituisce un requisito essenziale di forma del testamento olografo: cio’, indipendentemente dalla rilevanza che assuma l’omissione rispetto al regolamento d’interessi risultante dalle disposizioni testamentarie (Cass. n. 14 maggio 2008, n. 12124; Cass. 8 giugno 2001, n. 7783).

Nella circostanza, la data non manca pero’ dell’indicazione del giorno, del mese o dell’anno, e non e’ quindi incompleta: denota, piuttosto, l’apparenza di una inesatta, perche’ impossibile, menzione del mese. Tale circostanza non determina, in se’, l’invalidita’ del testamento.

Deve considerarsi che l’indicazione erronea della data nel testamento olografo, dovuta, cioe’ ad errore materiale del testatore (per distrazione, ignoranza od altra causa), anche se concretantesi in una data impossibile, non voluta, pero’, come tale, dal testatore, puo’ essere rettificata dal giudice, avvalendosi di altri elementi intrinseci della scheda testamentaria, cosi’ da rispettare il requisito essenziale della autografia dell’atto (Cass. 5 giugno 1964, n. 1374).

2)     Relativamente al testamento pubblico

[32] –

A)   mancanza dell’oralità nella dichiarazione o la dichiarazione resa senza l’assistenza dei testimoni;

B)    la mancanza delle menzioni relative alla dichiarazione, alla sua riduzione per iscritto e alla lettura;

C)    la mancanza o l’idoneità dei testimoni o dei fidefacenti;

D)   la mancanza della data o dell’ora, del comune o del luogo  ove l’atto è ricevuto;

E)    la mancanza della sottoscrizione degli altri partecipanti;

F)    l’omessa lettura alla presenza dei testi[33];

G)   la mancanza della menzione della formalità;

H)   la violazione degli artt. 54,55,56 e 57 legge notarile;

3)     Relativamente al testamento segreto –

A)   Le stesse cause previste per il testamento pubblico (naturalmente nei limiti della compatibilità) e inoltre

B)    la mancanza della dichiarazione del testatore.

La mancanza dei sigilli sulla carte in cui sono le stesse disposizioni o su quella che serve da involto e la mancanza della menzione sulla carta, in cui dal testatore è scritto o involto il testamento o su un ulteriore involto predisposto dal notaio e da lui debitamente sigillato, dell’espletamento della predetta formalità.

Per una sentenza della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 23 gennaio 2017, n. 1649

ai fini della validita’ del testamento, qualora la scheda sia stata predisposta dal notaio, condizione necessaria e sufficiente e’ che egli, prima di dare lettura della scheda stessa, faccia manifestare di nuovo al testatore la sua volonta’ in presenza dei testi  il che -secondo quanto accertato dai Giudici – si e’ appunto verificato nella specie d’altra parte, la cecita’ del testatore non e’ causa di invalidita’ del testamento pubblico.

Inoltre, nella medesima sentenza è stato anche specificato che  il testamento – olografo o pubblico che sia – non deve necessariamente contenere, a pena di nullita’, le indicazioni catastali e di configurazione degli immobili cui si riferisce, essendo invece sufficiente, per la validita’ dell’atto, che questi siano comunque identificabili senza possibilita’ di confusioni, salva la necessita, la quale peraltro non attiene ad un requisito di regolarita’ e validita’ del testamento, che gli eredi, in sede di denuncia di successione e di trascrizione del testamento medesimo, provvedano essi ad indicare specificamente gli immobili predetti, menzionandone dati catastali, confinazioni ecc

G) Annullamento (parziale) di singole disposizioni

Ai sensi dell’art. 682 c.c. il testamento posteriore quando non revoca in modo espresso quello precedente annulla in questo soltanto le disposizioni incompatibili.

Tuttavia[34], si presuppone la possibilità logica e giuridica della concorrenza di disposizioni testamentarie non contemporanee così fissandosi la regola della paritaria coesistenza, cioè della conservazione delle disposizioni più antiche sicché queste sopravvivono e convivono con il testamento novello, restandone travolte soltanto quelle incompatibili con le successive.

E tali disposizioni possono essere annullate solo dopo, che, a seguito di specifica indagine[35], risultano incompatibili con il contenuto dell’ultimo testamento. Ovvero[36] solo dopo previo riscontro, caso per caso, di una sicura inconciliabilità e da consentire, inoltre, di ravvisare una revoca implicita dell’intero testamento precedente, esclusivamente ove sia positivamente accertata la non configurabilità di una sopravvivenza del suo contenuto superstite, a fronte delle mutilazioni derivanti da detta incompatibilità.

 3)    LA NULLITA’

A)   Le previsioni del codice civile

1)     motivo illecito determinante[37]  ex art. 626 c.c.
2)     modus[38] e condizione illeciti o impossibile, se determinanti art. 647, 3 comma c.c.
3)     condizione di reciprocità (art. 635 c.c.)
4)     disposizione in favore di persona incerta[39] (art. 628 c.c.)
5)     disposizione rimessa all’arbitrio altrui[40] (art. 631 c.c.)
6)     patti successori istitutivi  o  rinunciativi (art. 458 c.c.)[41]
7)     testamento a favore di soggetti incapaci a ricevere[42] (artt. 596-599 c.c.)
8)     testamento reciproco (art. 589 c.c.)[43]
9)     disposizioni a favore dell’anima qualora non siano determinati i beni (art. 629 c.c.)
10)  legato di cosa del  legatario (art. 656 c.c.)
11)  legato di cosa dell’onerato o di un terzo se non ricorrano determinati presupposti (art. 635 c.c.)

 

È altresì applicabile al negozio testamentario la norma sulla nullità parziale[44] (art. 1419), nel senso che la nullità di singole clausole o di una parte della disposizione testamentaria non importa la nullità dell’intero negozio, se risulta che il testatore lo avrebbe egualmente concluso senza quella parte del suo contenuto colpita da nullità.

 Si pensi ad un unico legato con due oggetti, dei quali uno illecito.

Nella ricerca della volontà del testatore il favor testamenti, cioè il principio di conservazione, fa sì che qualora un testamento o una clausola testamentaria ammetta due interpretazioni, delle quali l’una importerebbe la sua nullità totale o parziale, debba essere preferita quella interpretazione che evita tale nullità e consente alla volontà testamentaria di avere pratica e concreta attuazione.

Anche il testamento nullo, come ogni altro negozio nullo, non produce i suoi effetti[45].

La dichiarazione di nullità da parte del giudice opera retroattivamente (ex tunc) cancellando l’atto nullo e tutti i suoi effetti.

Pertanto, ove non vi sia sanatoria, si farà luogo a rappresentazione, sostituzione, accrescimento  e, in mancanza, se si tratta di eredità, la quota andrà a vantaggio degli eredi legittimi del testatore; se si tratta di legato, la porzione del legatario andrà a profitto dell’onerato o degli onerati in proporzione, in quest’ultimo caso delle rispettive quote.

Troveranno applicazione anche al testamento.

1)     l’art. 1421, che legittima all’azione di nullità chiunque vi abbia interesse[46] e consente al giudice di rilevarla d’ufficio. Tale azione è configurabile come actio nullitatis che, in quanto tale, appunto, può essere esperita da chiunque abbia interesse a far valere la propria qualità nei confronti dell’erede testamentario con l’onere, tuttavia, di dimostrare la fondatezza delle proprie pretese. Inoltre è bene precisare, seguendo una pronuncia non recente della Suprema Corte[47], che l’azione volta a fare dichiarare la nullità di un testamento e non mirante ad ottenere il riconoscimento della qualità ereditaria o l’attribuzione dei beni ereditari non comporta una petizione di eredità e può essere esperita anche da soggetto che non abbia previamente proceduto alla accettazione.

2)     l’art. 1422, che stabilisce l’imprescrittibilità dell’azione di nullità, facendo salvi gli effetti dell’usucapione, della prescrizione dell’azione di ripetizione e dell’effetto sanante della trascrizione per il terzo acquirente in buona fede (ex art. 2652 n° 6/2).

Questa seconda norma trova, peraltro, un limite nell’art. 480 nel senso che l’azione di nullità non può essere esperita dal chiamato il quale, non avendo accettato in 10 anni l’eredità, è ormai privo d’interesse.

Ai fini processuali nelle cause aventi ad oggetto l’impugnazione di un testamento (ad es. olografo) per nullità, in considerazione dell’unità del rapporto dedotto in giudizio, sussiste litisconsorzio necessario[48] anche nei confronti di tutti gli eredi legittimi, in quanto l’eventuale accoglimento della domanda porterebbe alla dichiarazione di invalidità del testamento ed alla conseguente apertura della successione legittima.

