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Suprema Corte di Cassazione

sezione VI

ordinanza  24 settembre 2014, n. 20145

1. Il Tribunale di Viterbo, dopo aver pronunciato con sentenza non definitiva la separazione personale dei coniugi M.A. e M.V., addebitandola ad entrambi, con successiva sentenza del 13 luglio 2008, all’esito di consulenza psicologica e accertamenti patrimoniali a mezzo della Polizia tributaria, ha affidato alla madre i due figli Mario e Sofia, nati rispettivamente nel 2000 e nel 2001, disciplinando le modalità di visita del padre, e ha posto a carico di quest’ultimo l’obbligo di versare la somma di 400 euro mensili per il mantenimento dei figli nonché il 50% delle spese scolastiche e mediche di carattere straordinario.
2. Ha proposto appello M.A. deducendo che dalle indagini patrimoniali è emerso il suo stato di disoccupazione e la mancanza di qualsiasi reddito e, per altro verso, che le sue gravi condizioni di salute compromettono la sua capacità lavorativa. Ha chiesto pertanto che sia revocato il suo obbligo di contribuzione al mantenimento dei figli.
3. Si è costituita Michela V. e ha contestato le affermazioni dell’appellante relative alla mancanza di qualsiasi reddito rilevando che nel 2001 egli si è dimesso dalla sua attività di dipendente RAI senza più impegnarsi in una attività lavorativa stabile ma svolgendo lavori saltuari come venditore in mercati domenicali, nel settore della compravendita di macchine usate e nella ristorazione. Ha dedotto inoltre che dal 2004 né M.A. né i suoi genitori hanno contribuito al mantenimento dei figli Mario e Sofia nonostante la V. non disponga di una attività lavorativa stabile e sia costretta a vivere con 1 genitori che la sostengono economicamente.
4. La Corte di appello di Roma ha confermato la sentenza di primo grado rilevando l’inattendibilità delle deduzioni dell’A. circa una totale assenza di redditi e ritenendo ingiustificato l’impedimento allo svolgimento di attività lavorative, sia in relazione alla sua giovane età (M.A. è nato nel 1970) sia in relazione alle documentate condizioni di salute che non attestano invalidità fisiche incompatibili con qualsiasi attività lavorativa.
5. Ricorre per cassazione M.A. deducendo: a) nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 secondo comma n. 4 c.p.c., dell’art. 118 disp. att. c.p.c., degli artt. 156 e 161 c.p.c. e del principio del giusto processo relativo all’obbligo del giudice di motivare in maniera adeguata la sentenza; b) nullità della sentenza per violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c. e per omessa o insufficiente motivazione circa le sue condizioni di salute ampiamente documentate e che pregiudicano completamente l’idoneità al lavoro; c) nullità della sentenza per erronea applicazione nel giudizio di appello dell’art. 115, primo comma, e 183 c.p.c. e per violazione dell’art. 345 C.P.C.
6. Non svolge difese la V… Ritenuto che:
7. XI secondo motivo di ricorso appare fondato dato che l’esclusione di una incidenza delle condizioni di salute sulla capacità lavorativa del ricorrente si basa su una motivazione del tutto apodittica che non prende in esame la documentazione prodotta eventualmente valutando anche l’opportunità dello svolgimento di una consulenza medico-legale.
B. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per l’accoglimento del secondo motivo di ricorso.
La corte, rilevata la irricevibilità dei certificati medici di cui alla nota 1 luglio 2014, e ritenuta condivisibil9 la relazione sopra riportata;

P.Q,M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Roma che, in diversa composizione, deciderà anche sulle spese del giudizio di cassazione. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003.
Cosìi deciso in Roma nella camera di consiglio dell’11 luglio 2014.

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