CASSAZIONE

Suprema Corte di Cassazione

sezione V

sentenza  2 luglio 2014, n. 28515

Ritenuto in fatto

1. S.S. , C.C. , D.M.A. e D.S.F. ricorrono avverso l’ordinanza 14-1-2014 con la quale il Tribunale del riesame di Roma ha confermato il decreto di sequestro preventivo di beni immobili, mobili registrati e rapporti finanziari emesso dal Gip dello stesso tribunale in data 16-12-2013 nel procedimento a loro carico in cui sono provvisoriamente contestati i seguenti reati: A) associazione per delinquere transnazionale (art. 3 lett. b) e d) legge 146/2006); B) reato di cui all’art. 2638 cod. civ.; C) e D) appropriazione indebita; E) bancarotta fraudolenta transnazionale aggravata dall’art. 4 legge 146/2006; F) reato di cui agli artt. 648 bis cod. pen., 3 e 4 legge 146/2006; G) ed H) bancarotta fraudolenta transnazionale aggravata dall’art. 4 legge 146/2006; capo I) reato di cui all’art. 136 d.lgs. 385/1993.
2. La misura è stata emessa ai sensi dell’art. 321 comma 2, cod. proc. pen. in relazione all’art. 11 legge 146/2006 il quale stabilisce che, in caso di reati transnazionali, qualora non sia possibile la confisca del prodotto, profitto o prezzo del reato, è ordinata la confisca per equivalente di somme, beni od altre utilità di cui il reo ha la disponibilità anche per interposta persona fisica o giuridica.
3. In base alla prospettazione accusatoria D.M.A. , direttore generale della Cassa di Risparmio di Teramo (TERCAS) successivamente commissariata, era stato al centro di un’associazione per delinquere transnazionale avendo costituito una sorta di banca parallela per l’effettuazione, in modo personale ed esclusivo nonché in situazioni di conflitto d’interessi, di spregiudicate operazioni, anche all’estero, per elevati importi utilizzando il patrimonio della banca in favore di persone da lui conosciute e nel contempo distraendo somme dalla banca stessa nonché da società in difficoltà o in stato d’insolvenza, fatte confluire nel patrimonio di società con sede all’estero o trasferite su conti esteri.
4. D.M. , tramite l’avv. M. K., deduce violazione di legge e difetto di motivazione sull’assunto che il provvedimento del tribunale abbia disapplicato la disciplina del sequestro e della confisca da un lato dando per scontati sia l’associazione per delinquere che una serie di operazioni manipolazione cui l’indagato avrebbe trasversalmente partecipato, dall’altro includendo nel concetto di profitto del reato perfino beni da tempo intestati alla ex moglie del D.M. .
5. Sul punto della transnazionalità si lamenta violazione di legge per totale mancanza di motivazione della sussistenza dei relativi requisiti.
6. Inoltre il fumus del reato sarebbe desunto, in assenza di contraddittorio tra accusa e difesa, dalle indicazioni unidirezionali della Banca d’Italia in contrasto, tra l’altro, con gli esiti di un’altra, di poco precedente, ispezione nei confronti di TERCAS che non aveva rilevato nulla di illegale.
7. Il sequestro sui beni della società Immobiliare Tolstoj, non intestati al D.M. , era stato erroneamente giustificato con la mera affermazione dell’indagato di averne la disponibilità tramite la convivente C.C. , non supportata da dati obiettivi, senza tener conto che il sequestro non può eccedere i limiti della futura confisca, aspetto che, per quanto non sollevato in sede di riesame, avrebbe dovuto essere esaminato d’ufficio dal tribunale.
8. C.C. ha proposto ricorso tramite l’avv. N. P. P. articolato in tre motivi.
9. Con il primo, premesso di essere indagata per i reati sub A) – associazione -, D) – appropriazione indebita – e G) – bancarotta fraudolenta -, deduce violazione di legge e difetto di motivazione reiterando una questione già proposta al tribunale del riesame e cioè che il Gip, su richiesta del PM, aveva inserito la C. tra coloro per i quali il sequestro era disposto in relazione al capo G (bancarotta fraudolenta transnazionale) e non tra quelli per i quali la misura era disposta in virtù del fumus dell’appartenenza all’associazione sub A). Il tribunale invece aveva ritenuto che il titolo cautelare fosse rappresentato dal capo A) sostenendo che il richiamo al capo G) valeva al solo fine di individuare la misura del profitto conseguito dall’indagata, ma trascurando che per il capo A) mancava ogni valutazione circa la sussistenza del fumus per la posizione C. .
