Vizio di ultrapetizione ove il giudice pronunci una sentenza di condanna dell’obbligato al pagamento di somma maggiore rispetto a quella domandata dal creditore

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|9 febbraio 2023| n. 4011.

Vizio di ultrapetizione ove il giudice pronunci una sentenza di condanna dell’obbligato al pagamento di somma maggiore rispetto a quella domandata dal creditore

Ricorre il vizio di ultrapetizione ove il giudice pronunci una sentenza di condanna dell’obbligato al pagamento di somma maggiore rispetto a quella domandata dal creditore (Nel caso di specie, relativo ad una controversia insorta nell’ambito di un contratto di appalto avente ad oggetto l’esecuzione di lavori di ristrutturazione di due immobili, la Suprema Corte, accogliendo il ricorso proposto dalla committente, ha cassato con rinvio la sentenza impugnata, con la quale la corte del merito aveva accolto parzialmente sia l’appello principale dell’appaltatrice che quello incidentale della committente medesima, e pertanto, in parziale riforma della sentenza di primo grado, condannato la ricorrente a pagare alla controricorrente un importo comprensivo di IVA oltre interessi legali condannando al contempo quest’ultima a pagare alla prima altro importo oltre IVA ed interessi; nella circostanza, infatti, la somma originariamente richiesta in via monitoria dalla società appaltatrice creditrice era pari ad euro 66.166,19, Iva inclusa, mentre, all’esito del gravame, il giudice d’appello aveva condannato la committente a pagare una somma pari ad euro 67.552,18, anch’esso comprensivo di IVA, e pertanto di importo maggiore rispetto a quello domandato). (Riferimenti giurisprudenziali: Cassazione, sezione civile I, sentenza 6 dicembre 1978, n. 5755).

Ordinanza|9 febbraio 2023| n. 4011. Vizio di ultrapetizione ove il giudice pronunci una sentenza di condanna dell’obbligato al pagamento di somma maggiore rispetto a quella domandata dal creditore

Data udienza 20 gennaio 2023

Integrale

Tag/parola chiave: APPALTO PRIVATO – CORRISPETTIVO

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ORILIA Lorenzo – Presidente rel.

Dott. FALASCHI Milena – Consigliere

Dott. PAPA Patrizia – Consigliere

Dott. GIANNACCARI Rossana – Consigliere

Dott. TRAPUZZZANO Cesare – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso n. 10125-2018 proposto da:
(OMISSIS), rappresentata e difesa dagli avvocati (OMISSIS) E (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) SRL, rappresentata e difesa dall’avvocato (OMISSIS);
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1444/2017 della Corte d’Appello di Roma, depositata in data 2.3.2017.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 20.1.2023 dal Presidente relatore dott. LORENZO ORILIA.

RITENUTO IN FATTO

Nella lite sorta tra (OMISSIS) e la (OMISSIS) srl, impresa appaltatrice dei lavori di ristrutturazione dei suoi due appartamenti in (OMISSIS) – sfociata in un decreto ingiuntivo per pagamento del saldo dei compensi, opposto dalla committente – la Corte d’Appello di Roma, con sentenza n. 1444/2017 depositata in data 2.3.2017 ha accolto parzialmente sia l’appello principale dell’appaltatrice che quello incidentale della committente e pertanto, in parziale riforma della sentenza di primo grado (Tribunale di Velletri n. 4045/2015) ha condannato la Barbaliscia a pagare alla (OMISSIS) srl la somma di Euro 67.552,16 comprensiva di IVA oltre interessi legali ed ha altresi’ condannato quest’ultima a pagare alla prima la somma di Euro 12.000,00 oltre IVA oltre interessi.
Per giungere a tale soluzione, la Corte d’Appello ha osservato (per quanto ancora interessa in questa sede):
-che il primo e terzo motivo dell’appello incidentale della (OMISSIS) erano inammissibili per difetto di specificita’;
-che il secondo motivo dell’appello incidentale era infondato perche’ dalla consulenza tecnica non erano emerse limitazioni del pieno godimento dell’immobile;
Avverso tale pronuncia ha proposto ricorso per cassazione la committente (OMISSIS) sulla base di quattro motivi, contrastati con controricorso dall’impresa appaltatrice.
In prossimita’ dell’adunanza camerale la ricorrente ha depositato memoria.

