Valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari

Corte di Cassazione, penale, Sentenza|6 luglio 2021| n. 25740.

Valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari.

In tema di misure cautelari personali, ai fini della valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari in relazione al “tempus commissi delicti”, non deve ricomprendersi il periodo in cui l’indagato si è volontariamente sottratto all’esecuzione della misura, intendendosi in tal modo cristallizzata “per facta concludentia” la sussistenza del predetto requisito al momento dell’insorgenza dello stato di latitanza. (In motivazione la Corte ha precisato che, diversamente, sarebbe rimesso alla scelta dell’indagato determinare uno iato temporale tra la valutazione di attualità dei “pericula in libertate” compiuta dal giudice e il momento in cui la misura stessa trova esecuzione in ragione della latitanza).

Sentenza|6 luglio 2021| n. 25740. Valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari

Data udienza 1 luglio 2021

Integrale

Tag – parola: Misure cautelari personali – Rapina aggravata in concorso – Custodia cautelare in carcere – Sussistenza di gravi indizi di colpevolezza ed esigenze cautelari – Fattispecie – Ricorso per cassazione – Manifesta infondatezza

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GALLO Domenico – Presidente

Dott. DE SANTIS Anna Maria – Consigliere

Dott. COSCIONI Giuseppe – Consigliere

Dott. ARIOLLI Giovann – rel. Consigliere

Dott. SARACO Antonio – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato il (OMISSIS);
avverso l’ordinanza del 12/04/2021 del TRIB. LIBERTA’ di FIRENZE;
dita la relazione svolta dal Consigliere Dott. GIOVANNI ARIOLLI;
Rito scritto Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8.