10. Con il secondo motivo si deducono violazione o erronea applicazione dell’art. 321, comma 2 cod. proc. pen. in ordine al requisito della transnazionalità per il capo G), punto sul quale il tribunale non si era espresso. La transnazionalità della bancarotta era stata comunque collegata nell’ordinanza agli effetti prodotti all’estero dal reato (coinvolgimento della banca di S. Marino), in tal modo trascurando che tali effetti non possono che identificarsi con l’evento del reato, che nella specie non si era verificato all’estero non essendo ravvisabile nel versamento delle somme, di cui peraltro l’indagata non aveva la disponibilità in quanto socia, su conti accesi in stati esteri, i quali non avevano subito effetti sfavorevoli. Inoltre il coinvolgimento del gruppo criminale organizzato era stato ritenuto mediante rinvio all’associazione di cui al capo A) dando per scontata la coincidenza tra i due gruppi senza però indicarne le ragioni in assenza, tra l’altro, di coincidenza tra i soggetti appartenenti rispettivamente all’uno e all’altro.
11. Terzo motivo: violazione di legge in punto di proporzionalità del sequestro e di responsabilità in solido. Il tribunale del riesame era tenuto anche d’ufficio a verificare il rispetto del criterio di proporzionalità del sequestro rispetto all’eventuale futura confisca e dell’effettiva equivalenza tra il valore dei beni sottoposti al vincolo e l’entità del profitto del reato, nella specie la quota di profitto della ricorrente relativa all’acquisto delle due quote della DIMA Costruzioni di cui al capo G), in quanto il sequestro deve cadere sulla quota di profitto riferibile al concorrente e solo in caso di impossibilità sull’intero profitto del reato.
12. S.S. , indagato per il reato sub F) (riciclaggio della somma di un milione di Euro provento della bancarotta sub E, trasferita da Di.Ma.Ra. , dopo essere stata bonificata in successione a vari soggetti, su un conto estero del S. presso BNP Paribas XXXXXX), deduce tramite il difensore, avv. C. F. Grosso, due censure.
13. Prima: violazione di legge in relazione all’art. 648 bis cod. pen. in assenza del fumus del reato in quanto il comportamento passivo di mera ricezione di una somma proveniente da reato -tra l’altro nella specie a titolo di corrispettivo di attività professionale prestata dall’imputato – esula dalle condotte previste dalla norma in questione, potendo al più integrare il reato di ricettazione.
14. Seconda: violazione di legge in relazione agli artt. 3, 4 e 11 legge 146/2006. Il tribunale, con motivazione tautologica, aveva ritenuto che il sequestro per equivalente ex art. 11 citato fosse giustificato dal profilo della transnazionalità del riciclaggio in quanto effettuato da un gruppo criminale organizzato (gestito dal D.M. ) con effetti sostanziali in più stati esteri. Per contro, riguardo alla posizione S. , non ricorrevano i parametri che, secondo le sezioni unite di questa corte (18374/2013), sono richiesti dall’art. 3 legge 146/2006, in quanto l’indagato non era un appartenente al gruppo D.M. , non essendogli contestato neppure in via provvisoria il reato associativo sub A), né aveva, con la sua condotta meramente passiva di ricezione della somma, avvantaggiato o favorito tale gruppo.
15. D.S.F. , indagato per i reati sub A), B), C), D), G) ed H), ricorre tramite l’avv. A. N., deducendo violazione di legge e di norme processuali stabilite a pena di nullità in relazione agli artt. 125 e 324 cod. proc. pen. con riferimento al fumus commissi delicti per tutte le ipotesi di reato.
16.11 ricorrente lamenta che il tribunale abbia valutato la documentazione (35 nuovi documenti) e le dichiarazioni di R.S. , depositate all’udienza di riesame, come prospettazione di una ricostruzione in fatto alternativa della vicenda, non idonea a superare il compendio indiziario attestante il fumus, così trascurando che il tribunale del riesame deve tener conto non solo delle allegazioni probatorie del PM ma anche degli elementi offerti dalla difesa dell’indagato che possano influire sulla sussistenza del fumus (Cass. 13038/2013) e che per sussumere un fatto storico nella previsione normativa occorre necessariamente ricostruire il fatto stesso.
17. Quanto alla contestazione del reato associativo di cui al capo A), fondata sull’assunto che Di Stefano si sarebbe associato con D.M. ed altri per ottenere finanziamenti (quelli sub C, ritenuti oggetto, secondo la prospettazione accusatoria, di appropriazione indebita) cui non avrebbe avuto diritto per mancanza di garanzie o per difetto di capacità di rimborso, la memoria e i documenti depositati dimostravano che il gruppo D.S. era in grado di rimborsare i finanziamenti (le sue società non erano fallite a differenza da quanto erroneamente sostenuto dal PM e dal Gip, ma avevano presentato istanze di ammissione a concordato preventivo con previsione di pagamento del 100% dei debiti; la Europa Way aveva diritto ad un risarcimento milionario in fase di quantificazione; perizie fatte eseguire dalle società Sirio Broadcasting Company e Towerland srl attestavano il valore di oltre 120 milioni di Euro di uno dei principali asset del gruppo, a fronte degli 8/10 milioni ritenuti in fase di indagini preliminari) e la sussistenza di ingenti danni al gruppo per effetto del rapporto con D.M. .
