Suprema Corte di Cassazione
sezione II
sentenza 4 luglio 2014, n. 29009
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE SECONDA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. CASUCCI Giuliano – Presidente
Dott. FIANDANESE Franco – Consigliere
Dott. MACCHIA Alberto – Consigliere
Dott. DAVIGO Piercamillo – Consigliere
Dott. DI MARZIO Fabrizio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
e di (OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza della Corte di Appello di Catanzaro, in data 5 marzo 2013 di riforma della sentenza del G.I.P. del Tribunale di Catanzaro, in data 21 giugno 2012;
Visti gli atti, la sentenza denunziata e il ricorso;
Udita in pubblica udienza la relazione svolta dal Consigliere Dott. Franco Fiandanese;
Udito il Pubblico Ministero in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riello Luigi, che ha concluso per il rigetto dei ricorsi;
Udito il difensore di (OMISSIS), avv. (OMISSIS), in sostituzione dell’avv. (OMISSIS), come da nomina depositata in data odierna, che si e’ riportato ai motivi del ricorso.
Il difensore di (OMISSIS) censura la condanna per i reati di cui agli articoli 424 e 610 c.p. aggravati ex Legge n. 203 del 1991, articolo 7 (capo 4), contestati per avere, quale mandante e in concorso con (OMISSIS) ed altri quali esecutori materiali, mediante violenza, consistita nell’appiccare il fuoco, allo scopo di danneggiarla, all’autovettura di proprieta’ della ditta (OMISSIS) s.r.l., in uso al funzionario di essa (OMISSIS), con pericolo di incendio, costretto il (OMISSIS), addetto al controllo del cantiere della discarica del Comune di (OMISSIS), a dare le dimissioni dall’incarico, al fine di evitarne gli stringenti controlli. Il difensore ricorrente deduce inosservanza o erronea applicazione della legge penale, nonche’ mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione, in quanto le dichiarazioni rese da (OMISSIS), imputato nel medesimo processo e chiamante in correita’, e da (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), non costituirebbero un compendio probatorio sufficiente a fondare una dichiarazione di responsabilita’, posto che la Corte di Appello desume il coinvolgimento dell’imputato nei fatti in questione attribuendo rilevanza al suo interessamento per i lavori della discarica e per le abitudini di vita del (OMISSIS), mentre tale interessamento dal (OMISSIS) e’ attribuito al coimputato (OMISSIS), nipote di (OMISSIS) e autore materiale dell’incendio dell’autovettura, tanto e’ vero che lo stesso (OMISSIS) attribuisce a se’ stesso, in sede di spontanee dichiarazioni rese in udienza, l’esclusiva responsabilita’ del fatto in questione. Errato sarebbe, inoltre, il ragionamento del giudice di appello, allorquando ritiene di rinvenire riscontri individualizzanti alle dichiarazioni del (OMISSIS), nelle dichiarazioni rese dai testimoni, in quanto (OMISSIS) non avrebbe affatto ricollegato, nella sua denuncia, il danneggiamento al (OMISSIS), mentre le dichiarazioni degli altri testimoni nulla aggiungono in termini di prova della responsabilita’ dell’imputato.
Non risulterebbe, infatti, alcun elemento da cui possa trarsi un contributo fattivo e concreto del (OMISSIS) nella condotta illecita del nipote.
Il ricorrente censura anche la ritenuta sussistenza dell’aggravante di cui alla Legge n. 203 del 1991, articolo 7, poiche’ non vi sarebbe la prova che minacce e vessazioni possano connettersi alla presenza di gruppi malavitosi organizzati ovvero che la condotta incriminata si sia avvalsa di un clima di intimidazione comunque riferibile a siffatte realta’ associative.
Il difensore di (OMISSIS) deduce i seguenti motivi:
1) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione agli articoli 56 e 629 c.p., nonche’ mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione.
Secondo l’accusa (capo 1), l’imputato, in concorso con altri, con violenza, consistita nell’appiccare il fuoco al fine di danneggiarlo e con pericolo di incendio ad un box adibito a postazione fissa per il servizio di vigilanza del (OMISSIS), compiva atti idonei diretti in modo in equivoco a costringere i titolari del resort a conferire nuovamente alla ditta (OMISSIS) il servizio di guardiania con postazione fissa in luogo di quello con vigilanza saltuaria; fatti aggravati dal metodo mafioso.