Inoltre, come già scritto nell’introduzione del presente saggio, l’attore che disconosce la validità di un testamento olografo e chiede il riconoscimento della sua qualità di erede legittimo, propone (in questo caso) una petizione di eredità, senza alcuna necessità di presentare querela di falso, in quanto è noto che la querela di falso e il disconoscimento di scrittura privata sono strumenti preordinati a finalità diverse, poiché mentre la querela di falso postula l’esistenza di una scrittura riconosciuta della quale si intende eliminare l’efficacia probatoria, il disconoscimento si rivolge contro una scrittura privata allo scopo di negare autenticità al documento che si assume contraffatto; infatti l’erede ex lege che propone azione di petizione di eredità non ha l’onere di fornire alcuna prova sulla nullità del testamento, fondando il proprio titolo di erede legittimo sulla legge, essendo sufficiente il solo disconoscimento[49]; spetta, invece, al convenuto che oppone, come titolo potiore la successione testamentaria, la produzione del testamento e, nel caso di disconoscimento, se intende avvalersene, deve chiedere la verificazione; né la consapevolezza dell’esistenza di un testamento da parte dell’erede legittimo che agisce in petizione ereditaria trasforma l’azione in una domanda di accertamento negativo della nullità della scheda.

Infine, andando ad analizzare alcuni casi trattati dalla Giurisprudenza di merito,  secondo una pronuncia del Tribunale di Reggio Emilia[50], la clausola di diseredazione (di alcuni dei successibili ex lege) è nulla, con conseguente nullità del testamento ed apertura della successione legittima se, in base alle comuni regole ermeneutiche, dalla scheda non risulti, seppur implicitamente ma inequivocabilmente, la volontà del testatore, oltre che di escludere un successibile, di attribuire le proprie sostanze ad altro soggetto. Per altra sentenza[51] in caso di istituzione ex re certa, qualora il testatore abbia disposto a favore degli eredi dei beni immobili parzialmente altrui ricorre una causa di nullità della disposizione testamentaria riconducibile al dettato normativo degli art. 1418 comma 2 e 1346 c.c. in quanto l’oggetto della disposizione mortis causa manca del requisito della possibilità, posto che al testatore non è consentito di disporre di beni non propri, senza che sia possibile fare applicazione della regola della nullità parziale di cui all’art. 1419 c.c. Ancora secondo la Corte Partenopea[52], disponendo che non si può “in alcun modo” rinunziare alla facoltà di revocare o mutare le disposizioni testamentarie, l’art. 679 c.c. sancisce la nullità anche di quelle clausole (derogatorie relative) che limitano, senza annullarla, la facoltà di revoca, condizionandone l’esercizio a modalità precostituite, la cui inosservanza non si concilia con la piena libertà di testare e con la connessa revocabilità (parimenti ampia) del testamento.

Invece, secondo la Cassazione[53] il testamento – olografo o pubblico che sia – non deve necessariamente contenere, a pena di nullità, le indicazioni catastali e di configurazione degli immobili cui si riferisce, essendo invece sufficiente, per la validità dell’atto, che questi siano comunque, identificabili senza possibilità di confusioni, salva la necessità (la quale peraltro non attiene al requisito di regolarità e validità del testamento) che gli eredi, in sede di denuncia di successione e di trascrizione del testamento medesimo, provvedano essi ad indicare specificamente gli immobili predetti, menzionandone dati catastali, confinazioni ecc.

 Mentre, secondo altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 29 novembre 2013,n . 26931

 in merito all’invalidità di un testamento per difetto della manifestazione della volontà da parte del testatore, è stato nuovamentre stabilito che ai fini della configurabilità di una scrittura privata come testamento olografo non è sufficiente il riscontro dei requisiti di forma individuati dall’art. 602 cod. civ., occorrendo, altresì, l’accertamento dell’oggettiva riconoscibilità nella scrittura della volontà attuale del suo autore di compiere non già un mero progetto, ma un atto di disposizione del proprio patrimonio per il tempo successivo al suo decesso: tale accertamento, che costituisce un prius logico rispetto alla stessa interpretazione della volontà testamentaria, è rimesso al giudice del merito e, se congruamente e logicamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità (Cass., Sez. II, 28 maggio 2012, n. 8490);
Nella specie, si continua a leggere nel provvedimento in commento, la Corte d’appello, nel confermare la pronuncia del primo giudice, ha ritenuto, con logico e motivato apprezzamento, che la scheda testamentaria, sottoscritta, non conteneva la manifestazione di una volontà definitiva dell’autore nel senso che essa sia stata compiutamente ed incondizionatamente formata e manifestata e sia stata diretta a disporre attualmente, in tutto o in parte, dei propri beni per il tempo successivo alla morte;
Infatti, nessuna delle persone menzionate nella scheda  è stata istituita erede o legataria, e nessuna di esse è stata chiamata nell’universalità dei beni o in una parte di essi, come è stato reso palese dal fatto che accanto ai primi tre soggetti indicati vi erano spazi in bianco riempiti soltanto da puntini di sospensione e al quarto soggetto sono stati lasciati, residualmente, i restanti averi, cioè quelli non assegnati (ma neppure indicati nella scheda) ai primi tre soggetti.
Pertanto, secondo i giudici di legittimità, correttamente il giudice del merito ha ritenuto che la presenza dei puntini di sospensione accanto ai nominativi dei primi tre soggetti contenuti nella scheda testamentaria ha reso impossibile stabilire il bene o la quota di eredità che il de cuius avrebbe inteso attribuire a ciascuno di essi e che, proprio in ragione dell’assoluta indeterminatezza dell’oggetto delle disposizioni testamentarie, il de cuius si è, in realtà, limitato a predisporre un progetto (una bozza o una minuta) del proprio testamento, privo di quel carattere di compiutezza che deve caratterizzare le valide disposizioni testamentarie.

In tema, altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 20 giugno 2014, n. 14119

ha affermato che è rispettato il dettato normativo dell’art. 602 cod. civ., quando la sottoscrizione delle disposizioni di ultima volontà è stata apposta a margine o in altra parte della scheda, anziché in calce alla medesima, a causa della mancanza di spazio su cui apporla. Nella specie la Corte territoriale ha appunto giustificato la mancanza di sottoscrizione in calce alle disposizioni di ultima volontà con il fatto che nella seconda pagina della ritenuta scheda testamentaria, costituita da un mezzo foglio uso bollo, non vi era lo spazio sufficiente per apporvi la firma, sicché ha specularmente considerato valida la sottoscrizione presente all’inizio del primo foglio, quale ideale prosecuzione dello scritto (ovverosia, come inizio di una virtuale terza pagina).

Inoltre, nella medesima sentenza è stata ulteriormente chiarito che perché si abbia una manifestazione di ultima volontà e quindi esista un negozio “mortis causa”, è necessario soltanto che lo scritto contenga la manifestazione di una volontà definitiva dell’autore, nel senso che essa si sia compiutamente ed incondizionatamente formata e manifestata e sia diretta a disporre attualmente, in tutto o in parte, dei propri beni per il tempo successivo alla propria morte.

Anche altra sentenza

Corte di Cassazione, sezione II civile, sentenza 22 dicembre 2016, n. 26791

ha riaffermato, in merito ad una disposizione testamentaria contenuta in una lettera, che nell’interpretazione del testamento, il giudice di merito deve accertare, secondo il principio generale di ermeneutica enunciato dall’art. 1362 c.c. – applicabile, con gli opportuni adattamenti, anche in materia testamentaria -, quale sia l’effettiva volontà del testatore, comunque espressa, valutando congiuntamente e in modo coordinato l’elemento letterale e quello logico dell’atto unilaterale, nel rispetto del principio di conservazione.

Sempre per la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 29 settembre 2014, n. 20484

è stato precisato che soltanto nel documento originale possono individuarsi quegli elementi la cui peculiarità o addirittura singolarità consente di risalire, con elevato grado di probabilità, al reale autore della sottoscrizione in relazione alla conosciuta specificità del profilo calligrafico, degli strumenti di scrittura abitualmente usati, delle stesse caratteristiche psico-fisiche del soggetto rappresentati dalla firma; non può invece che risultare inattendibile un esame grafico condotto su di una copia fotostatica, essendo questa inidonea a rendere percepibili segni grafici personalizzati ed oggettivi.

