fallimento-impresa

Suprema Corte di Cassazione

sezione I

sentenza 9 giugno 2014, n. 12947

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE PRIMA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. VITRONE Ugo – Presidente
Dott. DIDONE Antonio – Consigliere
Dott. CRISTIANO Magda – rel. Consigliere
Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere
Dott. NAZZICONE Loredana – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso 14407-2010 proposto da:
FALLIMENTO DI (OMISSIS), FALLIMENTO DI (OMISSIS), FALLIMENTO DI (OMISSIS), in persona del Curatore fallimentare dott. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che -Li rappresenta e difende, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
(OMISSIS) (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso l’avvocato (OMISSIS), rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 1450/2 010 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 06/04/2010;
udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/03/2014 dal Consigliere Dott. MAGDA CRISTIANO;
udito, per i ricorrenti, l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto l’accoglimento del ricorso;
udito, per il controricorrente (OMISSIS), l’Avvocato (OMISSIS) che ha chiesto il rigetto del ricorso;
udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PATRONE Ignazio che ha concluso per l’accoglimento del ricorso.

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’Appello di Roma, con sentenza del 6.4.2010, in accoglimento dei reclami L.F., ex articolo 18, proposti da (OMISSIS) e da (OMISSIS), ha revocato la sentenza del Tribunale di Tivoli che, ad istanza del curatore del Fallimento di (OMISSIS), aveva dichiarato il fallimento dei due reclamanti ai sensi della L.F., articolo 147, quali soci illimitatamente responsabili della societa’ di fatto da essi costituita con l’ (OMISSIS).

La corte territoriale ha ritenuto fondata l’eccezione svolta in via preliminare da (OMISSIS) e (OMISSIS) di difetto di legittimazione processuale del curatore a domandare il fallimento in estensione, in quanto non munito dell’autorizzazione scritta del giudice delegato, tassativamente richiesta della L.F., articolo 25, comma 2, n. 6, per tutti i giudizi in cui il curatore sia parte, fatta eccezione per quelli di impugnazione dello stato passivo, e pertanto necessaria anche nei procedimenti instaurati a norma dell’articolo 147, comma 4, della medesima legge; ha quindi escluso che detta autorizzazione potesse essere contenuta, in via implicita, nel decreto con il quale il G.D., in calce alla medesima istanza nella quale il curatore gli aveva prospettato di dover richiedere l’estensione del fallimento, aveva dato atto che la procedura non disponeva di denaro per sostenere le spese.

La sentenza e’ stata impugnata dal curatore del Fallimento dei soci della s.d.f. con ricorso per cassazione affidato a tre motivi, cui (OMISSIS) e (OMISSIS) hanno resistito con separati controricorsi. Le parti hanno depositato memoria ex articolo 378 c.p.c..

MOTIVI DELLA DECISIONE

1) Con i primi due motivi il ricorrente contesta che il curatore possa proporre istanza di fallimento in estensione solo se munito dell’autorizzazione scritta del giudice delegato.

Osserva, in primo luogo, che l’autorizzazione e’ necessaria unicamente nei giudizi in cui occorre il ministero di un difensore, fra i quali non rientra il procedimento di cui alla L.F., articolo 147, comma 4.

Rileva, inoltre, che, a norma della L.F., articolo 25, penultimo comma, una volta data l’autorizzazione, il giudice delegato al primo fallimento non potrebbe far parte del collegio chiamato a decidere della ricorrenza dei presupposti del fallimento in estensione. A dire del ricorrente, pertanto, la tesi interpretativa sostenuta dalla corte territoriale si porrebbe in insanabile contrasto col comb. disp. della L.F., articolo 16, comma 1, n. 1 e L.F., articolo 148, comma 1, atteso che in tutti i casi di fallimento di una societa’ e dei suoi soci illimitatamente responsabili, deve essere nominato un unico giudice delegato e che questi deve essere necessariamente designato fra i componenti del collegio che ha dichiarato il fallimento.

2) Con il terzo motivo, denunciando violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 144 il ricorrente lamenta che la corte d’appello abbia escluso che il decreto con il quale il giudice delegato aveva attestato che la procedura non aveva fondi per sostenere le spese del procedimento non costituisse autorizzazione implicita ad agire per la dichiarazione di fallimento in estensione.

In ordine logico, deve essere prioritariamente esaminato il terzo motivo del ricorso, che e’ fondato e merita accoglimento.

