Corte di Cassazione, civile, Sentenza|15 gennaio 2025| n. 997.
Aggravamento servitù non automatico e richiede prova.
Massima: L’aggravamento di una servitù conseguente alla modifica dello stato dei luoghi o alla sopravvenienza di diverse modalità di esercizio non può ritenersi in re ipsa, ma va valutato caso per caso, in relazione alle circostanze in concreto esistenti e agli elementi probatori forniti dalle parti, dovendo il giudice di merito accertare se il maggior godimento per il fondo dominante comporti o meno un’intensificazione del peso gravante sul fondo servente. (Nella specie, la S.C. ha cassato la sentenza impugnata affermando che la sosta temporanea di veicoli costituisce modalità normale di esercizio del diritto di accesso e passaggio carrabile su un’area chiusa, per raggiungere il fondo dominante, senza potersi configurare come aggravamento della servitù).
Sentenza|15 gennaio 2025| n. 997. Aggravamento servitù non automatico e richiede prova.
Integrale
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REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere
Dott. PICARO Vincenzo – Consigliere
Dott. PIRARI Valeria – Consigliere
Dott. OLIVA Stefano – Consigliere Rel.
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
sul ricorso 26292-2020 proposto da:
AR. Srl, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. MA.GI. e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– ricorrente –
contro
CO.RO., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dall’avv. RO.GA. e domiciliata presso la cancelleria della Corte di Cassazione
– controricorrente e ricorrente incidentale –
avverso la sentenza n. 715/2020 della CORTE DI APPELLO di BRESCIA, depositata il 13/07/2020;
udita la relazione della causa svolta in camera di consiglio dal Consigliere Oliva;
udito il Procuratore Generale, nella persona del Sostituto dott. STEFANO PEPE;
uditi l’avv. MA.GI., per parte ricorrente, e l’avv. RO.GA., per parte controricorrente e ricorrente incidentale
Aggravamento servitù non automatico e richiede prova.
FATTI DI CAUSA
Con atto di citazione ritualmente notificato il CO.RO. evocava in giudizio la società AR. Srl innanzi il Tribunale di Bergamo, invocando la declaratoria della inesistenza del diritto della convenuta di far sostare i suoi automezzi nel cortile condominiale, nonché la condanna a cessare la molestia derivante nella collocazione di alcuni bidoni dell’immondizia ed al risarcimento del danno.
Nella resistenza della convenuta il Tribunale, con sentenza n. 1425/2018, rigettava la domanda.
Con la sentenza impugnata, n. 715/2020, la Corte di Appello di Brescia riformava parzialmente la decisione di prime cure, accertando l’inesistenza del diritto di AR. Srl di far sostare gli automezzi nel cortile e condannando la predetta società al risarcimento del danno.
Propone ricorso per la cassazione di detta decisione AR. Srl, affidandosi a sei motivi.
Resiste con controricorso il CO.RO., spiegando ricorso incidentale affidato ad un solo motivo.
In prossimità dell’adunanza camerale, il P.G. ha depositato requisitoria scritta, insistendo per l’accoglimento del quinto motivo del ricorso principale ed il rigetto del ricorso incidentale, ed ambo le parti hanno depositato memoria.
Sono comparsi all’udienza pubblica il P.G., nella persona del Sostituto dott. Stefano Pepe, che ha insistito per l’accoglimento delle conclusioni rassegnate nella sua requisitoria scritta, l’avv. MA.GI., per parte ricorrente, il quale ha insistito per l’accoglimento del ricorso principale ed il rigetto di quello incidentale, e l’avv. RO.GA., per parte controricorrente e ricorrente incidentale, il quale ha invece invocato il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento di quello incidentale.
Aggravamento servitù non automatico e richiede prova.