Con ulteriore pronuncia la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 2 dicembre 2014, n. 50355

è intervenuta in merito ai rapporti tra l’azione civile e quella penale, affermando che ai fini della configurabilità del reato di falso in testamento olografo, è irrilevante che questo presenti profili di annullabilità o di nullità, ai sensi della disciplina civilistica, dovendosi considerare come testamento olografo, ai fini penalistici, qualsiasi manifestazione di volontà estrinsecatasi nella forma di cui all’art. 602 cc, con la quale taluno disponga, per il tempo in cui avrà cessato di vivere, di tutte le proprie sostanze o parte di esse.
A parere del collegio, viceversa, la prospettiva va radicalmente rovesciata, atteso che una cosa è la nullità o la annullabilità civilisticamente intese (che vanno eventualmente accertate nella deputata sede processuale), altra cosa è la falsità come rilevante in diritto penale. Se falsità è immutatio veri, è di tutta evidenza che solo una alterazione (materiale, nel caso in esame) significativa del documento originale può e deve essere presa in considerazione. Se, come nel caso di specie, la parte aggiunta e/o alterata è nettamente e agevolmente distinguibile dalla parte originaria, è ovvio che la falsità, se deve essere dichiarata, deve essere dichiarata in parte qua, non dovendosi (né potendosi), oltretutto, il giudice penale sostituire a quello civile in quello che è un accertamento connotato da squisito tecnico, ancorato ai principi di quel ramo dello scibile giuridico.
Orbene, nel caso di specie si continua a leggere nella sentenza in commento, è la stessa sentenza che afferma (e la parte civile, nella sua memoria, indirettamente corrobora tale assunto) che le “aggiunte” (non operate per mano della imputata) sono ictu oculi individuabili. Va da sé che, se il senso e il valore dell’intero documento risultassero del tutto sconvolti da tali “innesti”, tanto da non potersi ricostruire l’originaria volontà di chi esso ebbe a scrivere, la falsità (ai fini penalistici) investirebbe l’intero documento.

B)    Vizi gravi di forma nel testamento olografo

art. 606 c.c.     nullità del testamento per difetto di forma: il testamento è nullo (c.c.1418 e seguenti) quando manca  1)  l’autografia o la sottoscrizione nel caso di testamento olografo, ovvero manca  2)   la redazione per iscritto, da parte del notaio, delle dichiarazioni del testatore o la sottoscrizione dell’uno o dell’altro, nel caso di testamento per atto di notaio

 art. 602 c.c.  testamento olografo: il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore.

La sottoscrizione deve essere posta alla fine delle disposizioni. Se anche non è fatta indicando nome e cognome, è tuttavia valida quando designa con certezza la persona del testatore.

La data deve contenere l’indicazione del giorno, mese e anno. La prova della non verità della data è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della capacità del testatore , della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento.

La legge prescrive che il testamento olografo debba essere interamente vergato di mano del testatore anche per impedire che questi, nella confezione del testamento possa subire illecite ingerenze altrui e manifestare di conseguenza una volontà non formatasi, in tutto o in parte, in maniera libera e spontanea (principio dell’autodeterminazione).

In effetti, per una pronuncia della S.C.

Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 1 ottobre 2013, n. 22420

in tema di nullità del testamento olografo, il requisito della sottoscrizione, previsto dall’art. 602 cod. civ. distintamente dall’autografia delle disposizioni in esso contenute, ha la finalità di soddisfare l’imprescindibile esigenza di avere l’assoluta certezza non solo della loro riferibilità al testatore, già assicurata dall’olografia, ma anche dell’inequivocabile paternità e responsabilità del medesimo che, dopo avere redatto il testamento – anche in tempi diversi – abbia disposto del suo patrimonio senza alcun ripensamento.

Tuttavia, ai fini della identificazione del requisito della autografia è necessario distinguere tra la dichiarazione di ultima volontà e il documento cartaceo sul quale essa è vergata[54].

Se la disposizione di ultima volontà è stata interamente vergata e sottoscritta dal soggetto cui essa si riferisce in conformità alla norma dell’articolo 602 c.c., il testamento olografo è valido anche se il documento rechi scritture di mano aliena (e/o terzo).

Siffatte parole tracciate da mano aliena non costituiscono affatto correzioni o alterazioni delle disposizioni testamentarie, le quali, senza alcun dubbio, conservano il loro carattere di stretta personalità, escludendo qualsiasi tipo di interferenza o influenza sulla volontà di disporre.

D’altronde, il requisito dell’autografia del testamento olografo è rispettato quando le disposizioni di ultima volontà sono scritte di pugno del testatore e da lui sottoscritte pur se il documento cartaceo contenga scritti di mano alienain una parte diversa da quella occupata dalla disposizione testamentaria e per giunta apposte in un momento successivo[55].

Proprio su questo punto è opportuno riportare una sentenza della Suprema Corte[56] secondo cui, il principio dell’autografia previsto dall’art. 602 cod. civ. non impedisce che nell’ambito di uno stesso documento siano enucleabili, da un lato, un testamento olografo pienamente rispondente ai requisiti di legge e, dall’altro, scritti di mano di un terzo apposti dopo la sottoscrizione del testatore – e perciò collocati in una parte del documento diversa da quella occupata dalla disposizione testamentaria – che, come tali, non possono invalidare la scheda testamentaria autonomamente redatta dal testatore; la nullità del testamento olografo, infatti, si ha soltanto quando l’intervento del terzo avvenga con l’inserzione anche di una sola parola di sua mano nel corpo della disposizione di ultima volontà (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di nullità del testamento in un caso nel quale, dopo le disposizioni di ultima volontà redatte di pugno dal testatore e da lui sottoscritte, compariva anche, redatta da una mano diversa, l’indicazione secondo cui la persona nominata erede universale avrebbe dovuto avere cura del testatore e preoccuparsi del suo funerale).

La nullità del testamento olografo, pertanto, ha luogo solo quando l’intervento del terzo, redatto contestualmente, ne elimini il carattere di stretta personalità, interferendo sulla volontà di disporre del testatore.

Principio enunciato, come già detto, dalla Suprema Corte[57], ovvero: “il testamento olografo alterato da terzi può conservare il suo valore quando l’alterazione non sia tale da impedire l’individuazione della originaria, genuina volontà che il testatore ha inteso manifestare nella relativa scheda; ne consegue che l’annullamento per carenza dell’olografia opera – in presenza di un intervento di terzi – anche quando vi sia stata l’aggiunta di una sola parola, a condizione che l’azione del terzo si sia svolta durante la redazione del testamento stesso (nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di annullamento del testamento sul rilievo che l’esistenza, all’interno del testo, di un inciso apocrifo – peraltro di contenuto sostanzialmente irrilevante ai fini della destinazione dei beni – non potesse far venire meno il requisito dell’olografia, per di più in assenza di prova che l’autore dell’aggiunta fosse stato presente al momento della redazione del testamento).”

Quindi, in conclusione, la scrittura di mano estranea, di per sè, non determina automaticamente la nullità dell’intero testamento.

Ma, secondo la S.C.

Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 6 novembre 2013, n. 24882

in materia di autografia del testamento olografo, è ormai pacifico in giurisprudenza che, in presenza di aiuto e di guida della mano del testatore da parte di una terza persona, per la redazione di un testamento olografo, tale intervento del terzo (in questo caso, non solo riconosciuto …, ma anche accertato dalle conclusioni peritali), di per sé, escluda il requisito dell’autografia di tale testamento, indispensabile per la validità del testamento olografo, a nulla rilevando l’eventuale corrispondenza del contenuto della scheda alla volontà del testatore.

In merito al caso di specie la Corte territoriale, inoltre, aveva accertato e esattamente considerato che l’intervento della ‘mano guidante’ ha interessato non sola la data, ma anche la sottoscrizione e l’intero testo della scheda.

Ad escludere l’olografia, infatti, è sufficiente ogni intervento di terzi, indipendentemente dal tipo e dall’entità, e quindi anche in presenza di una sola parola scritta da un terzo durante la confezione del testamento (Cassazione 12458/1994).

È dunque ultroneo verificare se tale mano guidante sia intervenuta su tutta la scheda testamentaria e se la parte di essa, in cui eventualmente non sia ravvisabile la riconducibilità della stesura ad una mano guidante, configuri una compiuta manifestazione di volontà.

In relazione alla scrittura olografa, guardando alla casistica, si è stabilita la sussistenza[58] dell’olografia pur quando un terzo abbia guidato la mano del de cuius per conferire maggior chiarezza all’apposizione della data, elemento la cui presenza è prevista a pena di annullabilità e non di nullità.

