Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 14 maggio 2015, n. 9879
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MAZZACANE Vincenzo – Presidente
Dott. BIANCHINI Bruno – rel. Consigliere
Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere
Dott. PARZIALE Ippolisto – Consigliere
Dott. ORICCHIO Antonio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso iscritto al n. r.g. 19170/2009 proposto da:
– S.r.l. (OMISSIS) (p. IVA: (OMISSIS)), in persona del suo legale rappresentante pro tempore, sig.a (OMISSIS), rappresentata e difesa dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS), presso il quale e’ elettivamente domiciliata in (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
– (OMISSIS) (c.f.: (OMISSIS)) Titolare dell’impresa individuale (OMISSIS) rappresentato e difeso dall’avv. (OMISSIS) e dall’avv. (OMISSIS), giusta procura estesa a margine del controricorso; con domicilio eletto nello studio del primo in (OMISSIS);
– controricorrente –
contro la sentenza n. 3249/2008 della Corte di Appello di Milano, pubblicata il 28 novembre 2008; non notificata;
Udita la relazione della causa svolta nell’udienza pubblica del 20 marzo 2015 dal Consigliere Dott. Bruno Bianchini;
Udito l’avv. (OMISSIS) per la ricorrente che ha concluso per l’accoglimento del ricorso;
Udito l’avv. (OMISSIS), per il controricorrente che ha concluso per il rigetto del ricorso;
Udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. DEL CORE Sergio, che ha concluso per il rigetto del ricorso o, in subordine, per la rimessione degli atti alle Sezioni Unite.
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1 – La snc (OMISSIS) – in seguito trasformatasi in srl – cito’ innanzi al Tribunale di Busto Arsizio, sezione distaccata di Saronno, l’impresa individuale (OMISSIS), chiedendo che fosse condannata al pagamento delle somme necessarie ad eliminare i difetti di uno stampo per scatole – prodotto dalla convenuta – nonche’ al risarcimento dei danni subiti per il difettoso funzionamento del detto macchinario; l’impresa convenuta eccepi’ la decadenza e prescrizione dall’azione di garanzia, di cui in ogni caso contesto’ la fondatezza; acquisita la relazione di accertamento tecnico preventivo, escussi i testi ed effettuata una consulenza tecnica, l’adito Tribunale condanno’ il (OMISSIS) al pagamento di euro 38.033,61 di cui euro 18.000 quale importo necessario per l’eliminazione dei vizi ed euro 19.073 per il ristoro del pregiudizio sofferto per perdite e scarti di produzione. La Corte di Appello di Milano, pronunciando sentenza n. 3249/2008, in parziale accoglimento del gravame del (OMISSIS), ridusse la condanna di costui all’importo di euro 1.960,00, da un lato, limitando il risarcimento del danno per maggiori costi di produzione determinati dal cattivo funzionamento dello stampo (prendendo a base del computo il documentato numero di scatole restituite da un cliente della (OMISSIS)); dall’altro, rigettando la domanda diretta al pagamento delle spese necessarie all’eliminazione dei vizi: cio’ in quanto giudico’ che la (OMISSIS) non avrebbe proposto la domanda di risarcimento in forma specifica contemplata dall’articolo 1668 c.c., comma 1, ultima parte, (dal cui accoglimento sarebbe derivata la condanna del (OMISSIS) all’eliminazione dei vizi nelle forme di cui all’articolo 2931 c.c.) ma solo una domanda volta ad ottenere la condanna del predetto al pagamento delle spese occorrenti per l’eliminazione dei vizi, e quindi una domanda risarcitoria per equivalente, la quale pero’ non poteva trovate accoglimento perche’ altrimenti avrebbe fatto conseguire gli stessi effetti dell’azione risarcitoria in forma specifica, non proposta.
2 – Per la cassazione di tale decisione ha proposto ricorso la (OMISSIS) sulla base di due motivi di annullamento illustrati da successiva memoria; il (OMISSIS) ha risposto con controricorso.