RAGIONI DELLA DECISIONE
Con il primo motivo, la parte ricorrente principale lamenta la violazione o falsa applicazione degli artt. 16 e 17 del R.D. n. 2240 del 1920 (recte, 1923), in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello, dopo aver correttamente affermato l’asservimento del cortile oggetto di causa all’uso pubblico, avrebbe erroneamente ritenuto ammissibile la domanda di negatoria servitutis proposta dal condominio attore, ancorché concernente un’area non di proprietà dell’ente di gestione, ma destinata a parcheggio pubblico. In particolare, la parte ricorrente evidenzia che la concessione in uso stipulata tra Comune di Bergamo e CO.RO. in data 12.11.1997 sarebbe scaduta il 10.5.2001, data indicata nell’atto, entro la quale il concessionario non aveva provveduto a presentare tempestiva istanza di rinnovo, avendola inoltrata soltanto il 24.4.2001 e dunque senza rispetto del termine di sei mesi prima della scadenza previsto dal titolo. Il giudice di merito avrebbe quindi erroneamente valorizzato, al fine di ritenere ancora efficace la predetta concessione, un elemento di fatto in realtà irrilevante, quale la circostanza che l’ente di gestione avesse continuato a pagare, anche dopo la scadenza del 10.5.2001, gli oneri di concessione, senza considerare che la P.A. non aveva mai adottato alcun atto idoneo a rappresentare la volontà di mantenere in essere l’impegno convenzionale con il CO.RO..
La censura è fondata.
La Corte di Appello dà atto che la domanda di rinnovo della concessione in uso dell’area controversa è stata presentata dal Condominio al Comune di Bergamo soltanto il 24.4.2001 e che il punto 3 dell’atto di concessione prevedeva la scadenza della stessa alla data del 10.5.2001, senza bisogno di preavviso o diffida, a meno che il concessionario non ne avesse chiesto il rinnovo almeno sei mesi prima della scadenza. Tuttavia, la Corte distrettuale ha ritenuto ancora efficace la concessione, valorizzando sia i pagamenti della relativa tassa che le richieste del Comune, allegate in atti del giudizio di merito.
In materia di contratti con la P.A., l’art. 17 del R.D. n. 2240 del 1923 richiede espressamente il requisito della forma scritta ad substantiam.
Le Sezioni Unite di questa Corte, intervenute a dirimere il contrasto di giurisprudenza concernente la necessità di un unico documento contenente le dichiarazioni di impegno delle parti, o, in alternativa, la possibilità che esse siano contenute in atti separati, hanno affermato che “Per la valida stipulazione dei contratti della P.A., anche diversi da quelli conclusi a trattativa privata con ditte commerciali, il requisito della forma scritta ad substantiam non richiede necessariamente la redazione di un unico documento, sottoscritto contestualmente dalle parti, poiché l’art. 17 del R. D. n. 2440 del 1923 contempla ulteriori ipotesi in cui il vincolo contrattuale si forma mediante l’incontro di dichiarazioni scritte, manifestate separatamente, che per l’amministrazione possono assumere anche la forma dell’atto amministrativo” (Cass. Sez. U, Sentenza n. 9775 del 25/03/2022, Rv. 664227; conf. Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 3543 del 06/02/2023, Rv. 666867). È stata dunque ribadita, da un lato, l’imprescindibilità della forma scritta per i contratti in cui sia parte una P.A., anche se diversi da quelli conclusi a trattativa privata con ditte commerciali; e, dall’altro lato, la necessità di una dichiarazione scritta promanante dall’ente pubblico, che contenga l’espressione della volontà di quest’ultimo di impegnarsi con il contraente privato.
Il contratto di concessione in uso di un’area scoperta, destinata a parcheggio, rientra senz’altro in tale disciplina, onde per esso è necessario il requisito della forma scritta. Quest’ultima non ammette equipollenti, e dunque la sentenza impugnata erra, laddove valorizza, ai fini dell’accertamento della persistenza del rapporto convenzionale derivante da un atto di concessione venuto a scadere, un mero comportamento materiale, quale il pagamento della tassa prevista per l’uso dell’area predetta. Non vi è dubbio, infatti, che -secondo quanto accertato dal giudice di seconde cure- il rapporto convenzionale tra il Comune ed il Condominio sia venuto a scadere alla data del 10.5.2001, poiché la norma dell’atto di concessione del 12.11.1997 prevedeva la scadenza del rapporto, anche in difetto di preavviso o diffida, a meno che il concessionario non presentasse richiesta di rinnovo con preavviso minimo di sei mesi sulla predetta scadenza. Nel caso di specie la domanda di rinnovo è stata presentata solo il 24.4.2001, e dunque senza il rispetto del preavviso previsto dalla norma convenzionale. Né risulta acclarato, dalla sentenza di merito, che l’ente locale abbia comunque deliberato, positivamente, su tale richiesta, tralasciando di considerarne la tardività. In assenza di detta dimostrazione, non è possibile ipotizzare la persistenza della validità del rapporto di concessione dopo la sua scadenza.
