Suprema Corte di Cassazione
sezione III
sentenza 28 novembre 2013, n. 26693
Svolgimento del processo
G..C. convenne in giudizio, dinanzi al Giudice di Pace di Pisticci, N..R. e la di lei assicuratrice Generali Assicurazioni s.p.a., esponendo che la prima, mentre alla guida di una Fiat Punto effettuava una manovra di parcheggio, aveva urtato contro il suo motociclo in sosta cagionandogli danni per complessivi Euro 5.007,84, come da preventivo in atti trasmesso alla compagnia assicuratrice.
Precisò inoltre che, a seguito del sinistro, era stata sottoscritta la constatazione amichevole fra le parti, consegnata alla compagnia dell’attore che aveva espletato una perizia di accertamento sul motociclo senza tuttavia effettuare alcuna offerta.
Per tali ragioni G..C. chiese al Giudice di Pace di condannare in solido i convenuti al risarcimento dei danni nella misura di Euro 5.007,84, oltre accessori.
I convenuti non si costituirono e all’udienza del 13 giugno 2002 venne dichiarata la loro contumacia.
Con comparsa depositata all’udienza del 20 gennaio 2003 si costituì la compagnia convenuta chiedendo il rigetto della domanda attrice, oltre vittoria di spese.
La Generali contestò tale domanda sia nell’an che nel quantum.
Il Giudice di Pace di Pisticci, con sentenza n. 425/2003, rigettò la domanda del C. condannandolo al pagamento delle spese processuali in favore della Generali.
Propose appello G..C. .
Si costituì la compagnia convenuta.
Il Giudice Unico del Tribunale di Matera ha dichiarato la contumacia dell’appellata N..R. ed ha rigettato l’appello compensando fra le parti le spese del grado.
Propone ricorso per cassazione G..C. con sette motivi.
Resiste con controricorso e propone ricorso incidentale con tre motivi la Assicurazioni Generali s.p.a. che presenta memoria.
Resiste con controricorso al ricorso incidentale C.G. .
Motivi della decisione
I ricorsi sono riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..
Con il primo motivo del ricorso principale C.G. denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 2056 comma 1 c.c. e dell’articolo 1226 c.c., (ai sensi dell’art. 360 n. 3 c.p.c.)”.
Sostiene il ricorrente che il Tribunale di Matera ha violato gli artt. 2056 e 1226 c.c. in quanto ha considerato privo di rilevanza probatoria il preventivo di riparazione da lui stesso prodotto in giudizio. Tale preventivo invece, a suo avviso, assume valore di piena prova essendo stato confermato da colui che lo ha redatto e trovando ulteriore conferma in una perizia tecnica il cui contenuto non è stato contestato da controparte.
Il motivo è infondato.
Premesso che le valutazioni di cui si duole il ricorrente vertono su accertamenti di fatto non sindacabili in sede di legittimità, deve ritenersi comunque corretta la tesi dell’impugnata sentenza secondo la quale il suddetto preventivo non può avere valore di prova perché effettuato da soggetto estraneo alla presente controversia; perché la prova testimoniale sul punto appare generica; perché il medesimo preventivo non è corroborato da altri elementi quali il listino prezzi relativo ai pezzi di ricambio del motociclo e soprattutto dalle fotografie dello stesso, mai esibite nel corso del giudizio di primo grado o in appello, che avrebbero consentito sia di fissare lo stato del mezzo nei giorni immediatamente seguenti al sinistro, sia di verificare la compatibilità dei danni occorsi con la dinamica dell’incidente descritta nel CID, ivi compresa l’eventuale esistenza di altri danni preesistenti al sinistro stesso.
Ciò anche ai fini della verifica del nesso causale tra l’evento e il danno, tenuto conto del tipo di manovra effettuata dal convenuto (retromarcia con velocità di partenza pari a zero) e della posizione di quiete del motociclo.
