Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|16 ottobre 2024| n. 26897.
Al correntista prova ripristinatoria delle rimesse contestate
In tema di contratto di conto corrente, la banca che eccepisca la prescrizione dell’actio indebiti assolve al proprio onere di allegazione con l’affermazione della natura solutoria delle rimesse contestate (anche senza indicare specificamente quali siano), dell’inerzia del correntista e della volontà di approfittarne agli effetti dell’estinzione del diritto vantato, gravando invece sul correntista l’onere di provare che le rimesse contestate hanno natura meramente ripristinatoria.
Ordinanza|16 ottobre 2024| n. 26897. Al correntista prova ripristinatoria delle rimesse contestate
Data udienza 10 ottobre 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Banca – Rimesse solutorie – ripetizione dell’indebito – Onere della prova del correntista – Regime anteriore legge n. 154 del 1992 – Pattuizione di interessi in misura superiore a quella legale – Mero riferimento alle condizioni praticate usualmente dalle aziende di credito sulla piazza – Assenza della sufficiente univocità – Difetto di inequivoca determinabilità dell’ammontare del tasso – Esclusione del pagamento – Cass. n. 24048 del 2019 – Inoperatività a partire dal 9 luglio 1992 della clausola anteriormente stipulata di rinvio agli interessi ad uso piazza – Cass. n. 4490 del 2002 – Tasso sostitutivo applicabile è quello legale di cui all’art. 1284 c.c. – Esclusione dell’art. 117, comma 7, t.u.b.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati
Dott. DI MARZIO Mauro – Presidente
Dott. MACCARRONE Tiziana – Consigliere
Dott. DAL MORO Alessandra – Relatore
Dott. CAMPESE Eduardo – Consigliere
Dott. GARRI Guglielmo – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 8978/2022 R.G. proposto da
BA.MO. Spa, elettivamente domiciliato in ROMA VIA GI.BA., presso lo studio dell’avvocato PA.TI. (OMISSIS) che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PA.CL. (OMISSIS).
-ricorrente-
contro
Pa.Li., elettivamente domiciliato in CAMPOBASSO VIA G.MA., presso lo studio dell’avvocato DE.BE. (OMISSIS) che lo rappresenta e difende
-controricorrente-
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO CAMPOBASSO n. 348/2021 depositata il 25/10/2021.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 10/10/2024 dal Consigliere ALESSANDRA DAL MORO.
Al correntista prova ripristinatoria delle rimesse contestate
FATTI DI CAUSA
1.- Il Tribunale di Campobasso ha dichiarato la nullità delle clausole contenute nel contratto di c/c bancario n. (Omissis) acceso l’8.06.1992 dal sig. Pa.Li. presso BA.MO. ed estinto il 7.04.2011 le quali prevedevano la capitalizzazione trimestrale degli interessi passivi, l’applicazione della commissione di massimo scoperto e la determinazione di interessi ultralegali “uso piazza” e ha condannato la banca alla restituzione in favore dell’attore della somma di Euro 68.038,35, respingendo l’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione di indebito sollevata da BM.; in particolare il Tribunale ha respinto l’eccezione di prescrizione richiamando la distinzione fra i versamenti effettuati dal correntista con funzione solutoria – per i quali la prescrizione decennale dell’actio indebiti decorre a far tempo dalla singola operazione annotata – e quelli meramente ripristinatori della provvista in relazione ad un’apertura di credito – per i quali la prescrizione decorre solo dalla chiusura del conto, non potendo parlarsi in siffatti casi di veri e propri pagamenti, ed ha considerato non fornita nella specie dalla banca (considerata a tanto onerata per aver sollevato l’eccezione di prescrizione) la necessaria indicazione specifica delle rimesse solutorie antecedenti la chiusura del conto – nell’anno 2011 sicchè, in mancanza di detta prova, l’eccezione di prescrizione risultava infondata a fronte di domanda proposta nel 2015.