Sul punto, lo stesso CO.RO. riconosce la necessità della forma scritta, sia dell’atto di concessione, che del suo eventuale rinnovo (cfr. pag. 14 del controricorso) ma non deduce di aver ottenuto, in tal forma, dal Comune di Bergamo una risposta positiva alla richiesta di rinnovo del 24.4.2001.
Aggravamento servitù non automatico e richiede prova.
La sentenza impugnata, dunque, va cassata sul punto.
Con il secondo motivo, la società ricorrente principale lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe dovuto considerare che la domanda proposta dal CO.RO., in prime cure, era diretta ad impedire la sosta degli automezzi nel cortile, e che essa non poteva essere accolta, nelle forme della negatoria servitutis, non avendo la parte attrice alcun titolo idoneo a consentirle l’esercizio di un diritto reale sulla corte controversa, finalizzato ad escludere l’odierna ricorrente dall’uso della stessa.
Con il terzo motivo, si denunzia invece la violazione o falsa applicazione dell’art. 1586 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché il giudice di seconde cure non si sarebbe avveduto che il CO.RO. avrebbe potuto, semmai, esercitare la actio negatoria servitutis nei confronti del Comune di Bergamo, che aveva destinato il cortile a parcheggio, e non direttamente in danno della società ricorrente, nei confronti della quale il Condominio non era titolare di alcun diritto.
Con il quarto motivo, inoltre, AR. Srl si duole della violazione o falsa applicazione dell’art. 1064 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte distrettuale, una volta ravvisata l’esistenza di un diritto di servitù di passaggio, pedonale e carrabile, a favore di AR. Srl, non avrebbe potuto escludere la facoltà della stessa di utilizzare l’area cortilizia per la sosta degli automezzi, poiché tale ultima facoltà costituisce modalità normale di esercizio dello ius in re aliena riconosciuto dal giudice di merito, in assenza della quale lo stesso finisce per essere svuotato da qualsiasi contenuto pratico.
Con il quinto motivo, la società ricorrente lamenta ancora la violazione o falsa applicazione degli artt. 1226 e 2056 c.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3, c.p.c., perché la Corte di Appello avrebbe erroneamente riconosciuto al Condominio il danno, liquidato in forma equitativa, in assenza di qualsiasi elemento di prova sulla sua esistenza e sul suo ammontare.
Con il sesto motivo, infine, la parte ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360, primo comma, n. 4, c.p.c., perché la Corte distrettuale avrebbe erroneamente riconosciuto al Condominio, che aveva instato per il risarcimento del danno da turbativa, il diverso pregiudizio derivante dalla lesione di un diritto, ingiustamente ravvisato in capo all’ente di gestione.
Tra le predette censure, va esaminato con priorità il quarto motivo, che è fondato.
Risulta dalla sentenza impugnata, e dalla concordante ricostruzione contenuta nel ricorso e nel controricorso, che l’area controversa è un cortile, con accesso da via Omissis. La decisione dà atto che su detta area insistono “… numerosi parcheggi e che 122 autovetture sono custodite nei piani interrati… il che determina un continuo quotidiano passaggio di numerosi veicoli; infine risulta documentata la presenza di mezzi pesanti non chiaramente riferibili alla AR…. sui quali i testi di parte appellante nulla di preciso hanno riferito” (cfr. pag. 9 della sentenza impugnata). La consistenza oggetto di causa, sulla quale insiste il diritto di servitù di passaggio pedonale e carrabile a favore del fondo di proprietà AR. Srl, dunque, viene descritta come un’area di notevole estensione, atta a contenere svariati posti auto, interessata da un consistente traffico veicolare ed avente accesso alla pubblica via dalla via Omissis. Trattasi, dunque, di area chiusa, con unica via di accesso, ragion per cui la servitù di passaggio carrabile su di essa insistente, giusta atto del 19.10.1973, è stata evidentemente costituita non per consentire il mero transito sul cortile, bensì per raggiungere, con veicoli, il fondo dominante.