Va peraltro rilevato che il consulente non ha potuto accertare il danno in quanto, come risulta dalla stessa c.t.u. e dalla documentazione allegata, la motocicletta del C. è stata venduta da quest’ultimo a terzi in data 14 febbraio 2002, mentre l’attore nulla ha precisato circa il momento della consegna del mezzo all’avente causa.
Con il secondo motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1226 c.c. (ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.)”.
Sostiene parte ricorrente che il Tribunale di Matera ha errato nell’applicazione dell’art. 1226 c.c. e nel ritenere che tale disposizione abbia carattere di “chiusura”, trovando applicazione solo quando non sia altrimenti possibile stimare il danno, ovvero ci si trovi nella oggettiva impossibilità di farlo. Ad avviso del C. , invece, affinché si possa applicare la suddetta norma è soltanto necessario che risulti provato il verificarsi di un danno risarcibile, anche ove gli elementi dimostrativi forniti dal danneggiato manchino di sicura efficacia probatoria.
Il motivo è inammissibile in quanto privo del quesito di diritto.
Infatti, giusta la testuale previsione dell’art. 366 bis c.p.c. [introdotto, con decorrenza dal 2 marzo 2006, dall’art. 6 del d.lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, abrogato con decorrenza dal 4 luglio 2009 dall’art. 47 della l. 18 giugno 2009, n. 69 e applicabile ai ricorsi proposti avverso le sentenze pubblicate fra il 3 marzo 2006 e il 4 luglio 2009 (cfr. art. 58, comma 5 della l. n. 69 del 2009) e, quindi, anche nella specie, atteso che la sentenza impugnata è stata pubblicata il 12 febbraio 2007], nei casi previsti dall’art. 360, 1 comma, nn. 1, 2, 3 e 4, l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena di inammissibilità, con la formulazione di un quesito di diritto.
Il motivo è comunque infondato in quanto l’esercizio del potere discrezionale di liquidare il danno in via equitativa, conferito al giudice dagli artt. 1226 e 2056 c.c., espressione del più generale potere di cui all’art. 115 c.p.c., da luogo non già ad un giudizio di equità, ma ad un giudizio di diritto caratterizzato dalla cosiddetta equità giudiziale correttiva od integrativa la quale presuppone l’avvenuta prova dell’esistenza di danni risarcibili e l’obiettiva impossibilità o particolare difficoltà, per la parte interessata, di provare il danno nel suo preciso ammontare; non è possibile, invece, in tal modo, surrogare il mancato accertamento della responsabilità del debitore o la prova dell’esistenza del danno (Cass., 30 aprile 2010, n. 10607; Cass., 19 dicembre 2011, n. 27447).
Nella specie, come risulta dall’impugnata sentenza il C. non ha provato, come era suo onere, l’obiettiva esistenza del danno che assume di aver subito.
Con il terzo motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2056 – 2727 – 2728 – 2729 c.c., (ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.)”.
Secondo parte ricorrente il Tribunale ha errato nella valutazione della perizia redatta da un tecnico dalla Fondiaria – Sai, compagnia assicuratrice del motorino, in quanto, da un lato, non ha considerato tale perizia fonte di prova e neanche elemento di prova nella formazione del suo convincimento; dall’altro, ha ritenuto che, ove fossero state prodotte le foto scattate dal suddetto perito, le stesse avrebbero potuto essere valutate come prova.
Tale ragionamento del Tribunale è, secondo il C. , contraddittorio in quanto sia le foto che la perizia costituiscono prove documentali dello stesso valore ed anzi la perizia ha maggior valore probatorio in quanto espletata da un tecnico qualificato ed è rappresentativa dei danni e della relativa stima.
Inoltre, prosegue il ricorrente, la compagnia convenuta non ha contestato le risultanze della suddetta perizia.
Il motivo è infondato.