            Ma in realtà secondo l’indirizzo predominate[59], il testatore che, a causa del suo stato di salute o per carenza di istruzione, redige il testamento olografo con l’aiuto di altra persona che gli guida la mano, indubbiamente collabora alla materiale compilazione del documento, quanto meno sorreggendo la penna e contribuendo alla formulazione delle lettere, tuttavia, ciò comporta la mancanza dell’autografia, elemento indispensabile per la validità del testamento olografo, nel quale, si richiede che data, testo dell’atto e sottoscrizione provengano esclusivamente dal testatore[60] e qualora il primo, per redigere il testamento olografo, abbia fatto ricorso all’aiuto materiale di altra persona che ne abbia sostenuto e guidato la mano nel compimento di tale operazione, tale circostanza è sufficiente ad escludere il requisito della autografia, a nulla rilevando l’eventuale corrispondenza del contenuto della scheda testamentaria alla reale volontà del testatore[61].

Segue tale principio una recente sentenza della Suprema Corte Penale[62], la quale ha stabilito che integra il delitto di falso materiale in testamento olografo (artt. 476 e 491 cod. pen.) la redazione di un documento – apparentemente scritto di proprio pugno dal testatore – con l’aiuto materiale di altro soggetto (che gli guidi la mano) in quanto, in tal caso, il documento non è formato, come prescritto dalla legge, esclusivamente dal de cuius e, quindi, non è olografo.

In relazione alla sottoscrizione[63], si è sostenuto quanto segue[64]: “la previsione, accanto all’olografia, di un autonomo e distinto requisito della sottoscrizione dell’atto, rispondendo alle esigenze di certezza della riconducibilità delle disposizioni testamentarie al disponente e della di lui assunzione di paternità e responsabilità in modo inequivocabile, è tale da non far ritenere surrogabile la sottoscrizione da firme apposte dal testatore, unitamente alle parole “mio testamento”, su una busta contenente la scheda testamentaria fermata con punti metallici, e ciò stante l’insufficienza di tali elementi a collegare logicamente e sostanzialmente lo scritto della scheda con quello della busta, attestando invece dette firme soltanto l’esistenza all’interno di essa di un testamento, valido o invalido che sia”.

Ancora, assolve al requisito della sottoscrizione anche la firma a margine dell’atto (poichè la norma che stabilisce la sottoscrizione del testamento olografo debba essere posta alla fine delle disposizione non deve essere interpretata in modo gretto e materiale, prescindendo da quelle che possono essere le particolari necessità ed esigenze del caso, per cui la firma a margine dell’atto può adempiere la funzione della sottoscrizione) solo quando la pagina non presenti in calce alle disposizioni lo spazio necessario per apporvela[65].

Conferma tale indirizzo una sentenza attuale della medesima Corte[66] in virtù della quale, la sottoscrizione del testatore deve essere apposta alla fine delle disposizioni; ne consegue che è affetto da nullità per mancanza della sottoscrizione, ai sensi dell’art. 606 cod. civ., il testamento olografo in cui la firma sia apposta a margine della scheda, prima dell’indicazione nominativa degli eredi sebbene in calce vi sia spazio sufficiente, non potendo la ricerca della effettiva “voluntas” del testatore sopperire a deficienze formali attinenti a disposizioni inderogabili.

Ulteriormente, secondo una vetusta sentenza[67] il testamento pubblico è nullo, se non sia sottoscritto dal testatore con il nome e cognome per esteso, cioè con il prenome e il nome patronimico risultanti dagli atti dello Stato civile. La nullità deve, tuttavia, escludersi nel caso in cui il testatore, nel sottoscrivere il testamento, abbia indicato esattamente il proprio cognome, ma abbia usato, invece del nome risultante dagli atti dello stato civile, quello che egli suole abitualmente usare nella cura dei propri affari ed interessi e con il quale è generalmente conosciuto nella vita di relazione (pseudonimo), oppure, essendo egli indicato nell’atto di nascita con più di un nome; abbia usato, invece del primo di essi, un altro qualunque di quelli attribuitigli; mentre è del tutto irrilevante, ai fini della validità del testamento, che nell’indicazione delle generalità, prescritta dall’art. 51, n. 3, l. notarile, sia stato qualificato con quel medesimo nome o con quello che risulta a lui attribuito negli atti dello Stato civile.

Infine, ma non di certo di secondaria rilevanza, ai fini processuali la consulenza tecnica calligrafica del testamento olografo deve compiersi sull’originale del documento[68]. Difatti nel giudizio promosso per la declaratoria di nullità di un testamento olografo per non autenticità della sottoscrizione apposta dal testatore, l’esame grafologico deve necessariamente compiersi sull’originale del documento, poiché soltanto in questo possono rinvenirsi quegli elementi la cui peculiarità consente di risalire, con elevato grado di probabilità al reale autore della sottoscrizione (nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza di merito la quale aveva respinto la domanda di nullità del testamento senza chiarire se l’esame del c.t.u. si fosse svolto su una copia fotostatica del testamento oppure sull’originale).

In merito alla data, la Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 11 novembre 2015, n. 23014

con ampia ed esaustiva sentenza ha affermato che

in tema di validità del testamento olografo, nel caso in cui il tastatore, in seno ad una scheda testamentaria priva di data, affermi che il testamento è stato redatto nello stesso giorno di un avvenimento ancora da verificarsi (come il suo suicidio), la scheda testamentaria deve considerarsi priva della data prescritta dall’art. 602 cod. civ. e, perciò, il testamento è annullabile ai sensi dell’art. 606 secondo comma dello stesso codice

Si riportano qui di seguito alcuni passi della sentenza in commento:

va premesso che – ai sensi dell’art. 602 cod. civ. – “Il testamento olografo deve essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mono del testatore” (comma 1); “La data deve contenere l’indicazione del giorno, mese e anno. La prova della non verità della data è ammessa soltanto quando si tratta di giudicare della capacità del testatore, della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento” (comma 3). Ai sensi del combinato disposto degli artt. 602 e 606 cpv. cod. civ., la mancanza della data nel testamento olografo è causa di annullabilità dello stesso.
Dalla disciplina appena richiamata discende che il testamento olografo, come il testamento pubblico e quello segreto, costituisce un negozio mortis causa solenne, che ha carattere formale (c.d. negozio a forma vincolata), nel senso che la sua validità è subordinata all’osservanza di determinati requisiti di forma che la legge prescrive ad substantiam, dimodoché l’atto negoziale non è valido se non è osservata la forma tassativamente stabilita dalla legge.
Sono requisiti formali del testamento olografo: la scrittura autografa del testatore, la data e la sottoscrizione.
Secondo la giurisprudenza di questa Suprema Corte, dalla quale non v’è ragione di discostarsi, in tema di validità del testamento olografo, la completa indicazione della data, composta di giorno, mese ed anno, costituisce un “requisito essenziale di forma” dell’atto anche nel caso in cui, in concreto, l’omissione sia irrilevante rispetto al regolamento d’interessi risultante dalle disposizioni testamentarie (nella fattispecie, la Corte ha confermato la pronuncia di annullamento del testamento olografo che non conteneva nella data, accanto al mese e all’anno, l’indicazione del giorno) (Sez. 2, Sentenza n. 12124 del 14/05/2008, Rv. 603424).
Trattandosi di requisito di forma, cui la legge ricollega la validità del negozio, deve escludersi che la data del testamento possa ricavarsi aliunde da elementi estranei all’atto e che l’invalidità del testamento sia subordinata all’incidenza in concreto dell’omissione della data sui rapporti dipendenti dalle disposizioni testamentarie (Sez. 2, Sentenza n. 7783 del 08/06/2001, Rv. 547333; Sez. 2, Sentenza n. 6682 del 09/12/1988, Rv. 460964; Sez. 2, Sentenza n. 1323 del 24/06/1965, Rv. 312520).
Il carattere di requisito di “forma” proprio della data del testamento olografo fa si che, ai fini della validità del negozio, ciò che conta è che sulla scheda testamentaria vi sia una data scritta di pugno dal testatore o che essa sia comunque ricavabile – nella sua completezza di giorno, mese e anno – dal contenuto della scheda testamentaria (come nel caso in cui essa contenga dati o indicazioni equipollenti), senza che possano rilevare elementi estranei all’atto, ricavabili aliunde; non rileva invece – ai fini della validità del testamento – che la data apposta sulla scheda testamentaria sia anche veritiera (Sez. 2, Sentenza n. 2874 del 20/07/1976, Rv. 381621):
La legge (art. 602, comma 3, cod. civ.), infatti, non ammette la prova della non veridicità della data apposta sulla scheda testamentaria, se non nei casi in cui “si tratta di giudicare della capacità del testatore, della priorità di data tra più testamenti o di altra questione da decidersi in base al tempo del testamento”. Perciò, coerentemente al carattere di requisito di “forma” proprio della data del testamento olografo, la falsità di tale data non costituisce, di per sé, causa di annullabilità del testamento (Sez. 2, Sentenza n. 25845 del 27/10/2008, Rv. 605269); mentre costituisce causa di annullamento del testamento olografo la mancanza (o l’incompletezza) della data, che può essere fatta valere anche se non si controverta sulla capacita del testatore, sulla priorità di data fra più testamenti o su altre questioni da decidersi in base all’accertamento del tempo in cui l’olografo fu redatto (Sez. 2, Sentenza n. 1323 del 24/06/1965, Rv. 312521).
In sostanza, solo l’impugnativa volta a dimostrare la non verità della data è condizionata all’esistenza di una delle finalità di cui all’art. 602 comma 3 cod. civ. (l’accertamento della capacità di testare del de cuius, della priorità della data tra più testamenti o di altra questione da risolversi in base alla data del testamento), mentre l’impugnativa per mancanza od incompletezza della data è svincolata dalla necessità della ricorrenza di una determinata ragione, che renda rilevante l’accertamento della data di redazione del testamento: perciò, la mancanza od incompletezza della data – il fatto che la stessa non sia ricavabile dal testo della scheda testamentaria, indipendentemente da ogni elemento estraneo all’atto – è causa, di per sé, di annullabilità del testamento, da far valere – secondo quanto prescrive l’art. 606, comma 2, cod. civ. – nel termine di cinque anni dal giorno in cui è stata data esecuzione alle disposizioni testamentarie.