18. Inoltre il tribunale aveva considerato solo una parte delle dichiarazioni della R. (che aveva riferito la reazione del D.S. al ricevimento dell’avviso di richiesta di proroga delle indagini preliminari), mentre la loro maggior rilevanza stava nel fatto che esse consentivano la ricostruzione dell’origine, tenore e ratio del documento predisposto dal D.M. , sottovalutati e fraintesi sia nella richiesta del PM che nel provvedimento applicativo della misura reale, nei quali il documento era stato ritenuto prova del contributo del D.M. per evitare o ridurre i pagamenti a fronte delle ingiunzioni di cui erano stati destinatario D.S. e le società del suo gruppo, mentre la genesi di esso dimostrava che l’indagato era stato vittima, non associato, del D.M. .
19. Il tribunale aveva lungamente motivato l’esistenza dell’associazione trascurando che l’insussistenza del fumus della partecipazione ad essa dell’indagato discendeva dalla dimostrazione che questi aveva affidato alla banca Tercas liquidità e titoli per importi li significativi, che le passività accumulatesi sui conti suoi e delle sue società erano state in larga misura determinate da condotte del D.M. e di altri funzionari della Tercas cui D.S. , come risultava documentalmente, era rimasto estraneo, che il gruppo a lui facente capo non aveva riportato concreti vantaggi ma anzi aveva subito danni in conseguenza dei reati dei quali è accusato.
20. Quanto agli altri reati, il tribunale non aveva tenuto conto dei motivi di riesame depositati in udienza e quindi, quanto al capo B), che Di Stefano era inconsapevole delle comunicazioni effettuate dalla TERCAS all’autorità di vigilanza; quanto al capo C), che il suo gruppo aveva diritto ai finanziamenti ottenuti; quanto al capo D), che la sua consapevole partecipazione all’appropriazione indebita era smentita dalla ricostruzione delle vicende relative all’emissione dell’assegno di Euro 1.680.000 il 24-3-2009 e all’erogazione del finanziamento per due milioni e mezzo di Euro nel maggio 2011; quanto ai capi G) e H), che la sua totale estraneità alle operazioni bancarie relative all’acquisto delle quote del fondo Diaphora, dimostrava che egli era estraneo alle ipotesi di bancarotta fraudolenta ivi contestate.

Considerato in diritto

1. Il ricorso nell’interesse del D.M. è inammissibile.
2. Va premesso, allo scopo di delineare il perimetro della verifica deputata all’organo del riesame, che, in caso di sequestro preventivo, detta verifica, ancorché non debba tradursi nel sindacato sulla concreta fondatezza dell’accusa, deve avere ad oggetto la possibilità di sussumere il fatto in una determinata ipotesi di reato, con la conseguenza che, ai fini dell’individuazione del fumus commissi delicti, non è sufficiente la mera postulazione dell’astratta configurabilità del reato da parte del pubblico ministero, dovendo il giudice del riesame rappresentare nella motivazione dell’ordinanza, in modo puntuale e coerente, le concrete risultanze processuali e la situazione emergente dagli elementi forniti dalle parti che dimostrano indiziariamente la congruenza dell’ipotesi di reato prospettata rispetto ai fatti cui si riferisce la misura cautelare reale (Cass. 15448/2012, 26197/2010).
3. Resta fermo, comunque, che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo, sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza, quindi inidoneo a rendere comprensibile il percorso logico seguito dal giudice (Sez. U, 25932/2008, Sez. U, 25933/2008), esulando dal sindacato di questa corte i vizi di contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione, sempre che, lo si ribadisce, quest’ultima non si riveli meramente apparente.
4. L’indirizzo giurisprudenziale in tema di compiti demandati al tribunale del riesame, di cui sopra, va quindi coordinato con quello secondo il quale tale organo deve limitare il proprio sindacato alle deduzioni difensive che abbiano una oggettiva incidenza sul fumus, senza doversi pronunciare su qualsiasi allegazione che si risolva in una mera negazione degli addebiti o in una diversa lettura degli elementi probatori già acquisiti (Cass. 13938/2013).
5. Ciò posto, si osserva che l’ordinanza impugnata, ricostruendo i fatti sulla base dalle risultanze investigative supportate tecnicamente dalle verifiche degli ispettori della Banca d’Italia, ha fornito adeguata motivazione della “gravità indiziaria” dell’esistenza dell’associazione di cui al capo A) il cui ruolo apicale era ricoperto per l’appunto dal D.M. grazie alla sua qualifica di direttore generale della Cassa di Risparmio di Teramo (TERCAS).
