L’adozione della forma scritta per un determinato atto può essere rinunciata anche tacitamente

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 15 febbraio 2019, n. 4539.

La massima estrapolata:

Le parti che abbiano convenuto l’adozione della forma scritta per un determinato atto, nella loro autonomia negoziale possono successivamente rinunciarvi, anche tacitamente, mediante comportamenti incompatibili con il suo mantenimento, costituendo la valutazione in ordine alla sussistenza o meno di una rinuncia tacita un apprezzamento di fatto incensurabile in sede di legittimità, qualora sia sorretto da una motivazione immune da vizi logici, coerente e congruente. (In applicazione del predetto principio, la S.C., ha confermato la sentenza di merito che aveva ritenuto che, pur a fronte di una clausola di rinnovo espresso di un contratto di affitto di azienda, la prosecuzione di fatto del contratto alle medesime condizioni palesasse “per fatti concludenti” la volontà delle parti di rinunciare alla forma scritta per il rinnovo e di proseguire il rapporto alle medesime condizioni)

Ordinanza 15 febbraio 2019, n. 4539

Data udienza 21 novembre 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 17620-2017 proposto da:
(OMISSIS) DITTA, in persona dell’omonimo rappresentante legale, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SPA, in persona del dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 530/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE, depositata il 11/04/2017;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/11/2018 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI.