2 La sentenza, impugnata da BM., è stata confermata dalla Corte d’Appello
reputando – per quanto qui interessa, in ragione dell’unico motivo di cassazione proposto – che era infondata l’impugnazione relativa alla statuizione di primo grado circa l’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione con riferimento alle rimesse solutorie effettuate prima del decennio anteriore all’instaurazione del giudizio, ed andava, perciò, respinta la richiesta di rideterminare il saldo del contratto di conto corrente previo rinnovo della CTU; e ciò ha ritenuto ferma la distinzione fra i versamenti effettuati dal correntista con funzione solutoria e quelli meramente ripristinatori della provvista in presenza di un’apertura di credito, osservando
(a) sulla censura riferita alla ritenuta (dal giudice di prime cure) non specificità dell’eccezione di prescrizione sollevata da BM. richiamando SS.UU n. 13/06/2019, n. 15895 che l’onere di allegazione dell’istituto di credito che eccepisce la prescrizione è soddisfatto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto e dalla dichiarazione di volerne approfittare senza necessità di indicare le specifiche rimesse solutorie, ma “il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, con la conseguenza che al giudice compete la valutazione della fondatezza delle tesi contrapposte alla luce del riparto dell’onere probatorio”;
Al correntista prova ripristinatoria delle rimesse contestate
(b) circa il riparto dell’onere probatorio che
(i) a fronte di un’eccezione di prescrizione “fermo restando l’onere del correntista di provare la natura ripristinatoria e non solutoria delle singole rimesse” il giudice deve valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito comunque acquisita, quindi anche in difetto di una specifica allegazione da parte del correntista, venendo in rilievo un impedimento al decorso della prescrizione e, quindi, un’eccezione in senso lato proponibile per la prima volta anche in appello;
(ii) nella specie, circa la concessione relativamente al rapporto di conto corrente oggetto di causa di un’apertura di credito, andava aggiunto, a quanto già evidenziato nella sentenza impugnata (ovvero che dalla documentazione non era emersa alcuna richiesta rivolta dalla banca al cliente, finalizzata a riportare il conto in pareggio) che ratione temporis era ammissibile un rapporto di apertura di credito a forma libera, risalendo il contratto di c/c in questione all’8.6.1992 dunque a data anteriore all’entrata in vigore dell’art. 3 della L. n. 154 del 1992, che ha acquistato efficacia l’8/07/1992; e che un’apertura di credito “di fatto” risultava dagli estratti conto prodotti, che presentavano per tutta la durata del rapporto l’indicazione di voci di addebito correlate alla concessione di un affidamento (“spese affidamenti e/o scoperti”; “commissioni di massimo scoperto”);
(iii) stante l’esistenza di un fido “di fatto”, come già evidenziato dal primo giudice, non vi era alcuna prova che esso avesse un limite, tanto che nessuna richiesta di rientro dallo “scoperto” consentito al correntista risultava essere stata rivolta in corso di rapporto; né tanto era possibile evincere dal prospetto elaborato in sede di osservazioni alla CTU dal consulente di parte della banca, il quale -confermando la concessione di fido di fatto dalla banca al correntista – indicava limiti di fido privi di qualsiasi riscontro;
(iv) pertanto nessuna ragione sussisteva per procedere “alla rinnovazione della CTU sollecitata dall’appellante al fine di ricostruire gli asseriti versamenti extrafido dai quali decorrerebbe la prescrizione eccepita” accertamento -precisava la Corte di Campobasso in ragione del contraddittorio sul punto – che non potrebbe effettuarsi sul saldo banca, come preteso dall’appellante, ma eventualmente sul saldo rettificato, in conformità alla giurisprudenza di legittimità per cui per verificare se un versamento, nell’ambito di un rapporto di apertura di credito in conto corrente, abbia avuto natura solutoria o solo ripristinatoria, occorre, all’esito della declaratoria di nullità delle clausole anatocistiche, previamente eliminare tutti gli addebiti indebitamente effettuati dall’istituto di credito onde determinare il reale passivo del correntista e verificare se quest’ultimo, così epurato, ecceda o meno i limiti del concesso affidamento (cita Cass. n.9141/2020; Cass., n.3858/2021).
