Il divieto di modificazione della compagine delle ATI nella fase procedurale corrente tra la presentazione delle offerte e la definizione della procedura di aggiudicazione, di per sé non impedisce il recesso di una o più imprese partecipanti all’ATI medesima, a condizione che quelle che restano a farne parte risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione e che ciò avvenga per esigenze organizzative proprie dell’A.t.i. o Consorzio, e non invece per eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell’a.t.i. venuto meno per effetto dell’operazione riduttiva.
Sentenza 28 agosto 2017, n. 4086
Data udienza 15 giugno 2017
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso in appello iscritto al numero di registro generale 7745 del 2016, proposto da:
Pe. Costruzioni s.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati An. Vi., An. Sa., Fr. De Ma. e Ba. Sa., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, corso (…);
contro
Provincia autonoma di Trento, in persona del Presidente pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Da. Fl., Ni. Pe. e Gi. Fo., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…),
Agenzia provinciale per gli appalti e contratti (Apac), nonché Trentino Sviluppo s.p.a., in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituiti in giudizio;
nei confronti di
Intercantieri Vi. s.p.a. in proprio e quale mandataria di costituenda ATI, in persona del legale rappresentante pro tempore, rappresentata e difesa dagli avvocati Ma. Az., An. Ma., Em. Ba. Tr. e Fr. Gi., con domicilio eletto presso lo studio del primo in Roma, via (…);
ATI Costruzioni Ro. s.r.l. in liquidazione, ed altri, in persona dei rispettivi legali rappresentanti pro tempore, non costituite in giudizio;
per la riforma
della sentenza del T.R.G.A. della Provincia di Trento n. 324/2016, resa tra le parti, concernente affidamento della progettazione esecutiva e dei lavori di realizzazione del Progetto manifattura – Green Innovation Factory, nonché istanza di risarcimento danni.
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti gli atti di costituzione in giudizio della Provincia Autonoma di Trento e di Intercantieri Vi. s.p.a.;
Viste le memorie difensive;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nell’udienza pubblica del giorno 15 giugno 2017 il Cons. Valerio Perotti e uditi per le parti gli avvocati De Ma., Fl. e Ma.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.
FATTO
Risulta dagli atti che nell’ottobre 2013 la Provincia autonoma di Trento aveva indetto una procedura aperta di gara per l’affidamento della progettazione esecutiva e dell’esecuzione dei lavori di realizzazione del “Progetto manifattura – Green Innovation Factory – ambito B, Lotto 1 a (omissis)”, cui partecipavano il costituendo ATI tra le società Pe. Costruzioni s.p.a. e Lo. En. s.r.l., il costituendo ATI tra le società Intercantieri Vi. s.p.a. e Costruzioni Ro. s.r.l., Ge. Ca. Ne. s.p.a. ed El. s.r.l., nonché l’ATI originariamente composto dalle Ma. Costruzioni s.p.a (mandataria) con le società Co. Lavori s.p.a., Pr. s.r.l., Consorzio La. Am. soc. coop. ed Ed. s.p.a..
Quest’ultimo, risultato infine aggiudicatario della gara, nelle more della procedura aveva però mutato la propria composizione soggettiva, sostituendo la società Co. Lavori alla mandataria Ma. Costruzioni: per l’effetto, la Pe. Costruzioni impugnava il provvedimento di aggiudicazione, eccependo, in particolare, proprio l’illegittimità della modifica soggettiva dell’ATI.
Con determinazione n. 5 del 25 novembre 2015, la Provincia autonoma di Trento disponeva peraltro l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione, con contestuale aggiudicazione dell’appalto in favore dell’ATI Pe., secondo classificato.
