Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|10 ottobre 2024| n. 26487.
Violazione norme imperative causa nullità contratto
Massima: In tema di invalidità del contratto per contrarietà a norme imperative, le disposizioni che, anche a prescindere dalla pattuizione delle parti, impongono all’oggetto del contratto determinate caratteristiche sono norme di validità, non già di comportamento dei contraenti, e la loro violazione determina la nullità del negozio per impossibilità (o illiceità) dell’oggetto e non la mera responsabilità da inadempimento. (Fattispecie relativa ad un contratto di vendita e ad un collegato contratto di leasing di un’imbarcazione, realizzata in violazione delle norme CE imponenti determinati requisiti di costruzione e progettazione, posti a tutela dell’interesse generale alla sicurezza della navigazione).
Ordinanza|10 ottobre 2024| n. 26487. Violazione norme imperative causa nullità contratto
Data udienza 14 maggio 2024
Integrale
Tag/parola chiave: Contratti in genere – Invalidita’ – Nullita’ del contratto – In genere contrarietà a norme imperative – Norme che impongono che l’oggetto abbia determinate caratteristiche, anche a prescindere dalla pattuizione delle parti – Impossibilità dell’oggetto – Nullità – Fattispecie.
REPUBBLICA ITALIANA
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA CIVILE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Presidente
Dott. TASSONE Stefania – Consigliere
Dott. CRICENTI Giuseppe – Consigliere Rel.
Dott. MOSCARINI Anna – Consigliere
Dott. GORGONI MARILENA – Consigliere
ha pronunciato la seguente
ORDINANZA
sul ricorso iscritto al n. 21999/2022 R.G. proposto da:
FI.MA., FI.SI., PS.AN., elettivamente domiciliati in ROMA PZZA SA.DE., presso lo studio dell’avvocato BA.MA. (…) rappresentati e difesi dall’avvocato NA.FA. (…)
– ricorrente –
contro
IN.SA. Spa, elettivamente domiciliato in ROMA VIA AN.BR., presso lo studio dell’avvocato FO.AL. (…) rappresentato e difeso dagli avvocati BE.VI. (…), FU.FA. (…)
– controricorrente –
nonché contro
YA. Srl IN LIQUIDAZIONE
– intimato –
avverso SENTENZA di CORTE D’APPELLO ANCONA n. 766/2022 depositata il 14/06/2022.
Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 14/05/2024 dal Consigliere GIUSEPPE CRICENTI.
Violazione norme imperative causa nullità contratto
SVOLGIMENTO DEL PROCESSO
1. – I sigg. Fi.Ma. e Fi.Si., in proprio e in rappresentanza della madre sig. Ps.An., hanno acquistato in leasing una imbarcazione da un produttore olandese.
In particolare, l’acquisto è stato effettuato dalla società IN.SA. Spa, che ha concesso poi in locazione l’imbarcazione ai FI., quali utilizzatori.
Sin da subito, tuttavia, costoro si sono accorti che l’imbarcazione non solo era totalmente inidonea all’uso, ma che era stata altresì realizzata in violazione delle norme CE imponenti determinati requisiti di costruzione e progettazione: non aveva regolari saldature del fasciame della chiglia, e l’apparato motori era fuori norma, così come i documenti rappresentativi.
Gli utilizzatori hanno pertanto interessato l’autorità portuale di Pescara, che ha certificato la non conformità dell’imbarcazione, posta sotto sequestro fino a quando la relativa utilizzazione non è stata inibita in via definitiva, stante il pericolo di naufragio per i difetti costruttivi e le irregolarità di cui era affetta.
Il procedimento penale a carico dei costruttori olandesi e dell’importatore italiano si è concluso con l’estinzione del reato per intervenuta prescrizione.
L’imbarcazione è rimasta quindi in porto, a spese dei ricorrenti, senza possibilità per i medesimi di utilizzarla.