Vizio di ultrapetizione ove il giudice pronunci una sentenza di condanna dell’obbligato al pagamento di somma maggiore rispetto a quella domandata dal creditore

CONSIDERATO IN DIRITTO

1 Preliminarmente vanno esaminate le due eccezioni preliminari svolte dalla ricorrente con la memoria ex articolo 380 bis 1 c.p.c..
Si eccepisce innanzitutto l’inammissibilita’ del controricorso per difetto di procura speciale perche’ quella rilasciata a margine del controricorso e’ priva – a dire della ricorrente – di ogni riferimento al giudizio di cassazione e alla sentenza impugnata.
L’eccezione e’ infondata.
Da tempo la giurisprudenza di questa Corte afferma che a differenza della procura speciale rilasciata con atto separato, la quale, oltre ad esprimere la volonta’ della parte di conferire al difensore il potere di proporre l’impugnazione, deve anche menzionare gli elementi essenziali del ricorso (o controricorso) per Cassazione da proporre, la procura rilasciata a margine del ricorso (o del controricorso), per la sua stretta inerenza materiale all’atto sul quale e apposta, rivela di per se ed inequivocabilmente, qualunque sia la formula in concreto adoperata, il necessario riferimento certo all’atto nel quale e incorporata, assumendo cosi il carattere della specialita’ (tra le tante, cfr. Sez. 1, Sentenza n. 3134 del 31/05/1979 Rv. 399492 e poi Sez. 3, Sentenza n. 3693 del 17/06/1982 Rv. 421665; Sez. L, Sentenza n. 4752 del 27/05/1987 Rv. 453399; Sez. 6 – 1, Ordinanza n. 24670 del 03/10/2019 Rv. 655815; Sez. L -, Ordinanza n. 9935 del 28/03/2022 Rv. 664232; Sez. 2 -, Ordinanza n. 27302 del 30/11/2020 Rv. 659726).
Sulla scorta di tali principi, applicabili ovviamente anche al controricorso per cassazione (in virtu’ dell’espresso rinvio contenuto nell’articolo 370 c.p.c., comma 2), la procura rilasciata dalla (OMISSIS) e’ pienamente valida.
Essa infatti e’ incorporata nel controricorso (essendo apposta a margine) e quindi il riferimento al “presente giudizio”, non puo’ che riguardare il giudizio di cassazione menzionato proprio nel frontespizio del controricorso con tutti gli estremi (data di notifica del ricorso, numero e data di pubblicazione della sentenza impugnata).
Si eccepisce inoltre l’inammissibilita’ del controricorso per tardivita’ della notifica.
Anche tale eccezione e’ destituita di fondamento.
A norma dell’articolo 370 c.p.c., comma 1 il controricorso deve essere notificato “entro venti giorni dalla scadenza del termine stabilito per il deposito del ricorso”. L’articolo 369 al comma 1 stabilisce a sua volta che il ricorso deve essere depositato nella cancelleria della Corte nel “termine di giorni venti dall’ultima notificazione”. Coordinando tali disposizioni, il termine di notifica del controricorso e’ dunque quello di 40 giorni dall’ultima notifica del ricorso.
Nel caso in esame il ricorso e’ stato notificato il 27.3.2018, per cui il termine andava a scadere nei 40 giorni successivi, cioe’ il 7.5.2018, lunedi’ (essendo il 5 maggio sabato), con l’ulteriore conseguenza che la notifica avvenuta in data 4.5.2018 era tempestiva.
1.1 Passando adesso all’esame dei motivi di ricorso, col primo di essi si denuncia la violazione dell’articolo 342 c.p.c., per avere la Corte territoriale ritenuto inammissibili il primo e terzo motivo dell’appello incidentale. Rileva che i motivi di gravame aderivano perfettamente ai criteri richiesti al riguardo riporta i principi diritti che disciplinano la proposizione dei motivi di appello ai sensi dell’articolo 342 c.p.c. anche alla luce della giurisprudenza nazionale ed Europea.
Il motivo e’ inammissibile.
In tema di ricorso per cassazione, ove il ricorrente denunci che la sentenza d’appello ha erroneamente dichiarato inammissibile l’impugnazione sul rilievo che il ricorrente aveva impugnato la decisione di primo grado sulla base di motivi non attinenti alle argomentazioni del primo giudice, e’ necessario – per il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione – che l’atto di appello sia trascritto in modo completo (o quantomeno nelle parti salienti) nel ricorso, cosi’ da dimostrare che nel suddetto atto di impugnazione non erano ravvisabili gli errori e la mancata attinenza dei motivi di appello alle motivazioni del giudice di primo grado indicati dal giudice del gravame, dovendosi ritenere, in mancanza, che la Corte non sia posta in grado di valutare la fondatezza e la decisivita’ delle censure alla pronuncia di inammissibilita’, in quanto non abilitata a procedere all’esame diretto degli atti del merito, con conseguente rigetto del ricorso (cfr. tra le tante, Sez. 2 -, Ordinanza n. 23249 del 20/08/2021 Rv. 662072; Sez. L, Sentenza n. 11477 del 12/05/2010 Rv. 613519).