Tale provvedimento veniva a sua volta impugnato al Tribunale regionale di giustizia amministrativa di Trento sia dalla società Co. Lavori (con ricorso iscritto n. 468 del 2015 di R.G.), sia dall’ATI Intercantieri (con il ricorso n. 3 del 2016 di R.G.). Il giudice confermava peraltro, con sentenza 8 aprile 2016, n. 191, la legittimità dell’esclusione dell’ATI Co., per aver indebitamente modificato la propria composizione soggettiva.
Con successiva determinazione n. 2 del 13 aprile 2016, il dirigente del Servizio appalti della Provincia autonoma di Trento disponeva peraltro l’annullamento d’ufficio dell’aggiudicazione al raggruppamento Pe., sulla base di due autonome ragioni emerse in sede di controllo: 1) il socio di maggioranza (sig. Fr. Io.) di uno dei progettisti (Studio Io. s.r.l.) indicati dal predetto ATI aveva omesso di dichiarare la sussistenza di due decreti penali di condanna nei propri confronti per il reato di omesso versamento delle ritenute previdenziali ed assistenziali; 2) alla data dell’aggiudicazione dell’appalto a carico della società mandante Lo. En. emergevano delle violazioni, definitivamente accertate, degli obblighi relativi al pagamento di imposte e tasse.
Avverso tale determinazione la società Pe. Costruzioni proponeva ricorso al giudice amministrativo, deducendo tre articolati gruppi di censure. In particolare, i primi cinque motivi di ricorso contestavano la prima delle ragioni poste a fondamento del provvedimento in autotutela, laddove il sesto ed il settimo motivo censuravano la seconda causa di annullamento nonché la decisione della stazione appaltante di procedere all’escussione della cauzione.
Nel costituirsi in giudizio, la controinteressata Intercantieri Vi. chiedeva la reiezione del gravame, poiché infondato; analoga richiesta veniva altresì formulata dalla Provincia autonoma di Trento, con memoria depositata il 7 giugno 2016.
Con successiva memoria, depositata in data 30 giugno 2016, la Pe. Costruzioni nuovamente illustrava le proprie censure, alla luce delle difese avversarie, insistendo per l’accoglimento del ricorso.
Con ulteriore memoria depositata in data 5 luglio 2016, la Provincia autonoma di Trento eccepiva l’inammissibilità del gravame per carenza di interesse, alla luce delle successive produzioni documentali, rilevando come la società mandante Lo. En. fosse stata dichiarata fallita con sentenza del Tribunale civile di Trento, facendo con ciò venir meno (in capo alla suddetta mandante) il requisito di ordine generale di cui all’art. 38, comma 1, lett. a), del d.lgs. 12 aprile 2006, n. 163, con conseguente cessazione della legittimazione dell’intero ATI Pe. a partecipare alla gara.
Invero, i requisiti di ordine generale – tra cui indubbiamente quello in esame – devono essere posseduti dagli operatori economici per tutta la durata della procedura gara, fino al momento della stipulazione del contratto, né era possibile ipotizzare che la società Pe. Costruzioni potesse sostitursi (direttamente o con un terzo) alla società mandante fallita, invocando l’art. 37, comma 19, del medesimo decreto n. 163 del 2006, dal momento che la disposizione si riferisce alla sola fase di esecuzione del contratto, ferma invece restando, per il procedimento amministrativo di gara, l’applicazione dell’inderogabile divieto di modificabilità della composizione del raggruppamento temporaneo.
Anche la società Intercantieri Vi., con memoria depositata il 5 luglio 2016, eccepiva a tal punto l’inammissibilità del ricorso, in ragione del fallimento della società mandante Lo. En., tra l’altro intervenuto in data antecedente la proposizione dello stesso ricorso, evidenziando che nel caso in esame la società ricorrente non avrebbe neppure potuto giovarsi di una “modifica in riduzione” dell’ATI, poiché la società mandante (nel frattempo fallita) partecipava al raggruppamento proprio al fine di garantire il possesso del requisito speciale relativo alla categoria OS32 per la classifica richiesta dal bando, della quale la ricorrente risultava priva.