1.2. – Essi hanno quindi agito per far valere, in primo luogo, la nullità del contratto di vendita e del collegato contratto di leasing, per illiceità della causa o illiceità o impossibilità dell’oggetto; in subordine, per la declaratoria di annullamento del contratto per vizio del consenso; in ulteriore subordine per la declaratoria di risoluzione per inadempimento del contratto di vendita e del collegato contratto di leasing.
Violazione norme imperative causa nullità contratto
1.3. – Il Tribunale di Ancona ha accolto la domanda di risarcimento dei danni nei confronti del costruttore olandese, rigettando per converso la domanda nei confronti del finanziatore, accogliendo la domanda da quest’ultimo in via riconvenzionale proposta di pagamento in suo favore dei restanti canoni di leasing.
La decisione è stata confermata dalla Corte d’Appello di Ancona, che ha condiviso la conclusione del giudice di primo grado secondo cui le irregolarità affettanti il bene integravano l’ipotesi dell’aliud pro alio, non essendovi pertanto azione nei confronti dell’utilizzatore.
Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i FI. propongono ora ricorso per cassazione, affidato a 5 motivi, illustrati da memoria.
Resiste con controricorso la società IN.SA. Spa
MOTIVI DELLA DECISIONE
2. – La ratio della decisione impugnata è nel senso che le norme violate dal costruttore olandese non sono poste a tutela di un interesse pubblico, e dunque non può parlarsi di nullità per illiceità della causa o dell’oggetto, la quale postula la violazione di norme inderogabili a tutela di un interesse generale, e non già di norme regolanti il comportamento delle parti nella fase di stipula e di esecuzione del contratto.
Secondo i giudici di appello, inoltre, la nullità è da escludersi tutte le volte in cui è comunque attribuita un’azione per il risarcimento del danno, nella specie esperita e accolta.
2.1. – Siffatta ratio è dai ricorrenti contestata con 5 motivi.
Con il primo motivo essi denunziano la violazione dell’articolo 1418 del codice civile nonché dall’articolo 1231 del codice della navigazione ed infine delle norme sul codice del consumo.
Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerato come sia stato nella specie dalle autorità amministrative e portuali accertato che la barca de qua è risultata essere stata costruita in violazione delle norme sulla sicurezza della navigazione, al punto da prospettare il pericolo di naufragio, integrante ipotesi di reato secondo il codice penale e secondo il codice della navigazione. Lamentano non essersi considerato che trattasi di norme che vietano la messa in commercio di unità da diporto non rispondenti ai requisiti di sicurezza e dunque di norme che vietano gli atti negoziali di relativa disposizione, e non limitantesi a disciplinare il mero comportamento negoziale delle parti.
Violazione norme imperative causa nullità contratto
A tale stregua le norme violate dal costruttore sono poste a presidio dell’interesse generale alla sicurezza della navigazione, sicché la relativa violazione comporta nullità degli atti negoziali (nella specie di vendita e di leasing), e non già un’ipotesi di mero inadempimento contrattuale.
2.2. – Con il secondo motivo dall’articolo la violazione dell’articolo 1418 del codice civile, dolendosi non essersi dalla corte di merito considerato che la vendita di una imbarcazione non commerciabile integra un’ipotesi di contratto avente un oggetto, non solo giuridicamente, ma anche materialmente impossibile, a tale stregua senz’altro nullo.
I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini di seguito indicati.
L’affermazione della corte di appello che l’imbarcazione consegnata agli odierni ricorrenti è stata realizzata in difformità di norme poste non già a tutela dell’interesse generale ma il mero comportamento delle parti deponenti per la mera responsabilità da inadempimento è del tutto priva di fondamento.
Le norme sui criteri di costruzione di una barca sono infatti norme volte a garantire non già il mero interesse individuale della parte contrattuale bensì l’interesse generale alla sicurezza della navigazione, come si evince non solo dai richiamati provvedimenti delle autorità amministrative in base ai quali è stata nella specie interdetta la navigazione dell’imbarcazione in argomento, ma altresì dalla natura stessa delle norme, che impongono caratteristiche costruttive in astratto per ogni tipo di imbarcazione, e dunque impongono caratteristiche dell’oggetto, quale che sia l’atto dispositivo di esso, e dunque il comportamento delle parti.