Giova ricordare, in via generale, che la mancanza dell’autorizzazione del giudice delegato si risolve in un difetto di legittimazione processuale del curatore, sanabile in ogni momento, con efficacia retroattiva anche per i precorsi gradi del giudizio ((cfr. Cass. nn. 19087/07, 15939/07) e che, ai sensi dell’attuale testo dell’articolo 182 c.p.c., comma 2, il giudice che rilevi l’esistenza di tale vizio ha l’obbligo (e non piu’ la mera facolta’) di assegnare un termine perentorio per la sanatoria e non puo’ emettere una pronuncia di rigetto in rito se non dopo che tale termine sia inutilmente decorso.

Nella specie, pertanto, la corte territoriale, una volta escluso che il curatore fosse munito dell’autorizzazione da essa ritenuta necessaria, avrebbe dovuto assegnargli un termine per regolarizzare la sua posizione processuale.

Il giudice del merito, peraltro, ha errato nell’interpretare il decreto emesso dal G.D. ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 144 quale provvedimento fine a se stesso, non implicante alcuna valutazione della legittimita’ del procedimento promosso dal curatore.

La norma predetta, secondo cui “nel processo in cui e’ parte il fallimento, se il decreto del giudice delegato attesta che non e’ disponibile il denaro per le spese, il fallimento si considera ammesso al patrocinio a spese dello Stato…” va infatti letta in collegamento con la L.F., articolo 25, comma 1, n. 6, attesa la sua chiarezza nello stabilire che l’attestazione non puo’ essere data in via generale ed astratta, ma in relazione allo specifico giudizio nel quale il curatore dovra’ costituirsi, quale rappresentante della massa, in veste di attore o di convenuto. Cio’ comporta la previa, doverosa delibazione dell’opportunita’ della costituzione, posto che in caso contrario -ovvero limitandosi ad attestare che la procedura e’ priva di fondi e, dunque, a prendere atto dell’iniziativa giudiziaria che il fallimento sta per assumere – il giudice delegato finirebbe col venir meno ai suoi doveri di vigilanza, di fatto consentendo al curatore di agire o di resistere in giudizio ancorche’ privo della necessaria autorizzazione . Ne consegue che, poiche’ il provvedimento ex articolo 25 cit. non necessita di formule sacramentali, la mera attestazione del G.D. della mancanza di fondi, che fa seguito all’istanza con la quale il curatore gli rappresenta che il fallimento non dispone della liquidita’ necessaria a sostenere le spese del processo, va interpretata quale contestuale, implicita autorizzazione alla costituzione in quel processo.

Le considerazioni sin qui svolte sono sufficienti all’accoglimento del ricorso.

Non appare superfluo, tuttavia, rilevare che, anche se per ragioni di diritto diverse da quelle prospettate nei primi due motivi di censura, il curatore, per promuovere il procedimento di cui alla L.F., articolo 147, comma 4, non e’ obbligato a munirsi dell’autorizzazione del giudice delegato.

Va, in proposito, in primo luogo osservato come, a seguito del notevole ridimensionamento del ruolo del giudice delegato operato dal Decreto Legislativo di riforma n. 5 del 2006, la decisione di agire o di resistere in giudizio non puo’ piu’ configurarsi come frutto di una scelta sostanzialmente a questi spettante, ma deve, al contrario, ritenersi una scelta del curatore, rispetto alla quale l’autorizzazione del giudice testimonia l’avvenuto controllo della legittimita’ (e non anche del merito) dell’iniziativa, evidentemente non necessario allorche’ (come nell’ipotesi disciplinata dall’articolo 147, comma 4 cit.) detta iniziativa sia doverosa e la legittimazione del curatore sia gia’ espressamente prevista dalla legge.

Tuttavia, cio’ che maggiormente convince della superfluita’ dell’autorizzazione e’ che essa, ai sensi della L.F., articolo 25, n. 6), e’ richiesta allorche’ il curatore debba stare in giudizio “come attore o convenuto”.

E, ancorche’ l’iniziativa per la dichiarazione di fallimento non possa piu’ essere assunta dal giudice d’ufficio, il relativo procedimento non appare riducibile ad un processo fra parti contrapposte, in cui l’istante assume la veste di attore ed il fallendo quella di convenuto, vuoi perche’ il legittimato all’azione non e’ titolare di un diritto soggettivo al fallimento del debitore, vuoi perche’ l’accoglimento della domanda e’ idoneo a dar luogo ad un accertamento costitutivo valevole erga omnes. All’accoglimento del ricorso conseguono la cassazione della sentenza impugnata ed il rinvio della causa alla Corte d’appello di Roma, in diversa composizione, che regolera’ anche le spese del giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’appello di Roma in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimita’.

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