FATTI DI CAUSA

Con ricorso ex articolo 447 bis c.p.c. depositato nel dicembre 2015, l’Eni s.p.a. agi’ avanti al Tribunale di Arezzo per sentir accertare la risoluzione del contratto di comodato stipulato con (OMISSIS) nel 1996, avente ad oggetto un impianto di distribuzione carburanti nell’area di servizio (OMISSIS), nonche’ per sentir dichiarare la risoluzione del contratto di affitto di azienda, stipulato nel 2004, concernente un market insistente nella medesima area di servizio (o, in ipotesi, per accertarne l’occupazione senza titolo), con condanna del (OMISSIS) alla restituzione dei beni; chiese, altresi’, la condanna del medesimo (OMISSIS) al pagamento di somme a titolo di canoni insoluti, di indennita’ di occupazione e di penali per il ritardato rilascio.
La Ditta (OMISSIS) resistette alle domande sostenendo, in primis, che, ai sensi del D.I. adottato in data 7.8.2015 dal Ministro delle Infrastrutture e dei Trasporti di concerto col Ministro dello Sviluppo Economico, concernente il “Piano di Ristrutturazione della Rete Aree di Servizio Autostradali”, la concessionaria petrolifera era obbligata ad offrire al gestore un nuovo contratto di comodato per la durata di nove anni; quanto all’affitto di azienda, escludeva la vigenza, fra le parti, di convenzioni relative a cessazione, canoni e penali di cui al contratto (che assumeva scaduto fin dal 31.12.2004).
Il Tribunale dichiaro’ la cessazione del contratto di comodato e di quello di affitto di azienda, condannando la Ditta (OMISSIS) alla restituzione dell’impianto di distribuzione carburanti e dell’azienda; condanno’, inoltre, la ditta resistente al pagamento di 3.300,00 a titolo di canoni di affitto per il periodo 1.10.2013/18.4.2014, nonche’ al pagamento di 82.300,00 a titolo di penali previste dall’articolo 16 del contratto di comodato e dall’articolo 24 del contratto di affitto di azienda.
La Corte di Appello di Firenze ha rigettato l’impugnazione della Ditta (OMISSIS) e ha dichiarato inammissibili le domande di condanna dell’appellante al pagamento di canoni e penali successive alla sentenza di primo grado, che pertanto ha confermato integralmente.
Premesso che “i rapporti sono proseguiti, sia pure solo di fatto per quanto concerne il contratto di affitto di azienda, fino al 2014, quando insorsero i contrasti fra le parti, sfociati nell’introduzione di un procedimento d’urgenza prima e, quindi, nella presente controversia”, la Corte ha rilevato che il Decreto Interministeriale subordinava la proroga dei contratti in corso all’assenza di un contenzioso al momento della sua emanazione e ha affermato che “la proposizione nel maggio 2014 di un ricorso ex articolo 700 c.p.c., anteriormente all’entrata in vigore del Decreto Interministeriale, (…) manifestamente si pone come un contenzioso esistente tra le parti”, senza che la circostanza che si trattasse di procedimento d’urgenza valesse “a precludere una valutazione di esistenza di un contenzioso in atti”, giacche’ “cio’ che conta e’ se un contenzioso relativo alla cessazione o risoluzione del contratto di comodato fosse o meno stato introdotto alla data del 1.7.2014”; tanto considerato ha aggiunto che, “una volta data per ammessa la non operativita’ del suindicato provvedimento normativo, il comodato era venuto a cessazione alla data del 18.4.2014 per intervenuta tempestiva disdetta ed essendo funzionalmente collegato ad esso il contratto di affitto di azienda, la sua cessazione non puo’ che riflettersi su quest’ultima”; quanto all’affitto, ha osservato che “avendo le parti continuato a dare sostanziale attuazione alle condizioni del contratto di affitto d’azienda (la Ditta (OMISSIS) restando nel godimento dei beni aziendali e corrispondendo il canone, quanto meno fino al mese di settembre 2013 e l’Eni s.p.a. ricevendo senza obiezioni il pagamento) per un periodo di oltre nove anni successivo alla scadenza (prevista per il 31.12.2004), si deve ritenere che esse intendessero mantenere in vita le condizioni dell’originario ed unico contratto d’affitto, ivi compresa la clausola n. 22, secondo cui e’ causa di risoluzione di diritto il termine o la risoluzione del contratto di comodato”.
