Corte di Cassazione, sezione prima civile, Sentenza 30 aprile 2018, n. 10383
In tema di liquidazione coatta amministrativa, l’accertamento preventivo e l’accertamento successivo dello stato di insolvenza restano dalle disposizioni della legge fallimentare ancorati ai medesimi presupposti sostanziali; sicche’ l’accertamento successivo e’ ammissibile soltanto nei confronti di quegli enti per i quali risulti ammissibile l’accertamento preventivo, anche se in concreto non compiuto, con conseguente esclusione in entrambi i casi degli enti pubblici.
Sentenza 30 aprile 2018, n. 10383
Data udienza 13 febbraio 2018
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DIDONE Antonio – Presidente
Dott. TERRUSI Francesco – rel. Consigliere
Dott. PAZZI Alberto – Consigliere
Dott. DOLMETTA Aldo Angelo – Consigliere
Dott. CENICCOLA Raffaele – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 19510/2016 proposto da:
Procura della Repubblica presso il Tribunale di Udine;
-ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al controricorso;
– controricorrente –
contro
(OMISSIS) in Liquidazione, (OMISSIS), Regione Autonoma Friuli Venezia Giulia;
– intimati –
avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di TRIESTE, depositato il 21/07/2016;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/02/2018 dal cons. TERRUSI FRANCESCO;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SORRENTINO FEDERICO, che ha concluso per l’improcedibilita’, in subordine rigetto del ricorso;
udito, per il controricorrente, l’Avvocato (OMISSIS) che si riporta.
FATTI DI CAUSA
La corte d’appello di Trieste rigettava il reclamo proposto dal pubblico ministero avverso il decreto col quale il tribunale di Udine aveva a sua volta respinto la richiesta di declaratoria di stato di insolvenza del (OMISSIS), ente pubblico economico istituito con L. n. 633 del 1964 e cosi’ qualificato in forza della L. n. 317 del 1991, articolo 36 e della Legge Regionale Friuli Venezia Giulia n. 3 del 1999. Tale domanda era stata avanzata dallo stesso ufficio in adesione al ricorso per dichiarazione dello stato di insolvenza depositato dal commissario liquidatore.
La corte d’appello, per quanto di interesse in questa sede, ha rilevato che la tesi dell’ufficio requirente, diretta a estendere la dichiarazione di insolvenza di cui alla L. Fall., articolo 202 agli enti pubblici, ovvero alternativamente a escludere la natura di ente pubblico economico per l’ente che avesse deviato dai propri compiti istituzionali, aveva trovato risposta negativa nella sentenza di questa Corte Suprema n. 10008 del 1993, che ne aveva escluso il fondamento sul piano strettamente letterale e sul piano delle ragioni sostanziali sottese alla peculiare disciplina del soggetto pubblico, della sua organizzazione e delle sue vicende.
Avverso il decreto della corte distrettuale, depositato il 21-7-2016, il pubblico ministero ha proposto ricorso per cassazione sorretto da un unico mezzo.
Tra gli intimati si e’ costituito solo (OMISSIS), che ha resistito e ha infine depositato una memoria.
RAGIONI DELLA DECISIONE
1. – L’ufficio ricorrente, reputando criticabile la citata pronuncia n. 10008-93 di questa Corte, chiede che il decreto impugnato sia cassato per aver confermato la statuizione di inammissibilita’ del ricorso per dichiarazione dello stato di insolvenza dell’ente pubblico economico (OMISSIS), gia’ messo in liquidazione coatta amministrativa. Il decreto avrebbe violato la L. Fall., articolo 202 giacche’ tale norma non richiama, quanto agli enti pubblici, il divieto di dichiarare lo stato di insolvenza previsto, prima della messa in liquidazione, dall’articolo 195, comma 8.
Secondo la tesi del ricorrente la diversa esegesi affermata da questa Corte andrebbe sottoposta a revisione, tenendo conto della sopravvenuta disposizione ex articolo 82 T.u.b. e del fatto che la dichiarazione dello stato di insolvenza condiziona la punibilita’ dei reati fallimentari.