La data del testamento olografo, ove non espressamente indicata nell’atto, può essere ricavata da dati o indicazioni equipollenti in esso contenuti. È questo il caso in cui il testatore, anziché apporre al testamento in modo esplicito la data di redazione dello stesso (composta da giorno, mese e anno), indichi tale data, ad es., con le formule: Capodanno 2010, Natale 2009 o Pasqua 2011; ovvero faccia riferimento ad un evento costituito da un “fatto notorio” che abbia una precisa data: ad es., il giorno dell’elezione di un Papa precisamente indicato; il giorno di un terribile evento naturale o provocato dall’uomo (un terremoto, un attentato, una strage).
In casi come questi, la data del testamento è ricavabile con precisione e completezza dal contenuto dell’atto sulla base delle conoscenze umane generalmente conosciute, costituenti la cultura dell’uomo medio, dimodoché deve ritenersi osservato il requisito di forma della indicazione della data del negozio testamentario.
Diverso è il caso oggetto della presente controversia, in cui nella scheda testamentaria la testatrice si è limitata a fare riferimento ad un evento futuro ed incerto, come il suo suicidio. Trattasi di un evento incertus an, incertus quando: incerto nell’in, perché la testatrice, dopo aver redatto la scheda testamentaria, ben avrebbe potuto cambiare idea e non suicidarsi affatto; incerto nel quando, perché ella, dopo aver manifestato l’intenzione di suicidarsi nello stesso giorno della redazione della scheda testamentaria, avrebbe potuto decidere di indugiare un tempo più o meno lungo, per porre poi fine alla sua vita nei giorni o nei mesi successivi rispetto alla redazione del testamento (circostanza, quest’ultima, che – sul piano logico – non può certo escludersi a priori).
E allora, se è vero che la testatrice scrivendo “oggi finisco di soffrire” ha manifestato l’intenzione di suicidarsi nel medesimo giorno in cui ha redatto il testamento olografo, non è men vero che – al di là delle intenzioni dalla stessa manifestate all’atto della compilazione della scheda testamentaria – nulla consente di concludere che la de cuius si sia effettivamente tolta la vita nello stesso giorno della redazione del testamento.
D’altra parte, nei casi di suicidio (come quello oggetto della causa), la data di morte del defunto è determinata attraverso un giudizio medicolegale che costituisce un dato certamente estrinseco rispetto al contenuto del testamento e, dunque, non idoneo ad integrare il requisito formale della data; né potrebbe neppure escludersi che l’azione suicidaria sia avvenuta in un giorno e l’eventus mortis sia avvenuto il giorno successivo (come nel caso in cui l’azione suicidaria sia stata posta in essere pochi minuti prima della mezzanotte, l’agonia sia durata un certo tempo, cosicché la morte si sia verificata nel giorno successivo).
In definitiva, dalla semplice lettura del testamento non è dato ricavare la data in cui esso è stato redatto: il testamento è privo del requisito formale della data. Né tale data può essere individuata in quella della morte della de cuius, in quanto tale ultima data risulta solo da elementi esterni rispetto alla scheda testamentaria.

 C)   Mancata osservanza delle forme prescritte dagli artt. 603, 604, 605 e 619 c.c.

art. 603 c.c. Testamento pubblico   il testamento pubblico è ricevuto dal notaio in presenza di due testimoni (Cfr. art. 50, l. 16-2-1913, n. 89 sull’ordinamento del notariato e degli archivi notarili). Il testatore, in presenza dei testimoni, dichiara al notaio la sua volontà (questa deve essere espressa liberamente e non come risposta alle domande del notaio), la quale è ridotta in iscritto a cura del notaio stesso[69]. Questi dà lettura del testamento al testatore in presenza dei testimoni[70]. Di ciascuna di tali formalità è fatta menzione nel testamento[71].
Il testamento deve indicare il luogo[72], la data [73] del ricevimento e l’ora della sottoscrizione, ed essere sottoscritto dal testatore, dai testimoni e dal notaio[74]. Se il testatore non può sottoscrivere, o può farlo solo con grave difficoltà, deve dichiararne la causa, e il notaio deve menzionare questa dichiarazione prima della lettura dell’atto[75].
Per il testamento del muto, sordo o sordomuto si osservano le norme stabilite dalla legge notarile per gli atti pubblici di queste persone[76]. Qualora il testatore sia incapace anche di leggere, devono intervenire quattro testimoni.

Inoltre, in forza di una sentenza di legittimità[77], nel testamento pubblico, quando il notaio fa menzione di una dichiarazione del testatore riguardante, ai sensi dell’art. 603 cod. civ., una causa impeditiva della sottoscrizione dell’atto (nella specie la condizione di analfabeta) il testamento è valido solo se tale causa effettivamente sussista, derivandone in caso contrario il difetto di sottoscrizione e, quindi, la nullità del testamento per difetto di un requisito formale. (Nella fattispecie, la Corte ha confermato la sentenza di appello che aveva accertato la natura mendace della dichiarazione del testatore di essere analfabetica ed aveva ritenuto nullo il testamento per difetto di sottoscrizione).

In tema altra sentenza della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 10 marzo 2014, n. 5527

già menzionata, ha avuto modo di precisare che l’obbligo del notaio di menzionare, prima della lettura del testamento pubblico, ai sensi dell’art. 603, terzo comma, cod. civ. e delle connesse disposizioni della legge 16 febbraio 1913, n. 89, la dichiarazione del testatore che si trovi in grave difficoltà di firmare l’atto, sussiste solamente nell’ipotesi che il testatore non sottoscriva il documento e non già anche nel caso in cui, sia pure con grave difficoltà, egli apponga effettivamente la sua firma. Infatti, la formalità della dichiarazione e della menzione costituisce un equipollente della sottoscrizione mancante, mirante ad attestare che l’impedimento dichiarato, e realmente esistente, è l’unica causa per cui non si sottoscrive e ad evitare che la mancanza di firma possa essere intesa come rifiuto di assumere la paternità del contenuto dell’atto” (Cass. n. 2743 del 2012; in senso conforme, Cass. n. 2123 del 1953).

Sempre per un adagio della Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 9 aprile 2014, n. 8346

è stata confermata la nullità di un testamento redatto in forma pubblica per difetto di forma, in quanto la non veridicità della dichiarazione del non vedente di essere impossibilitato a sottoscrivere l’atto ai sensi dell’art. 603 secondo comma c.c. equivale a mancata sottoscrizione dell’atto pubblico prevista a pena di nullità ai sensi dell’art. 606 primo comma c.c.

Pertanto, allorquando il notaio abbia fatto menzione nel testamento pubblico della dichiarazione del testatore riguardante la causa impeditiva della sottoscrizione dell’atto, occorre che tale causa, indicata dall’ufficiale rogante, sussista nella realtà, derivandone in caso contrario il difetto di sottoscrizione e quindi la nullità del testamento ai sensi dell’art. 606 primo comma c.c. (Cass. 23-10-1978 n. 4781; Cass. 5-11-1990 n. 10605; Cass. 6-11-1996 n. 9674).

art. 604 c.c.    testamento segreto: il testamento segreto può essere scritto dal testatore o da un terzo. Se è scritto dal testatore, deve essere sottoscritto da lui alla fine delle disposizioni; se è scritto in tutto o in parte da altri, o se è scritto con mezzi meccanici, deve portare la sottoscrizione del testatore anche in ciascun mezzo foglio, unito o separato.

