Usufrutto, Uso e Abitazione

Usufrutto, Uso e Abitazione

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A) Usufrutto

 

1) Generalità e contenuto

 

art. 981 c.c.    contenuto del diritto di usufrutto: l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica.

 

L’usufrutto è un diritto reale minore[1] regolato dagli articoli 978 e seguenti del codice civile, consistente nella facoltà di godimento di un bene uti dominus (utilizzandolo per il proprio vantaggio, potendo percepirne anche i frutti), limitata solo dal non poterne trasferire la proprietà principale ed al rispetto della destinazione economica impressavi dal proprietario.

Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare, fermi i limiti stabiliti in questo capo.

 

L’istituto ha origine romanistica e la sua definizione già si trova in Paolo:

”usufrucutus est ius alienis rebus utendi fruendi, salva rerum substantiam”.

 

Funzione  

Essa consiste nel permettere la separazione temporanea del godimento della proprietà rispetto ad uno stesso bene, ossia nel rendere possibile che un soggetto diverso dal proprietario tragga per un certo tempo dal bene altrui alcune delle utilità spettanti al proprietario.

In altri termini, l’istituto permette di frazionare nel tempo l’utilizzabilità del bene, problema che in altri ordinamenti di commow  law viene, invece, risolto attraverso altri istituti come la proprietà vitalizi a la proprietà a termine.

L’investimento immobiliare in nuda proprietà

Venuto alla ribalta negli anni ’80, è una formula di investimento medio-lungo tempo molto efficace.

Il proprietario si spoglia della nuda proprietà per assicurarsi un introito, mantenendo la possibilità di continuare a godere l’abitazione.

Di contro l’altro soggetto acquista la nuda proprietà per concludere un buon investimento immobiliare, logicamente, con un esborso inferiore rispetto a quello per l’acquisto completo.

Sono queste le due medaglie contrapposte della stessa operazione.

L’operazione può quindi diventare un buon punto di incontro tra le esigenze di un investitore a medio-lungo termine e, per esempio, le persone di una certa età che possono, in tal modo, assicurarsi una certa somma di denaro per il resto della vita pur senza privarsi del godimento dell’immobile in cui vivono.

E ciò anche considerando che il pagamento del prezzo può essere concordato nella concessione di una rendita.

Il venditore, come detto di solito è un anziano, senza persone care da beneficiare, che ha voglia o bisogno di ricevere una determinata somma senza dover rinunciare alla sua abitazione.

Chi compra, godrà un consistente sconto sul prezzo reale della casa e pagherà le imposte sull’acquisto solo in proporzione al valore della nuda proprietà acquistata.

L’acquisto è talvolta motivato da altruismo ed in previsione futura, senza considerare anche una sorta di aleatorietà: si vogliono avvantaggiare eventualmente i figli, ora ancora piccoli o comunque adolescenti, ma che in futuro, quando se ne andranno di casa, potranno trovarsi un’abitazione.

Mentre il valore della nuda proprietà ai fini fiscali è rigidamente stabilito dalla legge a seconda dell’età dell’usufruttuario, l’entità dello sconto ottenibile sul prezzo di libero mercato cambia tenendo conto anche di altre variabili.

Per esempio, l’usufrutto di un’anziana vale di più di quello di un uomo, perché le statistiche ci avvertono che le donne vivono più a lungo.

Quindi lo sconto sarà minore.

Contano poi le condizioni di salute: quanto più la persona che gode dell’usufrutto è malata, tanto più il prezzo cresce.

Insomma, l’investimento in nuda proprietà va gestito con delicatezza, perché ha un lato spiacevole e nefasto (la convenienza nella morte di qualcuno) ed è qui che si determina l’aleatorietà di cui in precedenza.

Talvolta si preferisce lasciare all’anziano non l’usufrutto, ma il semplice “diritto di abitazione”.

Questo perché se l’usufruttuario decidesse di affittare la casa il contratto sarebbe valido e impegnativo, fino a scadenza, per il nudo proprietario, anche se nel frattempo l’usufruttuario fosse passato a miglior vita

 

La scissione tra godimento e proprietà non può, però, essere perpetua (art. 979 c.c.), perché tale situazione ostacolerebbe gravemente lo sfruttamento razionale dei beni e la loro commerciabilità, provocando conseguenze anti – economiche.

 

Il contenuto

A differenza del precedente codice civile, quello vigente non dà una definizione di usufrutto, ma ne enuncia il contenuto ed i limiti che concorrono ad enuclearne e a precisarne la natura giuridica.

Bisogna, pertanto esaminare:

A)  il potere di godimento –

questo potere è paragonabile a quello del proprietario.

Ma il potere di godere dell’usufruttuario cade sulla cosa altrui e pertanto si esaurisce laddove diviene incompatibile con le esigenze di conservazione della cosa stessa e di riviviscenza dell’analogo potere del proprietario.

L’usufruttuario ha, quindi, dei limiti intrinseci e congeniali che costringono il godimento della cosa verso direzioni obbligate e lo circoscrivono nel tempo.

B)  il rispetto della destinazione economica –

non può intendersi come uno dei tanti obblighi connessi con l’esercizio del diritto ma costituisce la caratteristica principale dell’istituto in esame, che assolve, appunto, alla funzione di circoscrivere il potere del suo titolare, virtualmente illimitato, come in ogni diritto reale di godimento in un ambito ben preciso.

Occorre stabilire come debba intendersi la destinazione economica:

1)   se in senso oggettivo (il quale viene rifiutato dalla dottrina, perché troppo generico e tale da eludere lo scopo principale del limite in questione che è quello di riservare al nudo proprietario e ai suoi eredi la cosa nello stesso stato in cui si trovava al momento della costituzione dell’usufrutto), cioè con riguardo alla funzione a cui la cosa è oggettivamente idonea secondo i criteri della comune vita sociale,

2)   ovvero in senso soggettivo (preferibile[2] – ma inteso con una certa elasticità, poiché l’usufruttuario può migliorare la capacità produttiva della cosa, incrementando l’utilità e il valore, può apportare addizioni o modificazioni), cioè considerando la funzione cui la cosa era adibita in precedenza dal proprietario pieno.