6. Il tribunale ha infatti evidenziato l’esercizio anomalo del credito da parte del ricorrente nei confronti di alcuni, ben individuati, imprenditori (D.S. , I. , Di.Ma. e N. ), già clienti del D.M. quando svolgeva la sue funzioni presso Unipol Banca, i quali, più volte finanziati da TERCAS per importi ingenti al di fuori dei protocolli di garanzia previsti, si erano prestati ad acquistare azioni proprie della TERCAS con patto di rivendita, c.d. portage, così dissimulando l’effettiva consistenza del patrimonio di vigilanza dell’istituto di credito ed ostacolando le funzioni di vigilanza della Banca d’Italia.
7. Ne era così derivata la commistione tra operazioni bancarie, gestite in modo personale ed esclusivo dall’indagato, e parallele operazioni commerciali in palese conflitto di interessi (quali l’acquisto di partecipazioni in società estere: la SMIB, banca sammarinese), sì da determinare, da un lato, mediante attività appropriativa, la distruzione del patrimonio della banca, poi commissariata con crediti ad incaglio o in sofferenza risultati pari, alla verifica del commissario straordinario, ad oltre 220 milioni di Euro nei confronti degli imprenditori di cui sopra, dall’altro il drenaggio di ingenti somme dai conti di società in défault in favore di conti di società con sede all’estero o accesi presso istituti di credito stranieri.
8. A fronte di ciò la violazione di legge sotto il profilo della totale mancanza di motivazione, dedotta dall’impugnante quanto all’esistenza dell’associazione, si profila come del tutto generica, mentre l’accusa mossa al tribunale di aver fatto “d’ogni erba un fascio” per aver incluso nel compendio sequestrato beni intestati alla ex moglie del D.M. , si spunta dinanzi alla più che plausibile ipotesi dell’organo del riesame che la consensuale assegnazione di detti beni a quest’ultima, in sede di separazione, avesse lo scopo di schermarne la precedente intestazione al D.M. , essendo l’assegnazione intervenuta proprio nel 2008, epoca di commissione dei reati.
9. Né ha maggior specificità la doglianza in punto di violazione di legge per mancanza di motivazione circa i requisiti della transnazionalità del reato, dal momento che il tribunale conclude per la sussistenza di quel predicato, quanto meno a livello di fumus, ricostruendone gli aspetti tipici, quali il coinvolgimento di un gruppo criminale organizzato, la parziale preparazione e pianificazione di alcuni reati fine in uno stato estero, la commissione di alcuni di essi in uno stato con effetti sostanziali in un altro, desumendoli nella specie dall’acquisto di partecipazioni nella banca di S. Marino e dal trasferimento all’estero di somme distratte.
10. Non vale poi lamentare l’assenza di contraddittorio tra accusa e difesa nell’utilizzo, ai fini dell’integrazione del fumus, delle indicazioni, che si assumono unidirezionali, della Banca d’Italia, essendo stati comunque utilizzati, al di là dell’infondatezza in sé del rilievo, anche ulteriori elementi, mentre il richiamo agli esiti di un’altra, asseritamente di poco precedente, ispezione nei confronti dell’istituto di credito, che non avrebbe rilevato nulla di illegale, risulta meramente assertivo e comunque aspecifico.
11. Manifestamente priva di ogni fondamento è la censura circa la ritenuta riferibilità al D.M. dei beni, assoggettati a sequestro, della società Immobiliare Tolstoj, a fronte del riconoscimento confessorio dello stesso indagato – elemento tutt’altro che “esile” – di averne avuto la disponibilità tramite la convivente C.C. , socia al 99% di tale società, riconoscimento non necessitante, quanto meno in fase cautelare, a differenza da quanto sostenuto nel ricorso, del supporto di ulteriori dati.
12. Infine l’assunto del ricorrente che pone a carico del giudice del riesame la verifica ex officio, anche quando non investito della relativa questione, che il sequestro non travalichi i limiti della futura confisca, disvela la propria inammissibilità sotto un duplice profilo: da un lato la violazione del principio di proporzionalità tra il credito garantito ed il patrimonio assoggettato a vincolo cautelare non è deducibile per la prima volta in sede di legittimità (Cass. 33347/2012), dall’altro, e comunque, neppure con il ricorso sono state evidenziate le ragioni dell’asserita sproporzione.
