locazione bis

Suprema Corte di Cassazione

sezione III

sentenza 14 gennaio 2014, n. 530

Svolgimento del processo

La presente controversia è sorta a seguito della risoluzione di contratto di locazione ad uso commerciale per inadempimento della conduttrice World Pharm Resource s.r.l. (di seguito brevemente W.P.R. s.r.l.) e ha per oggetto la pretesa di risarcimento fatta valere dalla locatrice s.s. Rosada in ragione dei canoni e oneri accessori rimasti insoluti successivi all’intimazione di convalida sino al rilascio dell’immobile avvenuto in data 15.04.2002 e dei maggiori danni asseritamente derivati per la mancata locazione dell’immobile nel periodo successivo al rilascio sino alla data del 19.02.2003 in cui lo stesso immobile era stato venduto.
Le pretese risarcitorie dell’attrice venivano accolte con sentenza n. 6833 del 2004 con la quale l’adito Tribunale di Milano condannava la W.P.R. al pagamento della somma di Euro 16.580,41, oltre accessori; ma la Corte di appello di Milano – accogliendo per quanto di ragione l’impugnazione della W.P.R. s.r.l. – riduceva la somma da questa dovuta per sorte capitale alla s.s. Rosada ad Euro 2.162,66, con esclusione, dunque, dell’ulteriore somma di Euro 14.417,75, riconosciuta dal primo giudice a titolo di mancato reddito fino al momento in cui l’immobile era stato venduto; compensava parzialmente le spese processuali, fermo il resto.
Avverso detta sentenza ha proposto ricorso per cassazione la s.s. Rosada, svolgendo due motivi.
Ha resistito la World Pharm Resource, depositando controricorso, deducendo l’inammissibilità e, comunque,
l’infondatezza del ricorso.

