Al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio

Corte di Cassazione, sezione seconda civile, Ordinanza 4 marzo 2019, n. 6245.

La massima estrapolata:

Sono riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilita’ e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento; per cui e’ insindacabile, in sede di legittimita’, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice.
Il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimita’ e’ configurabile (cosa che nella specie non e’ dato ravvisare) solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando e’ evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non gia’ quando vi sia difformita’ rispetto alle attese del ricorrente

Ordinanza 4 marzo 2019, n. 6245

Data udienza 18 dicembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CORRENTI Vincenzo – Presidente

Dott. BELLINI Ubaldo – rel. Consigliere

Dott. ABETE Luigi – Consigliere

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere

Dott. OLIVA Stefano – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 28844/2015 proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS), ed elettivamente domiciliata presso lo studio dell’Avv. (OMISSIS) in (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), rappresentata e difesa dall’Avvocato (OMISSIS) ed ettivamente domiciliata presso il suo studio in (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 591/2015 della CORTE di APPELLO di CATANZARO, pubblicata il 5/05/2015;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 18/12/2018 dal Consigliere Dott. UBALDO BELLINI.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso depositato in data 9.5.2002, (OMISSIS) conveniva avanti al Tribunale di Paola (OMISSIS), assumendo: a) di essere proprietaria di un terreno in agro (OMISSIS), identificato al Catasto Terreni alla partita (OMISSIS), foglio (OMISSIS), particelle (OMISSIS), confinante, tra l’altro, con fondo degli eredi di (OMISSIS); b) di avere fatto apporre nel mese di marzo 2001 dei picchetti da parte di un tecnico e con l’uso di strumentazione elettronica, esattamente lungo la linea di confine del proprio fondo, presente (OMISSIS), quale erede di (OMISSIS) e senza contestazioni dei proprietari confinanti; c) che nel mese di dicembre 2001, a delimitazione di detto confine, venivano apposti paletti in ferro; d) che nel mese di marzo 2002 gli eredi (OMISSIS), in assenza e a insaputa della ricorrente, abitante in (OMISSIS), rimuovevano i picchetti e nel mese successivo installavano una palizzata con struttura cementizia in modo da invadere il terreno dell’istante per circa 160 m. e da ostruire l’unico accesso al proprio fondo; e) che, successivamente, gli autori dell’occupazione lavoravano la terra fino alla palizzata, con l’evidente scopo di impossessarsi di detta superficie; f) che era riuscito infruttuoso ogni bonario invito di rilasciare l’area.
Cio’ premesso, la ricorrente chiedeva la reintegrazione nel possesso con il ripristino dell’originaria situazione dei luoghi, mediante l’esatta collocazione degli originari picchetti a spese dei convenuti.
Si costituiva la convenuta contestando la domanda e deducendo che l’istante, nel tentativo di appropriarsi di un terreno che non le apparteneva, nel mese di aprile dell’anno precedente aveva collocato dei picchetti in assenza della deducente, la quale, appena edotta, li rimuoveva. Agli inizi del 2002, la ricorrente aveva apposto altri picchetti, sempre all’interno del fondo della resistente che, tornata sui luoghi dopo alcuni mesi di assenza, li asportava. Successivamente, onde evitare ulteriori tentativi di invasione del proprio terreno, lo recintava lungo il reale confine.
All’esito del libero interrogatorio della ricorrente e della resistente, nonche’ delle dichiarazioni rese dagli informatori, il Tribunale di Paola rigettava la domanda di emissione di provvedimento interdittale con ordinanza del 24-25.9.2002, reclamata dalla ricorrente con esito negativo.
Instaurato il giudizio di merito, all’esito delle prove orali articolate dalle parti, precisate le conclusioni, con sentenza n. 903/2008 del 21.7.2008, il Tribunale di Paola accoglieva la domanda proposta da (OMISSIS); dichiarava che la medesima era stata spogliata a opera della (OMISSIS) del possesso relativo alla superficie di terreno individuata nell’atto introduttivo, con la rimozione dei picchetti apposti dall’attrice sul lato limitrofo alla proprieta’ degli eredi di (OMISSIS) e con la successiva realizzazione di una struttura cementizia da parte della convenuta; condannava quest’ultima alla demolizione di detta struttura e al ripristino della preesistente situazione dei luoghi mediante il riposizionamento dei summenzionati picchetti, rispettando la delimitazione precedentemente effettuata dall’attrice; condannava la (OMISSIS) alle spese di lite.