Ha proposto ricorso per cassazione la Ditta (OMISSIS), in persona del titolare, affidandosi a quattro motivi; ha resistito l’intimata con controricorso. Entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Col primo motivo (“violazione e/o falsa applicazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del disposto del comma 2 del “Punto 1″ del Documento Procedurale del D.I. 7 agosto 2015, in relazione all’articolo 700 c.p.c. e articolo 414 c.p.c., n. 3, nonche’ articoli 2907, 2908 e 2909 c.c.”), la ricorrente assume “l’impossibilita’ di ravvisare una domanda dichiarativa o costitutiva in una istanza anticipatoria in via di urgenza fondata sul periculum in mora”: richiamato il contenuto del Punto 1 del Documento (che fa “salvo il caso di contenzioso con l’affidatario uscente formalizzato in sede giudiziale in data antecedente al 1 luglio 2014, relativo alla risoluzione o cessazione del contratto di comodato”), contesta la sentenza rilevando che “la conclusione cui perviene il Giudice di merito non solo non tiene conto della precisa funzione del procedimento cautelare di urgenza (…) che la stessa sentenza impugnata definisce “ontologicamente diversa da quella del giudizio di merito”, ma si pone in contrasto con i principii di cui agli articoli 2908 e 2909 c.c. in base ai quali solo la “sentenza” puo’ costituire, modificare o estinguere rapporti giuridici”; evidenzia che “l’introdotto procedimento ex articolo 700 c.p.c. non aveva, nei fatti, e non avrebbe potuto avere, ad oggetto, per motivi “ontologici” (…) e funzionali, la pronuncia di provvedimenti capaci di incidere, in termini, vuoi di accertamento, vuoi costitutivi, sulla “risoluzione o cessazione del contratto di comodato”, approdi riservati ad un’eventuale pronuncia “di merito””.
2. Il secondo motivo (“violazione e/o falsa applicazione ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del disposto del comma 2 del “Punto 1″ del Documento Procedurale del D.I. 7 agosto 2015 in relazione agli articoli 700, 99 e 112 c.p.c. e articolo 413 c.p.c., n. 3”) deduce “l’impossibilita’ di ravvisare una domanda dichiarativa o costitutiva di un rapporto giuridico in una istanza anticipatoria in via d’urgenza avente per oggetto la mera restituzione del bene”; la ricorrente rileva che la domanda cautelare concretamente proposta dall’Eni tendeva “al mero risultato pratico della restituzione, senza possibilita’ di indulgere (…) ad interpretarla in modo diverso, addirittura, ad estenderne gli effetti, pena l’incorrere nel vizio di violazione del principio della domanda ex articolo 99 c.p.c. o, comunque, in quello di ultrapetizione ex articolo 112 c.p.c., nonche’ quello di errata determinazione degli elementi costitutivi della domanda ex articolo 414 c.p.c., n. 3”.
3. Col terzo motivo (“violazione e/o falsa applicazione, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, del disposto del comma 2 del “Punto 1″ del Documento Procedurale del D.I. 7 agosto 2015 in relazione all’articolo 700 c.p.c. e articolo 12 disp. gen.”), la ricorrente (per la denegata ipotesi che il ricorso cautelare potesse essere considerato “valevole alla “formalizzazione”, in sede giudiziale, del contenzioso contemplato dal D.I. 7 agosto 2015″) evidenzia che “sarebbe assurdo, e manifestamente ingiusto, che (OMISSIS) s.p.a. potesse avvantaggiarsi, in pregiudizio degli interessi e delle prerogative del gestore Ditta (OMISSIS), dall’introduzione del procedimento cautelare, in data antecedente al 1 luglio 2014, quale fattore preclusivo dell’applicazione del Decreto, a beneficio della parte debole, benche’ l’azione esercitata sia stata ritenuta, in duplice grado, infondata e meritevole di rigetto, e cio’ gia’ precedentemente all’entrata in vigore del Decreto Interministeriale”.
4. I tre motivi – che possono essere esaminati congiuntamente – sono infondati, in quanto:
come correttamente ritenuto dai giudici di appello, cio’ che rileva ai fini della proroga del contratto in corso e’ l’assenza di un contenzioso formalizzato in sede giudiziale alla data indicata dal Decreto (1 luglio 2014), a prescindere dal fatto che tale contenzioso avesse assunto le forme ordinarie o quelle sommarie del procedimento d’urgenza, e – quindi – a prescindere dalla diversita’ “ontologica” dei due tipi di procedimenti, giacche’ cio’ che rileva e’ esclusivamente la pendenza di un contenzioso formalizzato giudizialmente;
ne’ puo’ ritenersi che, per il solo fatto di essere volto alla mera restituzione del bene, il procedimento di urgenza si ponesse al di fuori delle ipotesi – previste dal Decreto – della cessazione o risoluzione del contratto di comodato, dato che il petitum cautelare di restituzione del bene presupponeva evidentemente una delibazione, oltreche’ del periculum in mora, della sussistenza – in iure – delle condizioni per dichiarare la risoluzione o la cessazione del comodato;
del tutto irrilevante – in quanto inconferente rispetto alla condizione posta dal Decreto – e’ la circostanza che il ricorso cautelare fosse stato rigettato in data anteriore all’entrata in vigore del Decreto Interministeriale, poiche’ tale fatto non e’ idoneo ad elidere il dato pacifico e assunto come decisivo ai fini del riconoscimento della possibilita’ di proroga – che un contenzioso giudiziale fosse in atto alla data del 1 luglio 2014; e cio’ tanto piu’ se si considera che non sono emersi elementi idonei a far ritenere che l’ (OMISSIS) abbia mai rinunciato a far valere la pretesa posta alla base del contenzioso cautelare, che ha trovato continuita’ nella domanda proposta in sede contenziosa ordinaria.