Il ricorrente lamenta che i giudici della cognizione si siano pronunciati in modo antitetico rispetto al giudice del riesame, che, in presenza del medesimo quadro indiziario, aveva escluso la sussistenza del reato di tentata estorsione ed aveva ravvisato il movente dell’azione delittuosa nell’acredine del (OMISSIS) nei confronti dei titolari del suddetto resort per avere ridotto i rapporti contrattuali con la cooperativa di cui il (OMISSIS) era socio.
2) insussistenza dell’aggravante ex Legge n. 203 del 1991, articolo 7, con riferimento al capo 1) dell’imputazione.
Il ricorrente contesta che l’imputato abbia agito come mafioso, non essendo vicino ad ambienti mafiosi, non essendo mai stato coinvolto in procedimenti di mafia ed avendo danneggiato il box di proprieta’ dei (OMISSIS) perche’ “preso da un raptus di rabbia sorretto da un sentimento di rancore”.
3) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 513 bis c.p. (capo 2), nonche’ mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione.
Con riferimento all’accusa di avere compiuto, nell’esercizio dell’attivita’ di guardiania della (OMISSIS), atti di illecita concorrenza nei confronti dell’ (OMISSIS), con violenza e minacce, consistite nell’aggredire con un coltello un dipendente della ditta (OMISSIS), (OMISSIS), il ricorrente afferma che l’imputato ha ammesso di essere ricorso a minacce nei confronti del (OMISSIS), ma chiarendo che la sua condotta era stata dettata da un moto di rabbia, perche’ aveva scoperto che una societa’ sua cliente si era rivolta per il servizio di vigilanza ad una ditta concorrente per la quale il (OMISSIS) prestava servizio; si tratterebbe, pertanto, del reato di minacce semplici, non essendo applicabile l’articolo 513 bis c.p. ad atti di violenza e minaccia in relazione ai quali la limitazione della concorrenza e’ solo la mira teleologica dell’agente e non venga posto in essere uno specifico atto di illecita concorrenza. Il ricorrente osserva, inoltre, che l’articolo 513 bis c.p. e’ stato introdotto dal legislatore per sanzionare la concorrenza attuata con metodi mafiosi, ma gli stessi giudici di merito hanno ritenuto insussistente l’aggravante del metodo mafioso.
4) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione all’articolo 610 c.p. (capo 4), nonche’ mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione.
Con riferimento all’accusa di avere appiccato il fuoco all’autovettura di (OMISSIS), in concorso, tra gli altri, con (OMISSIS), il ricorrente afferma che, per la configurabilita’ del reato contestato, occorre che l’azione o l’omissione, che la violenza o la minaccia sono rivolte ad ottenere dal soggetto passivo, siano determinate, poiche’, ove manchi tale determinatezza, si avranno i singoli reati di minaccia, molestie, ingiuria ma non quello di violenza privata. Nel caso di specie, non emergerebbe la volonta’ del (OMISSIS) di coartare le determinazioni del (OMISSIS), in quanto l’imputato, che non aveva alcun interesse a rimuovere costui dal proprio incarico, aveva ammesso il fatto dichiarando di avere agito per il risentimento generato dal sospetto di una relazione del (OMISSIS) con sua moglie.
5) inosservanza ed erronea applicazione della legge penale in relazione alla Legge n. 203 del 1991, articolo 7 con riferimento all’articolo 610 c.p. (capo 4), nonche’ mancanza e manifesta illogicita’ della motivazione.