Al correntista prova ripristinatoria delle rimesse contestate
La Corte di Campobasso, quindi, ha concluso confermando che nella specie tutte le rimesse effettuate sul conto oggetto di causa avevano avuto funzione semplicemente ripristinatoria e che, quindi, solo al momento della sua estinzione (aprile 2011) si era stabilita definitivamente la posizione debitoria e creditoria delle parti con relativa decorrenza del termine di prescrizione decennale, che nel caso di specie, non era maturato al momento della proposizione della domanda di ripetizione di indebito.
3.- Avverso detta sentenza BM. ha presentato ricorso affidandolo a un motivo di cassazione. Ha resistito, con controricorso Pa.Li. Il controricorrente ha depositato memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1.-Il primo motivo, denuncia in relazione all’art. 360, comma 1, n.3 e n. 5 c.p.c. la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697, 2935 e 2946 c.c., nonché dell’art. 115 c.p.c., e si articola in due parti
a) per aver la Corte d’Appello erroneamente riversato sulla banca l’onere di comprovare la natura solutoria delle rimesse in conto corrente ai fini della decisione sulla decorrenza della prescrizione decennale, e aver conseguentemente accolto l’azione di ripetizione in relazione al decennio, nonostante quanto eccepito e l’assenza di un conto di affidamento scritto;
b) per “omesso esame su un fatto decisivo rappresentato, nello specifico dalla mancata ammissione di un rinnovo della consulenza tecnica contabile, come richiesta dallo stesso istituto, al fine di dare prova delle rimesse solutorie”.
1.1- Nell’illustrare la prima articolazione del motivo la ricorrente sostiene (i) che, nella motivazione resa, la Corte di merito avrebbe omesso di considerare che sono solutori tutti i versamenti affluiti su un conto corrente c.d. scoperto, ovverosia non assistito da un’apertura di credito o caratterizzato da un saldo passivo eccedente l’importo del fido accordato al correntista; (ii) che, diversamente da quanto ritenuto nella sentenza impugnata, nella specie il conto doveva considerarsi “scoperto” in mancanza agli atti di un contratto di affidamento, che era “onere del correntista e non della Banca produrre”; (iii) che la prova dell’esistenza di un contratto di affidamento può essere fornita solo tramite la produzione del contratto scritto, essendo la forma scritta richiesta a pena di nullità, sicchè la Corte di merito non avrebbe potuto desumere l’affidamento del conto dall’analisi dell’estratto conto, dall’assenza di richieste di rientro della Banca valevoli quale mera tolleranza di una situazione di scoperto – e “surrogarsi” all’onere probatorio della parte attrice, odierna resistente, con l’impianto motivazionale assunto.
1.2.- L’esame di detta prima articolazione del motivo – in parte infondato ed in parte inammissibile come si dirà – merita di essere preceduto da una puntualizzazione degli approdi cui è pervenuta su dette questioni la giurisprudenza della Corte, i quali possono così sintetizzarsi
(a) costituiscono pagamento in senso tecnico (determinando uno spostamento di ricchezza a favore della banca) le c.d. rimesse solutorie, ovvero i versamenti effettuati dal correntista su un conto corrente per il quale vi sia stato uno sconfinamento rispetto al fido concesso (con contratto di apertura di credito in conto corrente) oppure su un conto corrente ab origine non affidato; a fronte, invece, di rimesse c.d. ripristinatorie, che affluiscono su un conto non “scoperto” ma solo “passivo” non essendovi stato sconfinamento rispetto al limite di affidamento non può parlarsi tecnicamente di pagamento, atteso che, con quei versamenti, il correntista si limita a ripristinare la provvista, onde non si determina alcuno spostamento patrimoniale a favore della banca, potendo il correntista riutilizzare in qualsiasi momento la somma versata sul conto corrente che la banca è contrattualmente obbligata a tenere a disposizione del cliente fino alla eventuale revoca dell’affidamento;
