L’affitto “in nero” ai clandestini integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione. E’ punibile anche la locazione a prezzi di mercato ma, tuttavia, senza regolare contratto, per la quale l’illegittimo profitto risiederebbe nella possibilità del locatore di evadere le tasse.
Suprema Corte di Cassazione
sezione I penale
sentenza 5 luglio 2017, n. 32391
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. DI TOMASSI Maria Stefani – Presidente
Dott. SARACENO Rosa Anna – Consigliere
Dott. MANCUSO Luigi Fabrizi – Consigliere
Dott. TALERICO Palma – Consigliere
Dott. MINCHELLA Antonio – rel. Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Milano;
nei confronti di:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
Avverso la sentenza n. 6447/2014 della Corte di Appello di Milano del 14.11.2015;
visti gli atti, la sentenza e il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Antonio Minchella;
Udito il Procuratore Generale, in persona del Dott. Delia Cardia, che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
Udito il difensore Avv. (OMISSIS), che ha insistito per il rigetto del ricorso.
RILEVATO IN FATTO
1. Con sentenza in data 18.07.2014 il Tribunale di Milano condannava (OMISSIS) alla pena di mesi sei di reclusione per aver dato alloggio, a titolo oneroso, a stranieri privi di permesso di soggiorno, al fine di trarne profitto. Rilevava il giudice che il procedimento aveva tratto origine dall’esposto di un amministratore di condominio che aveva segnalato continui movimenti di donne ed uomini nello stabile; la Polizia Locale di Milano aveva predisposto un servizio (OMISSIS) presso lo stabile di (OMISSIS) e, entrata alla scala “(OMISSIS)”, si era portata presso l’appartamento segnalato, dove accertavano rapidamente che in esso si svolgeva attivita’ di prostituzione da parte di donne cinesi non titolari di permesso di soggiorno: si trattava di tre persone in un appartamento di circa mq 33, di proprieta’ dell’imputato. Poi la polizia giudiziaria si spostava alla scala “(OMISSIS)” dello stesso stabile, in un appartamento di mq 28, di proprieta’ del medesimo imputato, nel quale veniva trovato un cittadino brasiliano privo di permesso di soggiorno: costui dichiarava di avere un contratto di locazione stipulato a nome di altra persona per un solo mese e con il canone pari ad Euro 850,00. Nella casa dell’imputato venivano ritrovati i contratti di locazione dei due immobili. Dall’istruttoria dibattimentale risultava che il cittadino brasiliano aveva contrattato con l’imputato, il quale aveva preferito stipulare il contratto con il nome di altra persona (che era regolare sul territorio), e che il canone realmente pagato era pari ad Euro 1.500,00 mensili piu’ di una cauzione di Euro 1.500,00; che era l’imputato a ritirare il danaro del canone e che egli sapeva che il predetto inquilino si prostituiva. Queste circostanze venivano confermate nelle informazioni rese dalla persona fittiziamente intestataria del contratto, acquisite ex articolo 512 c.p.p.. La donna, che era sostanzialmente la tenutaria dell’altro appartamento, riferiva di pagare un canone di Euro 1.200,00 mensili. La moglie dell’imputato confermava la sottoscrizione dei contratti ed affermava di non aver mai notato nulla di anomalo nonche’ che i canoni locativi erano di circa Euro 800,00 mensili. L’imputato spontaneamente dichiarava che il cittadino brasiliano gli pagava il canone perche’ delegato dall’intestatario e che per la dimora delle donne cinesi era stata sua moglie ad occuparsi delle trattative.
Concludeva il giudice che risultava la condotta di aver dato in locazione i predetti beni immobili e risultava altresi’ un ingiusto profitto, desunto da condizioni contrattuali piu’ gravose dei valori di mercato, consentite dal profittamento della condizione di irregolarita’ dei soggetti stranieri; del resto, i contratti sequestrati erano privi di intestazione e si riferivano ad una permanenza di un solo mese, riportando un canone locatizio ben inferiore a quanto versato in realta’ per appartamenti di modeste dimensioni: l’imputato ben conosceva lo stato di clandestinita’ degli inquilini, tanto che aveva suggerito al cittadino brasiliano di far figurare un altro intestatario e tanto da non effettuare alcuna registrazione (cosi’ non pagando le imposte relative). Venivano riconosciute le circostanze attenuanti generiche e si disponeva la confisca degli immobili.