La società Studio Io., intervenuta ad adiuvandum della ricorrente, con memoria depositata in data 5 luglio 2016 insisteva invece per l’accoglimento dei primi quattro motivi di ricorso.
A sua volta la ricorrente replicava, con memoria depositata in data 8 luglio 2016, ai rilievi di inammissibilità del ricorso, evidenziando che:
1) come ribadito dall’Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato con la sentenza n. 8 del 4 maggio 2012 e dall’AVCP con il parere n. 44 del 27 marzo 2013, il divieto di modifiche soggettive dell’ATI in corso di gara dovrebbe essere inteso nel senso che è inibita l’aggregazione di nuovi operatori economici o la sostituzione di quelli che compongono il raggruppamento, mentre sarebbero consentite modifiche in senso riduttivo, nel senso che nulla osta al recesso di uno dei soggetti che compongono l’ATI;
2) non rispondeva poi al vero quanto affermato dalla società controinteressata in merito alla carenza del requisito speciale relativo alla categoria OS32, per la classifica richiesta dal bando, in capo alla ricorrente medesima, sia perché i lavori di cui alla categoria OS32 erano scorporabili e, quindi, integralmente subappaltabili, sia perché il bando indicava i lavori della categoria OS32 come lavori eseguibili da parte dell’aggiudicatario anche se privo della relativa qualificazione;
3) i commi 18 e 19 dell’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006 avrebbero dovuto essere interpretati alla luce dei vigenti principi e indirizzi comunitari, oramai recepiti nel d.lgs. n. 50 del 2016 (peraltro non applicabile al caso di specie), in forza dei quali il fallimento di uno degli operatori economici che costituiscono il raggruppamento non può più essere annoverato tra le cause che comportano l’immediata ed automatica esclusione dalla gara;
4) nel caso in esame l’allungamento dei tempi della gara, che ha comportato il sopravvenire delle difficoltà della società mandante, sarebbe da attribuire alla esclusiva responsabilità della stazione appaltante, che non aveva estromesso fin dall’inizio l’originario aggiudicatario;
5) in via subordinata, per il caso in cui si fosse ritenuto esser venuto meno l’interesse all’aggiudicazione dell’appalto, residuava l’interesse ad una pronuncia sull’illegittimità dei provvedimenti impugnati sia ai fini risarcitori, sia per dimostrare l’illegittimità della decisione dell’amministrazione di procedere all’escussione della cauzione.
Con memoria depositata l’8 luglio 2016, la società Intercantieri Vi. ribadiva invece la richiesta di reiezione del ricorso.
Con sentenza 28 luglio 2016, n. 324, il Tribunale regionale di giustizi amministrativa di Trento dichiarava l’inammissibilità del ricorso per sopravvenuta carenza di interesse, in ragione della sopravvenuta modifica soggettiva dell’ATI ricorrente. Rilevava, in particolare, il giudice adito, che “anche a voler ammettere che la società Pe. Costruzioni sia in possesso, da sola, di tutti i requisiti speciali richiesti per l’esecuzione dei lavori oggetto dell’appalto – resta il fatto la modifica in senso riduttivo della compagine del RTI Pe. non sarebbe determinata da esigenze organizzative proprie del raggruppamento stesso (e, quindi, consentita), bensì dall’esigenza di evitare la sanzione dell’esclusione dalla gara per difetto del requisito di ordine generale di cui all’art. 38, comma 1, lett. a), del D.lgs. n. 163/2006 in capo alla società mandante Lo. En.”.