(b) ove nel corso del rapporto di conto corrente, i versamenti di danaro eseguiti su di esso dal correntista abbiano la semplice finalità di ripristinare il fido concesso dalla banca al cliente (in quanto eseguite su un conto affidato e nell’ambito dell’affidamento concesso), potrà parlarsi “di pagamento” soltanto dopo che, conclusosi il rapporto di apertura di credito in conto corrente, la banca abbia esatto dal correntista la restituzione del saldo finale, nel computo del quale risultino compresi interessi non dovuti e, perciò, da restituire ove corrisposti dal cliente all’atto della chiusura del conto (Cass. S.U. n. 24418/2010, confermata con plurime decisioni dalle sezioni semplici v. per tutte, Cass. N.4214/2024); ove, invece, i versamenti siano eseguiti su un conto “scoperto”, si potrà parlare di “pagamento” in senso tecnico, anche se questo è avvenuto in costanza di rapporto, con la conseguente possibilità per il correntista di esercitare l’azione di ripetizione ove sia stata illegittimamente addebitata una somma, seguita da un suo versamento che abbia natura “solutoria” nei termini detti; in caso contrario, ove cioè di pagamento in senso proprio non possa parlarsi, non è configurabile in capo al correntista un diritto di ripetizione dell’indebito ai sensi degli artt. 2033 e ss. cod. civ., e questi potrà agire solo per far dichiarare la nullità del titolo su cui quell’addebito si basa e, di conseguenza, per ottenere una rettifica in suo favore delle risultanze del conto stesso cui accede un’apertura di credito, onde escludere, per il futuro, annotazioni illegittime, e recuperare una maggiore disponibilità di credito entro i limiti del fido concessogli (Cass. S.U. n. 24418/2010 citata);
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(c) è onere del correntista che agisce per la ripetizione dell’indebito ex art. 2033 c.c. “allegare” i fatti costitutivi della domanda che specificamente attengono all’esistenza di un “pagamento” e alla natura “indebita” dello stesso, e detta allegazione si considera assolta con l’indicazione dell’esistenza di versamenti indebiti e con la richiesta di restituzione in riferimento ad un dato conto e ad un tempo determinato; mentre l’istituto di credito che, convenuto in giudizio, voglia opporre l’eccezione di prescrizione al correntista che abbia esperito l’azione di ripetizione di somme indebitamente pagate – ha l’onere di “allegare” solo l’inerzia del titolare del diritto unita alla dichiarazione di volerne profittare, senza che sia necessaria l’indicazione delle specifiche rimesse solutorie ritenute prescritte (Cass. Sez. U. n. 15895/2019, confermata da arresti costanti in tal senso dalle sezioni semplici, v. per tutte Cass. n. 34997/2023) poiché il carattere solutorio o ripristinatorio delle singole rimesse non incide sul contenuto dell’eccezione, che rimane lo stesso indipendentemente dalla natura dei singoli versamenti; né deve individuare e specificare le diverse rimesse solutorie in funzione di completare l’allegazione con l’indicazione del momento iniziale o o del termine finale della prescrizione eccepita, trattandosi di questioni di diritto sulla quale il giudice non è vincolato dalle allegazioni di parte (cfr. SS.UU. cit.);
(d) fermo quanto precede a proposito dell'”onere di allegazione” – distinto concettualmente dall’ “onere della prova” attenendo il primo alla delimitazione del thema decidendum ed il secondo alla verifica della fondatezza della domanda o dell’eccezione “il problema della specifica indicazione delle rimesse solutorie non viene eliminato, ma semplicemente si sposta dal piano delle allegazioni a quello della prova, sicchè il giudice valuterà la fondatezza delle contrapposte tesi al lume del riparto dell’onere probatorio, se del caso avvalendosi di una consulenza tecnica a carattere percipiente” (SS.UU. citate); perciò, a fronte dell’eccezione di prescrizione sollevata dalla banca avverso la domanda di ripetizione dell’indebito proposta dal correntista, grava su quest’ultimo l'”onere della prova” della natura ripristinatoria e non solutoria delle rimesse indicate (Cass. n. 31927/2019; Cass. n. 2660/2019); ne consegue che, la sussistenza di apertura di credito, da cui dipende la valenza ripristinatoria dei versamenti operati per ripianare le esposizioni che non eccedano il limite dell’accordato, non può che gravare sul correntista stesso; ma, onde verificare se la parte gravata abbia assolto al proprio onere probatorio, “il giudice è comunque tenuto a valorizzare la prova della stipula di un contratto di apertura di credito purché ritualmente acquisita, indipendentemente da una specifica allegazione del correntista, perché la deduzione circa l’esistenza di un impedimento al decorso della prescrizione determinato da una apertura di credito, costituisce un’eccezione in senso lato e non in senso stretto (Cass. n. 31927/2019; in senso conforme Cass. n. 20455/2023; Cass.18230/2024), come tale rilevabile d’ufficio dal giudice anche in grado di appello, purché l’affidamento risulti dai documenti legittimamente acquisiti al processo o dalle deduzioni contenute negli atti difensivi delle parti;
Al correntista prova ripristinatoria delle rimesse contestate
(e) sulla prova della stipula di un contratto di apertura di credito, poi, si sono consolidati i principi per cui
(i) nel regime previgente all’entrata in vigore dell’art. 3 L. n. 154 del 1992, il quale ha imposto l’obbligo della forma scritta ai contratti relativi alle operazioni e ai servizi bancari, era consentita la conclusione per facta concludentia di un contratto di apertura di credito, alla luce del comportamento rilevante della banca (Cass. n. 17090/2008);
(ii) nella vigenza del testo unico delle leggi in materia bancaria e creditizia del 1993, la nullità per difetto di forma di cui all’art. 117, comma 1, T.U.B. integra – poi – una nullità “di protezione”, potendo essa operare “soltanto a vantaggio del cliente” (art. 127, comma 2, T.U.B.), con la conseguenza che il mancato rispetto dell’obbligo di documentazione dell’accordo è inopponibile al correntista che non abbia inteso far valere il vizio che affligge il negozio; né rileva che a norma dell’art. 127, comma 2, T.U.B. la nullità di protezione possa essere rilevata d’ufficio dal giudice infatti, se la rilevazione ex officio delle nullità negoziali, intesa come indicazione alle parti di tale vizio, è sempre obbligatoria purché la pretesa azionata non venga rigettata in base ad una individuata ragione più liquida, la loro “dichiarazione”, ove sia mancata un’espressa domanda della parte pure all’esito della suddetta indicazione officiosa, costituisce statuizione facoltativa del medesimo vizio, previo suo accertamento, e sempre che non vengano in questione nullità speciali, le quali presuppongono una manifestazione di interesse della parte (Cass. nn. 26242 e 26243 del 2014; in senso conforme, di recente, Cass. n. 39437/2021; Cass. 34997/2023; Cass. 15073/2024; 25711/2024);
(iii) è vero che, secondo la giurisprudenza di legittimità, l’esistenza di un contratto di apertura di credito bancario non può essere provata per facta concludentia in ragione della mera tolleranza di una situazione di scoperto (cfr. Cass. n. 8160/1999) e che, in particolare, una situazione di fatto caratterizzata dallo svolgimento di un conto passivo con adempimenti reiterati da parte della banca di ordini di pagamento del correntista, anche in assenza di provvista e nell’ambito dei limiti di rischio dalla stessa banca preventivamente valutati, non dimostra, in sé, la stipulazione, per fatti concludenti di un contratto di apertura di credito in conto corrente, con obbligo della banca di eseguire operazioni di credito passive, potendo la suddetta situazione di fatto trovare fondamento in una posizione di mera tolleranza da parte della banca stessa (cfr. Cass. n. 12947/1992); “ma ciò non significa che sia impedita la prova per presunzioni dell’apertura di credito, ma solo che una presunzione, quanto all’esistenza dell’apertura di credito, non può trarsi dalle descritte situazioni” (Cass. n. 34997/2023 in seguito più volte confermata sul punto, da ultimo v. Cass.25711/2024).
