Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 5 ottobre 2015, n. 19868
Svolgimento del processo
Con ricorso depositato il 30-6-1999 l’avv. T.M. otteneva dal Giudice di Pace di Milano decreto ingiuntivo per il pagamento della somma di lire 4.857.096, oltre interessi e spese, a saldo della prestazione professionale svolta in favore di C.G. nei giudizi conclusisi con sentenze n. 1790/1988 della Suprema Corte e n. 1082/1994 della Corte di Appello di Milano.
Con sentenza n. 1655/2000, depositata il 6-3-2000, il Giudice di Pace di Milano rigettava l’opposizione proposta dal C. avverso il predetto decreto ingiuntivo, che confermava integralmente.
Il C. proponeva appello avverso tale sentenza, proponendo contestualmente impugnazione incidentale di falso ex art. 221 c.p.c., volta a contestare l’autenticità della procura alle liti rilasciata sull’atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo. L’appellante affermava che, in occasione della pubblicazione della sentenza n. 1655/2000, aveva scoperto di essere stato assistito nel relativo giudizio di opposizione dall’avv. Br.An. , pur avendo egli conferito la relativa delega, su foglio firmato in bianco, all’avv. B.P. personalmente; e che, successivamente alla comunicazione della condanna emessa dal Giudice di Pace, aveva accertato che la Dott.ssa B. aveva affidato la controversia ad altro difensore (l’avv. Br. ), senza darne notizia all’assistito.
Aggiungeva che sull’atto di citazione in opposizione di una causa parallela, oltre alla medesima sostituzione del nome del difensore (Brunetti in luogo di B. ), compariva anche la firma apocrifa di sua moglie. Il Giudice di Pace designato per la causa parallela, ritenuta rilevante la querela di falso conseguentemente proposta, aveva sospeso il processo e rimesso gli atti al Tribunale competente, dinanzi al quale la causa era tuttora pendente.
Sulla base di tali premesse, l’appellante C. deduceva la nullità della sentenza di primo grado per il vizio della procura alle liti, dovuto alla sua falsità materiale e, conseguentemente, per il difetto di rappresentanza processuale. A tal fine, chiedeva la chiamata iussu iudicis dell’avv. Br.An. , quale falsus procurator, e della Dott.ssa B. . L’appellante insisteva per la pregiudizialità della querela di falso incidentalmente proposta e contestava, infine, la fondatezza delle pretese creditorie dell’opposto, concludendo per la revoca del decreto ingiuntivo e per la condanna dell’avv. T. ai risarcimento dei danni.
Con sentenza n. 3011/2002 del 2-3-2002, il Tribunale di Milano rigettava l’appello, rilevando la superfluità dell’accertamento richiesto mediante la procedura incidentale di falso, in quanto ai fini della decisione era da ritenere sufficiente la dichiarazione dell’appellante di non aver mai conferito mandato all’avv. Br. . Tale dichiarazione, infatti, secondo il giudice di appello, facendo ritenere l’opposizione a decreto ingiuntivo contraria alla volontà dell’appellante e, quindi, come mai proposta, era idonea a comportare il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo.
Avverso la decisione di appello il C. proponeva ricorso per cassazione.
Con sentenza in data 30-11-2005 la Corte Suprema accoglieva il primo motivo di ricorso, con il quale il ricorrente aveva dedotto la nullità della sentenza impugnata e dell’intero procedimento, assumendo che l’inesistenza della procura in ordine al giudizio di primo grado da luogo a una nullità assoluta e insanabile, che avrebbe dovuto essere accertata e dichiarata dal giudice di appello. Per l’effetto, la Corte di Cassazione cassava la sentenza impugnata e rinviava anche per le spese ad altra Sezione del Tribunale di Milano.
Il giudizio veniva riassunto con atto di citazione notificato il 16-3-2007 da M.P. , C.A. , C.M.O. e C.M.B. , quali eredi di C.G. .