Sulla base di tale ricostruzione fattuale, la Corte d’Appello avrebbe dovuto porsi il problema di verificare, in base agli artt. 1063 e ss. c.c., se il mero accesso all’interno del cortile de quo, senza consentire in alcun modo la sosta temporanea nello stesso per carico e scarico merci, comportasse comunque una qualche utilità per il fondo dominante, oppure se la detta limitazione finisse per comportare di fatto lo svuotamento diritto reale. Non vi è dubbio, al riguardo, che la sosta, per breve tempo, dei veicoli sull’area interessata al diritto di passaggio non poteva essere esclusa, poiché in caso contrario l’essenza stessa del diritto reale verrebbe meno, non potendosi ravvisare alcuna utilitas nella facoltà di far ingresso, e transitare, su un’area chiusa, per raggiungere il fondo dominante, senza potervi però sostare neanche per le operazioni di carico e scarico. Nel caso di specie, dalle risultanze della prova testimoniale, richiamate dalla Corte di Appello, emerge che i furgoni dei fornitori di AR. Srl utilizzavano il cortile di cui è causa per tre volte a settimana, per caricare e scaricare la biancheria necessaria per lo svolgimento dell’attività alberghiera esercitata dalla odierna ricorrente, sostandovi per 20 minuti; i mezzi, dunque, non venivano parcheggiati nel cortile, ma vi stazionavano soltanto per svolgere le operazioni di carico e scarico. Dalla lettura della sentenza e degli atti del presente giudizio di legittimità, in altri termini, non emerge che il titolare del fondo dominante abbia utilizzato il cortile oggetto del diritto in re aliena con modalità non coerenti con il titolo; sul punto, va evidenziato che lo stesso condominio ricorrente, se da un lato afferma che il diritto di transito avrebbe dovuto essere esercitato soltanto per accedere a locali interni al fondo dominante, non dimostra che il titolo costitutivo del diritto di servitù prevedesse una simile limitazione.
In definitiva, la sosta temporanea dei mezzi sul cortile oggetto di causa non ne implica l’asservimento allo scopo di parcheggio, ma rientra nelle facoltà necessarie, in considerazione della natura urbana dei fondi e dello stato dei luoghi (in particolare, in considerazione della natura chiusa dell’area interessata al diritto di passaggio), al concreto esercizio del diritto in re aliena. Sul punto, va ribadito il principio secondo cui “A norma dell’art. 1064, comma 1, c.c., il diritto di servitù comprende tutto ciò che è necessario per usarne ed è comprensivo anche degli adminicula servitutis e, cioè, di quelle facoltà accessorie, indispensabili per l’esercizio del diritto e senza le quali l’utilitas della servitù non potrebbe ricevere attuazione” (Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 16322 del 30/07/2020, Rv. 658745; conf. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 2643 del 10/02/2016, Rv. 638743).
Una sosta temporanea, di soli 20 minuti circa, non esercitata quotidianamente, non può quindi essere configurata sub specie di aggravamento dell’esercizio della servitù di cui è causa, posta l’estensione del cortile oggetto di causa e la sua sottoposizione a continuo transito veicolare; circostanze, queste, accertate dalla Corte di Appello, emergenti dalla lettura della decisione impugnata e non specificamente contestate da parte ricorrente. Sul punto, Va data continuità al principio secondo cui “L’aggravamento di una servitù conseguente alla modificazione dello stato dei luoghi o alla
sopravvenienza di diverse modalità di esercizio non può ritenersi in re ipsa, ma deve essere valutato caso per caso, in relazione al complesso delle circostanze in concreto esistenti, tenendo conto degli elementi probatori forniti dalle parti, dovendo in tale ipotesi l’indagine del giudice di merito essere diretta ad accertare se il maggior godimento per il fondo dominante comporti o meno una intensificazione dell’onere gravante sul fondo servente” (Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14472 del 30/06/2011, Rv. 618525).
L’accoglimento della quarta censura implica l’assorbimento delle altre, contenute nei motivi 2, 3, 5 e 6, poiché il giudice del rinvio dovrà procedere ad un nuovo esame della fattispecie, da condurre sulla base del presupposto che la sosta temporanea dei mezzi costituisce una modalità normale di esercizio del diritto di passaggio e accesso carrabile da esercitarsi su un’area chiusa, avente un solo accesso alla via pubblica, e rientra dunque nel contenuto naturale del predetto diritto reale minore.
