SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE
SEZIONE III
SENTENZA 30 giugno 2015, n.13312
Motivi della decisione
4.1. Con il primo motivo, la ricorrente deduce la ‘violazione dell’art. 360 n. 4 c.p.c., in relazione agli artt. 99 e 112 c.p.c.’.
La sentenza è errata laddove rileva che la società deduce la nullità della clausola che prevede un meccanismo di corresponsione dell’onorario degli arbitri indipendentemente dall’esito della controversia, solo in appello. Pertanto secondo i giudici del merito, la deduzione di tale ipotesi di nullità della clausola è inammissibile perché tardiva.
Secondo la società, invece, tale censura era già stata esposta nella comparsa conclusionale di primo grado e nella memoria ex articolo 183 c.p.c. laddove si chiedeva ‘accertata la operatività della polizza’. Quindi il thema decidendum della causa era quella di “accertare l’operatività della polizza e la fondatezza della giurisdizione del giudice ordinario atteso che la clausola 11 compromissoria non poteva e non doveva essere tenute in alcun conto”.
4.2. Con il secondo motivo, la ricorrente deduce ‘la violazione dell’articolo 360, n. 4 e 5 c.p.c. in relazione agli articoli 99 e 112 c.p.c. e articolo 1421 c.c.’.
Secondo la società, l’affermazione della Corte di Appello è errata dove afferma che non è compito del giudice accertare d’ufficio la nullità di un contratto o di una clausola in base all’articolo 1421 c.c. ove tale operazione venisse a porsi in contrasto con il principio della domanda fissata dagli articoli 99 e 112 c.p.c.. Secondo La Concordia la domanda che sempre è stata proposta è quella relativa alla “declaratoria di inibizione della clausola 11 delle condizioni generali di polizza in quanto da ritenersi nulla”.
I due motivi, per la loro connessione, possono essere esaminati insieme e sono entrambi infondati.
È vero che la nullità del contratto o di singole clausole di esso può essere rilevata anche d’ufficio.
Tuttavia tale principio va coordinato con le regole processuali concernenti gli oneri di allegazione dei fatti costitutivi delle domande e delle eccezioni, di cui agli artt. 163 e 167 c.p.c.. Tale coordinamento comporta che anche le eccezioni rilevabili d’ufficio (cosiddette eccezioni in senso lato) sono rilevabili d’ufficio a condizione che il fatto costitutivo di esse sia stato debitamente allegato nei termini e con le modalità prescritti dalle regole processuali.
Pertanto una eccezione in senso lato, come tale rilevabile ex officio, quand’anche teoricamente sollevabile dalla parte anche dopo la scadenza del termine per costituirsi, non può comunque essere accolta se il fatto su cui si fonda non sia stato ritualmente allegato e provato in giudizio. Ciò in quanto il potere del giudice di rilevare il fatto modificativo, impeditivo od estintivo della pretesa attorea ‘attiene solo al riconoscimento degli affetti giuridici di fatti che siano stati pur sempre allegati dalla parte. Sicché il potere di allegazione rimane riservato esclusivamente alla parte anche rispetto ai fatti costitutivi di eccezioni rilevabili d’ufficio, perché il giudice può surrogare la parte nella postulazione degli effetti giuridici dei fatti allegati, ma non può surrogarla nell’onere di allegazione, che, risolvendosi nella formulazione delle ipotesi di ricostruzione dei fatti funzionali alle pretese da far valere in giudizio, non può non essere riservato in via esclusiva a chi di quel diritto assuma di essere titolare’ (Cass. n. 5952/2014; Cass., n. 15142/2003; Cass. n. 6943/2004).