Nel corso del giudizio gli appellanti proponevano querela di falso avverso l’originario atto di citazione in opposizione a decreto ingiuntivo. Il giudice, a seguito della fase preliminare di delibazione, non autorizzava la querela, ritenendo l’insussistenza del requisito dell’alterità tra la parte querelante e la parte che aveva prodotto il documento, e assorbente il contenuto delle dichiarazioni rese dal C. nel giudizio di appello.
Con memoria in data 8-4-2008 gli eredi C. chiedevano l’integrazione del contraddicono nel confronti dell’avv. Br. e dell’avv. B. , l’ammissione in via incidentale della querela di falso e, in via subordinata, la sospensione del giudizio, fino alla definizione di quello instaurato presso il Tribunale di Milano, avente ad oggetto la querela di falso proposta in via incidentale nella causa parallela. In via ulteriormente subordinata, nell’ipotesi di mancato accoglimento delle predette istanze, gli appellanti chiedevano disporsi l’astensione o la ricusazione del Giudice ai sensi dell’art. 51 c.p.c., in quanto il rigetto delle suddette domande avrebbe palesato un’anticipazione del giudizio, nonché la sussistenza di un interesse personale del Giudice designato.
Con ordinanza depositata il 12-5-2008 il Tribunale rigettava l’istanza di ricusazione, rilevando che il motivo dedotto non era compreso tra le ipotesi tassativamente previste dall’art. 51 c.p.c..
Riassunta la causa ex art. 54 comma 4 c.p.c., con sentenza in data 23-3-2009 il Tribunale, in composizione monocratica, dichiarava la nullità della sentenza di primo grado; dichiarava passato in giudicato il decreto ingiuntivo opposto, condannava gli appellanti al pagamento dei due terzi delle spese di tutti i gradi in favore dell’avv. T. , compensando per il resto tali spese.
Il giudice del rinvio premetteva che il principio di diritto affermato dalla Corte di Cassazione atteneva esclusivamente alla pregiudizialità della questione processuale relativa alla nullità della sentenza di primo grado, la cui delibazione in senso positivo avrebbe avuto l’effetto di assorbire ogni altra questione dedotta in giudizio. Ciò posto, il Tribunale osservava che nella specie la querela di falso incidentale, come rilevato nell’ordinanza del 21-11-2007, era inammissibile per difetto del requisito dell’alterità, non essendovi una contrapposizione tra una domanda fondata sulla produzione di un documento e una domanda fondata sull’allegata falsità dello stesso: la domanda dell’appellante (di nullità della sentenza di primo grado), infatti, aveva il proprio fondamento sull’atto prodotto dagli stessi appellanti (citazione in opposizione a decreto ingiuntivo), laddove sul documento in parola nessuna pretesa fondava l’avv. T. . Il giudice territoriale rilevava, inoltre, che la querela di falso, oltre che inammissibile, era altresì irrilevante ai fini del presente giudizio. E infatti, avendo sia il C. che i suoi eredi affermato che la procura alle liti non era mai stata rilasciata all’avv. Br. , bensì su foglio firmato in bianco a mani della Dott.ssa B.P. , alla quale doveva intendersi conferito il mandato difensivo, in forza di tali dichiarazioni confessorie la proposizione dell’atto di opposizione non poteva ritenersi riconducibile alla volontà dell’opponente e tale atto doveva, quindi, considerarsi come non proposto. Orbene, secondo il giudice del gravame, la portata confessoria della dichiarazione attinente alla falsità della procura conduceva alla declaratoria di nullità assoluta ed insanabile della sentenza impugnata, alla quale conseguiva il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo. Di qui la totale irrilevanza dell’accertamento incidentale di falso della procura alle liti a suo tempo rilasciata alla Dott.ssa B. . L’accertanda falsità, infatti, avrebbe potuto rilevare solo come profilo di responsabilità professionale in capo alla Dott.ssa B. , che con la sua condotta aveva dato causa alla nullità della sentenza ed al passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo. Tale profilo di responsabilità, tuttavia, sarebbe rimasto del tutto avulso dal presente giudizio, non potendo essere opposto all’avv. T. , al quale rimane estraneo il rapporto intercorso tra il C. e il proprio procuratore.