Il testatore che sa leggere ma non sa scrivere, o che non ha potuto apporre la sottoscrizione quando faceva scrivere le proprie disposizioni, deve altresì dichiarare al notaio, che riceve il testamento, di averlo letto ed aggiungere la causa che gli ha impedito di sottoscriverlo: di ciò si fa menzione nell’atto di ricevimento.

Chi non sa o non può leggere non può fare testamento segreto.

art. 605 c.c.    formalità del testamento segreto: la carta su cui sono stese le disposizioni o quella che serve da involto deve essere sigillata con impronta, in guisa che il testamento non si possa aprire né estrarre senza rottura o alterazione.

Il testatore, in presenza di due testimoni, consegna (c.c.685) personalmente al notaio la carta così sigillata, o la fa sigillare nel modo sopra indicato in presenza del notaio e dei testimoni, e dichiara che in questa carta è contenuto il suo testamento. Il testatore, se è muto o sordomuto, deve scrivere tale dichiarazione in presenza dei testimoni e deve pure dichiarare per iscritto di aver letto il testamento, se questo è stato scritto da altri.

Sulla carta in cui dal testatore è scritto o involto il testamento, o su un ulteriore involto predisposto dal notaio e da lui debitamente sigillato, si scrive l’atto di ricevimento nel quale si indicano il fatto della consegna e la dichiarazione del testatore, il numero e l’impronta dei sigilli, e l’assistenza dei testimoni a tutte le formalità.

L’atto deve essere sot.itto dal test.re, dai te.oni e dal notaio.

Se il testatore non può, per qualunque impedimento, sottoscrivere l’atto della consegna, si osserva quel che è stabilito circa il testamento per atto pubblico. Tutto ciò deve essere fatto di seguito e senza passare ad altri atti.

art. 619 c.c.   nullità: i testamenti previsti in questa sezione (Testamenti speciali)sono nulli (1418 e seguenti) quando manca la redazione in iscritto della dichiarazione del testatore ovvero la sottoscrizione della persona autorizzata a riceverla o del testatore.

Per gli altri difetti di forma si osserva il disposto del secondo comma dell’art. 606 (590).

 D) Incapacità relative a succedere per testamento

(Libro II   delle successioni  – Titolo III    delle successioni testamentarie  – Capo III  Della capacità di ricevere per testamento  –  596 – 599)

 1)     Il tutore e protutore –

art. 596 c.c.     incapacità del tutore e del protutore: sono nulle le disposizioni testamentarie della persona sottoposta a tutela in favore del tutore, se fatte dopo la nomina di questo e prima che sia approvato il conto o sia estinta l’azione per il rendimento del conto medesimo (c.c.385 e seguenti), quantunque il testatore sia morto dopo l’approvazione. Questa norma si applica anche al protutore, se il testamento è fatto nel tempo in cui egli sostituiva il tutore (c.c.360).Sono però valide le disposizioni fatte in favore del tutore o del protutore che è ascendente, discendente, fratello, sorella o coniuge del testatore

2)     Notaio rogante i testimoni e gli interpreti (salvo approvazione di mano del testatore al momento della redazione o dell’atto  consegna)art. 597 c.c.    incapacità del notaio, dei testimoni e dell’interprete: sono nulle le disposizioni a favore del notaio o di altro ufficiale che ha ricevuto il testamento pubblico, ovvero a favore di alcuno dei testimoni o dell’interprete intervenuti al testamento medesimo.

3)     Colui che ha scritto il testamento segretoart. 598 c.c.    incapacità di chi ha scritto o ricevuto il testamento segreto: sono nulle le disposizioni a favore della persona che ha scritto il testamento segreto, salvo che siano approvate di mano dello stesso testatore o nell’atto della consegna. Sono pure nulle le disposizioni a favore del notaio a cui il testamento segreto è stato consegnato in plico non sigillato.

4)     Interposta persona  –

art. 599 c.c.    persone interposte: le disposizioni testamentarie a vantaggio delle persone incapaci indicate dagli articoli 592, 593, 595 (La Corte costituzionale, con sentenza 18-28 dicembre 1970, n. 205 (Gazz. Uff. 30 dicembre 1970, n. 329), ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 599, nella parte in cui si riferisce agli artt. 592 e 593.La stessa Inoltre con sentenza 18-20 dicembre 1979, n. 153 (Gazz. Uff. 29 dicembre 1979, n. 353), ha dichiarato la illegittimità costituzionale dell’art. 599 nella parte in cui richiama l’art. 595 c.c.) , 596, 597 e 598 sono nulle anche se fatte sotto nome d’interposta persona (c.c. 323, 378, 627).

Sono reputate persone interposte:

1)     il padre;

2)     la madre;

3)     i discendenti e il coniuge della persona incapace.

La presunzione è iuris et de iure; contro di essa, quindi, non è ammessa la prova contraria.

L’ipotesi in esame non dà luogo ad un’interposizione fittizia, essendo il fenomeno simulatorio estraneo al testamento, ma ad un’interposizione reale di persona.

In altri termini, i beni sono destinati effettivamente alla persona interposta attraverso una disposizione testamentaria invalida perché in frode alla legge.

Se Tizio ad esempio fa testamento, è nomina erede la moglie del notaio rogante, i beni sono effettivamente destinati a lei, ma la disposizione è nulla con la conseguenza che i beni stessi andranno non certo al notaio, ma all’erede legittimo.

Il momento in cui deve sussistere il rapporto di parentela è all’atto della redazione del testamento e non ha rilievo se, invece, sorge posteriormente.

Per quanto riguarda le persone diversa (amico del notaio) da quelle presunte ex art. 599, co 2, è possibile dimostrare la loro interposizione ed ottenere da parte dell’erede legittimo la nullità della disposizione testamentaria.

Sorrento, 15/3/2011.

Avv. Renato D’Isa

 

4)    NOTE

[1]Qualora sia fatta valere la falsità del testamento (nella specie olografo), l’azione – che ha ad oggetto l’accertamento dell’inesistenza dell’atto – soggiace allo stesso regime probatorio stabilito nel caso di nullità prevista dall’art. 606 c.c. per la mancanza dei requisiti estrinseci del testamento, sicché – avuto riguardo agli interessi dedotti in giudizio dalle parti nell’ipotesi di conflitto tra l’erede legittimo che disconosca l’autenticità del testamento e chi vanti diritti in forza di esso, l’onere della proposizione dell’istanza di verificazione del documento contestato incombe sul secondo, cui spetta la dimostrazione della qualità di erede, mentre nessun onere, oltre quello del disconoscimento, spetta all’erede legittimo. Pertanto sulla ripartizione dell’onere probatorio non ha alcuna influenza la posizione processuale assunta dalle parti, essendo irrilevante se l’azione sia stata esperita dall’erede legittimo (per fare valere, in via principale, la falsità del documento) ovvero dall’erede testamentario che, agendo per il riconoscimento dei diritti ereditari, abbia visto contestata l’autenticità del testamento da parte dell’erede legittimo. Cass. civ., Sez. II, 12/04/2005, n. 7475

[2]Capozzi – Successioni e Donazioni – II edizione – pag. 501

[3]Le disposizioni testamentarie che facciano riferimento all’istituto di common law, possono essere riconosciute nel nostro ordinamento in base alla convenzione dell’Aia, ratificata con la L. n. 364 del 1989, posto che dette disposizioni sono state adottate secondo la lex loci (USA); né può sostenersi che le disposizioni stesse sarebbero comunque nulle perché in contrasto con norme imperative di diritto interno disciplinanti la successione necessaria; in quanto in tal caso il legittimario non può chiedere la nullità del testamento, ma deve agire per la riduzione delle disposizioni lesive della quota di legittima. App. Firenze, Sez. II, 09/08/2001

[4] Trib. Nuoro, 24/02/2003 (Cass. civ. Sez. II, 30/07/1999, n. 8285)

[5]Cass. civ., 06/12/1984, n. 6398

[6]Cass. civ., Sez. II, 28/12/1993, n. 12861

[7]La sola circostanza che l’erede abbia accettato l’eredità non è sufficiente a far decorrere il termine quinquennale per la proposizione dell’azione di annullamento del testamento per incapacità del testatore, ex art. 591, comma terzo, cod. civ., giacchè, a tal fine, è necessario che venga data esecuzione alle disposizioni testamentarie. Cass. civ., Sez. II, 20/08/2009, n. 18560

[8]Legittimato all’impugnazione di un testamento olografo è solamente il soggetto che tragga un’utilità all’annullamento dello stesso. Non sussiste l’interesse all’impugnazione nel caso in cui l’accoglimento della domanda porterebbe all’attribuzione dell’eredità ad un altro soggetto. Trib. Torino, Sez. II, 04/11/2005

[9]Cicu – Triola – Caramazza – Bianca.