Valutazione dell’attualità delle esigenze cautelari

RITENUTO IN FATTO

1. (OMISSIS) ricorre per cassazione per l’annullamento dell’ordinanza con cui il Tribunale del riesame di Firenze ha confermato la misura della custodia cautelare in carcere applicata al ricorrente dal GIP del Tribunale di Siena, in ordine al delitto di rapina aggravata in concorso.
1. Con il primo motivo deduce la nullita’ dell’ordinanza per carenza di motivazione ed erronea applicazione della legge penale con riferimento tanto al mancato svolgimento dell’interrogatorio di garanzia dell’imputato in seguito all’applicazione della misura, eseguita in stato di latitanza e allorche’ il ricorrente era stato gia’ rinviato a giudizio, quanto per la mancanza della conoscenza effettiva del procedimento. Lamenta, poi, la mancanza dei gravi indizi di colpevolezza dovendo l’imputato ritenersi estraneo ai fatti contestati.
2. Con il secondo motivo lamenta il vizio di motivazione con riferimento al pericolo di reiterazione del reato e di fuga dell’imputato, in quanto l’ordinanza cautelare era stata eseguita a distanza di oltre un anno dal fatto e in assenza della commissione di altri reati. Quanto al pericolo di fuga il Tribunale del riesame non aveva considerato che il ricorrente aveva un figlio residente a Rimini.
3. Con il terzo motivo deduce il vizio di motivazione in relazione al rispetto del criterio di proporzionalita’ della misura applicata, profilo che il Tribunale aveva omesso di affrontare.
4. Il P.G. presso questa Corte, con conclusioni scritte Decreto Legge n. 137 del 2020, ex articolo 23, comma 8, ha chiesto dichiararsi l’inammissibilita’ del ricorso.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile.
1. Le censure di cui al primo motivo di ricorso sono manifestamente infondate.
1.1. Quanto alla mancata sottoposizione del ricorrente all’interrogatorio, il Tribunale del riesame risulta avere fatto corretta applicazione del principio di diritto enunciato da questa Corte, secondo cui nel caso in cui la misura cautelare, disposta in fase di indagini preliminari, sia eseguita nel corso del dibattimento nei confronti di soggetto latitante, non e’ necessario procedere all’interrogatorio di garanzia ai sensi dell’articolo 294 c.p.p., in quanto il diretto contatto tra il giudice ed il soggetto sottoposto a custodia consente, nella pienezza del contraddittorio, la piu’ ampia possibilita’ di controllo circa la sussistenza dei presupposti della cautela (Sez. 6, 3470 del 3/11/2020, dep. 27/01/2021, Rv. 280591).
1.2. Con riguardo alla mancata conoscenza del processo, si tratta di un profilo che non investe la legittimita’ del titolo cautelare adottato, in quanto l’eventuale erronea dichiarazione dello stato di latitanza determina, semmai, la nullita’ degli atti successivi, ma non di quelli adottati precedentemente. Peraltro, nel caso in esame, per quanto precisato dall’ordinanza impugnata, l’imputato fu ben edotto della pendenza del procedimento a suo carico, in quanto elesse domicilio e nomino’ un difensore di fiducia. Questa Corte, a proposito della rescissione del giudicato, ha ravvisato una colpevole mancata conoscenza del processo, preclusiva del ricorso di cui all’articolo 625 ter c.p.p., in tutti i casi in cui l’imputato non abbia adempiuto agli oneri di diligenza generati dalla conoscenza dell’esistenza del processo, seppure in una fase iniziale, desumibile proprio dalla elezione di domicilio e dalla nomina di un difensore di fiducia (Sez. 2, n. 14787 del 2017, Rv. 269554). Peraltro, sempre dall’ordinanza impugnata, si ricava come vi sia stato un allontanamento colpevole dell’imputato dal processo, essendosi questo dato alla fuga riparando all’estero sino a quanto “si fossero acquietate le acque”.
1.3. Con riferimento alla gravita’ indiziaria, in tema di provvedimenti “de libertate” questa Corte ha piu’ volte affermato che la decisione cautelare non puo’ porsi in contrasto con il contenuto della sentenza, pur non irrevocabile, emessa in ordine ai medesimi fatti nei confronti dello stesso soggetto, stante la relazione di strumentalita’ esistente tra il procedimento incidentale e quello principale; pertanto la sopravvenienza della sentenza di condanna nei confronti dell’imputato fa venir meno l’interesse del ricorrente alla procedura di riesame con riferimento al profilo concernente la verifica dell’originaria sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza, non risultando peraltro dedotti elementi di prova nuovi, suscettibili di dare ingresso, per la loro immediata ed evidente decisivita’, ad una possibile diversa lettura degli indizi al momento dell’adozione della misura cautelare (in termini, Sez. 6, n. 41104 del 19/6/2008, Rv. 241483; Sez. 1, n. 55459 del 15/6/2017, Rv. 272398).
2. Anche il secondo motivo in tema di esigenze cautelari risulta manifestamente infondato.
2.1. Il fatto che il giudice della cautela debba dare conto, nella motivazione del provvedimento, dell’attualita’ delle esigenze cautelari in relazione anche al tempus commissi delicti (nel caso in esame pressoche’ coevo all’emisisone della misura cautelare), non equivale affatto a ritenere compresa nell’ambito della perdurante attualita’ delle esigenze il periodo in cui l’imputato si e’ volontariamente sottratto alla esecuzione della misura, in tal modo cristallizzando per facta concludentia l’attualita’ delle esigenze all’insorgenza dello stato di latitanza. Infatti, ove cosi’ non fosse, sarebbe paradossalmente rimessa alla libera scelta dell’imputato quella di determinare uno iato temporale tra la valutazione di attualita’ dei pericula in libertate compiuta dal giudice e il momento in cui la misura stessa trovi esecuzione in ragione della latitanza dell’imputato stesso.
2.2. E cio’ a prescindere dall’ulteriore rilievo che lo stato di latitanza assume ai fini del pericolo di recidiva, in quanto la sottrazione all’esecuzione dell’ordine di custodia cautelare emesso dall’autorita’ giudiziaria risulta logicamente espressiva di una maggiore capacita’ a delinquere dell’imputato (Sez. 2, n. 7045 del 12/11/2013, dep. 2014, Rv. 258786).
2.3. Nessuna illogicita’ della motivazione e’ ravvisabile in ordine alle esigenze cautelari.
2.3.1. Il pericolo di reiterazione di reati della stessa specie risulta essere stato correttamente ricavato tanto dalle modalita’ della condotta, descritte in termini di spiccata gravita’, trattandosi di una rapina aggravata, commessa con coltello, previo sopralluogo sul luogo preso di mira (una tabaccheria) e facendo cadere la p.o., quanto dal giudizio negativo sulla personalita’ dell’imputato in ragione dello stato di latitanza e di un precedente penale annoverato per violazione della legge stupefacenti.
2.3.2. Con riguardo al pericolo di fuga, del tutto inconferente si rivela la circostanza della presenza in Italia del figlio, trattandosi di fatto che non risulta, per come dedotto nel ricorso, sopravvenuto all’esecuzione della misura ed allo stato di latitanza. Con la conseguenza che non avendo svolto alcun effetto preclusivo in ordine all’accertato allontanamento in costanza di esecuzione della misura, parimenti non potra’ di per se’ ritenersi di ostacolo ad una successiva fuga dal territorio italiano. Peraltro, sul punto, va ribadito l’orientamento espresso da questa Corte secondo cui l’esigenza cautelare di cui dell’articolo 274 c.p.p., lettera b), puo’ essere dedotta dal pregresso stato di latitanza dell’indagato, in quanto evidentemente sintomatico di una disobbedienza alla legge e rivelatore di una tendenza comunque ostruzionistica all’esecuzione di un provvedimento restrittivo della liberta’ personale (Sez. 3, n. 36909 del 19/12/2014, dep. 2015, Rv. 265175).
3. Manifestamente infondato e’ anche il terzo motivo di ricorso in ordine alla scelta della misura. Il Tribunale del riesame, lungi dall’aver omesso alcuna valutazione sul punto, ha evidenziato come la misura di maggior rigore sia proporzionata ed adeguata ai diversi pericula che si e’ inteso prevenire, anche tenuto conto dell’assenza dell’indicazione di un domicilio ove eseguire in ipotesi una misura gradata.
4. In conclusione, il ricorso va dichiarato inammissibile. Consegue ex articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende che, in ragione dei motivi dedotti, si stima equo determinare in Euro 3.000,00.
5. Non conseguendo dall’adozione del presente provvedimento la rimessione in liberta’ dell’indagato, deve provvedersi ai sensi dell’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti previsti dall’articolo 94 disp. att. c.p.p., comma 1 ter.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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