condominio quater

Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza 11 settembre 2014, n. 19229

 
REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SESTA CIVILE
SOTTOSEZIONE 2
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente
Dott. PROTO Cesare A. – Consigliere
Dott. MANNA Felice – rel. Consigliere
Dott. FALASCHI Milena – Consigliere
Dott. SCALISI Antonino – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
ORDINANZA
sul ricorso 14008-2012 proposto da:
(OMISSIS) (OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura speciale in calce al ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo STUDIO dell’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 301/2011 della CORTE D’APPELLO di BARI del 23.3.2011, depositata il 06/04/2011;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 13/05/2014 dal Consigliere Relatore Dott. FELICE MANNA.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO E MOTIVI DELLA DECISIONE
1. – Il Consigliere relatore, nominato ai sensi dell’articolo 377 c.p.c., ha depositato in cancelleria la seguente relazione in base agli articoli 380-bis e 375 c.p.c.:
“1. – (OMISSIS), proprietario di un locale posto al piano interrato di un fabbricato condominiale in (OMISSIS), agiva innanzi al Tribunale di Trani affinche’ fosse accertato che l’appartamento posto al primo piano del medesimo stabile, di proprieta’ di (OMISSIS), era stato destinato a studio dentistico in violazione del regolamento condominiale, che vietava destinazioni diverse da quella abitativa.
1.1.- Resisteva il convenuto, che negava che tale destinazione potesse in alcun modo pregiudicare la proprieta’ dell’attore.
1.2. – Il Tribunale rigettava la domanda.
1.3. – L’appello proposto dal (OMISSIS) era respinto dalla Corte distrettuale di Bari. Quest’ultima, richiamata la giurisprudenza di legittimita’ in materia, osservava che i regolamenti condominiali d’origine condominiale potevano stabilire limitazioni alla destinazione delle unita’ immobiliari di proprieta’ singola sia mediante l’elencazione delle attivita’ vietate, sia attraverso il riferimento al tipo di pregiudizio da evitare, nel qual caso era comunque necessario accertare l’idoneita’ in concreto della destinazione contestata a produrre tali inconvenienti. Nello specifico, rilevava che la previsione di cui al regolamento condominiale in questione fosse troppo ampia per giustificare il divieto dell’uso in oggetto.
2. – Per la cassazione di tale sentenza (OMISSIS) propone ricorso, affidato ad un motivo.
2.1. – (OMISSIS) resiste con controricorso.
3. – Con l’unico motivo d’impugnazione si deduce la violazione degli articoli 832, 1138, 1321, 1322, 1418 e 1419 c.c., in relazione all’articolo 360 c.p.c., n. 3.
Sostiene il ricorrente che il regolamento condominiale predisposto dall’unico proprietario dell’intero edificio ed accettato dagli acquirenti delle singole unita’ immobiliari, vincola questi ultimi anche con riferimento alla clausole limitative dei poteri e delle facolta’ inerenti alle parti di proprieta’ esclusiva, costituendo delle servitu’ reciproche. Nella specie, non vi sarebbero ragioni per escludere l’efficacia vincolante della clausola che vieta la destinazione non abitativa dell’immobile di proprieta’ individuale, clausola, dal contenuto chiarissimo e inequivocabile, debitamente accettata dal (OMISSIS).
4. – Il motivo e’ infondato.
La Corte territoriale ha esattamente inquadrato la fattispecie nell’ambito dei limiti che il regolamento condominiale, d’origine contrattuale, puo’ imporre alle facolta’ di godimento che i singoli condomini possono esercitare sulle unita’ immobiliari di loro proprieta’ esclusiva. Quindi, ha richiamato la giurisprudenza di questa Corte, secondo cui i divieti e i limiti di destinazione delle cose di proprieta’ individuale nel regime condominiale possono essere formulati nei regolamenti sia mediante elencazione delle attivita’ vietate, sia con riferimento ai pregiudizi che si intendono evitare; e in quest’ultimo caso, tali limiti e divieti, al fine di evitare ogni possibilita’ di equivoco in una materia che attiene alla compressione di facolta’ normalmente inerenti alle proprieta’ esclusive dei singoli condomini, devono risultare da espressioni incontrovertibilmente rivelatrici di un intento chiaro, non suscettibile di dar luogo a incertezze (cfr. Cass. nn. 20237/09 non massimata, 16832/09 non massimata, 9564/97, 1560/95 e 11126/94; analogamente, v. anche nn. 23/04 e 10523/03).
La conseguente valutazione circa l’efficacia della clausola regolamentare in rapporto al grado di specificita’ dell’interesse che ad essa e’ sotteso, forma oggetto – al pari d’ogni altra interpretazione contrattuale – di un caratteristico giudizio di fatto, che si sottrae al sindacato di legittimita’ se motivato in maniera congrua ed esente da vizi di logica giuridica.
4.1. – Nella specie, il motivo d’impugnazione, rubricato con riferimento esclusivo alla violazione di legge, non attacca la motivazione della sentenza impugnata, ma si limita a contrastarne il decisum opponendovi la chiarezza della previsione convenzionale. La critica svolta non considera, pero’, che nella giurisprudenza sopra richiamata il requisito di chiarezza e’ riferito non alla clausola in se’ e al divieto che contiene (il che costituirebbe una considerazione affatto ovvia), ma alle attivita’ e ai correlati pregiudizi che la previsione regolamentare intende impedire. Una clausola chiara nell’imporre un divieto di ampia latitudine, ma non altrettanto nel connettersi alle ragioni che lo giustificano, non soddisfa i requisiti di validita’ imposti dalla citata giurisprudenza, poiche’ non consente di apprezzare se la compromissione delle facolta’ inerenti allo statuto proprietario corrisponda ad un interesse meritevole di tutela.
5. – Per le considerazioni svolte, si propone la decisione del ricorso con ordinanza, nei sensi di cui sopra, ex articolo 375 c.p.c., n. 5″.
2. – La Corte condivide la relazione, rispetto alla quale la memoria di parte ricorrente non apporta elementi di novita’, ripetendo in sostanza l’assunto (gia’ adeguatamente confutato nella relazione) per cui a fronte di, una chiara previsione regolamentare non occorrerebbe un’altrettanto chiara enunciazione dei pregiudizi che la stessa intenderebbe evitare.
Ne’ le considerazioni svolte nella memoria contengono elementi di novita’ tali da indurre un possibile ripensamento della consolidata giurisprudenza di questa Corte in materia (giurisprudenza che – tra l’altro – non e’ esatto definire pretoria, perche’ non colma un vuoto legislativo ma interpreta cio’ che il regolamento condominiale puo’ disciplinare in relazione all’articolo 1138 c.c.).
3. – In conclusione il ricorso va respinto.
4. – Seguono le spese, liquidate come in dispositivo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente alle spese, che liquida in euro 2.700,00, di cui 200,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

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