Avverso tale decisione la Pe. Costruzioni interponeva appello, articolato nei seguenti quattro motivi di gravame:
1) Violazione e falsa applicazione dell’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006, per violazione dello ius receptum circa i limiti ed i presupposti del divieto di modificazione della composizione degli ATI;
2) Violazione e falsa applicazione dell’art. 37 del d.lgs. n. 163 del 2006, in quanto la possibilità di sostituzione della mandante fallita ad opera della mandataria non opererebbe solo nella fase di esecuzione del contratto, ma anche nella precedente fase di gara;
3) Violazione e falsa applicazione dell’art. 110 del d.lgs. n. 50 del 2016, norma entrata in vigore prima della dichiarazione di fallimento della mandante Lo. En.;
4) Violazione e falsa applicazione dell’art. 75 del d.lgs. n. 163 del 2006, in relazione all’assenza dei presupposti di legge per l’escussione della cauzione provvisoria da parte della stazione appaltante.
Riproponeva inoltre i motivi di ricorso non esaminati dal giudice di prime cure.
Si costituivano in giudizio sia la Provincia autonoma di Trento che la Intercantieri Vi., eccependo l’infondatezza del gravame, del quale chiedevano il rigetto.
Successivamente le parti ulteriormente illustravano, con apposite memorie, le proprie tesi difensive, ed all’udienza del 15 giugno 2017, dopo la rituale discussione, la causa passava in decisione.
DIRITTO
Con il primo motivo di appello, la Pe. Costruzioni afferma, in primo luogo, che la sentenza impugnata contraddirebbe il principio secondo cui “il divieto di modificazione delle ATI, sancito dall’allora vigente art. 37, comma 9, D.Lgs. 163/2006, è finalizzato a impedire l’aggiunta o la sostituzione di imprese partecipanti al raggruppamento, e non anche a precludere il recesso di una o più di esse, a condizione che quelle che restano a farne parte siano titolari, da sole dei requisiti di partecipazione e di qualificazione”. Al riguardo l’appellante – mandataria dell’ATI – sostiene di essere ancor oggi (come già all’epoca della presentazione dell’offerta) autonomamente in possesso dei requisiti per l’esecuzione dell’intero appalto.
Essa afferma altresì che il concreto svolgimento temporale della vicenda controversa avrebbe impedito di formalizzare, prima della pubblicazione della sentenza di primo grado, “l’intenzione di procedere alla riduzione della compagine dell’ATI”, sostenendo di essere venuta a conoscenza del fallimento della mandante “solo a ridosso dell’Udienza Pubblica di discussione della causa”.
Essa rileva inoltre come, contrariamente a quanto ritenuto dal primo giudice, il fallimento della Lo. En. sarebbe avvenuto dopo la conclusione della procedura di gara, sicché sarebbe stato comunque improprio il riferimento, operato in sentenza, allo stesso come autonoma causa di esclusione dalla procedura: in tal caso, infatti, laddove la stazione appaltante abbia già provveduto a verificare, al momento della variazione in riduzione della compagine sociale, i requisiti di capacità e moralità delle imprese “superstiti” dell’ATI, dovrebbero considerarsi comunque fugati i rischi che il divieto di cui all’art. 37 cit. mira a prevenire.
Il motivo non è fondato.
Risulta dagli atti che con sentenza 20 aprile 2016, n. 37 del Tribunale civile di Trento – antecedente quindi la data di proposizione dell’introduttivo ricorso – l’impresa Lo. En., mandante nell’ATI con l’impresa Pe. Costruzioni s.p.a., è stata dichiarata fallita.
Né risulta, per contro, che la stessa avesse (in precedenza o successivamente alla dichiarazione di fallimento) receduto dall’ATI medesimo. Al momento della proposizione del ricorso, dunque, l’ATI ricomprendeva anche una società fallita, in quanto tale priva dei requisiti di carattere generale di cui all’art. 38 del d.lgs. n. 163 del 2006.