Per la cassazione di tale sentenza hanno proposto ricorso M.P. , C.A. , C.M.O. , C.M.B. , quali eredi di C.G. , sulla base di quattro motivi.
T.M. ha resistito con controricorso.
In prossimità dell’udienza i ricorrenti hanno depositato una memoria ex art. 378 c.p.c..
Motivi della decisione
1) Con il primo motivo i ricorrenti lamentano la violazione e falsa applicazione degli artt. 102, 159, 162, 221, 354, 395, 649, 650 c.p.c.. Sostengono, in particolare, che, in osservanza del dictum della sentenza di cassazione e dei principi di cui al combinato disposto degli artt. 159, 162 e 354 c.p.c., conseguenza della rilevata nullità della sentenza di primo grado non era il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto, bensì la rimessione degli atti al primo giudice, trattandosi di vizi attinenti l’integrità del contraddittorio.
Deducono, inoltre, che il giudice del rinvio avrebbe dovuto disporre l’integrazione del contraddittorio nei confronti degli avv. B. e Br. , per rispondere tra loro, quali falsi procuratori, delle spese di lite. Rilevano, ancora, che il giudice del rinvio, in considerazione dell’accertata nullità della procura alle liti, avrebbe dovuto revocare o sospendere la provvisoria esecuzione del decreto ingiuntivo opposto.
Con il secondo motivo i ricorrenti, denunciando la violazione degli artt. 50 bis, 112, 115, 184, 187, 221 e segg. 228, 229, 274, 281 sexies, 281 octies, 295, 355, 356, 384 c.p.c., sostengono che il giudice di rinvio, in ossequio ai principi di diritto affermati dalla Corte di Cassazione, avrebbe dovuto dare ingresso alla querela di falso proposta in via incidentale e alle necessarie prove e rimettere la causa al Collegio, ai sensi degli artt. 50 bis e 281 sexies c.p.c..
Rilevano che la sentenza impugnata ha erroneamente attribuito alle affermazioni rese dai querelanti circa la falsità della procura valore di confessione giudiziale spontanea. Deducono, inoltre, che il giudice di rinvio avrebbe dovuto sospendere il giudizio in attesa della definizione del parallelo procedimento di falso già incardinato dinanzi al Tribunale di Milano (R.G. 71270/2000), ovvero disporre la riunione dei procedimenti.
Con il terzo motivo i ricorrenti, denunciando la violazione e falsa applicazione della normativa in materia di condanna alle spese processuali, di cui al combinato disposto ex artt. 91 e 92 c.p.c., lamentano che il giudice del rinvio, pur avendo ammesso la responsabilità della Dott. B. , non ne ha disposto la chiamata in causa ed ha posto a carico dell’appellante il pagamento dei due terzi delle spese di giudizio della parte vittoriosa. Sostengono che l’attività difensiva senza procura non può riverberare alcun effetto sul soggetto che avrebbe dovuto rilasciare la procura, ma è attività processuale imputabile esclusivamente allo stesso difensore. Deducono che la statuizione di condanna alle spese emessa a carico dell’appellante, parte vittoriosa, viola il principio della soccombenza, e che la parziale compensazione delle spese non risulta sorretta da adeguata motivazione.
Con il quarto motivo i ricorrenti deducono la violazione e falsa applicazione degli artt. 51 ss., 158, 161 c.p.c., 24 e 111 Cost., per non avere il giudice ricusato, a fronte delle eccezioni ripetutamente sollevate dagli appellanti in ordine alla illegittimità delle decisioni assunte in tema di interpello, tali da manifestare anticipazioni di giudizio e da far supporre un interesse alla causa,
provveduto ad astenersi né a rimettere gli atti al Presidente del Tribunale ai fini della decisione sulla nuova istanza di ricusazione depositata in data 30-12-2008, con l’atto di riassunzione, né provveduto a sospendere il giudizio. Sostengono che tali omissioni hanno comportato la nullità dell’intero giudizio e della stessa sentenza impugnata, da ritenersi inesistente e priva di qualsiasi efficacia giuridica.
