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Suprema Corte di Cassazione

sezione II

sentenza 4 novembre 2015, n. 44498

Osserva

In data 21.1.2015, il difensore di I.M. ricorre per Cassazione avverso il provvedimento del GIP del Tribunale di Catania, de 18.12.2014, con il quale è stato convalidato l’arresto del predetto per il reato di rapina in danno dell’ufficio postale privato “City Poste” filiale di Mascalucia, lamentando l’inosservanza ed erronea applicazione della legge penale per mancanza e manifesta illogicità della motivazione in ordine alla sussistenza della quasi flagranza di reato. Infatti, mentre la rapina è stata perpetrata il giorno 15 dicembre 2014 alle ore 11,30 il primo contatto con il prevenuto è avvenuto solo alle ore 15,30 della medesima giornata, in occasione di una perquisizione nella sua abitazione, estesa poi all’autovettura, avente esito negativo. Manca quindi nella fattispecie la correlazione funzionale tra la diretta percezione della azione delittuosa e la privazione della libertà del reo fuggitivo.
Chiede quindi l’annullamento del provvedimento.

Motivi della decisione

Il ricorso è infondato, e va rigettato.
Risulta dal provvedimento impugnato che l’inseguimento è avvenuto immediatamente dopo l’avvenuta rapina, essendo stato fornito agli operanti giunti sul luogo il numero di targa dell’autovettura su cui si erano dileguati gli autori del reato, e che tale circostanza ha consentito agli operanti di rintracciare l’auto Fiat 600 in questione e quindi di identificare la persona che la mattina del delitto l’aveva in disponibilità, I.M..
Ritiene il Collegio, in modo conforme a copiosa e recente giurisprudenza di questa Corte (v.Cass.Sez.III, Sent. n. 22136/2015 Rv, 263663; Sez.1, Sent. n. 6916/2011 Rv. 252915; Sez.II, Sent.n.44369/2010 Rv.249169; Sez.1, Sent.n.23560/2006 Rv.235269) che lo stato c.d. di quasi flagranza sussiste anche nel caso in cui l’inseguimento non sia iniziato per una diretta percezione dei fatti da parte della polizia giudiziaria, bensì per le informazioni acquisite da terzi (inclusa la vittima), purchè non vi sia stata soluzione di continuità fra il fatto criminoso e la successiva reazione diretta ad arrestare il responsabile del reato. Tale interpretazione, peraltro, non contravviene al tenore testuale della norma (come ritenuto in alcune sentenze di questa Corte v., da ultimo, Sez.1 sent.n.43394/2014), in quanto l’art.382 c.p. nel definire lo stato di flagranza afferma che “è in stato di flagranza chi viene colto nell’atto di commettere il reato ovvero chi, subito dopo il reato, è inseguito dalla polizia giudiziaria, dalla persona offesa o da altre persone ovvero è sorpreso con cose e tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima”, e il termine “inseguire”, secondo la stessa definizione del Devoto-Oli, significa “tendere con tenacia al raggiungimento di qualcuno o di qualcosa nell’ambito di un’azione ostile o di una competizione” e, pertanto, già nella sua accezione semantico letterale non indica necessariamente e unicamente l’azione di chi “corre dietro a chi fugge”, bensì anche quella di chi “procede in una determinata direzione, secondo uno o più punti di riferimento al fine di raggiungere qualcuno o qualcosa”. Né in alcun modo la norma prevede che l’autore del reato debba essere stato visto dalla polizia giudiziaria, né che il reato sia avvenuto sotto la diretta percezione della polizia giudiziaria, limitandosi invece a stabilire che l’inseguimento deve avvenire “subito dopo il reato”, la qualcosa sarebbe stata del tutto superflua, ove il legislatore avesse limitato l’azione al mero “correre dietro a chi fugge”, azione che inevitabilmente è immediata rispetto alla commissione del reato.
Considerato che, nella fattispecie, il ricorrente è stato tratto in arresto in seguito ad una azione che senza soluzione di continuità è stata intrapresa dagli operanti subito dopo la chiamata alla centrale operativa per raggiungere e arrestare l’autore del reato, l’arresto è stato correttamente convalidato.
Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che rigetta il ricorso, le parti private che lo hanno proposto devono essere condannate al pagamento delle spese del procedimento.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

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