Avverso detta sentenza proponeva appello la (OMISSIS), deducendo l’insussistenza in capo all’appellata di una situazione possessoria giuridicamente tutelabile, avendo l’appellante sempre avuto la disponibilita’ della striscia in contestazione e cio’ ben prima del giudizio possessorio, come del resto confermato dalle risultanze istruttorie. Inoltre, l’apposizione di picchetti non poteva considerarsi costitutiva di una situazione possessoria. Invece, la (OMISSIS), nel rimuovere i picchetti, aveva agito in autotutela, a difesa del suo diritto.
Si costituiva in giudizio l’appellata, la quale eccepiva l’infondatezza dell’appello in fatto e in diritto e chiedeva la conferma della sentenza impugnata.
Con sentenza n. 591/2015, depositata in data 5.5.2015, la Corte d’Appello di Catanzaro rigettava l’appello e condannava l’appellante al pagamento delle spese di lite del grado di appello.
Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione (OMISSIS) sulla base di tre motivi; resiste (OMISSIS) con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. – Con il primo motivo, la ricorrente lamenta la “Violazione dell’articolo 1140 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, in quanto i Giudici di merito sono stati di diverso avviso rispetto al Tribunale collegiale di Paola, il quale, in sede di reclamo, aveva affermato come l’unico elemento addotto dalla (OMISSIS) a sostegno del suo possesso fosse costituito dall’apposizione dei picchetti, mentre la medesima, per sua ammissione, non aveva mai coltivato il fondo e gli informatori avevano dichiarato che la striscia di terreno in contestazione fosse coltivata dalla (OMISSIS), per cui la mera apposizione di picchetti non poteva ritenersi costitutiva di una situazione di possesso in capo alla reclamante. La ricorrente deduce che, in base all’articolo 1140 c.c., il possesso e’ costituito dal corpus e dall’animus, ossia il potere di fatto e la consapevolezza di tenere la cosa quale proprietario o titolare di altro diritto. Il potere di fatto consiste in un contegno del possessore idoneo ad assoggettare la cosa alla propria signoria, che implica l’astensione dei terzi. Quest’ultima non resta preclusa dall’apposizione di picchetti, tanto che la ricorrente continuava a coltivare il terreno in contestazione anche dopo la collocazione dei picchetti.
1.2. – Con il secondo motivo, la ricorrente eccepisce la “Violazione dell’articolo 2697 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3”, la’ dove il Giudice di merito ha escluso che i testi addotti dall’odierna ricorrente avessero fornito elementi utili a dimostrare il suo possesso sulla striscia di terreno conteso, in quanto essi si sarebbero limitati a riferire di averla aiutata nella raccolta delle olive e nella coltivazione del fondo in contestazione, senza fare riferimento all’asserita immediata rimozione dei picchetti da parte della (OMISSIS). Tale affermazione, a detta della ricorrente, comporta un’inversione dell’onere della prova, in quanto e’ pacifico che sia il ricorrente a dovere dare la prova del proprio possesso, ex articolo 2697 c.c..
1.3. – Con il terzo motivo, la ricorrente deduce il “Travisamento della prova in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 4”, poiche’ il Giudice di primo grado sarebbe incorso in evidente contraddizione, la’ dove ha ritenuto che i testi, nel momento in cui riferivano del possesso della (OMISSIS) sul terreno in contestazione, in realta’ non facessero riferimento alla striscia in contestazione. Per la ricorrente, la confusione sarebbe evidente, in quanto i testi non potevano che riferirsi alla striscia di terreno conteso. Il Tribunale di Paola – in sede di reclamo – aveva evidenziato che la (OMISSIS), per sua stessa ammissione, non avesse mai coltivato il fondo, che invece era coltivato dalla (OMISSIS), come acclarato dagli informatori. Anche nella fase di merito, il teste (OMISSIS), all’udienza del 10.3.2005, dichiarava che dal 1977 la (OMISSIS) possedeva il fondo posto al confine con quello della (OMISSIS), lo coltivava e raccoglieva le olive. Precisava che li aveva visti coltivare sulla striscia di terreno posta al confine. Tale circostanza era confermata dal teste (OMISSIS). La ricorrente deduce, dunque, una contraddittorieta’ tra il dato esistente in atti e quello preso in considerazione dal Giudice, non richiedendo una diversa valutazione dei fatti e una rivisitazione della prova, ma un accertamento che quell’informazione probatoria, utilizzata in sentenza, e’ contraddetta dai risultati della prova di cui ai verbali di causa.
2. – In considerazione della loro stretta connessione logico-giuridica, i motivi vanno esaminati e decisi congiuntamente.
2.1. – I motivo sono inammissibili.
2.2. – Da un lato, e’ consolidato il principio secondo cui sono riservate al Giudice del merito l’interpretazione e la valutazione del materiale probatorio, il controllo dell’attendibilita’ e della concludenza delle prove, la scelta tra le risultanze probatorie di quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, nonche’ la scelta delle prove ritenute idonee alla formazione del proprio convincimento; per cui e’ insindacabile, in sede di legittimita’, il “peso probatorio” di alcune testimonianze rispetto ad altre, in base al quale il Giudice di secondo grado sia pervenuto a un giudizio logicamente motivato, diverso da quello formulato dal primo Giudice (Cass. n. 1359 del 2014; Cass. n. 16716 del 2013; Cass. n. 1554 del 2004).