2) I primi due motivi, che per ragioni di connessione possono essere trattati congiuntamente, sono privi di fondamento.
Con la sentenza n. 1850V2006 la Corte di Cassazione ha cassato la sentenza n. 2011 del 7-3-2002 del Tribunale di Milano, rilevando che la stessa aveva trascurato di considerare l’incidenza che il fatto dedotto dall’appellante, se provato, era in grado di esercitare sulla validità del giudizio di primo grado e sul suo epilogo. Il giudice di legittimità ha osservato, infatti, che l’affermazione del ricorrente di non aver mai rilasciato la procura alle liti al legale che ha agito per suo nome e conto nel giudizio di primo grado, se provata, si traduce in una evidente causa di nullità della procura stessa e, ai sensi dell’art. 159 c.p.c., di tutti gli atti che ne sono dipendenti, vale a dire tanto dell’atto di citazione in opposizione, quanto del giudizio svolto e, infine, della stessa sentenza. Ciò in quanto la falsità della procura alle liti, al pari della sua mancanza, integra una nullità insanabile che si estende e propaga all’intero giudizio, atteso che essa, impedendo la stessa riferibilità dell’atto processuale alla parte, esclude l’instaurarsi dello stesso rapporto processuale e, in definitiva, la valida costituzione del processo. La dedotta nullità del giudizio di primo grado costituiva, pertanto, secondo il giudice di legittimità, una questione processuale di carattere pregiudiziale, che non poteva ritenersi correttamente superata o anche assorbita dal rilievo circa la prospettata inoppugnabilità del decreto ingiuntivo, che è questione non solo diversa da quella dedotta in giudizio, ma anche ad essa subordinata. In definitiva, il fatto dedotto integrava una nullità insanabile dell’atto di citazione e del relativo giudizio di primo grado; sicché spettava all’organo giudicante trarre dallo stesso le conclusioni e le conseguenze più corrette.
Il giudice del rinvio, attenendosi agli enunciati principi di diritto, accertata la falsità della procura ad litem apposta nell’atto di opposizione a decreto ingiuntivo, ha dichiarato la nullità della sentenza emessa dal Giudice di Pace, facendo discendere da tale statuizione l’ulteriore effetto del passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto.
La pronuncia impugnata si sottrae alle censure mosse con i motivi in esame.
Deve, invero, osservarsi che la nullità dell’atto introduttivo del giudizio per mancanza o nullità della procura ad litem, fatta valere in appello, non comporta l’obbligo per il giudice dell’impugnazione di rimettere la causa al primo giudice, non ricorrendo alcuna delle ipotesi tassativamente previste dagli artt. 353 e 354 c.p.c.. Pertanto, poiché tale nullità si ripercuote sull’intera attività processuale successiva, il giudice di appello, una volta rilevata detta nullità, non può che limitarsi ad accertare la sussistenza del vizio e definire il giudizio con una sentenza di contenuto meramente processuale, annullando la decisione di primo grado, senza potere scendere all’esame del rapporto sostanziale che forma oggetto della controversia né rimettere la causa al primo giudice.
Va altresì rammentato che, con riferimento all’opposizione a decreto ingiuntivo, l’esistenza di una valida procura costituisce presupposto indispensabile per la proposizione dell’opposizione stessa; con la conseguenza che quest’ultima, se proposta da difensore non munito di procura, non è idonea ad evitare il passaggio in giudicato del decreto opposto (Cass. 12-6-1981 n. 3830; Cass. 23-5-1978 n. 2567).