2. – Il ricorso e’ inammissibile in applicazione del principio, oramai consolidato, che nega la decisorieta’ al provvedimento di conferma del rigetto dell’istanza di fallimento (Cass. n. 5069-17, Cass. n. 20297-15, Cass. n. 6683-15, Cass. n. 19446-11).
Tale principio e’ estendibile anche al rigetto del ricorso per l’accertamento dello stato di insolvenza, quanto alle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa (L. Fall., art 195).
La simmetria tra le fattispecie e’ invero desunta dalle conseguenze comuni che ne derivano, in punto di possibile esercizio delle azioni revocatorie anche fallimentari (L. Fall., articolo 203) e di assoggettabilita’ dell’imprenditore (o degli organi societari) alle fattispecie penali previste per l’eventualita’ del fallimento (L. Fall., articolo 237).
3. – Peraltro il collegio reputa di esaminare egualmente la sottostante questione giuridica nell’ottica dell’articolo 363 c.p.c., in considerazione della particolare importanza della medesima in rapporto all’unico precedente lontano nel tempo (Cass. n. 10008-93), di cui e’ esplicitamente chiesta la revisione.
4. – Con la sentenza appena citata questa Corte ha avuto modo di affermare che gli enti pubblici economici, i quali sono esclusi dall’accertamento preventivo dello stato d’insolvenza, L. Fall., ex articolo 195, u.c., non possono essere assoggettati nemmeno all’accertamento successivo, ai sensi della L. Fall., articolo 202, poiche’ questa norma presuppone che l’insolvenza non sia stata preventivamente dichiarata a norma dell’articolo 195, ma consente l’accertamento successivo soltanto nei confronti di quegli enti per i quali e’ ammissibile, sebbene in concreto non essendo stato compiuto, l’accertamento preventivo.
Il pubblico ministero presso il tribunale di Udine contesta l’indirizzo giurisprudenziale appena citato, sostenendo che andrebbe a tradursi in un ingiustificato trattamento di favore per gli amministratori degli enti pubblici economici, atteso che la dichiarazione dello stato di insolvenza condiziona la punibilita’ dei reati fallimentari.
In contrasto col citato indirizzo il ricorrente evoca inoltre l’articolo 82, comma 2 T.u.b. (sopravvenuto alla sentenza n. 10008-93), il quale stabilisce che la dichiarazione di insolvenza successiva puo’ essere pronunciata nei confronti di tutte le banche, anche di natura pubblica, a conferma del discrimine esistente tra la dichiarazione di stato di insolvenza anteriore alla messa in liquidazione coatta amministrativa (vietata) e la dichiarazione appunto successiva (consentita).
La tesi assunta a fondamento del ricorso, rinvenibile anche in dottrina, e’ allora che la L. Fall., articolo 202, non richiamando il divieto di cui all’articolo 195 quanto all’accertamento dello stato di insolvenza successivo alla messa in liquidazione, consentirebbe in generale la dichiarazione di insolvenza “successiva” anche per gli enti pubblici economici, non potendo giustificarsi la differenza di trattamento altrimenti determinabile tra gli ex amministratori di una banca di capitale pubblico e quelli di un qualsivoglia distinto ente pubblico economico.
5. – Occorre preliminarmente chiarire che le argomentazioni incentrate sulle conseguenze penali dell’esegesi non sono pertinenti.
Il profilo inerente la sottoponibilita’ o meno dell’ente pubblico alla procedura di accertamento giudiziario dello stato di insolvenza va risolto in base alle previsioni della legge fallimentare a esso (profilo) dedicate. Il terreno delle conseguenze penali e’ un posterius, e implica semmai la verifica del trattamento differenziato rispetto a quello correlato alla repressione penale dei reati fallimentari.
Le argomentazioni ulteriormente svolte a presidio della tesi sostenuta in ricorso, per quanto pertinenti, non possono essere condivise.
6. – Giova rammentare che la questione sorge per il combinato disposto della L. Fall., articoli 195 e 202.