In altri termini il criterio soggettivo è da intendersi nel senso che l’usufruttuario deve rispettare la destinazione economica attribuita alla cosa prima della nascita dell’usufrutto o impressa dal costituente all’atto della costituzione, purché durante l’usufrutto il nudo proprietario non consenta una destinazione diversa.

In merito con una nota sentenza il consiglio di Stato[3] ha affermato che ogni questione attinente alla modifica in via permanente del bene oggetto dell’ usufrutto e della sua destinazione economia deve essere proposta nei confronti del nudo proprietario.

 

C)  durata –

 

art. 979 c.c.  durata: la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario (678, 698, 796, 853, 1014).

L’usufrutto costituito a favore di una persona giuridica non può durare più di trenta anni (999, 1014).

 

Inoltre, la morte dell’usufruttuario estingue l’usufrutto anche se esso fu costituito con un termine finale che viene a scadere dopo tale evento, così come la morte dell’originario usufruttuario estingue anche ove questo sia stato ceduto a terzi.

 

D)  altri limiti

si ritrovano quando oggetto del diritto in questione siano alcuni particolari beni

 

art. 987 c.c.   miniere, cave e torbiere: l’usufruttuario gode delle cave e torbiere (826) già aperte e in esercizio all’inizio dell’usufrutto. Non ha facoltà di aprirne altre senza il consenso del proprietario.

Per le ricerche e le coltivazioni minerarie, di cui abbia ottenuto il permesso, l’usufruttuario deve indennizzare il proprietario dei danni che saranno accertati alla fine dell’usufrutto.

Se il permesso è stato ottenuto dal proprietario o da un terzo, questi devono all’usufruttuario un’indennità corrispondente al diminuito godimento del fondo durante l’usufrutto.

 

art. 988 c.c.   tesoro: il diritto dell’usufruttuario non si estende al tesoro che si scopra durante l’usufrutto, salve le ragioni che gli possono competere come ritrovatore (932).

art. 989 c.c.   boschi, filari e alberi sparsi di alto fusto: se nell’usufrutto sono compresi boschi o filari cedui ovvero boschi o filari di alto fusto destinati alla produzione di legna, l’usufruttuario può procedere ai tagli ordinari, curando il mantenimento dell’originaria consistenza dei boschi o dei filari e provvedendo, se occorre, alla loro ricostituzione.

Circa il modo, l’estensione, l’ordine e l’epoca dei tagli, l’usufruttuario è tenuto a uniformarsi, oltre che alle leggi e ai regolamenti forestali, alla pratica costante della regione.

Le stesse regole si applicano agli alberi di alto fusto sparsi per la campagna, destinati ad essere tagliati.

art. 990 c.c.    alberi di alto fusto divelti, spezzati o periti: gli alberi di alto fusto divelti, spezzati o periti per accidente spettano al proprietario. L’usufruttuario può servirsi di essi soltanto per le riparazioni che sono a suo carico.

art. 991 c.c.   alberi fruttiferi: gli alberi fruttiferi che periscono e quelli divelti o spezzati per accidente appartengono all’usufruttuario, ma questi ha l’obbligo di sostituirne altri.

art. 992 c.c.   pali per vigne e per altre coltivazioni: l’usufruttuario può prendere nei boschi i pali occorrenti per le vigne e per le altre coltivazioni che ne abbisognano, osservando sempre la pratica costante della regione.

art. 993 c.c.   semenzai: l’usufruttuario può servirsi dei piantoni dei semenzai, ma deve osservare la pratica costante della regione per il tempo e il modo della estrazione e per la rimessa dei virgulti.

art. 994 c.c.    perimento delle mandrie o dei greggi: se l’usufrutto e stabilito sopra una mandria o un gregge, l’usufruttuario e tenuto a surrogare gli animali periti, fino alla concorrente quantità dei nati, dopo che la mandria o il gregge ha cominciato ad essere mancante del numero primitivo.

Se la mandria o il gregge perisce interamente per causa non imputabile all’usufruttuario, questi non è obbligato verso il proprietario che a rendere conto delle pelli o del loro valore.

art. 996 c.c.    cose deteriorabili: se l’usufrutto comprende cose che, senza consumarsi in un tratto, si deteriorano a poco a poco, l’usufruttuario ha diritto di servirsene secondo l’uso al quale sono destinate, e alla fine dell’usufrutto e soltanto tenuto a restituirle nello stato in cui si trovano.

art. 997 c.c.   impianti, opifici e macchinari: se l’usufrutto comprende impianti, opifici o macchinari che hanno una destinazione produttiva, l’usufruttuario è tenuto a riparare e a sostituire durante l’usufrutto le parti che si logorano, in modo da assicurare il regolare funzionamento delle cose suddette. Se l’usufruttuario ha sopportato spese che eccedono quelle delle ordinarie riparazioni (1004), il proprietario, al termine dell’usufrutto, è tenuto a corrispondergli una congrua indennità (2651).

 

2) La natura giuridica

 

A)   E’ un diritto reale –

Vale erga omnes e impone a chiunque l’obbligo, sempre negativo, di rispettarne l’esercizio. Si ritrovano, infatti, nell’usufrutto, tutte le caratteristiche tipiche dei diritti reali, ossia l’immediatezza, l’esclusività e il diritto di sequela.

B)   E’ un diritto di godimento a contenuto generale –

Mentre al titolare degli altri diritti reali su cosa altrui competono specifiche e tassative facoltà (ad esempio, nella superficie, quella di costruirsi sul suolo altrui), all’usufruttuario spetta ogni facoltà di godimento della cosa, salvo quelle escluse dal titolo costitutivo del diritto.

Non bisogna, tuttavia, dimenticare che l’ampiezza del diritto di usufrutto è comunque, limitata dalla natura del diritto stesso, vale a dire, dal rispetto della destinazione economica, dalla sua essenziale temporaneità, ecc.