Ed e’ altresi’ pacifico che il difetto di motivazione censurabile in sede di legittimita’ e’ configurabile (cosa che nella specie non e’ dato ravvisare) solo quando dall’esame del ragionamento svolto dal Giudice di merito e quale risulta dalla stessa sentenza impugnata emerga la totale obliterazione di elementi che potrebbero condurre a una diversa decisione ovvero quando e’ evincibile l’obiettiva deficienza del processo logico che ha indotto il Giudice al suo convincimento, ma non gia’ quando vi sia difformita’ rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054 del 2014).
2.3. – D’altro lato (e cio’ vale in riferimento a tutti i motivi di ricorso), le censure ivi formulate si risolvono tutte, in sostanza, nella sollecitazione ad effettuare una nuova valutazione di risultanze di fatto come emerse nel corso del procedimento, cosi’ mostrando la ricorrente di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di legittimita’ in un nuovo, non consentito, giudizio di merito, nel quale ridiscutere tanto il contenuto di fatti e vicende processuali, quanto ancora gli apprezzamenti espressi dalla Corte di merito non condivisi e per cio’ solo censurati al fine di ottenerne la sostituzione con altri pi’u’ consoni ai propri desiderata; quasi che nuove istanze di fungibilita’ nella ricostruzione dei fatti di causa possano ancora legittimamente porsi dinanzi al giudice di legittimita’ (Cass. n. 5939 del 2018).
Come questa Corte ha piu’ volte sottolineato, compito della Cassazione non e’ quello di condividere o non condividere la ricostruzione dei fatti contenuta nella decisione impugnata, ne’ quello di procedere ad una rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, al fine di sovrapporre la propria valutazione delle prove a quella compiuta dal giudice del merito (cfr. Cass. n. 3267 del 2008), dovendo invece il giudice di legittimita’ limitarsi a controllare se costui abbia dato conto delle ragioni della sua decisione e se il ragionamento probatorio, da esso reso manifesto nella motivazione del provvedimento impugnato, si sia mantenuto entro i limiti del ragionevole e del plausibile; cio’ che nel caso di specie e’ dato riscontrare (cfr. Cass. n. 9275 del 2018).
3. – Nella sentenza impugnata (pag. 4), la Corte di merito da’ congrua ed argomentata motivazione in ordine alla individuazione, valutazione e ponderazione degli elementi probatori che hanno condotto (sia il Tribunale quale primo giudice del merito possessorio, sia essa stessa Corte d’appello) ad una conclusione diversa da quella del Collegio in sede di reclamo nella fase interdittale. Nella specie, le censure svolte (riferite tanto alla asserita violazione dell’articolo 1140, quanto alla violazione dell’articolo 2697 c.c.) si risolvono nella contestazione in fatto della decisione (oltre che del Tribunale) della Corte d’appello, in ragione dell’esito difforme rispetto alle attese del ricorrente (Cass. n. 13054 del 2014).
3.1. – Lo stesso vale con riguardo al contestato vizio di travisamento della prova (di cui al terzo motivo), che pur riferito dalla parte ad un asserito errore in procedendo (trattandosi, a dire della stessa, di “censura decisiva che, se accolta, non potra’ che fare riconsiderare la deliberazione da parte del giudice di rinvio”), viene anch’esso configurato dalla ricorrente quale specifico vizio in iudicando, attinente alla motivazione, derivante in tesi dalla erronea valutazione e ponderazione del quadro probatorio acquisito (in particolare in sede interdittale) attraverso le dichiarazioni rese dai sommari informatori.
Ma (e cio’ vale anche per gli altri motivi) l’apprezzamento del giudice di merito, nel porre a fondamento della propria decisione una argomentazione, tratta dalla analisi di fonti di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e le circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (ex plurimis, Cass. n. 9275 del 2018; Cass. n. 5939 del 2018; Cass. n. 16056 del 2016; Cass. n. 15927 del 2016).
Va quindi esclusa, anche, la configurabilita’ dell’eccepito travisamento della prova, che implica, non (come nella specie) una valutazione dei fatti, ma la constatazione o l’accertamento che l’informazione probatoria, utilizzata in sentenza, sia contraddetta da uno specifico atto processuale (Cass. n. 10749 del 2015).
4. – Il ricorso, quindi, va dichiarato inammissibile. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va emessa altresi’ la dichiarazione di cui al Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1-quater.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna la ricorrente alla refusione delle spese di lite in favore della controricorrenti che liquida in complessivi Euro 2.900,00 di cui Euro 200,00 per rimborso spese vive, oltre al rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.

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