Il ricorrente sostiene l’insussistenza della suddetta aggravante, in quanto per la sua configurabilita’ sarebbe irrilevante il fatto che l’intimidazione promani da un soggetto appartenente ad un sodalizio criminoso, sicche’ non avrebbe significato che il correo (OMISSIS) sia indicato come persona “che conta” negli ambienti delinquenziali e ritenuto affiliato ad una cosca. 6) inosservanza ed erronea applicazione degli articoli 132 e 133 c.p. e dell’articolo 61 c.p., n. 2. Il ricorrente lamenta che la pena e’ sproporzionata rispetto al fatto reato e che il giudice non ha fornito alcuna valida giustificazione; afferma, inoltre, che sarebbe insussistente l’aggravante di cui all’articolo 61 c.p., n. 2, poiche’ non risulterebbe che il danneggiamento con l’incendio sia stato commesso al fine di realizzare il delitto estorsivo.
I motivi proposti tendono, appunto, ad ottenere una inammissibile ricostruzione dei fatti mediante criteri di valutazione diversi da quelli adottati dai giudici di merito, le cui valutazioni, non essendovi difformita’ sui punti denunciati, si integrano vicendevolmente, formando un tutto organico e inscindibile ((Sez. 2, n. 5112 del 02/03/1994, Palazzotto, Rv. 198487; Sez. 2, n. 11220 del 13/11/1997, Ambrosino, Rv. 209145; Sez. 6, n. 23248 del 07/02/2003, Zanotti, Rv. 225671). Le sentenze dei due gradi di giudizio, con motivazione ampia ed esente da vizi logici e giuridici, hanno esplicitato le ragioni del convincimento in merito alla responsabilita’ dell’imputato e alla sussistenza dell’aggravante contestata.
Il ricorrente oppone una ricostruzione frammentata delle dichiarazioni rese da (OMISSIS), (OMISSIS), (OMISSIS) e (OMISSIS), mentre i giudici di merito le valutano correttamente nella loro reciproca integrazione, desumendone la partecipazione dell’imputato al delitto contestato. In particolare, la sentenza di primo grado (pag. 16, ed anche quella di appello a pag. 6), sintetizza cosi’ le dichiarazioni confessorie di (OMISSIS): “riferiva di avere assistito, in una delle occasioni in cui era stato a casa di (OMISSIS) insieme a suo nipote (OMISSIS), ad un dialogo tra i due, nel corso del quale affrontavano la problematica relativa ad un ingegnere di (OMISSIS) che si stava occupando della realizzazione della discarica di (OMISSIS), con chiaro riferimento a (OMISSIS), dicendo che “era uno che dava fastidio”. Quindi (OMISSIS) aveva chiesto al (OMISSIS) di mostrargli la casa dove abitavano i fratelli (OMISSIS) e, in piu’ occasioni, aveva voluto passare da tale abitazione durante i giri notturni del servizio di vigilanza, fino a quando, aiutati dal (OMISSIS), non avevano appiccato il fuoco alla autovettura del (OMISSIS). Dopo il delitto, il (OMISSIS) e (OMISSIS) si erano recati a casa di (OMISSIS) e il nipote lo aveva informato che “quella cosa era stata fatta”. Le dichiarazioni degli altri testimoni, secondo l’apprezzamento dei giudici di merito, incensurabile in questa sede di legittimita’, sono pienamente convergenti sul fatto e sulle ragioni del gesto criminoso. La circostanza, poi, che (OMISSIS), nell’ammettere la sua partecipazione al delitto, abbia negato quella dello zio (OMISSIS), dicendo di essersi determinato a commettere il crimine per ragioni strettamente personali, consistenti nel risentimento generato dal sospetto di una relazione del (OMISSIS) con sua moglie, e’ spiegata (pag. 17 della sentenza primo grado) con la volonta’ di “proteggere il congiunto (OMISSIS) dal rischio di una condanna. Essa non trova nessun tipo di riscontro nelle acquisizioni investigative ed e’ smentita da plurime fonti di prova che documentano che il (OMISSIS) era stato “punito” per avere esercitato i controlli sull’andamento dei lavori di realizzazione della discarica” e, in effetti, il (OMISSIS), a distanza di cinque giorni dall’attentato, dava le dimissioni dall’incarico che aveva originato l’atto di intimidazione nei suoi confronti.