C)   E’ un diritto su cosa altrui

(natura non condivisa dalla dottrina prevalente) – Secondo alcuni[4] il diritto d’usufrutto è una proprietà temporanea, limitata da un fascio di obbligazioni propter rem.

 

La tesi è stata criticata dalla dottrina prevalente[5]  la quale ha osservato che, a parte dubbi di sussistenza, nel nostro ordinamento, dell’istituto della proprietà temporanea e della possibilità di coesistenza di due proprietà sullo stesso bene, la stessa esistenza dei descritti limiti intrinseci del diritto d’usufrutto, ne fanno un istituto di natura diversa.

 

3) L’oggetto

 

Ove si tratti di beni immobili ed in mancanza di una diversa previsione contenuta nel titolo costitutivo, l’usufrutto si estenderà anche al suolo, nonché ad ogni accessorio ed ogni pertinenza del bene stesso; lo stesso discorso vale per le accessioni, ossia per tutti gli incrementi dovuti ad alluvione, avulsione, costruzione, etc.

La natura mobiliare o immobiliare del bene oggetto di usufrutto non incide, in linea di massima, sulla disciplina specifica caratteristica dell’usufrutto, ma rileva quanto alla forma e alla trascrizione del negozio costitutivo (ove trattasi di costituzione volontaria, art. 1350 n. 2  e 2643 n. 2; ovvero quanto al momento dell’acquisto, ove trattasi di costituzione non volontaria; artt. 1153, 1158, 1159, 1161 c.c.).

 

L’ usufrutto Legale

art. 324 c.c.    usufrutto legale: i genitori esercenti la potestà hanno in comune l’usufrutto dei beni del figlio.

I frutti percepiti sono destinati al mantenimento della famiglia e all’istruzione ed educazione dei figli.

Non sono soggetti ad usufrutto legale:

l) i beni acquistati dal figlio con i proventi del proprio lavoro;

2) i beni lasciati o donati (587, 769) al figlio per intraprendere una carriera, un’arte o una professione;

3) i beni lasciati o donati con la condizione che i genitori esercenti la potestà o uno di essi non ne abbiano l’usufrutto: la condizione però non ha effetto per i beni spettanti al figlio a titolo di legittima (537)

4) i beni pervenuti al figlio per eredità, legato o donazione e accettati nell’interesse del figlio contro la volontà dei genitori esercenti la potestà. Se uno solo di essi era favorevole all’accettazione, l’usufrutto legale spetta esclusivamente a lui.

 

Il diritto spetta anche ai genitori legittimi, ai genitori naturali, quando vi sia stato il riconoscimento, non ai genitori adottivi e parimenti alla famigli di fatto rimane escluso.

 

Il fondamento di tale diritto va ravvisato nella necessità di garantire il libero esercizio dei poteri inerenti alla potestà dei genitori e nel contempo la solidarietà degli interessi familiari, realizzando un contributo del figlio nell’interesse complessivo della famiglia.

Tutto ciò spiega l’indisponibilità del diritto sancita dall’art. 326 c.c., unitamente al divieto di assoggettarlo a pegno, ipoteca o ad esecuzione forzata.

Alle ipotesi di esclusioni previste dall’art. 324, si deve aggiungere quella prevista nell’art. 465 c.c., secondo cui il genitore escluso per indegnità da una successione non ha l’usufrutto legale sui beni della medesima, che siano devoluti ai suoi figli per rappresentazione o per espressa volontà del testatore.

Analogamente, è escluso l’usufrutto legale per i beni lasciati ai figli nascituri, essendo l’acquisto di costoro subordinato all’evento nascita.

L’ipotesi di rimozione di uno o  entrambi i coniugi dall’amministrazione dei beni del figlio, comporta la privazione, in tutto o in parte, dell’usufrutto legale.

 

art. 326  c.c.   inalienabilità dell’usufrutto legale. Esecuzione sui frutti: l’usufrutto legale non può essere oggetto di alienazione, di pegno o di ipoteca né di esecuzione da parte dei creditori.

L’esecuzione sui frutti dei beni del figlio da parte dei creditori dei genitori o di quello di essi che ne è titolare esclusivo non può aver luogo per debiti che il creditore conosceva essere stati contratti per scopi estranei ai bisogni della famiglia.

 

art. 325 c.c.   obblighi inerenti all’usufrutto legale: gravano sull’usufrutto legale gli obblighi propri dell’usufruttuario (1001).

 

 

art. 327 c.c.     usufrutto legale di uno solo dei genitori: il genitore che esercita in modo esclusivo la potestà è il solo titolare dell’usufrutto legale.

 

art. 328 c.c.   nuove nozze: il genitore che passa a nuove nozze conserva l’usufrutto legale, con l’obbligo tuttavia di accantonare in favore del figlio quanto risulti eccedente rispetto alle spese per il mantenimento, l’istruzione e l’educazione di quest’ultimo.

 

art. 329 c.c.   godimento dei beni dopo la cessazione dell’usufrutto legale: cessato l’usufrutto legale, se il genitore ha continuato a godere i beni del figlio convivente con esso senza procura ma senza opposizione, o anche con procura ma senza l’obbligo di rendere conto dei frutti, egli o i suoi eredi non sono tenuti che a consegnare i frutti esistenti al tempo della domanda.

 

art. 155  5 co  c.c.   provvedimenti riguardo ai figli: ……..Il giudice dà inoltre disposizioni circa l’amministrazione dei beni dei figli e, nell’ipotesi che l’esercizio della potestà sia affidato ad entrambi i genitori, il concorso degli stessi al godimento dell’usufrutto legale

 

art. 194 c.c.  divisione dei beni della comunione: la divisione dei beni della comunione legale si effettua ripartendo in parti eguali l’attivo e il passivo.

Il giudice, in relazione alle necessità della prole e all’affidamento di essa, può costituire a favore di uno dei coniugi l’usufrutto su una parte dei beni spettanti all’altro coniuge.