L’articolo 195 attiene all’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza delle imprese soggette a liquidazione coatta amministrativa anteriormente all’apertura del procedimento e, in base all’u.c., le sue disposizioni non si applicano agli enti pubblici. Tuttavia e’ possibile che la dichiarazione giudiziale di insolvenza sia pronunciata anche nel corso della procedura (L. Fall., articolo 202), e in tal caso non e’ prevista la testuale esenzione in favore degli enti pubblici, giacche’ l’articolo 202 richiama dell’articolo 195, i commi 2, 3, 4, 5 e 6, ma non l’ultimo.
Ora non puo’ sostenersi che il suddetto mancato richiamo sia sintomatico del fatto di essere l’ente pubblico economico assoggettabile ad accertamento successivo dello stato di insolvenza, poiche’ vi osta – come gia’ evidenziato dalla citata sentenza n. 10008-93 – il dato normativo complessivamente inteso e la collocazione sistematica di esso nel quadro generale di disciplina dell’istituto.
Operando il necessario confronto tra le previsioni citate nel complesso della disciplina da esse desumibile, e’ in vero agevole notare che la limitazione del rinvio della L. Fall., articolo 202 ai soli commi dal secondo al sesto dell’articolo 195 e’ strettamente connessa al fatto di essere l’articolo 202 essenzialmente diretto a stabilire le regole procedimentali per l’accertamento dello stato di insolvenza dopo la messa in liquidazione; e in tal guisa si spiega il richiamo delle sole previsioni dell’articolo 195 funzionali allo scopo.
Non sono funzionali a disciplinare i necessari aspetti procedimentali dell’istituto in questione ne’ il primo comma dell’articolo 195 – poiche’ l’indicazione dei presupposti e dell’organo competente per la declaratoria di insolvenza successiva non puo’ che trovarsi nella norma che prevede tale declaratoria, e dunque nell’articolo 202; ne’ l’articolo 195, comma 7 – poiche’ l’accertamento dello stato di insolvenza nella pendenza di una procedura di concordato preventivo, ivi previsto, non e’ compatibile col presupposto della gia’ intervenuta messa in liquidazione coatta.
Allo stesso modo non lo e’ l’articolo 195, u.c. – che, escludendo gli enti pubblici, concerne l’ambito applicativo dell’istituto dell’accertamento dello stato di insolvenza in se’ considerato. Tale ambito applicativo e’ necessariamente comune alle due ipotetiche fattispecie, dell’accertamento anteriore e dell’accertamento successivo alla liquidazione coatta, perche’ l’articolo 202, comma 1 disponendo che l’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza successivo alla liquidazione coatta presuppone che l’impresa si trovi in stato di insolvenza e questa non sia stata “preventivamente dichiarata ai sensi dell’articolo 195”, implica gia’ la condivisione dei presupposti sostanziali dell’accertamento giudiziario medesimo, per modo che quei presupposti restano in ogni caso identici dal punto di vista degli enti assoggettabili.
7. – La ratio della disciplina di esclusione degli enti pubblici tra i destinatari delle citate disposizioni della legge fallimentare conforta la ridetta esegesi.
Resta infatti insuperato il rilievo per cui gli enti pubblici sono sottoposti al diritto comune, e cioe’ alle medesime norme applicabili ai soggetti privati, per quanto riguarda la disciplina degli atti posti in essere, mentre si distinguono per cio’ che invece attiene alla disciplina del soggetto, della sua organizzazione e delle sue vicende. E non a caso essi sono in base all’articolo 2221 c.c. sottratti al fallimento, vale a dire alla procedura con la quale e’ ancora oggi disciplinata l’insolvenza irreversibile in via generale.
L’assoggettamento degli enti a liquidazione coatta trova ragione nella incidenza della procedura non sugli atti ma sul soggetto in quanto tale. E, come ben messo in evidenza da Cass. n. 10008-93, la specificita’ di tale condizione, dal legislatore evidentemente ritenuta essenziale, sarebbe infine vanificata se una dinamica analoga a quella esclusa (del fallimento) fosse perseguita attraverso la equivalente (negli effetti) dichiarazione di insolvenza successiva.
8. – Gli esposti rilievi non sono incisi dall’argomento dal ricorrente tratto dalla sopravvenuta disciplina del T.u.b.