Va pertanto data corretta applicazione al precedente di Cons. Stato, V, 20 gennaio 2015, n. 169, a mente del quale il divieto di modificazione della compagine delle ATI nella fase procedurale corrente tra la presentazione delle offerte e la definizione della procedura di aggiudicazione, di per sé non impedisce il recesso di una o più imprese partecipanti all’ATI medesima, “a condizione che quelle che restano a farne parte risultino titolari, da sole, dei requisiti di partecipazione e di qualificazione e che ciò avvenga per esigenze organizzative proprie dell’A.t.i. o Consorzio, e non invece per eludere la legge di gara e, in particolare, per evitare una sanzione di esclusione dalla gara per difetto dei requisiti in capo al componente dell’a.t.i. venuto meno per effetto dell’operazione riduttiva (Cons. Stato, Ad.Plen., n. 8/2012)”.
Nel caso di specie non si era in presenza di alcun recesso, né la mandataria aveva formalizzato alcuna intenzione di procedere ad una riduzione dell’ATI (una dichiarazione in tal senso interverrà solamente dopo la pubblicazione della sentenza impugnata, verosimilmente in ragione delle considerazioni esposte nelle motivazioni di quest’ultima).
Più nello specifico, non risulta dagli atti di causa che sia mai stata presentata una valida istanza di recesso da parte della mandante fallita, congiunta alla corrispondente richiesta della mandataria di subentrarvi, unita alla dimostrazione della sussistenza di tutti i requisiti per concorrere.
Appare dunque evidente che, nel caso di specie, al momento della proposizione del ricorso (momento nel quale la procedura di gara non era ancora conclusa), la mandante Lo. En. era carente dei requisiti di ordine generale, vizio che si estendeva necessariamente all’ATI, non avendo mai smesso di farne parte.
Alla luce di quanto precede, va fatta applicazione, in primo luogo, del precedente di Cons. Stato, V, 12 maggio 2016, n. 1883, dal quale non vi è ragione evidente per discostarsi, secondo cui nelle gare pubbliche l’immodificabilità soggettiva dei partecipanti ed il divieto di modificare in corso di gara (o dopo l’aggiudicazione) la compagine soggettiva, già prescritto dall’art. 13, comma 5-bis, legge 11 febbraio 1994, n. 109 (legge quadro sui lavori pubblici) e ribadito dall’art. 37, comma 9 del d.lgs. n. 163 del 2006 (applicabile ratione temporis all’odierna vertenza) risponde all’esigenza di garantire una conoscenza piena da parte delle amministrazioni aggiudicatrici, consentendo ad esse una verifica preliminare e compiuta dei requisiti di idoneità morale, tecnico-organizzativa ed economico-finanziaria dei concorrenti, verifica che non deve essere resa vana in corso di gara con modificazioni di alcun genere.
Trova inoltre applicazione, nel caso di specie, il principio espresso da Cons. Stato, V, 2 marzo 2015, n. 986, per cui sussiste comunque un obbligo di generale e tempestiva comunicazione alla stazione appaltante delle vicende relative ai componenti dell’ATI, affinché questa possa porre in essere tutte le valutazioni del caso e quindi determinarsi circa la sussistenza o meno delle condizioni per la permanenza dell’ATI medesimo nella procedura di gara (ovvero, nel caso in cui l’appalto sia già stato affidato, circa l’opportunità di proseguire il rapporto di appalto con altro operatore economico, laddove risultassero venute meno le condizioni per l’esecuzione da parte dei membri superstiti dell’ATI).
Come già detto, nessuna comunicazione di tal genere risulta essere stata effettuata dall’appellante alla Provincia autonoma di Trento, che infatti veniva a conoscenza del fallimento della società Lo. En. solamente nel corso del giudizio di primo grado, alla luce delle produzioni documentali delle parti private resistenti.
Il primo motivo di appello va pertanto respinto.
Con secondo motivo di gravame la Pe. Costruzioni contesta che il giudice di prime cure non si sarebbe in realtà avveduto del fatto che, nel caso di specie, ricorrevano comunque i presupposti della deroga (di cui all’art. 37, comma 19, d.lgs. n. 163 del 2006) al principio generale di immodificabilità soggettiva delle associazioni temporanee di imprese.