Per quanto concerne la contestata aggravante ex Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7, i giudici di merito hanno ritenuto sussistente l’aggravante medesima sotto il profilo dell’uso del c.d. metodo mafioso. La giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che per la configurabilita’ dell’aggravante dell’utilizzazione del “metodo mafioso”, prevista Decreto Legge 13 maggio 1991, n. 152, articolo 7 (conv. in Legge 12 luglio 1991, n. 203), non e’ necessario che sia stata dimostrata o contestata l’esistenza di un’associazione per delinquere, essendo sufficiente che la violenza o la minaccia assumano veste tipicamente mafiosa (Sez. 2, n. 322 del 02/10/2013 – 08/01/2014, Ferrise, Rv. 258103). Ebbene, la sentenza impugnata ha evidenziato che il contestato delitto si colloca nell’ambito di una serie di intimidazioni e danneggiamenti subiti dalla (OMISSIS) impegnata nella realizzazione della discarica in (OMISSIS), che il mero interesse di (OMISSIS), soggetti) pregiudicato, cognato di (OMISSIS), affiliato alla cosca dei Giampa’, per il (OMISSIS) “aveva creato subito allarme nel (OMISSIS) che immediatamente ha allertato il comandante della stazione dei Carabinieri di Pianopoli”, che “il fatto presenta le modalita’ intimidatorie, risolute e prepotenti delle organizzazioni criminali operanti sul territorio”:
tutti elementi che, nel loro insieme, “evocano senza dubbio le modalita’ tipiche del controllo delle attivita’ economiche presenti sul territorio da parte delle organizzazioni criminali”. Lo sviluppo argomentativo del giudice di merito e’ coerente con i principi giurisprudenziali in materia e privo di manifesti vizi logici, non censurabile, quindi, in alcun modo da questo giudice di legittimita’.
Alla inammissibilita’ del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonche’, ai sensi dell’articolo 616 c.p.p., valutati i profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’ emergenti dal ricorso, al versamento della somma, che si ritiene equa, di euro 1000,00 a favore della cassa delle ammende.
Il ricorso di (OMISSIS) e’ fondato, nei limiti e in applicazione dei principi di diritto di cui alla presente motivazione, solo con riferimento al motivo di ricorso concernente il contestato delitto di cui all’articolo 513 bis c.p..
Sulla interpretazione della espressione “atti di concorrenza” di cui al citato articolo 513 bis, questo collegio condivide la prevalente e piu’ recente giurisprudenza, la quale afferma il seguente principio di diritto: l’articolo 513 bis c.p. punisce soltanto quelle condotte illecite tipicamente concorrenziali (quali il boicottaggio, lo storno dei dipendenti, il rifiuto di contrattare, etc.) attuate, pero’, con atti di coartazione che inibiscono la normale dinamica imprenditoriale, non rientrando, invece, nella fattispecie astratta, gli atti intimidatori che siano finalizzati a contrastare o ostacolare l’altrui libera concorrenza (Sez. 3, n. 16195 del 06/03/2013, Fammilume, Rv. 255398; Sez. 1, n. 6541 del 02/02/2012, Aquino, Rv. 252435; Sez. 2, n. 35611 del 27/06/2007, Tarantino, Rv. 237801; Sez. 3, n. 46756 del 03/11/2005, Mannone, Rv. 232650).
Non si ritiene, pertanto, condivisibile il diverso orientamento giurisprudenziale, secondo il quale, ai fini dell’integrazione del reato d’illecita concorrenza con violenza o minaccia qualsiasi comportamento violento o intimidatorio idoneo ad impedire al concorrente d’autodeterminarsi nell’esercizio della sua attivita’ commerciale, industriale o comunque produttiva configura un atto di concorrenza illecita (Sez. 3, n. 44169 del 22/10/2008, Di Nuzzo, Rv. 241683; Sez. 2, n. 13691 del 15/03/2005, De Noia Mecenero, Rv. 231129; Sez. 3, n. 450 del 15/02/1995, Tamborrini, Rv. 201578).