1.3- Ciò premesso a proposito della cornice nomofilattica delineatasi, si osserva che la parte del motivo di cassazione in cui BM. denuncia il malgoverno del precetto di cui all’art. 2697 c.c. poiché il giudice omettendo “di considerare che sono solutori tutti i versamenti affluiti su un conto corrente c.d. scoperto, ovverosia non assistito da un’apertura di credito o caratterizzato da un saldo passivo eccedente l’importo del fido accordato al correntista” avrebbe attribuito l’onere della prova ad una parte (nella specie la banca) diversa da quella che ne è gravata (nella specie il correntista), risulta infondata la Corte d’Appello, invero, lungi da ometterne la considerazione, inizia il proprio ragionamento decisorio proprio dall’analisi di cosa si debba intendere per “rimesse solutorie”, per poi rilevare -conformandosi ai principi di diritto sopra ricordati – che, a fronte dell’eccezione della banca che “alleghi” la natura di tali rimesse onde fondare l’eccezione di prescrizione dell’azione di ripetizione ex adverso esercitata, il giudice può accertare la sussistenza dell’apertura di credito nell’ambito dei suoi poteri officiosi, poiché trattasi di fatto impediente il decorso della prescrizione che attiene ad un’eccezione in senso lato, ed, infine, concludere sulla base della valutazione delle emergenze istruttorie – che il conto in questione era “affidato”, e che non era individuabile un limite alla possibilità del cliente di generare un saldo “passivo”, onde non era ravvisabile alcuna rimessa “solutoria”, ma unicamente rimesse ripristinatorie; con la conseguenza che l’unico pagamento ripetibile era costituito da quello effettuato (circostanza pacifica in atti) alla chiusura del conto per effetto di un saldo negativo alimentato da appostazioni indebite in quanto illegittime, rispetto al quale l’azione di ripetizione – esercitata nel decennio della chiusura del conto non poteva ritenersi prescritta.
Al correntista prova ripristinatoria delle rimesse contestate
1.4 – Con tale argomentazione la Corte di merito ha fatto corretta applicazione nel caso di specie dei principi nomofilattici affermati su dette questioni dalla giurisprudenza di questa Corte, benché un passaggio motivazionale meriti di essere puntualizzato poiché inesatto quanto alla definizione della cornice dell’onere di allegazione e prova gravante sulla banca in fattispecie quali quelle oggetto di causa, non essendo corretto affermare che (come si legge nella sentenza di secondo grado) “l’ambito di applicazione dell’orientamento giurisprudenziale che esclude l’onere della banca di allegare quali siano le rimesse di natura solutoria, tali da poter essere qualificate “pagamenti” ai fini della prescrizione dell’azione di ripetizione, riguarda i soli casi in cui al rapporto di conto corrente non acceda un’apertura di credito”, per cui “in caso di non contestazione dell’esistenza dell’apertura di credito opera la presunzione della natura ripristinatoria delle rimesse, con l’ulteriore conseguenza dell’onere della banca di allegare e provare quali siano le rimesse che abbiano avuto natura solutoria”. Infatti come detto – l’onere di allegazione della banca che eccepisce la prescrizione dell’actio indebiti è da intendersi soddisfatto con l’affermazione della natura solutoria delle rimesse contestate dal correntista, dell’inerzia dello stesso, e della volontà di approfittarne agli affetti dell’estinzione del diritto vantato, senza necessità che sia indicato “quali siano le rimesse solutorie” e senza che gravi sulla banca l’onere di provarne la natura spettando, viceversa, al correntista come detto – provare che le rimesse contestate, avendo natura meramente ripristinatoria, sfuggono alla scure della prescrizione dell’actio indebiti eccepita.
Ciò giova precisare, anche se detto passaggio argomentativo – reso nelle premesse del ragionamento decisorio in funzione ricognitiva degli approdi giurisprudenziali di legittimità, non ha influito sull’esito della decisione infine corretta, in quanto fondata sul fatto che il conto in questione risultava affidato “di fatto” senza che forse evincibile alcun limite al tale affidamento, onde
tutte le rimesse contestate dovevano considerarsi meramente ripristinatorie, dunque non soggette a prescrizione.
1.5 Alla luce della motivazione resa dalla Corte di merito circa la natura affidata del conto corrente, risulta, invece, del tutto inammissibile la prima articolazione del motivo nella parte in cui la ricorrente, invocando la violazione dell’art. 2697 c.c. censura la decisione in punto accertamento del fido, senza confrontarsi con la ratio decidendi, assumendo, invero, che mancherebbe la prova scritta del relativo contratto laddove la Corte ha puntualmente argomentato sulla ragione per cui, nella specie, era consentito evincerne la sussistenza in assenza della prova scritta, essendo stato il contratto corrente cui lo steso accedeva aperto prima dell’entrata in vigore dell’art. 3 della L. n. 154 del 1992, e motiva sugli elementi da cui trae la prova di detta sussistenza.