I giudici del gravame nel caso disponevano invero degli elementi sufficienti – in quanto allegati dai ricorrenti- per poter intendere la finalità delle norme contemplanti i requisiti costruttivi di una imbarcazione, e per potere correttamente intenderle come poste a tutela dell’intere generale alla sicurezza della navigazione.
Violazione norme imperative causa nullità contratto
La corte di merito richiama il precedente delle Sezioni Unite di questa Corte (26724/ 2007) ove si è precisato che “In relazione alla nullità del contratto per contrarietà a norme imperative in difetto di espressa previsione in tal senso (cosiddetta “nullità virtuale”), deve trovare conferma la tradizionale impostazione secondo la quale, ove non altrimenti stabilito dalla legge, unicamente la violazione di norme inderogabili concernenti la validità del contratto è suscettibile di determinarne la nullità e non già la violazione di norme, anch’esse imperative, riguardanti il comportamento dei contraenti la quale può essere fonte di responsabilità”.
Il richiamo di tale principio avrebbe dovuto invero indurre il giudice del gravame a correttamente intendere le norme de quibus contemplanti il divieto di produrre e vendere imbarcazioni non conformi ai requisiti CE come norme di validità del contratto ovvero come norme di comportamento delle parti, e a non applicare quel principio senza prima aver deciso quale delle due ipotesi nella specie ricorre.
Quel principio di diritto presuppone, in altri termini, risolta la questione della natura della norma violata, se di validità o di relazione, laddove nell’impugnata sentenza la corte di merito siffatta natura l’ha data per presupposta.
E ciò a fortiori in presenza di domanda postulante l’illiceità dell’oggetto o della causa, che impone pertanto di valutare se trattasi di norme disciplinanti le caratteristiche dell’oggetto siano norme di validità del contratto o di comportamento delle parti contraenti.
Il rilievo di questa differenza è evidente: le norme che impongono di consegnare un oggetto con le qualità pattuite sono norme sul comportamento delle parti, responsabili per la vendita di cosa diversa.
Violazione norme imperative causa nullità contratto
Le norme che impongono che l’oggetto abbia determinate caratteristiche, anche a prescindere dal fatto che siano o meno pattuite, sono norme sulla validità dell’oggetto, sulla relativa liceità o possibilità giuridica, disciplinanti non già la condotta delle parti (vendere esattamente ciò che ci si è impegnati a vendere) bensì la qualità dell’oggetto in astratto.
Le norme che vietano di disporre di un determinato oggetto (es., cocaina) per non essere esso conforme a legge (es., nave o automobile priva dei requisiti di legge per poter essere venduta) incidono sulla liceità (o, se si vuole, sulla possibilità giuridica dell’oggetto), precludendo ogni indagine sull’aliud pro alio: si può discutere della vendita di una cosa diversa da quella pattuita, sempre che la cosa sia vendibile, sia suscettibile di un atto di disposizione.
A tale stregua, ove si ordini un determinato quantitativo di un certo tipo di cocaina e si riceva la consegna di cocaina di qualità diversa non è a farsi luogo a discettazione in ordine alla configurabilità dell’ipotesi di aliud pro alio ovvero di vizio della cosa venduta, poiché la questione è a monte impedita dalla non commerciabilità del bene.
In tal senso va anche letto il precedente di questa Corte secondo cui la vendita di un immobile totalmente difforme dalle norme urbanistiche ed edilizie integra nullità della vendita per illiceità dell’oggetto (Cass. 30703/ 2018).
È vero che spesso il profilo della impossibilità o della illiceità dell’oggetto interferisce con quello del vizio della cosa (come nel caso di vendita di bovini affetti da peste), ma la distinzione appare netta se si considera che quando l’impedimento alla vendita è assoluto, deve propriamente parlarsi di impossibilità (o illiceità) dell’oggetto, e non già di aliud pro alio (v. Cass. 12709/1992. Cfr. altresì Cass. 3913/2009, in tema di appalto di opera costruita senza concessione edilizia).