 

 

La norma contenuta nell’art. 194 cod. civ., che faculta il giudice a costituire, in favore di un coniuge, l’usufrutto sui beni dell’altro coniuge, non ha carattere eccezionale, essendo applicabile tutte le volte in cui si renda necessario per assicurare alla prole minorenne le migliori condizioni materiali e morali di vita, in modo da garantire alla stessa una adeguata assistenza da parte dei genitori, affinché essa riceva il minor danno possibile dalla disgregazione del nucleo familiare[6].

 

Il c.d. quasi usufrutto

 

art. 995    c.c.    cose consumabili: se l’usufrutto comprende cose consumabili, l’usufruttuario ha diritto di servirsene e ha l’obbligo di pagarne il valore al termine dell’usufrutto secondo la stima convenuta.

Mancando la stima, e in facoltà dell’usufruttuario di pagare le cose secondo il valore che hanno al tempo in cui finisce l’usufrutto o di restituirne altre in eguale qualità e quantità (1258 c.c.).

 

La natura di tale diritto

La particolarità dell’istituto risiede nel fatto che il quasi usufruttuario acquista non solo il diritto di godere i beni in oggetto, bensì la proprietà degli stessi e può, conseguentemente, disporre in modo pieno di essi, essendo obbligato solo a restituire il tantundem eiusdem generis, ovvero il corrispondente valore.

Questa peculiarità ha indotto parte della dottrina[7] a negare l’istituto in oggetto la natura di autentico usufrutto, attribuendo al quasi usufruttuario la qualifica di vero e proprio proprietario, benché temporaneo.

È forse preferibile[8] la teoria sostenuta da altra parte della dottrina[9] la quale osserva che il diritto in oggetto resta pur sempre un diritto di usufrutto, ossia un diritto di godimento su cosa altrui, con la sola peculiarità (peraltro rilevante) che, trattandosi di cose consumabili la facoltà di godimento comprende anche il potere di disporre delle cose stesse.

La questione non è senza rilevanza pratica poiché la scelta dell’una o dell’altra opinione determina il momento in cui il c.d. periculum rei passa in capo all’usufruttuario: secondo la teoria preferibile, l’usufruttuario non sopporta il rischio del perimento fortuito, poiché egli non è proprietario della cosa, se non all’atto in cui la consuma o la spende.

 

La tipica figura dell’usufrutto del gregge o della mandria

 

art. 994 c.c.    perimento delle mandrie o dei greggi: se l’usufrutto e stabilito sopra una mandria o un gregge, l’usufruttuario e tenuto a surrogare gli animali periti, fino alla concorrente quantità dei nati ( i nati in eccedenza saranno di proprietà dell’usufruttuario), dopo che la mandria o il gregge ha cominciato ad essere mancante del numero primitivo.

Se la mandria o il gregge perisce interamente per causa non imputabile all’usufruttuario, questi non è obbligato verso il proprietario che a rendere conto delle pelli o del loro valore.

 

La dottrina unanime ritiene che l’usufrutto sul gregge sia un caso di usufrutto avente per oggetto una universitatis facti  (art. 816 c.c.): il gregge (o la mandria), nella sua globalità, viene considerato un bene teoricamente perpetuo e non una somma di capi in sé deteriorabili o peribili.

È per questo che la norma dispone la c.d. submissio capitum, ossia la sostituzione dei nuovi nati agli animali periti, a meno che il gregge o la mandria non periscano interamente.

 

L’usufrutto d’azienda

 

I caratteri specifici di questo usufrutto[10] risentono delle diverse concezioni dottrinarie sulla natura giuridica dell’azienda.

1)   Se si segue la teoria atomistica si avrà vero e proprio usufrutto sugli elementi aziendali che nell’esercizio dell’impresa  non vengono consumati o alienati (c.d. capitale fisso) mentre si avrà quasi – usufrutto su quei beni che devono essere necessariamente consumati (c.d. capitale circolante);

2)   Se, invece, si seguono le teorie che considerano l’azienda unitariamente (teoria del bene immateriale, teoria dell’universitas iuris e teoria preferibile dell’universitas facti) bisogna ritenere che oggetto dell’usufrutto in esame non siano i singoli elementi aziendali, ma l’azienda come complesso unitario.

 

È discusso se all’usufruttuario sia dovuto un compenso per l’avviamento da lui procurato.

Sembra preferibile la soluzione positiva, la quale si basa sull’art. 985 c.c. che, in tema di usufrutto, stabilisce che l’usufruttuario ha diritto ad un’indennità per i miglioramenti (tale viene considerato l’inserimento dell’avviamento) che  sussistono al momento della restituzione della cosa.

 

L’usufrutto di quota nelle società semplici

 

Nelle società di persone, in generale, e nelle società semplici, in particolare, non c’è alcuna disciplina dettata in materia di usufrutto di quota, a differenza delle società di capitali[11] che all’art. 2352 c.c. ha previsto un’ampia e completa regolamentazione che non può essere applicata tout court alle società di persone poiché la scissione della qualità di socio dall’esercizio dei diritti amministrativi (potere gestorio) propria delle società di capitale, non è possibile nelle società semplici in quanto vi è un legame inscindibile tra i poteri di voto, i poteri amministrativi e gli altri diritti amministrativi con lo status di socio.

Partendo dal presupposto che l’usufrutto, è concepito per i beni di 1°, uno dei più grandi ostacoli da superare, affinché si possa ammettere l’usufrutto di quota, è dato dal fatto che il bene “quota” rientra tra i beni di 2°, poiché, essa determina un ruolo economico mediato, rappresentando, appunto, un’entità conferita al momento della costituzione, e non ha un valore estrinseco in senso stretto. Perciò per superare tale ostacolo bisogna ritenere ammissibile l’usufrutto di un bene di 2°, come diritto nei limiti del diritto stesso che esso rappresenta.