Al riguardo deve anzitutto rilevarsi che, con la proposizione del ricorso per Cassazione, il ricorrente non può rimettere in discussione, contrapponendone uno difforme, l’apprezzamento in fatto dei giudici del merito, tratto dall’analisi degli elementi di valutazione disponibili ed in sé coerente. L’apprezzamento dei fatti e delle prove, infatti, è sottratto al sindacato di legittimità, dal momento che nell’ambito di detto sindacato, non è conferito il potere di riesaminare e valutare il merito della causa, ma solo quello di controllare, sotto il profilo logico formale e della correttezza giuridica, l’esame e la valutazione fatta dal giudice di merito, cui resta riservato il potere di individuare le fonti del proprio convincimento e, all’uopo, di valutare le prove, controllarne attendibilità e concludenza e scegliere, tra le risultanze probatorie, quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione (Cass., 6 aprile 2011, n. 7921).
Avvalendosi di tale discrezionalità la sentenza impugnata ha esaminato e valutato tutti gli elementi probatori acquisiti e ritenuti rilevanti ai fini del decidere ed ha stabilito, con congrua motivazione, che il preventivo di riparazione, redatto da un terzo, non è da solo idoneo a provare il danno.
Si deve peraltro rilevare che la contestazione della perizia non era necessaria sia perché ne era stata contestata la tardività, sia perché tale documento non era stato formato dalle Generali ma da terze persone, ossia dal perito della Sai rimasto estraneo al presente giudizio.
Con il quarto motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione degli articoli 2727 – 2728 – 2729 c.c., (ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.)”.
Deduce G..C. che il Tribunale di Matera, in violazione dell’art. 2728 c.c., ha errato nella valutazione del depositato atto di vendita del motociclo, non ritenendo che lo stesso assume valore di prova a tutti gli effetti, essendo stato sottoscritto innanzi ad un notaio, prodotto in giudizio e non contestato dalla controparte.
Tale atto di vendita, ad avviso del ricorrente, fa piena prova del prezzo di vendita del veicolo e del conseguente effettivo danno da lui subito in conseguenza del sinistro per cui è causa.
Il motivo è infondato.
Parte ricorrente infatti non ha fornito alcuna indicazione circa il suddetto prezzo di vendita né, soprattutto, ha dimostrato che lo stesso fu inferiore al dovuto a causa dei danni subiti nel sinistro del motociclo.
Con il quinto motivo si denuncia “Violazione e/o falsa applicazione dell’art. 3 e 5 del D.L. 856/77 e succ. modif. e integraz., (ai sensi dell’art. 360, n. 3 c.p.c.)”.
Ad avviso del ricorrente il Tribunale di Matera ha errato nel ritenere che sia stato violato l’obbligo di messa a disposizione del veicolo per l’eventuale accertamento dei danni da parte della convenuta compagnia assicurativa.
Infatti, sostiene il C. , l’incidente avvenne il 19 gennaio 2002 ed in tale data fu sottoscritto il CID, una copia del quale fu consegnata da ciascuno dei sottoscrittori alla propria compagnia assicuratrice. Ciascuna compagnia, dalla data della consegna, fu quindi in condizione di porre in essere ogni attività di accertamento e rilievo.
L’8 febbraio 2002 fu inviata all’Ufficio Sinistri della Generali la diffida con richiesta di risarcimento dei danni, con espressa indicazione che il motociclo si trovava in officina, a disposizione per una eventuale perizia tecnica, nei 7 giorni successivi all’invio della diffida stessa.
Il 14 febbraio 2002 il motociclo fu venduto, ma restò sempre in officina. Solo dopo aver ricevuto l’atto di citazione, il 18 aprile 2002, a distanza di oltre due mesi dalla ricezione della diffida ed a tre mesi dal sinistro, la Generali conferì incarico per procedere alla perizia di accertamento dei danni. Tale perizia non fu espletata ma parte attrice rimase a disposizione per fornire ogni utile informazione talché non si può ritenere, secondo parte ricorrente, che la vendita del motociclo abbia pregiudicato la possibilità per la Generali di effettuare i propri accertamenti.