Lo stato di insolvenza di una banca sottoposta a liquidazione coatta amministrativa si traduce, ai sensi dell’articolo 82, comma 2 T.u.b. e in relazione alla generale previsione della L. Fall., articolo 5, nel venir meno delle condizioni di liquidita’ e di credito necessarie per l’espletamento della specifica attivita’ imprenditoriale (v. Cass. n. 20186-17).
Dunque trova fondamento nel preminente – e tuttavia specifico – interesse alla tutela del credito e del risparmio.
La circostanza che proprio la citata disposizione del T.u.b. abbia previsto codesta possibilita’ in relazione alle banche di natura pubblica in stato di insolvenza al momento dell’emanazione del provvedimento di liquidazione coatta amministrativa, ove l’insolvenza non sia stata dichiarata a norma del medesimo articolo 82, comma 1 suffraga semmai la conclusione opposta a quella predicata dall’ufficio ricorrente: vale a dire che in base alla legge fallimentare le stesse banche pubbliche, in quanto enti pubblici ai sensi della L. Fall., articolo 195, u.c., non si sarebbero potute ritenere assoggettabili all’accertamento giudiziario dello stato di insolvenza dopo la messa in liquidazione coatta. Tanto che, onde prevederne l’assoggettamento successivo, e’ appunto intervenuta la norma speciale a tutela del credito e del risparmio.
9. – Non e’ vano osservare, in ultimo, che il risultato dell’esegesi e’ oggi confortato dalla legge delega per il riordino delle procedure concorsuali (L. 19 ottobre 1917, n. 155).
Fissando all’articolo 2 i principi generali per la riforma organica delle procedure, la stessa legge delega ha esplicitamente ribadito l’assoggettamento di ogni categoria di debitore “al procedimento di accertamento dello stato di crisi o di insolvenza”, si tratti di persona fisica o giuridica, ente collettivo, consumatore, professionista o imprenditore esercente un’attivita’ commerciale, agricola o artigianale, ma “con esclusione dei soli enti pubblici” (lettera e).
A sua volta per la liquidazione coatta amministrativa l’articolo 15 medesima legge delega ha fissato principi e criteri direttivi presupponenti l’applicabilita’ delle relative disposizioni alle imprese in stato di crisi o di insolvenza attualmente soggette alla procedura di liquidazione coatta amministrativa, mantenendo fermo il relativo regime speciale solo nei casi previsti: (1) dalle leggi speciali in materia di banche e imprese assimilate, intermediari finanziari, imprese assicurative e assimilate; (2) dalle leggi speciali in materia di procedimenti amministrativi di competenza delle autorita’ amministrative di vigilanza, conseguenti all’accertamento di irregolarita’ e all’applicazione di sanzioni da parte delle medesime autorita’.
10. – Ribadendosi allora l’impostazione della citata Cass. n. 10008-93, confermata dai riferiti ulteriori spunti, va ai sensi dell’articolo 363 c.p.c. enunciato il seguente principio di diritto: “in tema di liquidazione coatta amministrativa, l’accertamento preventivo e l’accertamento successivo dello stato di insolvenza restano dalle disposizioni della legge fallimentare ancorati ai medesimi presupposti sostanziali; sicche’ l’accertamento successivo e’ ammissibile soltanto nei confronti di quegli enti per i quali risulti ammissibile l’accertamento preventivo, anche se in concreto non compiuto, con conseguente esclusione in entrambi i casi degli enti pubblici”.
11. – L’inammissibilita’ del ricorso non rileva ai fini della pronuncia sulle spese processuali, dovendo darsi continuita’ al principio secondo cui, riguardo ai procedimenti in cui e’ parte, l’ufficio del P.M. non puo’ in ogni caso esser condannato al pagamento delle spese del giudizio nell’ipotesi di soccombenza, trattandosi di un organo propulsore dell’attivita’ giurisdizionale che ha la funzione di garantire la corretta applicazione della legge, con poteri meramente processuali, diversi da quelli svolti dalle parti, esercitati per dovere di ufficio e nell’interesse pubblico (per tutte Cass. n. 19711-15, Cass. n. 20652-11, Cass. Sez. U n. 11191-03).
P.Q.M.
La Corte dichiara il ricorso inammissibile.
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