Inoltre è ammissibile soprattutto perché la dottrina, ha individuato, attraverso uno studio sistematico, nell’usufrutto d’azienda e di credito l’esistenza di diritti d’usufrutto anomali, assimilabili a quello in questione. art. 981 c.c. contenuto del diritto di usufrutto: l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica. Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare (1998), fermi i limiti stabiliti in questo capo. Salvo qualche voce contraria (Trib. di Trento 1997[12]), la dottrina non dubita che possono essere oggetto di usufrutto[13] non solo le azioni così come testualmente previsto dall’art. 2352 c.c., richiamato dall’art. 2454 c.c, in tema di accomandita per azioni, ma anche le quote sia delle società a r.l. che delle società di persone.

Orbene, sul tema, è opportuno andare a sviscerare alcune problematiche sorte in dottrina e non solo.

Un primo problema è ravvisato nel necessario o meno consenso degli altri soci per la costituzione dell’usufrutto.

A) dottrina minoritaria, ritiene che non è necessario il consenso degli altri soci, in quanto la costituzione, in realtà, non è una modifica ex art. 2252 c.c. e l’usufruttuario non interferirà nei rapporti sociali essendo un “volgare percettore di utili”.

B) La dottrina prevalente[14], invece, ritiene che sia necessario il consenso di tutti i soci; questo perché

1) l’usufruttuario acquista al momento della costituzione dell’usufrutto la qualità di socio ed è inimmaginabile non applicare l’art. 2252 c.c.

2) Altra dottrina  la presenza dell’usufruttuario altera la distribuzione dei poteri e dei rapporti sociali, determinando, così una modifica del contratto sociale. Principio generale (ad eccezione di autorevole dottrina[15]) – l’usufruttuario non acquista la qualità di socio.

L’usufruttuario ex art. 981 c.c. ha un limitato potere di godere e di disporre, mentre il socio ha un potere pieno tanto da rispondere illimitatamente delle obbligazioni sociali

Ulteriormente si discute se ed in che limiti spetti all’usufruttuario di quota il diritto di amministrare la società.

È preferibile la tesi[16] che distingue il diritto al voto[17] dal diritto di amministrare, intendendosi il primo come il diritto di partecipare alla formazione della volontà sociale, il secondo come il diritto di dirigere gli affari della società

Per diritti amministrativi[18] s’intendono:

A) potere dovere di collaborare ex art. 2252 c.c., ossia di partecipare alla modifiche del patto sociale –

1) secondo una parte della dottrina[19], la risposta è positiva, sia per una tutela maggiore all’usufruttuario e sia perché il nudo proprietario e l’usufruttuario integrano coordinatamente la posizione di socio.

2) Secondo, invece, la giurisprudenza[20] la risposta è negativa per il semplice ragionamento che l’usufruttuario non è socio. Anche se da ultimo la giurisprudenza di merito[21], per le S.r.l. ha previsto che l’usufruttuario è titolare di un diritto reale e portatore di una posizione giuridica che lo rende unico responsabile delle scelte relative alla vita della società; posto che sulla validità delle delibere non può influire l’eventuale contrasto con la volontà del nudo proprietario che non è legittimato al voto.

B) Potere amministrativo in senso stretto (attività gestoria) – la risposta è negativa, sempre per il principio generale che l’usufruttuario non acquista lo status di socio.

C) Poteri amministrativi diversi:

1) ispezione e controllo dei libri sociali – risposta affermativa;

2) partecipazione all’approvazione del rendiconto – risposta affermativa;

3) autorizzazione all’uso dei beni sociali per uno scopo diverso da quello sociale – per questi poteri la risposta è positiva anche per non rendere l’usufruttuario un volgare percettore di utili.

Altro problema dottrinario e non solo se l’usufruttuario risponde delle obbligazioni sociali.

Secondo la giurisprudenza[22] e la dottrina prevalente[23]  la risposta è negativa per il semplice ragionamento che l’usufruttuario non è socio.

Infine ultimo problema se il diritto agli utili[24] è esercitatile solo verso il nudo proprietario o verso la società.

Anche se l’usufruttuario non è socio, poiché l’usufrutto è un diritto reale, ex art. 981, è un diritto esercitatile contro tutti, quindi, verso la società.

 

La discussa figura dell’usufrutto di crediti 

 

Il legislatore ha previsto espressamente l’usufrutto di crediti all’art. 1000 c.c., il quale afferma in sostanza, che ricorre quest’ipotesi qualora il creditore di una somma capitale attribuisca ad un terzo il diritto di esigere e di far propri i frutti derivanti dall’utilizzazione del capitale stesso.

 

art. 1000 c.c.  riscossione di capitali: per la riscossione di somme che rappresentano un capitale gravato d’usufrutto (1998), è necessario il concorso del titolare del credito e dell’usufruttuario. Il pagamento fatto a uno solo di essi non è opponibile all’altro, salve in ogni caso le norme relative alla cessione dei crediti (260 e seguenti).

Il capitale riscosso deve essere investito in modo fruttifero e su di esso si trasferisce l’usufrutto. Se le parti non sono d’accordo sul modo d’investimento, provvede l’autorità giudiziaria (1998).

 

Oggetto dell’usufrutto non può essere il credito, ma l’oggetto stesso del credito, vale a dire il capitale: ciò consente all’usufruttuario di percepire gli interessi soltanto, mentre la nuda proprietà resta a chi costituì siffatto usufrutto.

Anche la S.C.[25] ha affermato in una nota sentenza che oggetto di usufrutto possono essere i diritti di credito. L’ipotesi di capitali gravati di usufrutto è espressamente prevista e disciplinata dall’articolo 1000 del c.c. in base al quale l’usufruttuario ha anche il diritto alla riscossione delle somme che rappresentano il capitale in concorso con il titolare del credito e con conseguente trasferimento dell’usufrutto sul credito derivante dall’investimento fruttifero (crediti, titoli o altro). E’ logica, pertanto, e coerente la previsione da parte del testatore che abbia previsto un controllore nell’esercizio dei poteri di amministrazione spettanti all’erede usufruttuaria anche al fine di aiutare quest’ultima, moglie del testatore, nella gestione dei frutti dei beni oggetto dell’ usufrutto, nonché di affiancare all’usufruttuaria un soggetto (nominato erede e nudo proprietario del diritto di credito oggetto dell’ usufrutto) onde favorire la riscossione del credito e il seguente reinvestimento.