Significativo è al riguardo il precedente costituito da Cass. n. 4221 del 1981, ove (nonostante il parere contrario di parte della dottrina) si affermata la nullità per impossibilità dell’oggetto della vendita di bovini affetti da peste, essendo la vendita dei medesimi vietata nell’interesse generale, al fine di impedirne la circolazione ovvero la relativa macellazione e consumazione: in sostanza, in tale ipotesi l’oggetto e indisponibile dalle parti, e non rileva l’avvenuta consegna nella qualità esattamente pattuita o meno. In tale ipotesi, come si è autorevolmente osservato in dottrina il contratto è nullo per illiceità dell’oggetto, in quanto lesivo di un fondamentale interesse pubblico.
Violazione norme imperative causa nullità contratto
Né può riconoscersi pregio all’assunto in base al quale non è in termini generali configurabile la declaratoria di risoluzione del contratto in presenza di domanda di relativa nullità: ciò può ammettersi esclusivamente nell’ipotesi in cui i due rimedi siano richiesti cumulativamente, non anche allorquando siano domandati in via alternativa o subordinata: chi agisce chiede in che il contratto sia dichiarato nullo, e che solo ove tale domanda non venga accolta del contratto sia pronunziata la risoluzione (cfr. Cass., 10/8/2023, n. 24458).
Nella specie, come detto, un tanto avrebbe dovuto essere accertato preliminarmente ad ogni altra questione.
2.3. – Prima del terzo, va affrontato il quarto motivo, logicamente prioritario.
Con esso viene dai ricorrenti prospettata la violazione dell’articolo 1418 c.c. e degli articoli 33 e ss. del codice del consumo.
La corte di merito ha negato che le vicende del contratto di vendita possano nella specie ripercuotersi su quello di finanziamento.
Ha al riguardo argomentato, da un lato, dal rilievo che non essendo gli odierni ricorrenti parti del contratto di vendita non avevano invero diritti o azioni verso il compratore; per altro verso, dal rilievo che l’imbarcazione è stata nella specie acquistata dalla società di leasing, parti del contratto di vendita essendo pertanto due “professionisti”, e non già un “professionista” e un “consumatore”, con conseguente inapplicabilità della disciplina di tutela di quest’ultimo posta dal Codice del consumo. E ciò diversamente che per le clausole di esonero della responsabilità espressamente sottoscritte nel contratto di leasing dall’utilizzatore, in base alle quali quest’ultimo non può pretendere alcunché in ragione dell’inadempimento del venditore.
Ha ulteriormente escluso che gli utilizzatori possano considerarsi come consumatori, giacché nel contratto essi si sono definiti quali “armatori”.
I ricorrenti si dolgono non essersi dalla corte di merito considerato che i due contratti sono collegati, e che la disciplina del Codice del consumo è diversa da quella sulle clausole onerose posta all’articolo 1341 c.c..
Il motivo è fondato e va accolto nei termini di seguito indicati.
Va anzitutto posto in rilievo che la qualifica di “armatore” non può di per sé essere intesa nel senso che trattisi sempre e comunque di soggetto “non consumatore”.
Violazione norme imperative causa nullità contratto
Secondo il codice della navigazione (art. 265) armatore è chi ha l’esercizio della nave, e tale può essere invero il proprietario di una flotta mercantile ma anche il mero diportista.
Ne può sottacersi che la qualifica di consumatore va invero verificata in capo all’acquirente, e non già in capo all’utilizzatore della nave. È armatore è colui che quest’ultima utilizza.
