Suprema Corte di Cassazione
sezione VI
ordinanza 22 gennaio 2015, n. 1236
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE T
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. IACOBELLIS Marcello – Presidente
Dott. DI BLASI Antonino – Consigliere
Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere
Dott. COSENTINO Antonello – Consigliere
Dott. PERRINO Angelina Maria – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 15388/2012 proposto da:
AGENZIA DELLE ENTRATE (OMISSIS) in persona del Direttore Generale pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e difende, ope legis;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS). SNC, (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS);
– intimati –
avverso la sentenza n. 151/17/2011 della Commissione Tributaria Regionale di PALERMO – Sezione Staccata di CATANIA del 7.4.2011, depositata il 09/05/2012;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 17/12/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO.
La Corte:
La CTR di Palermo ha respinto l’appello dell’Agenzia – appello proposto contro la sentenza della CTP di Catania n. 33-08-2007 che aveva integralmente accolto il ricorso della ” (OMISSIS) snc” avverso atto di contestazione di sanzioni (“per omessa regolarizzazione …di operazioni imponibili passive derivanti dai prelevamenti risultanti nell’anno di imposta 1998, considerati come acquisti senza fattura”) adottato a seguito di un separato avviso di rettifica ai fini IVA per l’anno 1998, emesso a seguito di due distinti PVC nel primo dei quali erano stati contestati indebita registrazione di costi non inerenti e omessa dichiarazione di ricavi a titolo di canoni di locazione per la concessione in gestione di un ristorante e nel secondo dei quali era stata contestata l’omesso assoggettamento a tassazione di ricavi desunti sulla scorta delle acclarate movimentazioni bancarie, sia in addebito che in accredito, risultanti sui conti correnti intestati ai soci componenti della societa’ contribuente, fatte oggetto di apposita indagine, e che non avevano trovato corrispondenza nelle registrazioni contabili. L’avviso di accertamento era stato fatto oggetto di autonoma impugnazione da parte sia dei soci che della societa’ e risultava ancora sub iudice.
La predetta CTR, giudicando sull’appello proposto contro la pronuncia della CTP relativa al solo atto di contestazione delle sanzioni di cui si e’ detto, ha motivato la decisione nel senso che risultava illogico l’operato dell’Ufficio che aveva “indirizzato l’indagine sulla ditta (OMISSIS) snc la quale aveva ceduto in locazione l’azienda”, peraltro svolgendo indagine bancaria sui soci della societa’ in nome collettivo e non sull’effettivo gestore del ristorante ” (OMISSIS)” (tale signor (OMISSIS)).
L’Agenzia ha interposto ricorso per cassazione affidato a due motivi.
La parte intimata non si e’ difesa.
Il ricorso – ai sensi dell’articolo 380 bis c.p.c., assegnato allo scrivente relatore – puo’ essere definito ai sensi dell’articolo 375 c.p.c..
Infatti, con il primo motivo di impugnazione (improntato alla violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 600 del 1973, articolo 32, comma 1; del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articolo 51, comma 2, n. 2; articoli 2697, 2727, 2728, 2729 e 2291 c.c.), e con il secondo motivo di impugnazione (improntato al vizio di motivazione) la ricorrente si duole del fatto che il giudice del merito abbia dato incongruo risalto alla circostanza che la ” (OMISSIS) snc” non abbia effettivamente esercitato l’attivita’ di ristorazione, cio’ che non poteva certo sottrarre la medesima societa’ ed i soci dall’onere di giustificare le movimentazioni bancarie di cui si e’ detto e che avrebbero dovuto essere considerate, presuntivamente, come materia imponibile sottratta a tassazione.
Sul punto la societa’ non aveva in alcun modo assolto al proprio onere e percio’ non aveva fornito la prova che le movimentazioni medesime non fossero riconducibili a fatti imponibili. L’argomento addotto dal giudicante a sostegno del proprio convincimento era tutt’altro che concludente rispetto al thema decidendum, atteso che non poteva servire a fornire alcuna indicazione circa la provenienza e la natura delle predette movimentazioni bancarie, sebbene risultanti sul conto dei soci e presumibilmente riferibili all’attivita’ commerciale esercitata dalla societa’.