Preliminarmente però occorre delineare l’ambito della figura del c.d. usufrutto di crediti, prescindendo per il momento dall’indagine sulla sua natura (se di vero usufrutto o diversa). Occorre chiedersi, dunque, quali crediti possono costituire oggetto di usufrutto.

Sicuramente tale possibilità va riconosciuta per i crediti pecuniari, che costituiscono la fattispecie di usufrutto di crediti di gran lunga più importante, per almeno tre ragioni.

In primo luogo questa è l’ipotesi che riveste il maggiore interesse pratico, anche in vista della ricostruzione della disciplina dell’usufrutto di titoli di credito, che per lo più incorporano crediti di questo genere.

In secondo luogo solo i crediti pecuniari sono in grado di produrre frutti, e dunque solo l’usufrutto di crediti pecuniari può fornire all’usufruttuario un’utilità immediata, senza che sia necessario attendere la scadenza e il successivo pagamento del debito.

Infine quella dell’usufrutto di credito pecuniario è l’unica fattispecie di usufrutto di credito specificamente riconosciuta dal diritto positivo (art. 1000 c.c.).

L’usufrutto però può gravare anche su un credito non avente ad oggetto il pagamento di una somma di denaro: si fanno gli esempi del credito alla consegna di una cosa di proprietà del costituente e del credito all’attribuzione di cose non consumabili la cui proprietà debba essere trasferita al costituente, cui si aggiunge l’usufrutto sul credito del conduttore al godimento del bene.

L’usufrutto di crediti non pecuniari è bensì concepibile in astratto, ma di scarsa o nulla utilità pratica: poiché i crediti non pecuniari non sono fruttiferi, l’usufrutto che gravasse su di essi non sarebbe suscettibile di procurare alcuna utilità all’usufruttario, se non dopo la sua esazione, quando l’usufrutto si trasferirà sulle cose riscosse.

Una dottrina autoritaria[26] ha accostato l’usufrutto di credito infruttifero all’usufrutto su un fondo sterile o – per fare un esempio che si attaglia al diritto romano all’usufrutto su uno schiavo inidoneo a prestare la propria opera perché ammalato o troppo anziano: in tutti questi casi l’usufrutto non è di per sé nullo, ma semplicemente inutile.

Se si tratta di crediti aventi ad oggetto una prestazione di dare, la costituzione dell’usufrutto su di essi è un mezzo per costituire il futuro usufrutto o quasi usufrutto sulla cosa che costituisce oggetto della prestazione dovuta dal debitore. Se invece si tratta di crediti aventi ad oggetto una prestazione di fare o di non fare, la costituzione dell’usufrutto appare priva di qualsivoglia funzione economico-sociale.

 

L’istituto è riconducibile alla cessione del credito[27], ma non si tratta di una mera cessione del credito agli interessi, come si evince dal 2 co della norma in esame, perché se così fosse la riscossione del capitale provocherebbe l’estinzione del diritto di credito, mentre dalla norma citata risulta che l’usufrutto rimane e si trasferisce sul reimpiego fruttifero della somma riscossa.

 

La  figura dell’usufrutto di titoli di credito 

 

Diverso dall’usufrutto di credito è l’usufrutto di titoli di credito previsto dall’art. 1198 c.c., perché questo istituto configura un autentico diritto reale su una cosa (il titolo documento che incorpora il credito), anche se finisce per avere un valore assai relativo in quanto, in definitiva, attribuisce al titolare analogamente all’usufrutto di credito, soltanto il diritto di far propri i frutti civili e le utilità che del credito costituiscono il reddito.

L’usufrutto di quei particolari titoli di credito che sono le azioni è, poi regolata dall’art. 2352 c.c.

 

4) Costituzione del diritto di usufrutto

 

art. 978 c.c.  costituzione: l’usufrutto è stabilito dalla legge (324, 540 e seguenti, 581, 1153) o dalla volontà dell’uomo (587, 1350 n. 2, 1376, 2643 n. 2, 2684). Può anche acquistarsi per usucapione (1158 e seguenti).

 1) Negozio inter vivos a titolo oneroso

L’usufrutto può, in primo luogo, essere costituito a mezzo di negozio tra vivi a titolo oneroso, il quale potrà avere la causa di un qualunque negozio di tale genere (esempio compravendita, permuta, datio in solutum, etc.

Dai negozi inter vivos secondo la Cassazione[28] devono essere esclusi gli atti unilaterali.

Difatti Seppure l’art. 978 c.c. faccia genericamente riferimento alla volontà dell’uomo, la tipologia negoziale idonea a costituire il diritto di usufrutto deve essere individuata – non diversamente da quanto è stabilito in materia di servitù dall’art. 1058 c.c. – nel testamento e nel contratto, mentre, per quanto riguarda i negozi unilaterali, nei limiti in cui sono ritenuti vincolanti per l’ordinamento, la possibilità di costituire l’ usufrutto deve ritenersi limitata alle sole figure della promessa al pubblico prevista dall’art. 1989 c.c. e della donazione obnuziale di cui all’art. 785 c.c.

2) Testamento

L’usufrutto può anche avere come fonte il testamento: si tratterrà, secondo autorevole dottrina[29], in tal caso, di un’attribuzione testamentaria a titolo particolare e, precisamente di un legato con effetti reali[30].

Ma di tale avviso non è la Corte di Legittimità[31], secondo la quale, invece, la disposizione testamentaria di attribuzione dell’usufrutto generale sui beni (mobili e immobili) costituisce istituzione di erede e non di legato. In altre parole l’attribuzione per testamento dell’ usufrutto generale su tutti i beni, comprendendo l’universum ius ai sensi dell’articolo 588 c.c. e dunque conferendo al designato un titolo potenzialmente idoneo ad estendersi ad ogni bene, configura un’istituzione di erede.