Il motivo è infondato.
La motocicletta del C. fu infatti venduta da quest’ultimo a terzi in data 14 febbraio 2002, ossia durante il termine ex art. 3 d.l. 857/76 – come modificato dalla l. 39/77 -, che, nella specie, scadeva il 18 febbraio 2002.
Conseguentemente secondo l’impugnata sentenza, non essendo decorso il suddetto termine, il trasferimento a terzi della proprietà del bene comportò maggiori difficoltà nella verifica dei danni in quanto la motocicletta certamente sarebbe stata riparata e poi utilizzata dall’acquirente, con incidenza del trascorrere del tempo sulla possibilità di effettuare in futuro le richiamate verifiche tecniche.
Sarebbe stato comunque opportuno, prima della vendita, che il C. avesse provveduto ad effettuare le foto del motociclo per consentire di verificarne i danni e soprattutto la loro compatibilità con il sinistro per cui è causa.
Con il sesto motivo si denuncia “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la prova del danno (ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c.)”.
Sostiene il ricorrente che il Tribunale di Matera ha errato nel ritenere il preventivo insufficiente ai fini della dimostrazione del danno e che nessuna norma impone all’uopo la produzione di fotografie. Anzi, prosegue il C. , argomentando a contrario dalla sentenza di questa Corte n. 16254/2005, il Giudice non poteva discostarsi dal detto preventivo poiché la conferma di quest’ultimo è da considerare alla stregua della produzione di fotografie.
Afferma ancora il ricorrente: di aver prodotto un listino prezzi del valore dell’usato e di aver venduto il veicolo con un deprezzamento pari all’incirca all’importo determinato nel preventivo; che il perito della Fondiaria – Sai ha attribuito al motociclo un valore commerciale di Euro 6.559,00 definendo lo stato d’uso di quest’ultimo “ottimo”, quantificando il danno in Euro 3.537,00 ed il fermo tecnico in 4 giorni; che il Tribunale ha operato un travisamento dei fatti ed ha dato rilievo ad una Ctu “svincolata assolutamente da valutazioni tecniche” e fondata “solo ed esclusivamente su valutazioni soggettive estranee ad un Ctu”; che il Tribunale ha considerato il termine concesso alla compagnia di assicurazioni in 60 giorni senza tener conto che quest’ultima ha oltrepassato abbondantemente tale termine, avendo conferito l’incarico peritale il 18 aprile 2002.
In conclusione, secondo il ricorrente, il Tribunale ha errato nell’affermare che si è verificata una potenziale difficoltà di accertamento dei danni da parte della Generali s.p.a. in quanto i dati processuali dimostrano che la stessa è stata posta in grado di espletare agevolmente la perizia e che vi ha “dolosamente” rinunciato.
Con il settimo motivo si denuncia “Omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa la statuizione sulle spese processuali (ai sensi dell’art. 360, n. 5 c.p.c.)”.
Lamenta parte ricorrente che il Tribunale di Matera ha ritenuto di compensare soltanto le spese del giudizio di appello, pur avendo accertato il verificarsi del sinistro (ma negando che sia stato provato il danno).
Il Tribunale ha poi omesso di pronunciarsi sullo specifico punto oggetto di appello e relativo alla condanna del ricorrente alle spese processuali da parte del Giudice di Pace. Né ha di conseguenza specificato perché non ha ritenuto di compensare le spese del primo grado.
Il due motivi (sesto e settimo) sono inammissibili.