5. Il quarto motivo denuncia “vizio di motivazione per erronea ricognizione della fattispecie concreta ovvero omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione fra le parti, ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5), con riferimento alla mancata esecuzione ed alla mancata applicazione del “contratto di affitto di azienda” inter partes, avente decorrenza dal 1.9.2004 al 31.12.2004, successivamente a detta scadenza (insussistenza di facta concludentia)”.
La ricorrente richiama l’articolo 7 del contratto di affitto di azienda (secondo cui “il presente contratto avra’ la decorrenza dal 1.9.2004 e scadenza il 31.12.2004 e non potra’ essere rinnovato se non in forma espressa, pertanto la semplice “prosecuzione di fatto” non potra’ essere interpretata come volonta’ delle parti di rinnovare il contratto”) e sostiene che “quel contratto non poteva e non puo’ piu’ costituire valida ed efficace fonte “positiva” di obbligazioni e di disciplina del rapporto (…) successivamente al 31.12.2004″, dovendosi pertanto escludere la possibilita’ di invocare – per il solo fatto che la gestione dei beni della societa’ concedente sia proseguita e sia stata consapevolmente mantenuta, per molti anni, “in una situazione di “vuoto” normativo” – alcuna delle regole in esso contenute (quanto alla durata, ai modi di cessazione o di risoluzione, all’ipotetico corrispettivo, alle penali e al maggior danno).
La ricorrente evidenzia come tale gestione di fatto avesse anche registrato una modificazione soggettiva (in quanto fino almeno al 31.5.2011 dell’esercizio commerciale si era occupata, “con la consapevolezza e il benestare di (OMISSIS) s.p.a., tale ” (OMISSIS) s.a.s. (…) con reingresso della Ditta (OMISSIS) solo dalla fine di maggio 2011 in poi”).
Contesta, altresi’, la possibilita’ – affermata da entrambi i giudici di merito – di individuare comportamenti concludenti idonei a far ritenere “superata” la clausola contrattuale che prevedeva la necessita’ di una proroga espressa ed evidenzia che “la Corte di Appello di Firenze, quando asserisce che il contratto sarebbe stato prorogato, in difetto di rinnovo in forma scritta, per facta concludentia, da individuarsi nel pagamento dei canoni e nel loro ricevimento da parte di (OMISSIS) s.p.a., palesa di aver omesso di esaminare il fatto pacifico e dichiarato da entrambe le parti, della mancata applicazione di quanto stabilito dal contratto scaduto il 31.12.2004, con astensione di entrambe, l’una, dal fatturare e richiedere canoni e royalties, l’altra, dal corrisponderli, per quasi un decennio (successivamente al 31.12.2004)”.
5.1. Il motivo va rigettato, in quanto:
la Corte si e’ correttamente attenuta al principio secondo cui “le parti che abbiano convenuto l’adozione della forma scritta per un determinato atto, nella loro autonomia negoziale possono successivamente rinunciare al succitato requisito, anche tacitamente, mediante comportamenti incompatibili con il suo mantenimento, costituendo la valutazione in ordine alla sussistenza o meno di una rinuncia tacita un apprezzamento di fatto riservato al giudice del merito, incensurabile in sede di legittimita’, qualora sia sorretto da una motivazione immune da vizi logici, coerente e congruente” (Cass. n. 12344/2003; cfr. anche Cass. n. 13277/2000 e Cass. n. 4541/2012), ritenendo che la prosecuzione del rapporto in via di fatto abbia palesato, per fatti concludenti, la volonta’ di rinunciare al rinnovo “espresso” del contratto di affitto di azienda e di proseguire il rapporto alle stesse condizioni originariamente previste, ivi compresa quella che collegava la cessazione dell’affitto a quella del comodato;
ne’ puo’ essere dedotto nella presente sede l’errore in cui la Corte sarebbe incorsa per avere ritenuto – rispettivamente – pretese e adempiute, nel corso degli anni, le obbligazioni relative al pagamento dei canoni, giacche’, trattandosi di eventuale errore percettivo, avrebbe dovuto essere fatto valere in sede revocatoria;
lo stesso vale per la circostanza secondo cui vi sarebbe stata, fino al maggio 2011, una modificazione soggettiva dal lato dell’affittuario, poiche’, a prescindere dalla novita’ della questione (la sentenza non ne tratta e la ricorrente non indica come e quando l’abbia dedotta in sede di merito), la stessa attiene ad un fatto che, se effettivamente non percepito dalla Corte, avrebbe dovuto essere fatto valere come vizio revocatorio.
6. Le spese di lite seguono la soccombenza.
7. Sussistono le condizioni per l’applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate in Euro 4.200,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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