MOTIVI DELLA DECISIONE
1 – Con il primo motivo viene dedotta la violazione degli articoli 1668 e 1453 c.c., per aver ritenuto, il giudice dell’impugnazione, che la domanda di condanna al risarcimento del danno per l’eliminazione degli effetti dannosi derivanti dall’inadempimento dell’appaltatore, essendo diretta a rimediare agli ulteriori danni non coperti dalle azioni di reintegra in forma specifica, non potesse trovare accoglimento in mancanza di tali domande; in contrario vengono richiamate decisioni di questa Corte (Cass. Sez. 2 n. 9033/2006; Cass. Sez. 2 n. 5250/2004; Cass. Sez. 2 n. 11602/2002) in cui la liquidazione di somme per l’eliminazione dei vizi non trova ostacolo nell’assenza dell’azione di condanna per esecuzione specifica.
1.a – La censura e’ fondata.
1.a.1 – Va innanzi tutto messo in evidenza che la Corte territoriale ha basato la propria decisione su considerazioni di carattere generale sui limiti applicativi dell’articolo 1668 c.c., ritenendo, all’esito di tale disamina, che fosse assorbito l’esame del concreto svolgimento dei motivi – di cui sub 5 e 7/d dell’originario appello- diretti appunto a negare la legittimita’ dell’accoglimento della domanda della (OMISSIS) intesa al pagamento delle spese necessarie per l’eliminazione dei vizi: gia’ solo per questo la decisione della Corte territoriale ha minato le basi logiche della propria argomentazione, non esaminando se tale disamina teorica fosse conseguente o coerente rispetto all’appello proposto sul punto.
I.a.2 – L’argomentazione posta a base della decisione impugnata non puo’ essere poi condivisa perche’ la domanda proposta sin dall’origine era una domanda risarcitoria per equivalente – avente ad oggetto il rifacimento, a proprie spese, degli stampi ed il ristoro del lucro cessante – e quindi il problema del cumulo/sostituzione con quella per forma specifica prevista dall’articolo 1668 c.c., comma 1, ultima parte, non si poteva porre, rimanendo dunque una affermazione non supportata da congruo riferimento ad una specifica disciplina negoziale o normativa quella che assume che, se il committente/appaltante voglia provvedere in proprio alla emenda dei vizi del macchinario fornitogli e non sia ricorso all’analoga tutela risarcitoria – in forma specifica, non avrebbe diritto alla prima forma di risarcimento perche’ conducente agli effetti della seconda, ne’ potrebbe richiedere la seconda in quanto non proposta.
I.a.3 – Non sussiste altresi’ un contrasto tra orientamenti giurisprudenziali di questa Corte – come invece prospettato dal P.G. in udienza – tra le decisioni richiamate in sentenza e quelle indicate nel ricorso, da un lato perche’ il contrasto che rende auspicabile la remissione alle Sezioni Unite deve porre a confronto due indirizzi ben enucleati, di decisioni difformi su medesime fattispecie e con carattere di relativo sincronismo mentre la fattispecie, a regolazione della quale questa Corte deve occuparsi, non ha visto in tempi recenti contrasti interpretativi radicali: invero i “gruppi” di decisioni che si assumono contrapposte, partono entrambe dal presupposto della diversita’ della tutela risarcitoria (per equivalente ed in forma specifica) e del divieto del cumulo: la differente prospettazione di diritto si riduce alla ritenuta sussistenza di un ordine logico di proposizione delle domande risarcitorie.
1.a.4 – Piu’ in particolare, con la sentenza n. 9295/2006 si e’ affrontata la questione dei limiti della tutela risarcitoria – di qualunque tipo – allorche’ il committente/appaltante avesse agito per il mantenimento del contratto piuttosto che per la sua risoluzione; con la decisione n. 10751/2001 si e’ esaminato il caso di cumulo di domande di riduzione del prezzo di vendita e di risarcimento dei danni (statuendosi che non si sarebbe potuto computare in diminuzione, dal corrispettivo, non solo il minor valore assunto dalla res a cagione dei vizi, ma anche il costo delle opere emendative); con la sentenza n. 15167/2001 e stata negata la possibilita’ di agire per ottenere un risarcimento dipendente da vizi che avrebbero comportato la risoluzione (articolo 1668, comma 2 cod.), allorche’ tale domanda fosse stata disattesa.