Al correntista prova ripristinatoria delle rimesse contestate
Pertanto la ricorrente, invocando impropriamente la violazione dell’art. 2967 c.c., finisce per svolgere una censura alla motivazione sulla sussistenza dell’affidamento del tutto inconferente rispetto al ragionamento decisorio che riguardava l’ammissibilità, ratione temporis, della prova di un fido in “forma libera”. Del resto si duole in modo parimenti inammissibile della motivazione “in fatto” in cui il giudice di secondo grado argomenta circa la prova del “fido”, censurando peraltro – solo la valorizzazione dell’assenza di richieste di rientro della Banca in quanto sintomatiche della mera tolleranza di una situazione di scoperto premesso, infatti, che il giudizio di legittimità non può essere surrettiziamente trasformato in un nuovo, non consentito, ulteriore grado di merito, nel quale ridiscutere gli esiti istruttori espressi nella decisione (se non nei limiti consentiti dal novellato testo dell’art. 360 co.1 n. 5 c.p.c.), si osserva che nella specie la Corte ha valorizzato agli effetti di considerare provata per presunzioni la sussistenza di un “fido di fatto” – la convergenza di una serie di elementi e non solo la mancanza di richieste rivolte dalla banca al cliente finalizzate a riportare il conto in pareggio (che, in effetti, non basta, in sé, a dimostrare la stipulazione, per fatti concludenti, di un contratto di apertura di credito in conto corrente, secondo un principio consolidato da Cass. n. 12947/1992); bensì anche le risultanze degli estratti conto prodotti che presentano per tutta la durata del rapporto l’indicazione di voci di addebito correlate alla concessione di un affidamento (quali “spese affidamenti e/o scoperti” e “commissioni di massimo scoperto”) in assenza di riscontro dell’esistenza di un limite a tali affidamenti circostanza che la ricorrente neppure contesta, limitandosi a ribadire l’erroneità della decisione per la mancanza di una prova scritta del fatto che il conto fosse “affidato”.
2.- Nella seconda articolazione del motivo, la ricorrente, in relazione al vizio tipico di cui all’art. 360 co.1 n. 5 c.p.c., denuncia – come scrive in rubrica – l'”omesso esame su un fatto decisivo, rappresentato, nello specifico dalla mancata ammissione di un rinnovo della consulenza tecnica contabile, come richiesta dallo stesso istituto, al fine di dare prova delle rimesse solutorie”.
Nella parte illustrativa nulla aggiunge nello specifico, limitandosi ad osservare dopo aver dato conto delle ragioni di censura poco sopra esaminate – “Da qui la richiesta di rinnovo della CTU”, aggiungendo il capo della sentenza che ha negato detto rinnovo, cui muove una ulteriore censura che, tuttavia, non ascrive ad alcuno dei paradigmi dei vizi tipici per cui è ammesso il ricorso in cassazione, e che riguarda il mero inciso con lui la Corte d’Appello, nel respingere detto rinnovo, osserva che l’accertamento con esso richiesto (ricostruire gli asseriti versamenti extrafido, dai quali decorrerebbe la prescrizione eccepita) “non potrebbe, peraltro, effettuarsi sul saldo banca, ma eventualmente sul saldo rettificato”, richiamando la giurisprudenza di legittimità sul punto.