La rituale allegazione del fatto costitutivo dell’eccezione, ovviamente, deve avvenire entro il limite temporale previsto dall’art. 167 c.p.c., ‘posto che ipotizzare l’allegabilità di fatti nuovi anche oltre tale termine per la sola ragione che la rilevanza dei loro effetti non si iscrive nel novero delle eccezioni riservate alla parte, significherebbe compromettere il sistema delle preclusioni sul quale quel rito si fonda, ed in particolare la sua funzione di affidare alla fase degli atti introduttivi del giudizio la cristallizzazione dei temi controversi e delle relative istanze istruttorie’. Questi principi sono stati ripetutamente affermati anche da questa sezione, in particolare con la decisione pronunciata da Cass. civ., sez. 3, 22-06-2007, n. 14581, secondo cui le eccezioni rilevabili anche d’ufficio relative ad un diritto di carattere sostanziale (come appunto la nullità d’un contratto) hanno una rilevabilità condizionata al rispetto del principio dispositivo e del contraddittorio. Ne consegue che è vietato al giudice porre alla base della propria decisione fatti che non rispondano ad una tempestiva allegazione delle parti, il che è quanto dire che il giudice non può basare la propria decisione su un fatto, ritenuto estintivo, modificativo o impeditivo, che non sia mai stato dedotto o allegato dalla parte: allegazione che deve ovviamente essere anche tempestiva, ovvero deve avvenire al massimo entro il termine ultimo entro il quale nel processo di primo grado si determina definitivamente il thema decidendum ed il thema probandum, ovvero entro il termine perentorio eventualmente fissato dal giudice ex art. 183 c.p.c..
Nel caso di specie, non risulta da alcun atto, né è mai stato allegato dal ricorrente, che i fatti costitutivi dell’eccezione di nullità siano stati debitamente allegati vuoi con la comparsa di risposta, vuoi con le memorie di cui all’art. 183 c.p.c..
4.3. Con il terzo motivo, la Concordia S.p.A. deduce la ‘violazione dell’articolo 360 n. 4 e 5 c.p.c. in relazione agli articoli 1341-1342 e 1469 bis c.c.’.
Sostiene la ricorrente che non è condivisibile la sentenza dei giudici della Corte territoriale là dove sostengono che la clausola numero 11 della polizza deve qualificarsi come perizia contrattuale in quanto si rimette ai periti la sola valutazione dell’ammontare del danno. Da ciò discende che non rientra tra quelle che per la loro efficacia devono essere approvate per iscritto.
Il motivo è fondato.
Tale affermazione è condivisibile perché deve considerarsi come vessatoria ogni clausola limitativa di un diritto, come quella prevista al n. 11 del contratto di assicurazione. Pertanto come tale doveva essere specificatamente sottoscritta.
La clausola compromissoria inserita nelle condizioni generali di un contratto di assicurazione che prevede un meccanismo di corresponsione dell’onorario degli arbitri (correlato al valore della causa, ma non in misura proporzionale) indipendente dall’esito della controversia, nel senso che ciascuna parte è tenuta al pagamento del compenso dell’arbitro da essa nominato e di metà di quello dovuto al terzo, a prescindere dalla circostanza che risulti vittoriosa o soccombente, è da considerarsi vessatoria, avuto riguardo alla causa e alle finalità del suddetto contratto, quando risulti limitativa del diritto dell’assicurato ad essere sollevato dalle conseguenze pregiudizievoli del sinistro, esponendolo (soprattutto nelle controversie di modesto valore) all’esborso di rilevanti somme per gli onorali degli arbitri, non proporzionate a quelle riconosciutegli a titolo di risarcimento dei danni dedotti, e dissuadendo quindi dal ricorrere all’arbitrato, con conseguente favore per i comportamenti dilatori dell’assicuratore e pregiudizio per il diritto di difesa dell’assicurato.
Del resto tale clausola viola anche l’art. 3 del Codice delle assicurazioni, quale norma generale sulla vigilanza del mercato assicurativo, a tutela della effettività dei diritti degli assicurati, in relazione all’art. 1882 c.c. che reca la causa del contratto di assicurazione, ossia la funzione indennitaria. Funzione che nel caso di specie, viene limitata o scoraggiata.
- Il ricorso è fondato e deve essere accolto. Pertanto la Corte cassa e rinvia alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione.
P.Q.M.
la Corte accoglie il ricorso cassa e rinvia alla Corte di Appello di Venezia in diversa composizione, anche per le spese
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