[10]Cass. civ., Sez. II, 04/12/1998, n. 12291

[11]Capozzi – stessa opera  – pag. 505

[12]Il codicillo, aggiunto ad un testamento olografo, se è anch’esso autografo, datato e sottoscritto dal testatore, rientra nell’ampio concetto di testamento olografo, la cui efficacia non è automaticamente esclusa dalla invalidità ex art. 624 c. c. dell’altro testamento cui si riferisce, ove, per il principio della conservazione del testamento, la precedente disposizione oggetto del riferimento, sebbene inficiata dalla non corrispondenza alla volontà effettiva, risulti presente alla coscienza del testatore nel momento in cui, con volontà non viziata, ha redatto il codicillo in calce alla stessa. Cass. civ., 20/10/1981, n. 5480

[13]Va confermata la pronuncia di merito che, pur non escludendo che la moglie avesse influito sull’allontanamento del testatore dalla famiglia di origine e dal suo ambiente sociale, ha respinto la domanda di annullamento, per captazione e per coartazione, del testamento con cui quest’ultimo aveva istituito il coniuge unico erede, in quanto le predette circostanze sono di per sé insufficienti a provare un’incidenza sulla volontà testamentaria del “de cuius”. Cass. civ., Sez. II, 28/05/2008, n. 14011

[14]Cass. civ., Sez. II, 20/03/2001, n. 8047

[15]Cass. civ., Sez. II, 28/05/2008, n. 14011, nello stesso senso Cass. civ., Sez. II, 22/04/2003, n. 6396 e Cass. civ., Sez. II, 19/07/1999, n. 7689

[16]Cass. civ., Sez. II, 14/06/2001, n. 8047

[17]App. Perugia, 16/05/2000

[18]Cass. civ., 20/07/1962, n. 1950

[19]Trib. Bari, Sez. I, 07/09/2009

[20]Cass. civ., Sez. II, 26/02/2009, n. 4677, Cass. 26/5/2000, n. 6999; Cass. 15/06/1995, n. 56; Cass. 10/02/01995, n. 1484; Cass. 5/04/1991, n. 3596; Cass. 12/07/1991, n. 7784

[21] Cass. civ., Sez. II, 03/06/2009, n. 12831

[22]Trib. Bari, Sez. I, 03/05/2010

[23]Trib. Roma, Sez. VIII, 29/04/2010

[24]Cass. civ., Sez. II, 15/04/2010, n. 9081

[25]Cass. civ., Sez. II, 27/10/2008, n. 25845

[26]Trib. Benevento, 07/05/2009

[27]App. Roma, Sez. III, 08/09/2007

[28]Trib. Palermo, Sez. II, 02/03/2009

[29]Cass. civ., Sez. II, 18/04/2005, n. 8079

[30]Cass. civ., Sez. II, 14/05/2008, n. 12124, principio già enunciato in altre pronunce: Cass. civ. Sez. II Sent., 27/10/2008, n. 25845, Cass. civ. Sez. II, 07/07/2004, n. 12458

[31]Trib. Vigevano, 16/05/1998

[32]La falsità, ad opera del notaio rogante, accertata in sede penale ai sensi dell’art. 480 c.p.c., delle formalità richieste dall’art. 603 comma 2 c.c., non si riverbera anche sulla raccolta delle disposizioni del testatore da parte del notaio rogante e non determina pertanto un vizio che comporta la nullità del testamento pubblico, perchè non attiene ad alcuno dei requisiti essenziali prescritti a pena di nullità dall’art. 606 comma 1 c.c.; ma esso è solamente annullabile ai sensi dell’art. 606 comma 2 c.c. per vizio di forma dello stesso.

Cass. civ., Sez. II, 30/01/1992, n. 1009

[33] Nella stessa sentenza di cui sopra, “l’accertamento, in sede penale, della falsità, nel testamento pubblico, della attestazione, da parte del notaio, della presenza dei testimoni e della lettura del testamento in presenza di questi, determina, ai sensi dell’art. 606 c. c., l’annullamento e non la nullità o l’inesistenza dell’atto, perché ha la stessa efficacia dell’accertamento di quella falsità in via incidentale nel giudizio civile, con le conseguenze fissate dalle leggi civili che disciplinano la materia”. Cass. civ., Sez. II, 30/01/1992, n. 1009

[34]App. Roma, Sez. III, 17/11/2009

[35]Trib. Monza, Sez. IV, 21/05/2008,(Cass. n. 12285/02)

[36]Cass. civ., Sez. II, 17/10/2001, n. 12649

[37] Particolare appare questa sentenza di merito secondo cui “la disposizione testamentaria con la quale il de cuius istituisca erede una fondazione di nuova costituzione avente come scopo discriminatorio l’istruzione dei soli cittadini di razza bianca non è affetta da nullità per illiceità dei motivi, in quanto, da un lato, il motivo illecito non può considerarsi nella specie determinante del consenso del testatore, dall’altro può farsi ivi applicazione della disciplina codicistica sull’onere illecito che si considera non apposto laddove non determinante del consenso”. Trib. Brescia, 13/04/2001

[38]L’accertamento se il modus illecito apposto ad una disposizione testamentaria ne ha costituito o meno il solo motivo determinante, ai fini della pronunzia di nullità della disposizione stessa (ex art. 647, 3° comma, c. c.), involge, al pari di ogni altra indagine relativa all’interpretazione del testamento, una questione di mero fatto, non deducibile per la prima volta in sede di legittimità. Cass. civ., 16/04/1984, n. 2455

[39]La disposizione testamentaria a favore di ente assistenziale che risulti inesistente o non identificabile al momento dell’apertura della successione è nulla, per incertezza sull’identità del beneficiario, ai sensi dell’art. 628 c.c.; né può ritenersi applicabile l’art. 630 c.c. il cui dispositivo opera tassativamente ove la disposizione in favore dei poveri risulti espressa genericamente, senza che venga determinato l’uso o il pubblico istituto a beneficio del quale sia stata prevista. App. Napoli, 30/05/1991, invece secondo la Cassazione È sufficiente, per escludere la nullità di una disposizione a causa di morte per indeterminatezza del beneficiario (art. 628 c.c.), che questi sia stato indicato, anche se non per nome, con riferimento a univoci dati obiettivi (nella specie: la corte ha ritenuto valido un testamento, in cui la testatrice aveva dichiarato di lasciare la sua casa alle figlie nubili, con l’aggiunta che “però, in caso di stretto bisogno, vi rientri qualunque altro dei figli”, ravvisandosi un’istituzione di erede in favore delle figlie nubili ed un legato di partecipazione alle rendite della casa, condizionato all ‘evento futuro e incerto dello stato di bisogno, in favore degli altri figli). Cass. civ., 02/05/1975, n. 1681

[40]In ipotesi di chiamata all’eredità subordinata alla condizione dell’aggiunta del cognome del testatore al proprio entro un determinato termine dall’apertura della successione, con la previsione, per il caso di mancato avveramento della condizione, della devoluzione di tutto il patrimonio relitto allo Stato, qualora risulti l’intento del de cuius di affidare i propri scopi (connessi al verificarsi di detta condizione) ed il beneficio al primo chiamato alla mera discrezione della pubblica amministrazione, senza alcun obbligo a carico di quest’ultima di attivarsi per la realizzazione dell’evento dedotto in condizione, si configura la nullità della disposizione testamentaria, ove il testatore abbia in tal modo consapevolmente inteso rimettere all’arbitrio del secondo chiamato la designazione dell’erede (art. 631, comma 1, c.c.), ovvero la nullità – quanto al termine – della condizione perché illecita (art. 634 c.c.), ove il testatore abbia posto una condizione realizzante, nella sostanza, la fattispecie vietata di cui all’art. 631, comma 1, c.c.  Cass. civ., 29/03/1982, n. 1928