Quest’ultima interpretazione non appare conforme al testo normativo, inteso a distinguere gli atti di concorrenza dagli atti di violenza o minaccia, e pone problemi di violazione del principio di legalita’ e di tassativita’, non potendosi eliminare dall'”elemento oggettivo dell’incriminazione il nucleo fondamentale, cioe’, la realizzazione di un atto di concorrenza” (cosi’ Sez. 3, n. 46756 del 03/11/2005, Mannone, cit.). Ne consegue che, diversamente da quanto ritenuto dalla sentenza impugnata, la previsione di cui all’articolo 513 bis c.p. non e’ applicabile ad atti di violenza e minaccia, in relazione ai quali la limitazione della concorrenza e’ solo la mira teleologica dello agente. Cio’, peraltro, non esclude che tali condotte rimangano riconducibili ad altre fattispecie di reati preesistenti all’introduzione del suddetto articolo nel testo del codice, come del resto lo stesso ricorrente ammette, sostenendo una diversa qualificazione giuridica dei fatti, che sarebbero riconducibili, a suo avviso, nella fattispecie della minaccia. La giurisprudenza ha, pero’, chiarito che la disposizione di cui all’articolo 513 bis c.p., collocata tra i reati contro l’industria e il commercio, richiede una condotta tesa a scoraggiare mediante violenza o minaccia l’altrui concorrenza e ha come scopo la tutela dell’ordine economico e, quindi, del normale svolgimento delle attivita’ produttive a esso inerenti, mentre la norma di cui all’articolo 629 c.p., collocata tra i reati contro il patrimonio, tende a salvaguardare prevalentemente il patrimonio dei singoli; ne deriva che qualora si realizzino contemporaneamente gli elementi costitutivi di entrambi i reati e’ configurabile il concorso formale degli stessi, non ricorrendo l’ipotesi del concorso apparente di norme. Tale possibile concorrenza di reati rende evidente che, una volta esclusa la configurabilita’ del delitto di illecita concorrenza, puo’ comunque ravvisarsi il delitto di estorsione nella sua forma consumata o tentata.
La corretta qualificazione dei fatti di causa dipende da una rivalutazione degli stessi alla luce dei principi di diritto sopra formulati, rivalutazione che non puo’ essere compiuta in questa sede di legittimita’, ma deve essere rinviata al giudice di merito. In definitiva, la sentenza impugnata deve essere annullata, con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro, limitatamente al capo 2) (articolo 513 bis c.p.), perche’ rivaluti i fatti in applicazione dei suddetti principi di diritto. Gli altri motivi di ricorso non possono essere accolti: quelli relativo alla responsabilita’ e all’aggravante contestata ex Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 con riferimento al capo 4) delle imputazioni, per le ragioni evidenziate con riguardo al ricorso di (OMISSIS); quelli relativi alla responsabilita’ e alle aggravanti ex Decreto Legge n. 152 del 1991, articolo 7 ed ex articolo 61 c.p., n. 2, con riferimento al capo 1) delle imputazioni, in quanto su tutti i punti denunciati la motivazione dei giudici di merito e’ ampia e corretta dal punto di vista logico e giuridico, evidenziando come dalle dichiarazioni testimoniali e dalle stesse ammissioni dell’imputato emergesse che l’intento di costui non fosse solo di tipo ritorsivo, ma altresi’ diretto ad indurre i (OMISSIS) a rivedere la loro decisione ed a orientarsi per un servizio di vigilanza con postazione fissa, sottolineando, inoltre, la chiara circostanza che “il contestato delitto si collochi nell’ambito di una strategia intimidatoria diretta a sanzionare i fratelli (OMISSIS) (..con..) il ricorso al danneggiamento a mezzo del fuoco costituente tipica espressione operativa della criminalita’ organizzata che opera nei territori di riferimento nella sicurezza dell’impunita’ derivante dallo stato di assoggettamento e di omerta’ conseguente”. Il motivo sulla pena resta assorbito in quello accolto, dovendosi procedere da parte del giudice di rinvio alla sua rideterminazione in esito al nuovo giudizio.
La sentenza impugnata, dunque, deve essere dichiarata irrevocabile in relazione ai capi non annullati.
Annulla la sentenza impugnata nei confronti di (OMISSIS) limitatamente al capo 2) (articolo 513 bis c.p.) con rinvio ad altra sezione della Corte di Appello di Catanzaro per nuovo giudizio sul capo.
Rigetta il ricorso e dichiara irrevocabile la sentenza quanto ai restanti capi.
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