2. Interponeva appello l’imputato, chiedendo l’assoluzione da tutti i reati o almeno da quello relativo all’appartamento della scala “(OMISSIS)”, con la revoca della confisca e benefici di legge.
3. Con sentenza in data 14.12.2015 la Corte di Appello di Milano assolveva l’imputato, perche’ il fatto non costituiva reato: riteneva il giudice che non era stata raggiunta la prova del dolo specifico di volere trarre profitto dalla condizione di clandestinita’ degli inquilini, e cio’ perche’ non poteva parlarsi di canone di locazione esorbitante rispetto a quello normalmente praticato; veniva ritenuto equo un canone di Euro 700,00/800,00 e quello riscontrato nel processo era comprensivo di ogni spesa, per cui non veniva considerato esorbitante; peraltro, la sottoscrizione di contratti avrebbe consentito azioni legali tese a riequilibrare gli interessi delle parti e la mera azione di locazione di immobili a soggetti stranieri irregolari sul territorio non era reato.
4. Avverso detta sentenza propone ricorso il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Appello di Milano, deducendo, con il primo motivo, erronea applicazione della legge in ordine al dolo specifico del reato, il quale va ravvisato non soltanto in un sinallagma eccessivamente gravoso per lo straniero, ma anche in condizioni contrattuali oggettivamente piu’ vantaggiose per l’agente, allorquando la condizione di illegalita’ abbia reso possibile o agevolato la conclusione del contratto: nella fattispecie non era possibile la registrazione dei contratti a causa della condizione di irregolarita’ degli stranieri e quindi, quanto meno, l’ingiusto profitto vi era stato nel corrispettivo non sottoposto a prelievo fiscale. Con il secondo motivo si deduce manifesta illogicita’ della motivazione: si sostiene che la entita’ del canone pagato era stata ritenuta non esorbitante sulla base di mere deduzioni difensive non provate in alcun modo e senza verifica dell’entita’ delle spese condominiali, atteso che appariva inverosimile che la differenza tra il canone del contratto (Euro 850,00) e il canone realmente pagato (Euro 1.500,00) fosse imputabile a spese condominiali pari ad Euro 650,00 mensili per un piccolo appartamento in zona non lussuosa; parimenti i contratti stessi erano inidonei ad una azione legale poiche’ non erano registrati, oltre ad essere sottoscritti da persone di comodo e ad essere gravanti su soggetti che non potevano, per la loro condizione, far valere una pretesa giudiziaria.
L’interessato produceva memoria difensiva.
5. In udienza il P.G. ha concluso per l’accoglimento del ricorso, ritenendo che l’assoluzione, cosi’ come motivata, avrebbe sostanzialmente condotto ad una abrogazione del reato e che l’entita’ del canone e la mancata registrazione dei contratti erano indicativi del profitto ingiusto: parimenti si evidenziava che gli inquilini non potevano ottenere alcuna tutela.
Il difensore del (OMISSIS) ha sottolineato che l’inquilino di cittadinanza brasiliana aveva riferito che l’ammontare del canone locatizio era normale e da questo dato la Corte di Appello aveva desunto la connotazione non esorbitante del sinallagma e la mancanza di costrizione; ha insistito sulla circostanza dell’esistenza dei contratti di locazione.
CONSIDERATO IN DIRITTO
1. Il ricorso e’ fondato.
La seconda decisione, pur rovesciando integralmente il giudizio conclusivo del primo grado, da un lato omette di confrontarsi adeguatamente con la sentenza di primo grado sui punti di differente valutazione, dall’altro afferma che, per integrare l’elemento del dolo specifico in relazione al reato di cui al Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 5 bis, debba sussistere un canone di locazione esorbitante rispetto al canone normalmente praticato alle persone regolari.