[41]Il patto successorio, nella forma di patto istitutivo, consiste in una convenzione obbligatoria in astratto suscettibile di coazione giuridica ad adempiere, ma nulla (soltanto) per il divieto posto dall’art. 458 c.c., di cui la successiva disposizione testamentaria costituisca l’adempimento, e, pertanto, non ricorre quando nella scheda testamentaria siano inserite locuzioni generiche, rivelatrici di impegni di carattere affettivo e morale (come quella di accordi familiari o patti pregressi) in mancanza di prova degli elementi essenziali del patto, cioè delle parti tra le quali questo è intercorso, della controprestazione costituente il corrispettivo della istituzione, e della idoneità giuridica del vincolo a determinare, indipendentemente dalla nullità “ex lege”, la volontà del testatore alla istituzione medesima. Trib. Torino, Sez. II, 18/08/2008

[42] Vedi prossimo par. 3 – D)

[43] Il fondamento della nullità di cui all’art. 589 cod. civ. è esclusivamente di carattere formale e non sostanziale, riguardando essa specificamente l’obbligo, in sede di redazione di testamento, di attenersi alle vincolanti prescrizioni normative vigenti in materia. Ne consegue che l’art. 589 c.c. non vieta i testamenti simultanei, anche reciproci, cioè stilati su di un medesimo foglio ma distinti e distintamente sottoscritti. In mancanza di prove specifiche idonee a dimostrare il perfezionamento di un patto successorio sottostante, la identità, la contestualità e la reciprocità dei testamenti, non consente di concludere che gli stessi siano stati redatti in esecuzione di un preciso “vinculum iuris”. Trib. Terni, 13/09/2007

[44] La disposizione di un bene altrui integra, secondo il combinato disposto dell’ art. 1418, comma 2, e dell’art. 1346 c.c. ed in ossequio all’antico brocardo nemo plus iuris in alium transferre potest quam ipse habet, una causa di nullità dell’atto per carenza nell’oggetto del requisito della possibilità. Tale nullità, in ragione della regola posta all’art. 1419 c.c. e nella logica del “favor testamenti”, spiega effetti limitatamente alla disposizione contestata, ferma restando la validità e l’efficacia della restante parte del negozio “de quo”. Trib. Bari, Sez. I, 16/07/2008

[45]In caso di rivendica dei beni ereditari, chi agisce con azione petitoria, previo annullamento del testamento che ha chiamato all’eredita` il possessore in buona fede, non può chiedere a quest’ultimo di essere risarcito dei danni, ma solo che gli vengano restituiti i frutti indebitamente percepiti, nei limiti fissati dall’articolo 1148 del Codice civile.  In tale ipotesi, infatti, la buona fede del possessore deve comunque essere presunta ai sensi dell’articolo 1147 del Codice civile. La vicenda esaminata dai giudici di legittimita` vedeva agire gli eredi legittimi di due donne le quali, con testamento pubblico – poi dichiarato nullo per incapacita` di intendere e volere – avevano lasciato il proprio patrimonio ad un Istituto religioso. Cass. Civ. 3/3/20101, n. 5091

[46]L’azione di annullamento di un testamento pubblico rientra tra le cause ereditarie previste dall’art. 22 c.p.c. atteso che con tale impugnazione la parte intende far valere la validità di un testamento preesistente e, quindi, la sua qualità di erede. In senso contrario non vale osservare che l’azione diretta a conseguire la nullità del testamento può essere proposta da chiunque abbia un interesse meritevole di tutela e a prescindere dalla qualità di erede dell’attore, perché, in tema di competenza territoriale, ai fini dell’applicabilità della disciplina dell’art. 22 c.p.c., che demanda alla competenza del giudice del luogo dell’apertura della successione qualunque altra causa tra i coeredi, fino alla divisione, deve intendersi per causa tra coeredi quella che, non solo si riferisca ai beni caduti in successione, ma comprenda, altresì, ogni controversia comunque attinente alla qualità di erede. Cass. civ., Sez. II, 08/02/2005, n. 2557

[47]Cass. civ., 05/01/1985, n. 16

[48]Cass. civ., Sez. II, 14/01/2010, n. 474, Cass. civ. Sez. II, 21/05/1980, n. 3339 e Cass. civ., 24/04/1975, n. 1608

[49]Cass. civ., Sez. II, 05/11/1992, n. 11979

[50]Trib. Reggio Emilia, 27/09/2000

[51]App. Trento, 14/01/1997

[52]Trib. Napoli, 24/06/1972

[53]Cass. civ., 14/02/1980, n. 1112

[54]Cass. civ., Sez. II, 05/08/2002, n. 11733 (Nella specie, in applicazione del principio di cui in massima, la S.C. ha confermato la sentenza impugnata, la quale aveva escluso la nullità del testamento olografo in un caso nel quale nel documento cartaceo, contenente la disposizione di ultima volontà interamente scritta dal “de cuius” e, immediatamente sotto, la sottoscrizione dello stesso, comparivano anche, redatte da mano aliena, le sottoscrizioni di due infermiere che gli prestavano assistenza e altre scritte in stampatello riproducenti i nomi e gli indirizzi delle stesse).

[55]Nel testamento olografo qualsiasi aggiunta riferibile alla mano di un terzo estraneo apposta in un momento successivo alla sottoscrizione del testatore non può mai inficiare la piena validità della scheda testamentaria autonomamente redatta da quest’ultimo, essendo tali scritti inidonei a pregiudicare la libertà di autodeterminazione del testatore stesso. Cass. civ., Sez. II, 30/10/2008, n. 26258

[56]Cass. civ., Sez. II, 30/10/2008, n. 26258,Cass. civ. Sez. II Sent., 03/11/2008, n. 26406 e Cass. civ. Sez. II Sent., 14/05/2008, n. 12124.

[57]Cass. civ., Sez. II, 03/11/2008, n. 26406

[58]Cass. Civ., 7/1/1992, n. 32, che ha ritenuto valido un testamento scritto interamente dal testatore, che si era fatto guidare la mano solo per vergare la data con maggiore chiarezza, in quanto nella specie la autografia non riguardava le disposizioni testamentarie, ma la data, cioè un elemento la cui stessa mancanza comporta solo la annullabilità e non la nullità del testamento.

[59]AncoraCass. civ., Sez. II, 07/07/2004, n. 12458

[60]Cass. Civ., 10/7/1991 n. 7636 , inoltre Trib. Perugia 10 febbraio 1998

[61]Cass. Civ,  17/3/1993 n. 3163

[62]Cass. pen., Sez. V, 28/06/2005, n. 5087.

[63]L’art. 606 c.c. – in collegamento con l’art. 602 c.c. che prescrive che il testamento olografo debba essere scritto per intero, datato e sottoscritto di mano del testatore – sanziona di nullità il testamento “quando manca l’autografia o la sottoscrizione nel caso di testamento olografo”; la congiunzione “o” chiarisce l’insufficienza della sola autografia, e la imprescindibile necessità che il testo sia sottoscritto dal testatore (così come del resto avviene per qualsiasi scrittura privata, che può essere qualificata come tale solo se sottoscritta: art. 2702 c.). Trib. Torino, Sez. II, 03/09/2008

[64]Cass. Civ., 14/12/2000 n. 15379

[65]Cass. 28 ottobre 2003 n. 16186 (ha dichiarato la nullità di un testamento in cui tra la scrittura e la sottoscrizione erano state lasciate libere ben 17 righe prive di interlineature ed era evidente l’assenza di un qualsivoglia tratto di penna che univa la data, apposta all’ultimo rigo dello scritto, con la sottoscrizione a margine della pagina)

[66]Cass. civ., Sez. II, 04/12/2007, n. 25275

[67]Cass. civ., 22/07/1966, n. 1999

[68]Corte di Cassazione sentenza n. 1903 del 27.01.2009

[69]Il documento deve essere predisposto dal notaio, ma la materiale scrittura può essere opera anche di una terza persona

[70] Hanno il compito di controllare che la scheda testamentaria corrisponda alla dichiarazione orale.

[71] La mancata menzione delle stesse rende l’atto invalido. Non è, però, necessario l’uso di formule sacramentali.

[72] Il Comune, seguito dall’indicazione del luogo specifico (es.: lo studio del notaio o la casa del testatore)

[73] Giorno, mese ed anno in lettere

[74] Se manca la firma del notaio, il testamento pubblico sarà nullo (art. 1418); negli altri casi sarà annullabile (art. 1444)

[75] Se, in realtà, tale impedimento non esisteva, il testamento pubblico sarà nullo

[76] E’ richiesto  l’intervento di un interprete (art. 597), nominato dal giudice del luogo di apertura della successione (art. 456).

[77]Cass. civ., Sez. II, 21/11/2008, n. 27824

Avv. Renato D’Isa

 


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