Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza del 21 agosto 2012, n. 32858

Motivi della decisione

Con sentenza in data 22 gennaio 2010 la Corte d’Appello di Palermo confermava la sentenza del Tribunale di Agrigento che in data 17 gennaio 2008 aveva condannato IMG per: Capo A) i reati di falso ideologico commesso dal privato in atto pubblico e truffa aggravata, per avere falsamente attestato uno stato di malattia, ottenendo così un congedo di giorni 20 con fruizione intera dello stipendio per 18 giorni e ridotta per i restanti due, documento falso in considerazione del fatto che la donna nel medesimo periodo di assenza aveva svolto attività di coordinatrice di un corso di formazione professionale per conto dell’ISPA; capo B) il reato di falso ideologico con riguardo alla falsa dichiarazione resa in un’attestazione a firma dell’imputata con la quale la stessa aveva dichiarato di essere in possesso di un’autorizzazione da parte della direzione scolastica dell’Istituto ove l’imputata prestava servizio in qualità di insegnante a svolgere attività al di fuori dell’istituto di appartenenza Ricorre per cassazione il difensore dell’imputata deducendo che la sentenza impugnata è incorsa in:
1. inosservanza della legge processuale. Lamenta il ricorrente che la corte d’appello di Palermo ha dichiarato l’irreperibilità dell’imputata omettendo una serie di accertamenti imposti dall’articolo 159 codice di procedura penale pena di nullità. In particolare lamenta che non sono stati effettuati accertamenti sul posto di lavoro, nel luogo di nascita.
2. vizio di motivazione in ordine alla sussistenza del delitto di falso in truffa lamenta la ricorrente che la sussistenza dello stato ansioso andava verificata al momento della redazione del certificato e che in ogni caso il giudice di merito in relazione all’asserita condotta fraudolenta ha omesso di rilevare i contrasti sorti all’interno dell’istituto scolastico che sono all’origine dello stato ansioso depressivo certificato.
Il primo motivo di ricorso è infondato.
E’ vero che la Corte territoriale ha dichiarato l’irreperibilità dell’imputata senza avere disposto ricerche nel luogo di nascita e di lavoro, ma è pur vero che nel caso in esame doveva trovare applicazione l’art. 157, comma ottavo bis cod. proc. pen. (introdotto dall’art. 2 D.L. 21 febbraio 2005 n. 17 conv. nella L. 22 aprile 2005 n. 60). Tale disposizione concernente il regime delle notificazioni successive alla prima riguarda l’intero processo e non già ogni grado di giudizio, con la conseguenza che non occorre individuare per ciascuna fase processuale una “prima” notificazione rispetto alla quale possa, poi, trovare attuazione la nuova disciplina. L’art. 157 c.p.p., comma 8 bis individua infatti una relazione funzionale fra la difesa di fiducia dell’imputato e la ricezione delle notificazioni degli atti processuali a lui destinati e stabilisce che ad eccezione della prima, volta ad assicurare la conoscenza personale da parte dell’imputato della pendenza del processo, le notificazioni successive siano eseguite mediante consegna al difensore, il quale è tenuto a riceverle per effetto dell’assunzione della difesa di fiducia e senza necessità di adesione. Nel caso di specie il difensore ha ricevuto la notifica anche se ex art. 159 c.p.p. e non ex art. 157 co 8 bis c.p.p . Trattasi di irregolarità che nessuna incidenza ha avuto nel perfezionamento della notifica. Lo stesso difensore, presente nel giudizio d’appello allorché è stata dichiarata la contumacia, nulla ha eccepito sul punto.
ll secondo motivo di ricorso è inammissibile perché generico e versato in fatto.
Lamenta il ricorrente un vizio di motivazione. Sul punto va ricordato che anche alla luce del nuovo testo dell’art. 606 c.p.p., comma 1, letto e), come modificato dalla L. 20 febbraio 2006, n. 46, non è consentito alla Corte di Cassazione di procedere ad una rinnovata valutazione dei fatti ovvero ad una rivalutazione del contenuto delle prove acquisite, trattandosi di apprezzamenti riservati in via esclusiva al giudice del merito. La previsione secondo cui il vizio della motivazione può risultare, oltre che dal “testo” del provvedimento impugnato, anche da “altri atti del processo”, purché specificamente indicati nei motivi di gravame, non ha infatti trasformato il ruolo e i compiti del giudice di legittimità, il quale è tuttora giudice della motivazione, senza essersi trasformato in un ennesimo giudice del fatto. In questa prospettiva il richiamo alla possibilità di apprezzarne i vizi anche attraverso gli “atti del processo” rappresenta solo il riconoscimento normativo della possibilità di dedurre in sede di legittimità il cosiddetto “travisamento della prova”, in virtù del quale la Corte, lungi dal procedere ad una (inammissibile) rivalutazione del fatto (e del contenuto delle prove), prende in esame gli elementi di prova risultanti dagli atti per verificare se il relativo contenuto è stato preso in esame, senza travisamenti, all’interno della decisione.
In altri termini si può parlare di travisamento della prova nei casi in cui il giudice di merito abbia fondato il proprio convincimento su una prova che non esiste o su un risultato di prova incontestabilmente diverso da quello reale. Non spetta invece alla Corte di cassazione “rivalutare” il modo con cui quello specifico mezzo di prova è stato apprezzato dal giudice di merito, giacché attraverso la verifica del travisamento della prova il giudice di legittimità può e deve limitarsi a controllare se gli elementi di prova posti a fondamento della decisione esistano o, per converso, se ne esistano altri inopinatamente e ingiustamente trascurati o fraintesi. Nel caso di specie va anche ricordato che ci si trova dinanzi ad una “doppia conforme” e cioè doppia pronuncia di eguale segno per cui il vizio di travisamento della prova può essere rilevato in sede di legittimità solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti (con specifica deduzione) che l’argomento probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado. Il vizio di travisamento della prova può essere fatto valere nell’ipotesi in cui l’impugnata decisione abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di c.d. doppia conforme, superarsi il limite del “devolutimi” con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d’appello, per rispondere alla critiche dei motivi di gravame, abbia richiamato atti a contenuto probatorio non esaminati dal primo giudice (Cass., n. 5223/07, ric. Medina, rv. 236130; Cass. Sez.. 4 n. 19710/2009 Rv 243636).
Nel caso di specie, invece, il giudice di appello ha riesaminato lo stesso materiale probatorio già sottoposto al tribunale e, dopo avere preso atto delle censure degli appellanti, è giunto alla medesima conclusione.
Il ricorso deve essere respinto e la ricorrente condannata al pagamento delle spese processuali

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali

Depositata in Cancelleria il 21.08.2012

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