Questo argomento – utilizzato come di per se’ dirimente – non trova rispondenza negli orientamenti di questa Corte, che ha chiarito come, per la sussistenza del reato previsto dal Decreto Legislativo n. 286 del 1998, articolo 12, comma 5 bis, (Testo Unico della disciplina dell’immigrazione), come novellato del Decreto Legge n. 92 del 2008 convertito, con modificazioni, dalla L. n. 125 del 2008, e’ richiesto il fine di trarre un ingiusto profitto dalla locazione ovvero dal dare alloggio ad uno straniero privo di titolo di soggiorno, fine che puo’ essere desunto da condizioni contrattuali oggettivamente piu’ vantaggiose per l’agente, ma che non devono necessariamente tradursi in un sinallagma eccessivamente gravoso per lo straniero (Sez. 3, n. 17117 del 20.01.2015, Rv. 263232). In effetti il Legislatore ha diversificato due ipotesi – il favoreggiamento dell’immigrazione clandestina di cui al cit. D.Lgs., articolo 12, comma 5, e la cessione dell’immobile di cui al comma 5 bis della medesima norma – al fine di attrarre nell’area della punibilita’ della seconda fattispecie i casi di cessione o locazione onerose di beni immobili finalizzate a trarre ingiusto profitto dalla condizione di irregolarita’ delle persone straniere.
Non e’ pertanto necessario che il profitto abbia anche la sua esclusiva causa nell’odioso sfruttamento di tale condizione ad esclusivo vantaggio del contraente piu’ forte in grado di imporre condizioni gravose ed esorbitanti, ma e’ sufficiente che la illegalita’ della condizione della persona straniera abbia reso possibile o anche solo agevolato la conclusione del contratto a condizioni oggettivamente piu’ vantaggiose per la parte piu’ forte, condizioni che non necessariamente si devono tradurre in un sinallagma eccessivamente gravoso per il soggetto clandestino (si puo’ ipotizzare il caso di un canone di locazione preteso “in nero” ma a prezzi di mercato, nel quale il profitto consiste nella sola possibilita’ di evadere le tasse resa piu’ agevole dalla condizione di illegalita’ dello straniero oppure il caso di pattuizione di prezzi non concorrenziali e tuttavia tali da non essere eccessivamente gravosi per lo straniero).
Questo principio e’ stato disatteso dalla Corte territoriale, mentre era stato correttamente individuato dal giudice di primo grado, che aveva sottolineato l’esistenza di contratti relativi ad un periodo temporale molto limitato e mai registrati, riportanti un canone che era circa la meta’ di quanto realmente corrisposto dai soggetti stranieri: inoltre, la circostanza che non esistessero contratti regolari – che non sarebbe stato possibile stipulare, considerando la condizione di irregolarita’ degli effettivi utilizzatori – rende evidente la precarieta’ del rapporto in sfavore di questi ultimi, con ingiusta prevalenza del potere di disposizione del proprietario oltre al conseguimento, da parte dello stesso, dell’ingiusto profitto del corrispettivo ricevuto e non sottoposto a prelievo fiscale.
2. Oltre a cio’, la Corte territoriale reputa che il canone di locazione non fosse esorbitante rispetto al canone praticato per persone di condizione regolare poiche’ il cittadino brasiliano (utilizzatore di uno degli appartamenti) di cui sopra aveva ritenuto che quella somma fosse “normale” considerando che era comprensiva delle spese condominiali: ma l’assunto e’, all’evidenza, immotivato, poiche’ sostanzialmente fondato sulla impressione soggettiva di un testimone e poiche’ non vi era stata alcuna risultanza processuale sulla imputazione della somma anche a pagamento delle spese condominiali ne’ sulla entita’ delle predette spese condominiali, le quali, in quella impostazione, venivano calcolate in misura non verosimile (di fatto, si sarebbe trattato di Euro 650,00 mensili di sole spese condominiali per un appartamento di mq 35, posto in una zona non lussuosa della citta’).
Parimenti la Corte territoriale ha ritenuto che i contratti di locazione rinvenuti, e stipulati a nome di persone di condizione regolare ma differenti dagli utilizzatori, avrebbero consentito l’esperimento di azioni legali a tutela: per verita’, anche questa affermazione non considera che si trattava di stipule scritte ma non registrate, con l’indicazione di soggetti formali di comodo, per cui i soggetti clandestini effettivi utilizzatori non avrebbero potuto far valere alcuna pretesa in sede giudiziaria.
L’erronea applicazione di legge e la manifesta illogicita’ della motivazione impongono l’annullamento della sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
P.Q.M.
Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di Appello di Milano.
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