Mentre, secondo la Giurisprudenza di merito[32], va definita a titolo particolare – quale legato – e non a titolo universale, la disposizione con cui il testatore riconosce, nella specie al coniuge, il diritto di usufrutto di tutti i beni immobili del proprio patrimonio.

Inoltre non pochi dubbi sono sorti in merito all’interpretazione[33] quando ci si trova innanzi ad una disposizione testamentaria di lascito di usufrutto che  potrebbe, invece, aver dato vita ad una sostituzione fedecommissaria[34].

Orbene secondo la Corte di Piazza Cavour l’interpretazione di una disposizione testamentaria volta a determinare se il testatore abbia voluto disporre una sostituzione fedecommissaria o una costituzione testamentaria di usufrutto deve muovere dalla ricerca della effettiva volontà del de cuius, attraverso l’analisi delle finalità che il testatore intendeva perseguire, oltre che mediante il contenuto testuale della scheda testamentaria; ne consegue che la disposizione con la quale il de cuius lascia a persone diverse rispettivamente l’ usufrutto e la nuda proprietà di uno stesso bene (o dell’intero complesso dei beni ereditari) non integra gli estremi della sostituzione fedecommissaria (ma quelli di una formale istituzione di erede) quando le disposizioni siano dirette e simultanee e non in ordine successivo, i chiamati non succedano l’uno all’altro, ma direttamente al testatore, e la consolidazione tra usufrutto e nuda proprietà costituisca un effetto non della successione, ma della vis espansiva della proprietà.

Sempre in tema di interpretazione del testamento, secondo la Cassazione[35] con una precedente pronuncia, al fine di stabilire se sia stata prevista l’attribuzione separata e simultanea a soggetti diversi della nuda proprietà e dell’usufrutto dei beni ereditari ovvero se sia configurabile la sostituzione fedecommissaria di colui che, essendo stato designato erede universale, sia obbligato – in virtù di una duplice chiamata secondo un ordine successivo – a conservare e restituire alla propria morte i beni a favore del sostituito, al quale viene trasmesso il medesimo diritto attribuito all’istituito, l’indagine non può limitarsi a valorizzare esclusivamente l’espressione “vita natural durante” usata dal testatore con riferimento alla disposizione a favore di uno dei soggetti onorati; infatti, la durata della vita del beneficiario assume rilievo sia nel caso in cui sia attribuito il diritto di usufrutto, sia nell’ipotesi in cui venga conferito il diritto di proprietà piena a favore dell’istituito nella sostituzione fedecommissaria, atteso che la durata della vita dell’usufruttuario costituisce la misura temporale del diritto reale conferito ed è al termine della vita dell’onorato che diventa operante la chiamata dei sostituiti nella sostituzione fedecommissaria.

Un caso particolare disciplinato dal Codice Civile è quello della Cautela Sociniana dal nome del giurista del ‘500 Mario Socino

art. 550  c.c.       lascito eccedente la porzione disponibile: quando il testatore dispone di un usufrutto o di una rendita vitalizia (c.c.1872) il cui reddito eccede quello della porzione disponibile (c.c.556), i legittimari (536), ai quali è stata assegnata la nuda proprietà della disponibile o di parte di essa, hanno la scelta o   1)  di eseguire tale disposizione o   2)   di abbandonare (c.c.1350) la nuda proprietà della porzione disponibile. Nel secondo caso il legatario, conseguendo la disponibile abbandonata, non acquista la qualità di erede (588).

La stessa scelta spetta ai legittimari quando il testatore ha disposto della nuda proprietà di una parte eccedente la disponibile.

Se i legittimari sono più, occorre l’accordo di tutti perché la disposizione testamentaria abbia esecuzione.

Le stesse norme si applicano anche se dell’usufrutto, della rendita o della nuda proprietà è stato disposto con donazione.

 

Si tratta di una forma di tutela (di tipo qualitativo[36]) a favore dell’intangibilità della legittima.

A rigore per accertare se vi è stata lesione di legittima, occorrerebbe capitalizzare l’usufrutto; ma poiché la durata dell’usufrutto commisurata com’è alla vita dell’usufruttuario è incerta, l’accertamento risulterebbe anch’esso incerto ed aleatorio. È per tale incertezza che è stato introdotto l’istituto in esame, il quale lascia il legittimario arbitro di questa valutazione, offrendogli il vantaggio di operare una scelta. Questo articolo permette dunque al legittimario di optare in ogni caso,  o per la proprietà piena della quota di riserva e questo pur se in base al valore della nuda proprietà o dell’usufrutto della porzione disponibile spettategli non risultasse esservi stata lesione.

Il diritto potestativo va esercitato entro 10 anni dall’apertura della successione (con possibilità di esperire l’actio interrogatoria in analogia agli att. 481 e 650 c.c.), con decisione unanime dei legittimari.

Natura – si  è in presenza di un negozio giuridico unilaterale (collettivo se i legittimari sono più di uno), recettizio, non formale e quindi anche tacito (ad es. volontaria esecuzione della disposizione con immissione nei beni ad opera del legittimario e percezione di frutti e rendite).

È preferibile[37] peraltro ritenere, anche in omaggio alla certezza dei rapporti giuridici, che debba trovare applicazione la normativa sul formalismo e, precisamente, l’art. 1350, n. 5 (rinunzia) quando la scelta del legittimario abbia ad oggetto beni immobili ai quali egli rinunzia per conseguire la legittima.

ESEMPIO[38]: Tizio ha disposto del suo patrimonio nominando erede universale l’unico figlio Caio e nominando il fratello Sempronio legatario di tutto l’usufrutto. A seguito della dichiarazione di volontà di Caio, che intende utilizzare il rimedio previsto dall’art. 550, il legatario Sempronio subisce una modificazione oggettiva del legato: da usufrutto universale a piena proprietà della metà (ossia delle porzione disponibile).