Quanto all’asserito difetto di contraddittorio, si osserva che nel giudizio di opposizione a decreto ingiuntivo parti necessarie sono esclusivamente l’opponente e l’opposto; né, a fortiori, il falsus procurator può ritenersi litisconsorte necessario nel giudizio di invio. È evidente, dei resto, che, ove il predetto soggetto fosse stato effettivamente litisconsorte necessario, la Corte di Cassazione, nella sentenza di annullamento, io avrebbe rilevato.
Sotto altro profilo, si osserva che nella sentenza di cassazione non è stata affatto affermata la necessità di dar corso alla querela di falso proposta in via incidentale dall’appellante, ma solo che i fatti dedotti dall’appellante, se provati, avrebbero imposto al giudice di appello di dichiarare la nullità della sentenza di primo grado, senza poter emettere una pronuncia nel merito.
Nella specie, pertanto, il giudice del rinvio, avendo ritenuto sufficienti, ai fini della declaratoria di nullità della sentenza del Giudice di Pace, l’affermazione dell’appellante di non aver rilasciato alcun mandato difensivo al legale che aveva proposto l’opposizione a decreto ingiuntivo, ha legittimamente ritenuto irrilevante, ai fini della decisione, la querela di falso, della quale, peraltro, ha altresì ritenuto l’inammissibilità, per difetto del requisito di “alterità”.
Nel procedere alla delibazione dell’ammissibilità e concreta utilità della querela proposta, il giudice monocratico procedente non si è affatto arrogato poteri che non gli competevano.
La formulazione dell’art. 221 c.p.c., infatti, secondo cui la proposizione della querela deve contenere, a pena di nullità, l’indicazione degli elementi e delle prove poste a sostegno dell’istanza, indica in modo non equivoco che il giudice di merito davanti al quale sia stata proposta la querela di falso è tenuto a compiere un accertamento preliminare per verificare la sussistenza o meno dei presupposti che ne giustificano la proposizione, finendosi diversamente per dilatare i tempi di decisione del processo principale, in contrasto con il principio della ragionevole durata del processo di cui all’art. 111, secondo comma, Cost. (Cass. Sez. Un. 23-6-2010 n. 15169). In materia di querela di falso, pertanto, il giudice dinanzi al quale la querela sia proposta, anche se privo della competenza a conoscerne, è comunque tenuto ad autorizzare o meno la presentazione della querela sulla base del motivato esame delle condizioni di ammissibilità della stessa, alla stregua del disposto degli artt. 221 e 222 c.p.c. (Cass. 28-9-2006 n. 21062).
Correttamente, d’altro canto, il giudice del rinvio ha attribuito all’affermazione dell’appellante circa il mancato conferimento della procura alle liti al difensore che aveva proposto per suo conto l’opposizione al decreto ingiuntivo valore di dichiarazione confessoria spontanea, dato l’effetto sfavorevole del passaggio in giudicato del provvedimento monitorio, che da essa è derivato.
Le altre questioni poste con i motivi in esame restano assorbite.
3) Il terzo motivo è infondato.
È vero che, secondo un principio affermato da questa Corte, in materia di disciplina delle spese processuali, nel caso di azione o di impugnazione promossa dal difensore senza effettivo conferimento della procura da parte del soggetto nel cui nome egli dichiari di agire nel giudizio o nella fase di giudizio di che trattasi (come nel caso di procura “ad litem” inesistente o falsa o rilasciata da soggetto diverso da quello dichiaratamente rappresentato o per processi o fasi di processo diverse da quello per il quale l’atto è speso), l’attività del difensore non riverbera alcun effetto sulla parte e resta attività processuale di cui il legale assume esclusivamente la responsabilità e, conseguentemente, è ammissibile la sua condanna a pagare le spese del giudizio (Cass. Sez. Un. 10-5-2006 n. 10706).