I motivi – da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione – appaiono fondati e da accogliersi.
Invero, il ribadito indirizzo di questa Corte a proposito della questione oggetto del motivo di ricorso appare perfettamente coerente con le ragioni invocate dall’Agenzia. Sez. 5, Sentenza n. 25365 del 05/12/2007: “In tema di accertamento delle imposte sui redditi e con riguardo alla determinazione del reddito di impresa, il Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32, impone di considerare ricavi sia i prelevamenti, sia i versamenti su conto corrente, salvo che il contribuente non provi che i versamenti sono registrati in contabilita’ e che i prelevamenti sono serviti per pagare determinati beneficiari, anziche’ costituire acquisizione di utili; posto che, in materia, sussiste inversione dell’onere della prova, alla presunzione di legge (relativa) va contrapposta una prova, non un’altra presunzione semplice ovvero una mera affermazione di carattere generale, ne’ e’ possibile ricorrere all’equita’”.
D’altronde, non assume particolare rilievo la circostanza che alcuni dei conti correnti bancari oggetto di indagine non fossero intestati direttamente alla societa’ contribuente ma ai suoi soci, atteso il costante orientamento di questa Corte (per tutte Cass. sez. 5, Sentenza n. 27032 del 21/12/2007) secondo il quale: “In tema di accertamento delle imposte, il Decreto del Presidente della Repubblica 29 settembre 1973, n. 600, articolo 32, n. 7 e del Decreto del Presidente della Repubblica 26 ottobre 1972, n. 633, articolo 51, autorizzano l’Ufficio finanziario a procedere all’accertamento fiscale anche attraverso indagini su conti correnti bancari formalmente intestati a terzi, ma che si ha motivo di ritenere connessi ed inerenti al reddito del contribuente, acquisendo dati, notizie e documenti di carattere specifico relativi a tali conti, sulla base di elementi indiziari tra i quali puo’ assumere rilievo decisivo la mancata risposta del contribuente alla richiesta di chiarimenti rivoltagli dall’Ufficio in ordine ai medesimi conti, e senza che l’utilizzabilita’ dei dati dagli stessi risultanti trovi ostacolo nel divieto di doppia presunzione, attenendo quest’ultimo alla correlazione tra una presunzione semplice ed un’altra presunzione semplice, e non gia’ al rapporto con una presunzione legale, quale e’ quella che ricorre nella fattispecie in esame”.
Consegue da cio’ che il giudice del merito ha errato a supporre che fosse onere dell’Amministrazione offrire la prova della diretta correlazione tra le movimentazioni bancarie ed una specifica attivita’ d’impresa, incombendo invece all’onere di parte contribuente dimostrare che le somme movimentate sui conti correnti bancari non attenessero ad alcuna fonte di reddito assoggettabile a tassazione, in difetto di che la presunzione disciplinata nel menzionato articolo 32, non puo’ che condurre alla conclusione dell’imponibilita’, con le necessarie conseguenze – poi – ai fini delle sanzioni conseguenti alle contestazioni oggetto dell’avviso di cui qui si tratta.
Deriva dunque da cio’ che la censura debba essere accolta e che la controversia vada rimessa al medesimo giudice di secondo grado che -in diversa composizione – tornera’ a pronunciarsi sulle questioni oggetto dell’atto di appello proposto dalla parte pubblica, alla luce del corretto principio di diritto da applicarsi (e tenendo conto della pregiudizialita’ sostanziale da attribuirsi all’esito del giudizio di impugnazione dell’avviso di accertamento, di cui non e’ stata data precisa notizia da parte della Agenzia ricorrente), e regolera’ anche le spese del presente grado di giudizio.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per manifesta fondatezza.
Roma, 10 dicembre 2013.
ritenuto inoltre:
che la relazione e’ stata notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, ne’ memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto.
che le spese di lite posso essere regolate dal giudice del rinvio.
Leave a Reply