13. Il ricorso della C. merita rigetto.
14. La questione, di cui al primo motivo, relativa al contrasto tra il Gip e il tribunale nell’individuazione del titolo cautelare, indicato dal primo nel capo G) (bancarotta fraudolenta transnazionale), dal secondo, peraltro privo di poteri per modificarla, nel capo A) (associazione transnazionale), senza tuttavia indicarne le ragioni, è fondata ma, per quanto suggestiva, inidonea a configurare i dedotti vizi di violazione di legge e difetto di motivazione.
15. Invero l’indicazione letterale da parte del tribunale, quale titolo cautelare per la C. , del capo A), è priva di qualunque ricaduta sul provvedimento posto che, da un lato, il decreto genetico della misura è stato in toto confermato nel dispositivo (anche, quindi, sotto il profilo del titolo cautelare), dall’altro l’ordinanza ha comunque motivato il carattere transnazionale (ex art. 3 legge 146/2006) della bancarotta sub G) (per il coinvolgimento della banca sammarinese SMIB), indispensabile presupposto dell’applicazione dell’art. 11 legge 146/2006, aggiungendo che la partecipazione della C. alla bancarotta consentiva di individuare la misura del profitto da lei conseguito.
16. Né ha fondamento la censura, di cui al secondo motivo del ricorso in esame, con la quale, al fine di confutare il predicato della transnazionalità della bancarotta commessa in Italia, si tenta di negare la ravvisabilità del requisito della produzione di effetti sostanziali del reato all’estero nel versamento delle somme distratte su conti accesi in stati esteri. Tale censura fa leva su due argomenti infondati, l’uno in diritto (e cioè che gli effetti del reato si identificherebbero con l’evento dello stesso, nella specie non verificatosi all’estero), l’altro in fatto e cioè che le somme trasferite non sarebbero state nella disponibilità dell’indagata, socia della Tolstoj.
17.In primo luogo non è condivisibile l’assunto che, attribuendo al legislatore della c.d. , Convenzione di Palermo un certo atecnicismo nell’uso dei termini giuridici, postula la coincidenza degli effetti del reato con l’evento dello stesso. In realtà il primo concetto (quello di effetti del reato) ha carattere più ampio del secondo – che è in esso ricompreso -, indicando in generale tutti i risultati e le conseguenze dell’azione umana, ; mentre la nozione di evento, che è quella ordinariamente rilevante per il diritto penale, ma che non caratterizza tutti i reati, è più ristretta implicando un nesso di causa ad effetto, valorizzato dal legislatore, tra l’azione e il risultato della stessa. Nella specie gli effetti del reato (approdo delle somme distratte) si sono pacificamente verificati all’estero, come la stessa ricorrente non contesta, né rileva l’assunto, del tutto soggettivo ed unilaterale, che tali effetti non sarebbero sfavorevoli per gli stati stranieri, trattandosi degli effetti di un crimine che la Convenzione delle Nazioni unite ratificata dalla Convenzione di Palermo mira a combattere.
18. D’altro canto l’affermazione che le somme trasferite all’estero non sarebbero state nella disponibilità dell’indagata perché socia della Tostoj, così sostanzialmente mettendo in dubbio il fumus della sua partecipazione alla bancarotta, ignora l’assoluto dominio esercitato dalla predetta, per conto del D.M. come da questi ammesso, sulla società, di cui l’indagata era praticamente socio unico (detenendone la maggioranza del 99%), tale da coinvolgerla inevitabilmente, in concorso con il legale rappresentante di essa, nell’intermediazione da parte della Tostoj del trasferimento, per il tramite dell’Assicuratrice Milanese spa, di quote del fondo Diaphora, nella titolarità della Dima Costruzioni, poi fallita, alla SMIB con sede in (omissis), sostanzialmente controllata dal D.M. anche per il tramite dell’indagata.
19. Priva di qualunque pregio è poi la questione del coinvolgimento del gruppo criminale organizzato nel reato, gruppo che invano la ricorrente contesta individuarsi nell’associazione sub A) invocando, al fine di sostenere tale assunto, la non perfetta coincidenza tra gli associati di cui al capo A) ed i concorrenti nel reato di cui al capo G), in tal modo trascurando che è ben possibile che non tutti gli associati concorrano nei singoli reati fine, così come gli appartenenti al sodalizio ben possono commettere taluni reati fine in concorso con terzi estranei all’associazione.
20. Quanto alla dedotta violazione di legge in punto di proporzionalità del sequestro, oggetto di parte del terzo motivo, proporzionalità che secondo la ricorrente avrebbe dovuto essere verificata d’ufficio dal tribunale, si richiamano le osservazioni già formulate in risposta ad analoga questione sollevata nel ricorso D.M. .