Aggravamento servitù non automatico e richiede prova.
L’unico motivo del ricorso incidentale, con il quale viene denunziato l’omesso esame di un fatto decisivo, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 5, c.p.c., perché la Corte di Appello non avrebbe considerato che il Tribunale Amministrativo Regionale per la Lombardia, sezione di Brescia, aveva, con sentenza n. 1811/2008, indicato l’esistenza di una collocazione dei bidoni dell’immondizia diversa, ed alternativa, rispetto a quella in concreto utilizzata da AR. Srl, è inammissibile.
La censura di omesso esame, infatti, non è consentita in presenza di una ipotesi di cd. doppia conforme. Poiché nella specie la Corte di Appello ha confermato la statuizione di prime cure, e nel proprio controricorso con ricorso incidentale il CO.RO. non ha dato atto che la sentenza del gravame fosse fondata su rationes diverse da quelle poste a base della decisione di prima istanza, va configurata la fattispecie preclusiva prevista dall’art. 348 ter, ultimo comma, c.p.c.
Va infatti ribadito, sul punto, il principio secondo cui “Nell’ipotesi di “doppia conforme” ex art. 348 ter, comma 5, c.p.c., è onere del ricorrente indicare le ragioni di fatto poste a base, rispettivamente, della decisione di primo grado e del rigetto dell’appello, dimostrando che sono tra loro diverse e detto onere non viene meno in caso di successione nel diritto controverso tra primo e secondo grado, giacché il sopravvenuto mutamento del soggetto titolare della posizione sostanziale dedotta in giudizio non implica necessariamente la diversità tra le ragioni di fatto alla base della sentenza di primo grado e quelle della conferma in grado di appello” (Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 26934 del 20/09/2023, Rv. 669015; conf. Cass. Sez. 3, Ordinanza n. 5947 del 28/02/2023, Rv. 667202).
Solo con la memoria depositata in prossimità dell’udienza pubblica il CO.RO. si diffonde nella dimostrazione della differenza tra le ragioni a sostegno della decisione impugnata rispetto a quella del Tribunale, ma tale sforzo non è idoneo allo scopo, dovendosi ribadire che la memoria ha una mera funzione illustrativa, e non integrativa, rispetto ai motivi del ricorso principale o incidentale. Sul punto, va data continuità al principio secondo cui “L’eventuale vizio del ricorso per cassazione non può essere sanato da integrazioni, aggiunte o chiarimenti contenuti nella memoria di cui all’art. 380 bis, comma 2, c.p.c., la cui funzione -al pari della memoria prevista dall’art. 378 c.p.c., sussistendo identità di ratio- è di illustrare e chiarire le ragioni giustificatrici dei motivi debitamente enunciati nel ricorso e non già di integrarli” (Cass. Sez. 2, Ordinanza n. 30760 del 28/11/2018, Rv. 651598; conf. Cass. Sez. 6 – 3, Ordinanza n. 17603 del 23/08/2011,
Rv. 619537; Cass. Sez. 3, Sentenza n. 7237 del 29/03/2006, Rv. 587979).
In definitiva, vanno accolti primo e quarto motivo del ricorso principale, con assorbimento dei restanti, mentre va dichiarato inammissibile il ricorso incidentale.
La sentenza impugnata va conseguentemente cassata, in relazione alle censure accolte, e la causa rinviata alla Corte di Appello di Brescia, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Stante il tenore della pronuncia, va dato atto -ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002- della sussistenza, limitatamente al ricorso incidentale, dei presupposti processuali per il versamento di un ulteriore importo a titolo contributo unificato, pari a quello previsto per la proposizione dell’impugnazione, se dovuto.
P.Q.M.
la Corte accoglie il primo ed il quarto motivo del ricorso principale e dichiara assorbiti i restanti motivi. Dichiara inammissibile il ricorso incidentale. Cassa la sentenza impugnata in relazione alle censure accolte e rinvia la causa alla Corte di Appello di Brescia, in differente composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.
Ai sensi dell’art. 13, comma 1-quater, del D.P.R. n. 115 del 2002, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente incidentale, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, a norma del comma 1-bis dello stesso art. 13, se dovuto.
Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Seconda Sezione Civile, addì 05 dicembre 2024.
Depositata in Cancelleria il 15 gennaio 2025.
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