Il motivo non è fondato. Come bene rilevato dal giudice di prime cure, le ipotesi derogatorie cui fa riferimento l’appellante (avente carattere eccezionale – ex multis, Cons. Stato, V, 2 marzo 2015, n. 986 – ed essendo pertanto oggetto di stretta interpretazione letterale), previste ai commi 18 e 19 dell’art. 37 (concernenti il fallimento del mandante e del mandatario, la morte, l’interdizione o inabilitazione dell’imprenditore individuale, nonché le ipotesi previste dalla normativa antimafia), “riguardano evenienze relative alla successiva fase dell’esecuzione del contratto” e per tali non possono trovare applicazione nella precedente fase di gara.
Tale generale principio (ex multis, Cons. Stato, V, 20 gennaio 2015, n. 169) conforta il precedente di Cons. Stato, V, 29 luglio 2003, n. 4350 che, pronunciandosi con riferimento al disposto dell’art. 94 del D.P.R. n. 554/99, ratione temporis vigente, ha puntualizzato che ogni eccezione al principio di immodificabilità dell’offerta e della composizione dei partecipanti dopo l’offerta non può che essere applicata restrittivamente alle sole ipotesi espressamente disciplinate dal legislatore, tra le quali non rientra il caso del fallimento della mandataria di una ATI intervenuto in corso di gara.
Anche il secondo motivo di appello va dunque respinto.
Con terzo motivo di gravame viene invece dedotta la violazione e/o falsa applicazione dell’art. 110 d.lgs. n. 50 del 2016, sul presupposto della sua applicabilità al caso di specie, in quanto norma entrata in vigore prima della pronuncia del fallimento della mandante Lo. En.
L’argomento è palesemente destituito di fondamento, atteso che la disposizione in esame non può applicarsi all’odierna vertenza, in quanto relativa ad una gara il cui bando era stato pubblicato in data antecedente l’entrata in vigore del d.lgs. n. 50 del 2016 (ex art. 216 comma 1 del medesimo decreto). Per tale ragione anch’esso dev’essere respinto.
Con il quarto motivo di appello, infine, l’appellante contesta che sussistessero, nella specie, i presupposti di legge perché la stazione appaltante potesse procedere all’escussione della cauzione provvisoria, ex art. 75 d.lgs. n. 163 del 2006. Richiama, in particolare, il precedente dell’Adunanza Plenaria di questo Consiglio di Stato, 10 dicembre 2014, n. 34 che a suo avviso ricondurrebbe tale figura all’istituto civilistico della caparra confirmatoria di cui all’art. 1885 Cod. civ., in quanto tale “finalizzata a dimostrare la serietà dell’intento di stipulare il contratto sin dal momento delle trattative”.
Trattandosi di un rimedio volto a fronteggiare l’inadempimento contrattuale della controparte, la suddetta escussione non potrebbe qui aver luogo, non potendosi ricomprendere, nella nozione di “inadempimento”, anche il fallimento dell’aggiudicatario.
L’appellante inoltre contesta il fatto che, a suo dire, l’aggiudicazione in proprio favore avrebbe dovuto già avvenire nell’agosto 2015, allorché la Lo. En. non sarebbe stata ancora insolvente, laddove l’aggiudicazione all’ATI Co. Lavori (poi ritenuta illegittima dal giudice amministrativo, anch’essa per indebito mutamento della compagine soggettiva) avrebbe indebitamente prolungato i tempi della procedura, con conseguente disvelarsi – medio tempore – dei gravi problemi economici della predetta società (problemi che peraltro, come già emerso, ben ci si era guardati dal comunicare alla stazione appaltante).