Questa Corte regolatrice – alla stregua della letterale formulazione dell’art. 366 bis c.p.c. ratione temporis applicabile al ricorso in esame – è infatti fermissima nel ritenere che, a seguito della novella del 2006, nel caso previsto dall’art. 360 n. 5 c.p.c. (allorché, cioè, il ricorrente denunzi la sentenza impugnata lamentando un vizio della motivazione), l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilità, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione: ciò importa in particolare che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilità (Cass., sez. un., 1 ottobre 2007, n. 20603). Al riguardo non è sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che è indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso che si presenti a ciò specificamente e riassuntivamente destinata.
Conclusivamente, non potendosi dubitare che allorché nel ricorso per cassazione si lamenti un vizio di motivazione della sentenza impugnata in merito ad un fatto controverso, l’onere di indicare chiaramente tale fatto, ovvero le ragioni per le quali la motivazione è insufficiente, imposto dall’art. 366 bis c.p.c., deve essere adempiuto non già e non solo illustrando il relativo motivo di ricorso ma formulando, al termine di esso, una indicazione, riassuntiva e sintetica, che costituisca un quid pluris rispetto all’illustrazione del motivo e che consenta al giudice di valutare immediatamente l’ammissibilità del ricorso (Cass. 7 aprile 2008, n. 8897).
Facendo applicazione dei riferiti principi al caso di specie è agevole osservare che il ricorso in esame è privo della chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero delle ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.
Con il primo motivo del ricorso incidentale la Generali s.p.a. denuncia “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto di cui all’art. 360 n. 3 c.p.c, con riferimento agli articoli 2697 e 2729”.
Sostiene la ricorrente che il giudice di seconde cure ha errato nell’affermare che non sia stata fornita la prova contraria rispetto a quanto dichiarato nel Cid e che non esiste comunque alcuna prova che il sinistro stesso si sia verificato.
Il motivo deve essere rigettato.
In particolare, per quanto riguarda il valore probatorio del Cid, si deve osservare che la dichiarazione confessoria, contenuta in tale modulo, resa dal responsabile del danno, proprietario del veicolo assicurato, non ha valore di piena prova nemmeno nei confronti del solo confitente, ma deve essere liberamente apprezzata dal giudice, dovendo trovare applicazione la norma di cui all’art. 2733, terzo comma, c.c., secondo la quale, in caso di litisconsorzio necessario, la confessione resa da alcuni soltanto dei litisconsorti è liberamente apprezzata dal giudice (Cass., 13 febbraio 2013, n. 3567).
Nella specie la sentenza impugnata ha esaminato tutti gli elementi probatori emersi in corso di causa e, con congrua motivazione insindacabile in sede di legittimità, ha sostenuto che la compagnia assicuratrice non ha fornito la prova contraria relativa al mancato verificarsi del sinistro.
Con il secondo motivo del ricorso incidentale la Generali s.p.a. denuncia “Omessa o insufficiente motivazione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., con riferimento all’articolo 2697 c.p.c.”.
Sostiene in particolare la ricorrente che la motivazione dell’impugnata sentenza è insufficiente su un punto decisivo della controversia per non aver in alcun modo scalfito le risultanze della C.t.u. la quale anzi, a p. 7 della stessa sentenza, viene ritenuta “condivisibile”.
Con il terzo motivo del ricorso incidentale parte ricorrente denuncia “Omessa o insufficiente motivazione di cui all’art. 360 n. 5 c.p.c., con riferimento all’articolo 92 c.p.c.”.
Si sostiene che l’impugnata sentenza va cassata e decisa direttamente anche per quel che riguarda la compensazione delle spese giudiziali, ritenuta ingiusta in quanto vi è stata una soccombenza del C. anche innanzi al Tribunale di Matera.
I due motivi (secondo e terzo) sono inammissibili in quanto la loro illustrazione non contiene, ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., ratione temporis applicabile al ricorso in esame, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione.
In conclusione i ricorsi riuniti devono essere rigettati mentre, in ragione della reciproca soccombenza, devono essere compensate le spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte riunisce i ricorsi e li rigetta con compensazione delle spese del giudizio di cassazione.
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