21. In ordine poi all’avvenuta applicazione del sequestro in base al principio solidaristico, contestato dalla ricorrente, si osserva che tale modus procederteli è in linea con il consolidato indirizzo di questa corte, confermato dalle sezioni unite, alla stregua del quale l’illecito plurisoggettivo implica l’imputazione dell’intera azione e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e pertanto, una volta perduta l’individualità storica del profitto illecito, la sua confisca, ed il sequestro preventivo ad essa finalizzato, possono interessare indifferentemente ciascuno dei concorrenti anche per l’intera entità del profitto accertato, pur non potendo l’espropriazione essere duplicata o comunque eccedere nel quantum l’ammontare complessivo dello stesso, il che la stessa ricorrente non ha sostenuto (Cass. Sez. U, 26654/2008, Cass. 45389/2008, 5401/2009, 18536/2009, 19764/2009, 10810/2010, 13277/2011).
22. Il ricorso nell’interesse del S. è infondato e merita rigetto.
23. L’impugnante, con il primo motivo, contesta in sostanza il fumus dell’elemento materiale del riciclaggio asserendo che il suo comportamento sarebbe stato di mera inerzia essendosi egli limitato alla ricezione, su un proprio conto acceso in Lugano, della somma di oltre un milione di Euro, in tal modo non ponendo in essere alcuna delle condotte ex art. 648 bis cod. pen., ma al più, nell’eventuale presenza dei relativi elementi, dando luogo al reato di ricettazione.
24.Tale prospettazione non tiene però conto in primo luogo che, come risulta dal provvedimento impugnato, la somma, non contestato provento della bancarotta fraudolenta sub E), prima di approdare sul conto svizzero del S. , era stata accreditata dapprima alla società inglese Me Cloud, indi sul conto Abridge Trading, per essere poi bonificata solo in parte all’indagato, mentre il residuo (pari ad oltre due milioni di Euro) era stato accreditato, dopo i primi due trasferimenti, su un altro conto di Lugano, per approdare infine su un conto acceso a Singapore dal D.M. .
25. Va d’altro canto osservato che, essendo identico l’elemento materiale dei reati ex artt. 648, 648 bis e 648 ter, mentre ne varia l’elemento psicologico (Cass. 6534/2000, 18103/2003, 19907/2009), la condotta del recettore di una somma di illecita provenienza su un proprio conto da lui allo scopo indicato – nella specie il S. -, non è qualificabile come meramente passiva configurando contributo al trasferimento del denaro e comunque rientrando tra le “altre operazioni” previste dall’art. 648 bis cod. proc. pen..
26. Solo incidentalmente il ricorrente ha richiamato l’esistenza di una lecita giustificazione dell’accredito della somma, rappresentata dalla prestazione di un’attività professionale al D.M. , senonché mentre di essa non ha fornito documentazione (limitandosi ad affermare che la causale sarebbe “emersa”), ha pure ricordato che il primo passaggio della somma, comprensiva di quella da ultimo dirottata al D.M. , sarebbe da attribuire a pagamento della fattura (OMISSIS) per attività di consulenza prestata a Di.Ma. (non chiaro da chi, in particolare se da McCloud), con conseguente incertezza circa le ragioni, asseritamente lecite, della circolazione della somma. Senza contare che i plurimi trasferimenti sono indiscutibilmente significativi, a livello di fumus, della finalità, comune ai vari destinatari, di impedire la tracciabilità dell’origine illecita dell’ingente somma, sicuro provento di bancarotta.
27. Il ricorrente, con la censura di cui al secondo motivo, intesa a contestare la transnazionalità del reato, da un lato opera una certa confusione tra il predicato della transnazionalità (art. 3 Convenzione di Palermo) e l’aggravante della transnazionalità (art. 4 stessa convenzione), entrambi contestati al capo F), richiamando il primo a pag. 10 dell’atto di impugnazione, la seconda a pag. 11, dove erroneamente osserva che a tale aggravante sarebbe collegato il sequestro per equivalente ex art. 11 della convenzione, che invece si applica ai reati di cui all’art. 3. Comunque il nucleo della questione prospettata, e cioè l’asserita mancanza del coinvolgimento nel reato di un gruppo criminale organizzato, è privo di fondamento. Il ricorrente sembra infatti esigere che tale coinvolgimento implichi necessariamente la diretta partecipazione all’associazione del beneficiario/concorrente nel reato fine, partecipazione nella specie insussistente in quanto S. non è indagato per il reato associativo.
28. Tale interpretazione collide tuttavia con la previsione del più volte citato art. 3, che postula il coinvolgimento nel reato transnazionale di un gruppo organizzato, non già necessariamente l’appartenenza a detto gruppo dell’autore del reato. È quindi sufficiente, come affermato nella pronuncia delle sezioni unite penali di questa corte 18374/2013 (di cui nel ricorso sono citati alcuni stralci offrendone peraltro una non condivisibile lettura), che al reato abbia contribuito uno – o più – adepti del gruppo criminale organizzato (nella specie D.M. e Di.Ma. ) in adempimento del programma criminale del sodalizio, perché il predicato della transnazionalità si estenda ai correi non aderenti al sodalizio.