Nel caso in esame, la ricorrente (v. pagg. 10 e ss del ricorso) si dilunga nell’esposizione dei principi in tema di specificita’ dei motivi d’appello ma non si premura di riportare, neppure per le parti di rilievo, il contenuto delle censure che la Corte territoriale ha ritenuto prive di autosufficienza, e tale omissione si rinviene non solo nel corpo del motivo in esame, ma anche nella parte riassuntiva della vicenda processuale, ove (v. ricorso pag. 8) si coglie solo un sommario accenno al titolo delle due doglianze in questione, il cui contenuto vie completamente omesso.
2 – Col secondo motivo la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 115 c.p.c. in relazione all’articolo 360 c.p.c., comma 1 n. 3 e/o 4, per errata e/o omessa valutazione delle prove documentali e testimoniali. Lamenta in particolare la ricorrente un errore di percezione da parte della Corte d’Appello che non ha rilevato l’esistenza di un valido ed efficace accordo sul pagamento della somma di Euro 150.000,00 forfettariamente determinata. Denunzia inoltre la violazione dell’articolo 1226 c.c. rimproverando alla Corte di merito di avere escluso l’esistenza di un danno in re ipsa da liquidare equitativamente per i gravi difetti presenti nelle opere realizzate dall’appaltatore, con particolare riferimento al mancato uso per oltre due anni dei termocamini e alla presenza di umidita’ e muffa che avevano limitato il pieno godimento degli immobili destinati ad abitazione, risultante comunque dagli accertamenti peritali espletati, rispetto ai quali era ravvisabile carenza motivazionale e contraddittorieta’.
Il motivo e’ inammissibile.
Le sezioni unite hanno chiarito che in tema di ricorso per cassazione, per dedurre la violazione dell’articolo 115 c.p.c., occorre denunciare che il giudice, in contraddizione espressa o implicita con
la prescrizione della norma, abbia posto a fondamento della decisione prove non introdotte dalle parti, ma disposte di sua iniziativa fuori dei poteri officiosi riconosciutigli (salvo il dovere di considerare i fatti non contestati e la possibilita’ di ricorrere al notorio), mentre e’ inammissibile la diversa doglianza che egli, nel valutare le prove proposte dalle parti, abbia attribuito maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, essendo tale attivita’ valutativa consentita dall’articolo 116 c.p.c. (cfr. Sez. U -, Sentenza n. 20867 del 30/09/2020 Rv. 659037).
Nel caso in esame, si e’ ovviamente fuori dalla violazione della norma in esame nel senso inteso dalla giurisprudenza, perche’ la critica, a ben vedere, si appunta sulla valutazione del materiale probatorio e sul vizio di motivazione (“carenza motivazionale” e “contraddittorieta’”, per usare proprio le espressioni della ricorrente), laddove si addebita alla Corte di merito di non avere valutato gli accertamenti peritali (v. pag. 20)
Tale apprezzamento non e’ sindacabile perche’ il vizio di motivazione e’ stato espunto dal novero dei vizi denunziabili in cassazione (cfr. l’articolo 360 c.p.c. nella versione applicabile ratione temporis).
Stesse considerazioni valgono per la critica sulla valutazione delle prove (con riferimento alla conclusione di un accordo sul prezzo complessivo di Euro 150.000,00 e l’avvenuto completo pagamento).
Il motivo e’ anche privo di specificita’ laddove, a pag. 17, richiama le deposizioni dei testi senza neppure trascriverne il contenuto.
Quanto al danno in re ipsa, la massima citata (Sentenza n. 9137 del 16/04/2013) si riferisce all’ipotesi dell’occupazione senza titolo di un immobile altrui e quindi a tutt’altra fattispecie rispetto a quella in esame, in cui il giudice di merito, ha valutato il materiale probatorio traendo conseguenze diverse dalle aspettative della parte odierna ricorrente, laddove ha affermato che dalla consulenza tecnica di ufficio non erano emerse limitazioni del pieno godimento dell’immobile in termini di diminuzione di salubrita’, benessere e confort (cfr. pag. 9 sentenza impugnata).