Il motivo è chiaramente inammissibile per plurime ragioni (a) perché la violazione dell’art. 360, comma 1, n. 5, cod. proc. civ. è
prospettata con riguardo al rigetto di una richiesta istruttoria quando invece il vizio invocato riguarda l’omesso esame di un fatto controverso e decisivo per il giudizio (vale a dire che, se esaminato, avrebbe determinato un esito diverso della controversia), da intendersi riferito ad un preciso accadimento o una precisa circostanza in senso storico-naturalistico, come tale non ricomprendente le domande, le eccezioni e tantomeno le richieste istruttorie che il giudice abbia ritenuto irrilevanti (come nella specie), sicché sono inammissibili le censure che irritualmente, estendano il paradigma normativo a questi profili (cfr., ex aliis, anche nelle rispettive motivazioni, Cass. nn. 6127 e 2607 del 2024; Cass., SU, n. 23650 del 2022; Cass. nn. 9351, 2195 e 595 del 2022; Cass. nn. 4477 e 395 del 2021; Cass. n. 22397 del 2019; Cass. n. 26305 del 2018; Cass., SU, n. 16303 del 2018; Cass. n. 14802 del 2017; Cass. n. 21152 del 2015), e che finiscono per degradare in pretesa di revisione di una valutazione compiuta nel merito dal giudice all’esito della ricognizione degli atti e delle prove, corredata di una motivazione immune da censure; (b) perché questa Corte ha affermato stabilmente da tempo, che poiché il giudice di merito non è tenuto, anche a fronte di una esplicita richiesta di parte, a disporre una nuova CTU, atteso che il rinnovo dell’indagine tecnica rientra tra i poteri discrezionali del giudice di merito (Cass., Sez. III, 29/09/2017, n. 22799; Cass. Sez. III, 19/07/2013, n. 17693; Cass., Sez. IV, 24/09/2010, n. 20227), non è sindacabile in sede di legittimità la decisione del giudice di merito che – alla luce di un ragionamento decisorio di merito che attiene alla valutazione delle specifiche emergenze probatorie del caso ne esclude l’ammissione, posto che compete solo al giudice del merito l’apprezzamento delle circostanze che consentano di escludere che il relativo espletamento possa condurre ai risultati perseguiti dalla parte istante (Cass. n. 20820/2006); (c) perché la dissertazione sull’erroneità dell’inciso che accompagna la motivazione con cui la Corte d’Appello respinge la richiesta di rinnovo della CTU, onde ricostruire gli asseriti versamenti extrafido, osservando che detta ricostruzione “non potrebbe, peraltro, effettuarsi sul saldo banca, ma eventualmente sul saldo rettificato”, non si è neppure tradotta formalmente in un motivo di impugnazione tipico.
Al correntista prova ripristinatoria delle rimesse contestate
Ciò detto giova, comunque, sul punto ribadire, che detto inciso – al contrario- è corretto, riferendosi ad un modus procedendi coerente con la più recente giurisprudenza di questa Corte, la quale ha chiarito che nelle controversie aventi ad oggetto la domanda di ripetizione di indebito conseguente alla declaratoria di nullità delle clausole contrattuali e delle prassi bancarie contrarie a norme imperative ed inderogabili, la ricerca dei versamenti di natura solutoria deve essere preceduta dall’individuazione e dalla successiva cancellazione dal saldo di tutte le competenze illegittime applicate dalla banca e dichiarate nulle dal giudice di merito, di talché il dies a quo della prescrizione dell’azione inizia a decorrere soltanto per quella parte delle rimesse sul conto corrente eccedenti il limite dell’affidamento determinato dopo aver rettificato il saldo (cfr. Cass. n. 7721/2023).
3.- in definitiva il ricorso va respinto. Le spese seguono la soccombenza e si liquidano come nel dispositivo, ai sensi del D.M. 12 luglio 2012, n. 140. provvedendo alla distrazione di onorari e spese in favore dell’avv. Al.De. che ne ha fatto richiesta. Sussistono i presupposti processuali per il raddoppio del contributo unificato se dovuto.
P.Q.M.
La Corte respinge il ricorso; condanna la parte ricorrente BA.MO. Spa al pagamento delle spese in favore di Pa.Li., liquidate nell’importo di Euro 7.200,00 cui Euro 200,00 per esborsi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15% sul compenso ed agli accessori come per legge, con attribuzione all’avvocato antistatario Al.De.. Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, inserito dalla I. 24 dicembre 2012, n. 228, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1- bis.
Così deciso in Roma il 10 ottobre 2024.
Depositato in Cancelleria il 16 ottobre 2024.
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