29. Il ricorso nell’interesse del D.S. merita rigetto.
30. L’ordinanza si sottrae in primo luogo alla generale censura di mancato esame degli elementi offerti dalla difesa idonei ad influire sul fumus dei reati. Invero il tribunale, proprio all’esito della disamina dei numerosi documenti prodotti in udienza, ha concluso, sulla base del medesimo indirizzo giurisprudenziale evocato nel ricorso (Cass. 13038/2013), che la ricostruzione alternativa fondata su di essi non smontava gli elementi a sostegno del fumus, evidenziando, con motivazione che non può definirsi né mancante, né meramente apparente, come oltre meglio si osserverà, la sostanziale irrilevanza di dati (emergenti da perizie, atti giudiziari, sentenze) relativi a società del gruppo D.S. .
31. Quanto al reato associativo, le considerazioni del ricorrente a sostegno della capacità del suo gruppo di rimborso dei finanziamenti, fondate su elementi non decisivi di cui oltre tutto si ignora l’esistenza al momento dell’erogazione – quali i contenziosi in cui sono coinvolte le società del gruppo e le perizie relative ai loro asset fatte eseguire dalle stesse -, non scalfiscono in realtà, integrando quindi prospettazione alternativa del fatto, la circostanza oggettiva dirimente, che risulta dallo stato dei finanziamenti redatto dal commissario della TERCAS (pag. 15 del provvedimento impugnato), indicante una situazione di sofferenza del gruppo Di Stefano nei confronti dell’istituto bancario pari, al 31-3-2013, ad Euro 49.315.623.
32. Invano poi il ricorso richiama le dichiarazioni della collaboratrice dell’indagato, R.S. , nella parte, relativa ad un documento redatto dal D.M. , che sarebbe stata ingiustificamente trascurata dall’organo del riesame. Il ricorrente sembra riferirsi, in modo peraltro non del tutto chiaro (richiamando la pag. 14 del provvedimento impugnato, che non appare attinente), allo scambio di e-mail tra la R. e il D.M. inteso alla predisposizione della difesa del D.S. nei procedimenti di opposizione ai decreti ingiuntivi ottenuti nei confronti delle sue società da banca TERCAS in persona del commissario straordinario.
33.11 tema non è stato ignorato dal tribunale che ha però interpretato quanto sopra, anche alla luce di conversazioni telefoniche intercettate, nel senso che il contributo offerto dal D.M. al D.S. per fronteggiare le ingiunzioni di pagamento, costituisse elemento indiziario della complicità tra i due e della concorde finalità di mascherare il ruolo dell’ex direttore dell’istituto bancario, non già prova del ruolo di vittima inconsapevole del D.S. , prospettato nel ricorso. Il che preclude la possibilità di ritenere il vizio di motivazione che, nel sindacato di questa corte sui provvedimenti di riesame delle misure cautelari reali, è limitato – vale ribadirlo – alla violazione di legge e quindi alla mancanza totale delle ragioni della decisione.
34. Non è maggiormente fondata la questione della mancata giustificazione del fumus della partecipazione dell’indagato all’associazione per delinquere. Infatti, oltre alla lunga motivazione in punto di esistenza del sodalizio, della quale anche il ricorrente da atto, il tribunale non ha mancato di evidenziare i profili attinenti alla partecipazione ad essa del Di Stefano. Ha invero sottolineato il contributo di questi al raggiungimento delle fondamentali finalità dell’associazione e in particolare, attraverso le operazioni di portage, che avevano consentito il parcheggio di oltre il 20% di azioni proprie TERCAS presso pochi grandi gruppi finanziari, tra i quali quello del D.S. , l’elusione di divieti e vincoli normativi con l’effetto di un’infedele rappresentazione dell’attivo aziendale e della quantificazione del patrimonio di garanzia. Quest’ultimo era di fatto sceso sotto il limite minimo per effetto della mancata detrazione dal portafoglio “azioni proprie” di quelle, di importo superiore al limite del 10% del capitale, fatte figurare come cedute a terzi, ma in realtà collocate presso soggetti di comodo – tra i quali il gruppo D.S. -, e quindi nella sostanziale disponibilità di TERCAS e per essa del D.M. .
35. L’ordinanza ha pure ricordato la partecipazione dell’indagato alla scalata della SMIB tramite finanziamento TERCAS e utilizzo di azioni proprie TERCAS parcheggiate presso il suo gruppo, nonché i finanziamenti a tale gruppo per importi ingenti (oltre 49 milioni di Euro in sofferenza, come sopra ricordato al momento del commissariamento della banca), erogati senza le necessarie garanzie.