3 Col terzo motivo la ricorrente denuncia la violazione dell’articolo 112 c.p.c. per avere la Corte d’Appello attribuito alla societa’ appaltatrice una somma maggiore rispetto a quella domandata, cosi’ incorrendo nel vizio di ultrapetizione. Rileva al riguardo che col decreto ingiuntivo si era domandato il pagamento dell’importo di e. 55.138,49 oltre IVA (20%) e tale domanda non era mai stata modificata dalla (OMISSIS), che anzi, aveva precisato la gia’ avvenuta decurtazione della somma di Euro 1.155,00 oltre iva, quale importo riconosciuto dall’architetto Barzon nell’accertamento tecnico preventivo. Osserva che la Corte d’Appello, pronunciando condanna al pagamento della somma di e. 67.552,18 comprensiva di Iva, ha inspiegabilmente riconosciuto alla (OMISSIS) srl oltre alla somma richiesta anche l’ulteriore somma di Euro 1.1550,00 oltre IVA (necessaria per eliminare i difetti di funzionamento dei termocamini).
Questo motivo e’ invece fondato.
E’ noto che integra il vizio di ultrapetizione la condanna dell’obbligato al pagamento di somma maggiore rispetto a quella domandata dal creditore.
Nel caso di specie, la somma originariamente richiesta dalla societa’ appaltatrice creditrice era quella di Euro 66.166,19 iva inclusa (cfr. ricorso e decreto ingiuntivo), mentre la Corte d’Appello ha condannato la committente a pagare l’importo di Euro 67.552,18 anch’esso comprensivo di IVA, quindi maggiore di quello domandato.
Tale aumento non e’ chiarito nella sentenza impugnata e non vale oggi opporre (come si legge nel controricorso a pagg. 21 e 22) che tale maggiore importo possa ritenersi neutralizzato dal fatto che la Corte d’Appello abbia comunque condannato l’ (OMISSIS) a corrispondere alla (OMISSIS) la somma di Euro 12.000,00 in luogo degli Euro 8.235,00, sia perche’ si tratta di questione completamente diversa sia perche’ l’importo di 12.000,00 oltre IVA era stato determinato, in subordine, dalla stessa (OMISSIS) come riduzione degli importi per i lavori eseguiti a parziale compensazione del valore degli stessi: pertanto si impone la cassazione della sentenza per nuovo esame.
4 Col quarto motivo la ricorrente denuncia la violazione o falsa applicazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, articoli 113 e 115 c.p.c., per avere la Corte d’Appello determinato una aliquota IVA (20%) diversa dar quella (10%) prevista dalla legge, trattandosi di lavori di ristrutturazione. Richiama al riguardo il Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e la modifica apportata dalla L. 488 del 1999, con cui e’ stata rimossa la distinzione tra piccoli e grandi lavori.
Il motivo e’ inammissibile per due ordini di ragioni:
-innanzitutto, perche’ il ricorso per cassazione con cui si denuncia la violazione di legge in relazione ad un intero corpo di norme e’ inammissibile, precludendo al collegio di individuare la norma che si assume violata o falsamente applicata (cfr. Sez. U, Sentenza n. 17555 del 18/07/2013 Rv. 627252; Sez. 2, Ordinanza n. 801 del 2022 in motivazione; Sez. 2, Ordinanza n. 15033 del 2019 in motivazione; Sez. 2, Ordinanza n. 28766 del 2017 in motivazione): nel caso in esame la ricorrente denunzia appunto la violazione del Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972 e richiama le modifiche apportate dalla L. n. 488 del 1999, ma non si premura di indicare quali sono le disposizioni che si assumono violate o falsamente applicate;
– in secondo luogo perche’ ove una determinata questione giuridica – che implichi un accertamento di fatto – non risulti trattata in alcun modo nella sentenza impugnata, il ricorrente che proponga detta questione in sede di legittimita’ ha l’onere, al fine di evitare una statuizione di inammissibilita’ per novita’ della censura, non solo di allegarne l’avvenuta deduzione innanzi al giudice di merito, ma anche di indicare in quale atto del giudizio precedente vi abbia provveduto, onde dare modo alla Corte di cassazione di controllare “ex actis” la veridicita’ di tale asserzione prima di esaminare nel merito la questione stessa (cfr. tra le varie, Sez. 2 -, Ordinanza n. 2038 del 24/01/2019 Rv. 652251; Sez. L, Sentenza n. 20518 del 28/07/2008 Rv. 604230).
Nel caso in esame, la sentenza non affronta la questione e il ricorso non offre alcuna indicazione su dove e quando la tematica dell’IVA sia stata sottoposta al giudice di appello.
In conclusione, il ricorso va accolto limitatamente al terzo motivo.
Il giudice di rinvio che si individua nella Corte d’Appello di Roma in diversa composizione, verifichera’ la sussistenza del vizio di ultrapetizione e, all’esito, provvedera’ anche sulle spese del presente giudizio di legittimita’.

P.Q.M.

la Corte accoglie il terzo motivo di ricorso e rigetta i restanti; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese del giudizio di legittimita’, alla Corte d’Appello di Roma in diversa composizione.

 

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