Per l’effetto, conclude l’appellante, “la Provincia di Trento non può dunque trarre profitto da una situazione che essa stessa, con la propria condotta colposa, ha contribuito, in modo determinante se non esclusivo, a generare e che, a ben vedere, recherebbe viceversa gli estremi per configurare, a carico dell’Ente, un obbligo risarcitorio in favore del concorrente”: ciò in quanto (citando un precedente di questo Consiglio), “il mancato assolvimento dell’onere di diligenza che, ai sensi dell’art. 1127, comma 2, Cod. civ. grava sull’avente diritto al risarcimento, comporta l’esclusione da responsabilità risarcitoria, se emerge che il danno avrebbe potuto essere evitato o contenuto con la diligente cura delle proprie posizioni”.
Le considerazioni di cui sopra non sono persuasive.
A prescindere da ogni considerazione circa la stressa ammissibilità del motivo di gravame, in considerazione del fatto che, nelle proprie difese – non smentite, sul punto, dall’appellante – la Provincia autonoma di Trento ha smentito di aver mai proceduto alla concreta escussione della cauzione provvisoria, nel caso di specie va data applicazione al principio espresso da Cons. Stato, Ad. plen., 29 febbraio 2016, n. 5, per cui “l’incameramento della cauzione provvisoria previsto dall’art. 48 del Codice dei contratti pubblici, costituisce una conseguenza automatica del provvedimento di esclusione, conte tale non suscettibile di alcuna valutazione discrezionale con riguardo ai singoli casi concreti. Tale misura, quindi, risulta insensibile ad eventuali valutazioni volte ad evidenziare la non imputabilità a colpa della violazione che ha dato causa all’esclusione (cfr., tra le tante, Cons. Stato, 26 maggio 2015, n. 2638; Cons. Stato, sez. V, 10 settembre 2012, n. 4778; Cons. Stato 18 aprile 2012, n. 2232; Cons. Stato, sez. IV, 16 febbraio 2012, n. 810; Cons. Stato, sez. III, n. 4773 del 2012; Cons. Stato sez. V, 1° ottobre 2010, n. 7263; nonché Corte Cost., ord. n. 211 del 13 luglio 2011). Già questa Adunanza Plenaria (nella sentenza 4 maggio 2012, n. 8) ha peraltro riconosciuto che la passibilità di incamerare la cauzione provvisoria può trovare fondamento anche nell’art. 75, comma 6, del Codice di contratti pubblici, che riguarda tutte le ipotesi di mancata sottoscrizione del contratto per fatto dell’affidatario, intendendosi per “fatto dell’affidatario” qualunque ostacolo alla stipulazione a lui riconducibile, e tra cui anche, come nel caso di specie, il difetto di un requisito di ordine generale”.
Nel caso di specie, come detto, si era comunque in presenza di una causa di esclusione dell’ATI Pe. Costruzioni, per effetto del sopravvenuto fallimento della mandante Lo. En., di talché l’eventuale successiva acquisizione della cauzione da parte dell’amministrazione dovrebbe considerarsi un atto automatico e doveroso.
Per l’effetto, anche il quarto motivo di appello va respinto.
La reiezione dei precedenti motivi di gravame, aventi carattere procedurale ed assorbente, rende superfluo l’ulteriore esame dei riproposti argomenti di ricorso.
Conclusivamente, l’appello va respinto. Le spese, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza.
P.Q.M.
Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
(Sezione Quinta), definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge, confermando per l’effetto la sentenza impugnata.
Condanna l’appellante Pe. Costruzioni s.p.a. al pagamento delle spese di lite in favore della Provincia autonoma di Trento e della Intercantieri Vi. s.p.a., che liquida, per ciascuno degli aventi diritto, in euro 4.500,00 (quattromilacinquecento/00), oltre oneri di legge.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 15 giugno 2017 con l’intervento dei magistrati:
Giuseppe Severini – Presidente
Roberto Giovagnoli – Consigliere
Claudio Contessa – Consigliere
Valerio Perotti – Consigliere, Estensore
Stefano Fantini – Consigliere
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