36. Il provvedimento impugnato supera poi indenne la censura di mancato esame dei motivi di riesame formulati in udienza in ordine agli altri capi d’incolpazione provvisoria, esame che deve ovviamente riguardare, per l’indirizzo giurisprudenziale sopra ricordato, non necessariamente tutti gli argomenti difensivi, ma solo quelli atti ad incidere sul fumus.
37. Quanto al capo B) (ostacolo alle funzioni di vigilanza), l’assunto che il D.S. fosse inconsapevole delle comunicazioni effettuate dalla TERCAS all’autorità di vigilanza, va esaminato alla stregua dell’orientamento secondo cui, ai fini dell’affermazione del fumus commissi delicti del reato proprio contestato anche a soggetti che non rivestono la qualifica tipica, è necessario in primo luogo che il giudice motivi sull’elemento psicologico dell’autore proprio, atteso che la sua mancanza impedisce la stessa astratta configurabilità del predetto reato (Cass. 31382/2011). Ciò posto, la doglianza risulta neutralizzata dalla circostanza della sicura coscienza e volontà dell’autore proprio del reato (D.M. ) di ostacolare le funzioni di vigilanza, cui deve accompagnarsi il rilievo, ai fini della ricostruzione, a livello di fumus, dell’elemento psicologico del D.S. , che questi apparteneva alla ristretta cerchia di soggetti, vicini al D.M. e coindagati di partecipazione alla stessa associazione, detentori di comodo del pacchetto delle azioni proprie TERCAS proprio allo scopo di consentire l’elusione dei controlli relativi al patrimonio di vigilanza della banca.
38. Mentre, quanto all’appropriazione dei finanziamenti di cui al capo C), la tesi che il gruppo D.S. avesse i requisiti per ottenerli risulta smentita da quanto già osservato in ordine alle capacità di rimborso del gruppo stesso, titolare di un’enorme esposizione verso TERCAS al momento del commissariamento di questa.
39. Del tutto aspecifico è poi l’assunto del ricorrente secondo il quale la sua consapevole partecipazione all’appropriazione indebita (capo D), sarebbe smentita dalla documentata ricostruzione delle vicende relative all’emissione dell’assegno di Euro 1.680.000 in data 24-3-2009 e all’erogazione del finanziamento per due milioni e mezzo di Euro nel maggio 2011. Per contro il tribunale ha ricostruito puntualmente, con esito negativo per l’indagato, entrambe le vicende, osservando, quanto all’assegno, come la relativa somma fosse uscita dal conto corrente del D.S. – alimentato da linee di credito concesse da TERCAS – con assegno intestato alla C. , compagna del D.M. , del quale 50mila Euro erano stati bonificati al D.M. stesso e il resto a Nettuno Fiduciaria srl e da questa a Immobiliare Tolstoj di cui la C. era socia al 99%, e il D.M. dominus sostanziale, come da lui stesso riconosciuto. Mentre l’erogazione del finanziamento al Di Stefano per due milioni e mezzo di Euro nel maggio 2011 era risultata finalizzata all’acquisto di partecipazioni nella SMIB, effettuato per altri 7 milioni e mezzo con azioni TERCAS parcheggiate presso il gruppo D.S. , così in sostanza assicurando alla TERCAS, sotto lo schermo compiacente dell’apparente compagine rappresentata da D.S. , C. e Di.Ma. , la scalata alla banca sammarinese.
40. Del pari inammissibile il generico assunto, quanto al fumus dei reati sub G) ed H) (bancarotta fraudolenta), della totale estraneità del D.S. alle operazioni bancarie relative all’acquisto delle quote del fondo Diaphora. Invero, in ordine al capo G), risulta dall’ordinanza che con la dismissione di azioni TERCAS acquistate dalla FINCENTRO UNO srl del Di Stefano con operazione di portage, erano state acquistate quote del fondo Diaphora 1 dalla DIMA Costruzioni, poi fallita, la quale aveva girato gran parte del corrispettivo a SMIB per il pagamento preferenziale di un proprio debito. Mentre, quanto al capo H), risulta dall’ordinanza che, sempre mediante la dismissione di azioni TERCAS della Fincentro, quest’ultima aveva acquistato otto quote “Diaf” dalla DIERRECI Costruzioni spa.
41. Al rigetto dei ricorsi C. , S. e D.S. seguono le statuizioni di condanna alle spese dei ricorrenti, alla declaratoria di inammissibilità del ricorso nell’interesse del D.M. quelle di cui all’art. 616 cod. proc. pen., determinandosi in Euro 1000, in ragione della natura delle questioni dedotte, la somma da corrispondere alla Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso di D.M.A. e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000 in favore della Cassa delle Ammende.
Rigetta i ricorsi di S. , C. e D.S. e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali.

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