Nella specie, tuttavia, deve tenersi conto della peculiarità della vicenda, avendo il giudice del rinvio, con apprezzamento in fatto non censurabile in sede di legittimità, ritenuto che la nullità dell’intero giudizio sia da addebitare, in concorso tra loro, alle condotte colpevoli della Dott. B. e del C. : la negligenza e imprudenza di quest’ultimo, consistente nell’aver apposto firme su fogli in bianco, infatti, secondo il Tribunale, ha “-consentito il formarsi di quello stesso vizio che è oggi causa della declaratoria di nullità”.
Il profilo di responsabilità individuato a carico del C. vale a legittimare la pronuncia di parziale condanna (per i due terzi) degli appellanti al pagamento delle spese di tutti i gradi; pronuncia che risulta sostanzialmente improntata al principio di “soccombenza prevalente”, tenuto conto del fatto che la declaratoria di nullità della sentenza di primo grado ha comportato il passaggio in giudicato del decreto ingiuntivo opposto; laddove, come si legge a pag. 4 della sentenza impugnata, nell’atto di citazione in riassunzione gli odierni ricorrenti avevano chiesto l’accertamento della infondatezza delle pretese creditorie dell’appellato e la condanna del medesimo al risarcimento dei danni patrimoniali e non patrimoniali, da liquidarsi in via equitativa.
Né è censurabile in questa sede la statuizione di parziale compensazione delle spese (in ragione di un terzo), espressamente motivata in ragione della complessità delle questioni trattate. Secondo la giurisprudenza di questa Corte, infatti, si considerano giusti motivi ex art. 92 c.p.c. – nel testo applicabile ratione temporis ai presente giudizio – costituiscono giusti motivi di compensazione l’obiettiva controvertibilità delle questioni di diritto trattate, la loro peculiarità o la loro novità (tra le tante v. Cass. 18-2-2004 n. 3200; Cass. 1-12-2003 n. 18352).
4) Deve essere disatteso, infine, anche il quarto motivo.
Secondo il costante orientamento della giurisprudenza di legittimità, la sola proposizione del ricorso per ricusazione non può determinare ipso ture la sospensione del procedimento e la devoluzione della questione al giudice competente a decidere della questione stessa, in quanto spetta pur sempre al giudice a quo una sommaria delibazione della sua ammissibilità, all’esito della quale, ove risultino ictu oculi carenti i requisiti formali posti dalla legge per l’ammissibilità della stessa, tale circostanza, pur non potendo assumere valore ostativo della rimessione del ricorso a detto giudice competente, esclude nondimeno l’automatismo dell’effetto sospensivo, risultando in tal guisa contemperate le contrapposte esigenze, sottese all’istituto, di assicurare alle parti l’imparzialità del giudizio nella specifica controversia di cui trattasi e di impedire, nel contempo, l’uso distorto dell’istituto (Cass. 4-12-2014 n. 25709; Cass. 6-12-2011 n. 26267; Cass. 2-7-2003 n. 10406).
Nella fattispecie in esame, dalla lettura della sentenza impugnata e dello stesso ricorso si evince che il Tribunale, con ordinanza in data 12-5-2008, aveva rigettato l’istanza di ricusazione proposta dagli appellanti nei confronti del giudice procedente, rilevando che le ragioni poste a base di tale istanza non rientravano tra le ipotesi di ricusazione tassativamente previste nell’art. 51 c.p.c..
Ciò posto e atteso che i ricorrenti non hanno dedotto di avere allegato nuove circostanze a sostegno della nuova istanza di ricusazione presentata nel dicembre del 2008, appare evidente che il giudice, nel proseguire il giudizio di merito, ha implicitamente espresso una delibazione di inammissibilità di tale istanza.
Deve escludersi, conseguentemente, la sussistenza della denunciata nullità della sentenza impugnata per violazione delle norme sull’astensione e sulla ricusazione.
5) Per le ragioni esposte il ricorso deve essere rigettato, con conseguente condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese sostenute dal resistente nel presente grado di giudizio, liquidate come da dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese, che liquida in Euro 2.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.
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