Motivi della decisione

1. Con i motivo di ricorso parte ricorrente denuncia: 1) violazione o falsa applicazione degli artt. 1453 e 1223 cod. civ. (art. 360 n. 3 cod. proc. civ.), per non avere considerato la Corte di appello che il diritto al risarcimento del danno da essa lamentato per il mancato reddito si fondava sul fatto dell’intervenuta risoluzione per inadempimento imputabile alla parte conduttrice; 2) violazione o falsa applicazione dell’art. 1227 co. 2 cod. proc. civ., per essere stato erroneamente configurato, in relazione alla norma indicata, un onere probatorio a carico di essa parte locatrice (art. 360 n.3 cod. proc. civ.).
1.1. Alla conclusione del ricorso vengono formulati i seguenti quesiti: 1) “dica la Suprema Corte se al locatore spetta il risarcimento del danno se la risoluzione anticipata del contratto di locazione è addebitatile all’inadempimento colposo del conduttore e se, in tale circostanza, il risarcimento deve comprendere i canoni dovuti sino alla scadenza naturale del contratto di locazione o alla vendita dello stesso”; 2) “dica la Suprema Corte se sia onere del conduttore inadempiente, il quale pretende di non risarcire in tutto o in parte il locatore per la risoluzione anticipata del contratto di locazione, di provare il concorso del fatto colposo del locatore nella produzione dell’evento dannoso, costituito dal mancato guadagno per l’accertata mancata locazione dell’immobile successivamente al suo rilascio”.
È il caso di precisare che – contrariamente a quanto opinato da parte resistente – i suddetti quesiti, per l’ordine in cui sono riportati, sono chiaramente riferibili ognuno ai motivi esposti nel medesimo ordine, i quali, peraltro, come si vedrà di seguito, sono strettamente connessi. D’altra parte la previsione della norma dell’art. 366 bis cod. proc. civ. (applicabile ratione temporis nella specie), laddove esige che l’esposizione del motivo si debba concludere con il quesito di diritto, non significa che il quesito debba topograficamente essere inserito alla fine della esposizione di ciascun motivo (potendo esserlo anche alla fine del ricorso), sempreché sia chiara, come nella specie, la sua riferibilità al singolo motivo.
2.2. I motivi di ricorso, che per l’evidente interrelazione si esaminano congiuntamente, attengono al punto della decisione in cui è stata negato, a titolo risarcimento del danno per la risoluzione anticipata della locazione, il pagamento di una somma corrispondente all’importo dei canoni che sarebbero stati percepiti sino alla naturale scadenza del rapporto (e più esattamente, sino al momento, antecedente a tale scadenza, della vendita a terzi dell’immobile); in particolare le censure si incentrano sul punto in cui la Corte territoriale sottolinea che la proprietaria locatrice non aveva provato e neppure dedotto di essersi attivata per evitare o almeno limitare il danno in ossequio a quanto previsto dall’art. 1227 co. 2 cod. civ., quantomeno cercando, senza successo, di reperire un altro conduttore oppure riuscendo a concludere un altro contratto, ma per un canone di minore entità.
Orbene i suddetti motivi ed i relativi quesiti di diritto (segnatamente laddove alludono al difetto di prova del “fatto colposo” del creditore che è ipotesi, contemplata dal comma 1 dell’art. 1227 cod. civ., sicuramente estranea al ragionamento a sostegno della decisione) per un verso, non pongono in discussione la premessa da cui muove la Corte territoriale – e, cioè non l’essere stato neppure dedotto dalla parte locatrice che l’immobile, dopo la risoluzione anticipata, fosse stato nuovamente posto sul mercato delle locazione – e, per altro verso, non colgono l’effettiva ratio decidendi, che si racchiude nel rilievo che “la semplice circostanza che l’immobile non sia stato più locato non può fondare, di per sé, il diritto al risarcimento” (così a pag. 14 della decisione impugnata).
2.3. Ciò precisato, ritiene il Collegio che la decisione sicuramente conforme a diritto, laddove esclude qualsiasi automatismo tra la mancata locazione del bene e la pretesa risarcitoria, richieda di essere puntualizzata e integrata, nel punto in cui la Corte territoriale, facendo leva sul disposto del comma 2 dell’art. 1227 cod. civ., sembrerebbe alludere ad un’eccezione in senso stretto che andava opposta e provata dal debitore che intenda avvalersene.
In via di principio si osserva che l’art. 1453 cod. civ. – facendo salvo, in ogni caso, il diritto della parte adempiente, che chiede la risoluzione del contratto per inadempimento della controparte, al risarcimento dei danni – ricomprende, tra i danni risarcibili, anche il mancato guadagno, se e in quanto costituisca conseguenza immediata e diretta ex art. 1223 cod. civ. dell’evento risolutivo. Tale pregiudizio si esprime, per l’appunto, nell’incremento patrimoniale netto che la parte non inadempiente avrebbe conseguito mediante la realizzazione del contratto e che non ha potuto conseguire per la inadempienza dell’altra parte.
Si tratta di un danno potenziale e futuro, la cui concreta risarcibilità, sulla base del criterio liquido degli introiti non riscossi, postula l’effettività della lesione dell’interesse del creditore all’esecuzione del contratto; il che comporta – con specifico riferimento a fattispecie, come quella che ci occupa, della risoluzione della locazione per inadempimento dell’obbligazione di pagamento dei canoni da parte del conduttore – che la mancata percezione di un canone mensile, nel periodo successivo al rilascio per effetto della pronuncia risolutiva, sia dipesa da causa diversa dalla volontà del locatore di non locare nuovamente l’immobile.
In altri termini – una volta intervenuta la risoluzione anticipata per inadempimento del conduttore e cessata, altresì, l’occupazione dell’immobile – il danno risarcibile al locatore (id est, l’effetto pregiudizievole, conseguente alla risoluzione anticipata) a titolo di lucro cessante è rappresentato dalla mancata percezione di un introito mensile per tutto il tempo presumibilmente necessario per poterlo nuovamente locare, in relazione al quale un obiettivo parametro di riferimento può essere utilmente individuato, salvo prova diversa, nel periodo di preavviso previsto per il recesso del conduttore. Il che postula che, una volta ottenuta la disponibilità materiale del bene, il locatore abbia effettivamente rimesso l’immobile sul mercato delle locazioni, non essendo, altrimenti, possibile profilare l’esistenza di un danno che trovi fonte nell’inadempimento del debitore.
Inoltre – in applicazione del principio generale che onera la parte creditrice della specifica dimostrazione dell’esistenza del danno – deve ritenersi che gravi sul locatore l’onere della prova di avere inutilmente tentato di locare l’immobile ovvero della sussistenza di altre analoghe situazioni pregiudizievoli (come ad es. il reperimento di offerte di locazione meno vantaggiose), dando conto dei concreti propositi di utilizzazione dell’immobile, atteso che la relativa dimostrazione, anche in ragione del criterio di vicinanza della prova, non può far carico al conduttore.
In tale prospettiva il richiamo all’art. 1227 co. 2 cod. civ., contenuto nella decisione impugnata ha un valore meramente descrittivo del criterio da seguire nell’apprezzamento della condotta delle parti, in coerenza con la clausola generale di cui agli artt. 1175 e 1375 cod. civ. che presiede la materia delle obbligazioni e, prima ancora di profilare una riduzione dell’area risarcibile in ragione dell’evitabilità del danno, risulta assorbito dal rilievo dell’inesistenza dello stesso danno risarcibile per il mero fatto della mancata locazione, atteso che tale circostanza -in difetto di prova, necessariamente incombente alla parte istante, in ordine alle determinazioni assunte circa l’utilizzo dell’immobile – non può automaticamente ascriversi all’evento risolutivo imputato al conduttore.
In conclusione il ricorso va rigettato.
Si ravvisano giusti motivi ex art. 92 cod. proc. civ. (qui applicabile nel testo originario, anteriore alla legge n. 263 del 2005) per compensare interamente tra le parti le spese del giudizio di legittimità, avuto riguardo all’oggettiva difficoltà della questione, evidenziata anche dall’esigenza di integrazione e precisazione della motivazione della decisione impugnata.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e compensa interamente tra le parti le spese del giudizio di cassazione.

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