1.a.5 – Sul versante – che si ritiene opposto – le decisioni nn. 19103/2012 e 6181/2011 richiamate in requisitoria dal P.M., non contengono affermazioni contrastanti rispetto a quelle piu’ sopra richiamate, limitandosi, la prima, a delimitare la portata degli interventi emendativi al fine di non far conseguire all’appaltante un bene (o, in generale, una prestazione), con caratteristiche migliori di quello che avrebbe ottenuto in caso di esatto adempimento; la seconda, a far affermare che, accolta in primo grado la domanda di risarcimento in forma specifica e non avendo parte creditrice fatto seguito alla esecuzione a carico dell’appaltatore, pur tuttavia l’appaltante/committente avrebbe potuto insistere in appello per la richiesta di risarcimento per equivalente (nella parte in cui si chiedeva la condanna al pagamento delle spese necessarie all’emenda) e non solo per il ristoro dei pregiudizi non eliminabili attraverso il diretto intervento dell’appaltatore, atteso che quest’ultima richiesta doveva ritenersi ricompresa in quella per ristoro in forma specifica; quanto infine alla piu’ risalente sentenza 2346/1995, la stessa si assesta sulla implicita ricomprensione della domanda di risarcimento per equivalente in quella per eliminazione delle difformita’ e dei vizi, pur evidenziando la differenza ontologica delle due forme di risarcimento.
1.b – Se ne deve concludere per l’erroneita’ della statuizione di principio contenuta nella sentenza di appello: altrimenti argomentando, si perverrebbe irragionevolmente alla negazione del riconoscimento di un risarcimento per equivalente, pur se richiesto sin dall’inizio, laddove esso possa sortire (anche) gli effetti di una non proposta domanda risarcitoria in forma specifica.
2 – Con il secondo motivo si censura siccome viziata da insufficienza e contraddittorieta’ l’argomentazione della Corte territoriale allorche’, a seguito di un’erronea valutazione delle emergenze istruttorie, ritenne in buona parte non dimostrato il numero di pezzi realizzati con lo stampo per il quale e’ causa : in particolare si assume che la dichiarazione del teste (OMISSIS), essendo stata precisa nell’identificare il tipo di pezzi lavorati dallo stampo, sulla base dell’analisi dei documenti sottoposti al teste, avrebbe dovuto esser valutata altrettanto fide digna in merito al numero di pezzi prodotti: il motivo non corrisponde allo schema delineato dall’articolo 366 n. 3 cpc, dal momento che non riporta ne’ il contenuto della deposizione ne’ i capitoli sottoposti al teste, cosi’ da impedire alla Corte la disamina critica del ragionamento del giudice dell’appello, risolvendosi in un’inammissibile sollecitazione ad un novellato esame del merito.
3 – La sentenza va dunque cassata in relazione al motivo accolto; il giudice del rinvio, che si individua nella Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, riesaminera’ la fattispecie alla luce del principio di diritto per il quale: “allorche’ e’ stata proposta ima domanda di risarcimento per equivalente in caso di inadempimento dell’appaltatore l’prestatore d’opera, a’ sensi dell’articolo 1668 c.c., comma 1, ultima parte, il giudice del merito deve esaminarla nel merito anche se – con la stessa possano prodursi i medesimi effetti di una non proposta domanda di risarcimento in forma specifica, a norma dell’articolo 1668 c.c., comma 1, una volta accertati i presupposti soggettivi ed oggettivi, tipici della stessa”; il detto giudice provvedera’ altresi’ alla regolazione delle spese del giudizio di legittimita’.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e rigetta il secondo; cassa l’impugnata decisione in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di Appello di Milano, in diversa composizione, anche per la regolazione delle spese del giudizio di legittimita’.
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