Al di là di ciò, va osservato come la circostanza che il bene sia stato acquistato dal finanziatore non impedisce che la nozione di consumatore rilevi in ragione del collegamento sussistente tra la compravendita della nave e il contratto di relativa concessione in leasing, nonché tra la compravendita e il finanziamento. È infatti principio di diritto affermato che “Il leasing finanziario non dà luogo ad un unico contratto trilaterale o plurilaterale ma realizza un’ipotesi di collegamento negoziale tra il contratto di leasing ed il contratto di fornitura, dalla società di leasing concluso allo scopo -noto al fornitore- di soddisfare l’interesse del futuro utilizzatore ad acquisire la disponibilità della cosa, il cui godimento rappresenta l’interesse che l’operazione negoziale è volta a realizzare, costituendone la causa concreta, con specifica ed autonoma rilevanza rispetto a quella -parziale- dei singoli contratti, dei quali connota la reciproca interdipendenza, sicché le vicende dell’uno si ripercuotono sull’altro, condizionandone la validità e l’efficacia nella pur persistente individualità propria di ciascun tipo negoziale, a tale stregua segnandone la distinzione con il negozio complesso e con il negozio misto” (Cass. 17145/2006).
In siffatto contesto, l’utilizzatore può agire direttamente per far valere i vizi della fornitura (Cass. 20825/2018; Cass. 13115/2017). Altro discorso è che non possa far valere le azioni contrattuali spettanti al finanziatore, sostituendosi in sostanza a costui (Cass. sez. un 19785/2015).
Si tratta, a ben vedere, di due situazioni diverse, nella specie sovrapposte dai giudici di merito: l’una presuppone un’azione dell’utilizzatore per un diritto proprio verso il fornitore, possibile anche se il fornitore non è controparte dell’utilizzatore, per via del collegamento tra i due contratti; l’altra è invece l’azione che l’utilizzatore intende proporre per far valere interessi del fornitore, sulla base del singolo contratto di compravendita, di cui non è parte.
Ciò detto, in quanto il collegamento negoziale comporta che le vicende di un contratto si ripercuotono sull’altro, circostanza del tutto trascurata dai giudici di merito, nella specie la nullità della vendita si ripercuote invero sul contratto di finanziamento, la cui declaratoria non può essere impedita dalla c.d. clausola di esonero, la previsione contrattuale sostanziantesi nell’assunzione da parte del consumatore dell’obbligo di non far valere nei confronti del finanziatore gli effetti derivanti dall’inadempimento o dalla nullità della vendita.
Violazione norme imperative causa nullità contratto
La circostanza che gli odierni ricorrenti abbiano agito quali consumatori (e non v’è prova del contrario, né essa può essere desunta dalla relativa qualifica contrattuale di “armatori”) comporta che le clausole indebitamente aggravanti la relativa posizione sono inefficaci (L. 206 del 2005), quand’anche predisposte da un professionista terzo (commercialista o notaio), laddove non si dia la prova che le stesse abbiano costituito oggetto di specifica, seria e individuale trattativa, con concreta possibilità per il consumatore di determinarne il relativo contenuto (Cass. 4140/ 2024; Cass. 8268/2020).
Prova nella specie invero del tutto mancante.
2.4. – Il terzo motivo, con il quale i ricorrenti denunziano violazione degli articoli 1375 c.c. e ss., e il quinto motivo, con cui viene dai ricorrenti subordinatamente dedotta l’annullabilità del contratto per errore, rimangono assorbiti dall’accoglimento del primo, del secondo e del quarto motivo.
Alla fondatezza nei suindicati termini primo, del secondo e del quarto motivo di ricorso consegue l’accoglimento del ricorso e la cassazione in relazione dell’impugnata sentenza, con rinvio alla Corte d’Appello di Ancona, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, e provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.
P.Q.M.
La Corte accoglie il primo, il secondo e il quarto motivo di ricorso nei termini di cui in motivazione; dichiara assorbiti il terzo e il quinto motivo. Cassa in relazione la decisione impugnata e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Ancona, in diversa composizione.
Così deciso in Roma, il 14 maggio 2024.
Depositata in Cancelleria il 10 ottobre 2024.
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