Secondo la Suprema Corte[39] la norma di cui all’art. 500 c.c., attribuisce al legittimario, al quale, rispettivamente, sia stata assegnata la nuda proprietà ovvero l’usufrutto della disponibile (o di parte di essa), il potere di incidere unilateralmente sulla successione, senza ricorrere all’azione di riduzione, la quale, impostata sul concetto di lesione quantitativa, non assicura al legittimario la qualità (piena proprietà), oltre che la quantità della legittima – configura, quale diritto potestativo, una scelta (per la legittima in piena proprietà, con abbandono del resto – cioè della nuda proprietà o dell’ usufrutto della disponibile – ovvero per il conseguimento dell’oggetto della disposizione testamentaria) di cui la legge non determina la forma, con la conseguenza che essa, espressa o tacita, può essere provata anche per testimoni o per presunzioni, anche se è in questione l’ usufrutto o la nuda proprietà di beni immobili.

L’effettuazione di tale scelta è incompatibile con il successivo ricorso all’azione di riduzione per la diversità di presupposti, struttura e finalità delle norme di cui agli artt. 550 e 554 c.c.

3)  Donazione

È forse proprio questo il mezzo più adoperato per la costituzione dell’usufrutto, soprattutto nel caso di attribuzioni patrimoniali tra genitori e figli.

Figura discussa di donazione, adoperata talvolta anche in caso di usufrutto, è la donazione con termine iniziale dalla morte del donante (cum moriar), ovvero sotto condizione sospensiva della morte del donante (si premoriar). Si discute se essi siano dei patti successori, ma si è seguita la tesi negatrice.

Una delle fattispecie più complesse in merito all’usufrutto è la previsione dell’art. 796 c.c., la quale non consente al donante di riservare l’usufrutto (ma il tema sarà approfondito a breve[40]) dei beni donati a suo vantaggio e, dopo di lui, a vantaggio di altri soggetti, in ordine successivo. È, invece, ammesso l’usufrutto congiuntivo (ex art. 678 c.c.) in cui il godimento del diritto di usufrutto alla morte di ognuno passa ad altri chiamati, le cui quote si accrescono; tale accrescimento si concentra nella persona che sopravvive: solo alla morte dell’ultimo usufruttuario, l’usufrutto si estingue.

Si può quindi concludere ritenendo che la donazione del diritto di usufrutto sia ammissibile, e tuttavia la durata del diritto non potrà eccedere la vita del donante. È invece possibile, nell’ambito di una donazione circa un bene immobile, riservare il diritto di usufrutto a favore di un soggetto specificato.

4)   Usucapione

La natura reale dell’usufrutto permette che questo diritto sia posseduto indipendentemente dalla proprietà, anche se non è facile la distinzione fra possesso di usufrutto e possesso di proprietà, essendo la stato di fatto (ossia la detenzione materiale del bene) in apparenza uguale.

Un’ipotesi sicura si ha quando l’usufruttuario ha acquistato questo diritto per usucapione abbreviata e dal titolo astrattamente idoneo risulta l’acquisto non a titolo di proprietà, ma a titolo di usufrutto.

5)  Sentenza

Altro modo di acquisto dell’usufrutto, ancorché non menzionato dall’art. 978, è la sentenza del giudice nel caso che sussista l’obbligo di costituire l’usufrutto e di tale obbligo si chieda la c.d. esecuzione in forma specifica mediante sentenza costitutiva (artt. 2908 e 2932).

6)  Ex lege

 Artt.324[41], 540[42] e seguenti, 581, 1153

Inoltre il coniuge superstite in successioni legittime apertesi nel regime anteriore alla legge n. 151 del 1975, partecipa alla divisione ereditaria in qualità di legatario ex lege del diritto di usufrutto sullo stesso immobile in quanto detta divisione origina, a fianco della comunione propria tra i coeredi, una comunione incidentale impropria e di godimento tra diritti qualitativamente e quantitativamente eterogenei, determinata dalla concorrenza su quote ereditarie del diritto reale di usufrutto e di diritti di nuda proprietà[43].

 

 La riserva di usufrutto

 

Tale figura è prevista dal codice sia in tema di donazione (art. 796 c.c.) che in tema di vendita (art. 1002 c.c.)

 

art. 796 c.c.     riserva di usufrutto: è  permesso al donante di riservare l’usufrutto (c.c.978 e seguenti, 1002-3) dei beni donati a proprio vantaggio, e dopo di lui a vantaggio di un’altra persona o anche di più persone (contemporaneamente o comulitavamente), ma non successivamente c.c.698).

 

art. 1002 c.c.  inventario e garanzia: l’usufruttuario prende le cose nello stato in cui si trovano (982).

Egli è tenuto a fare a sue spese l’inventario dei beni, previo avviso al proprietario (Cod. Proc. Civ. 769). Quando l’usufruttuario è dispensato dal fare l’inventario, questo può essere richiesto dal proprietario a sue spese.

L’usufruttuario deve inoltre dare idonea garanzia (1179). Dalla prestazione della garanzia sono dispensati i genitori che hanno l’usufrutto legale sui beni dei loro figli minori (324). Sono anche dispensati il venditore e il donante con riserva d’usufrutto (796); ma, qualora questi cedano l’usufrutto, il cessionario è tenuto a prestare garanzia.

L’usufruttuario non può conseguire il possesso dei beni (982) prima di aver adempiuto gli obblighi su indicati.

 

Natura giuridica

A)   TEORIA DEL DOPPIO NEGOZIO – collegato – questi autori[44] partendo dalla concezione della proprietà come sintesi di facoltà infrazionabili e non come somma di una pluralità di facoltà, affermano che nelle alienazioni con riserva esistono due negozi:

il donante trasferisce al donatario la PIENA Proprietà e il donatario costituisce l’usufrutto sul bene donato a favore del donante.

Risvolti pratici – doppio pagamento d’imposta di trasferimento – il donatario non potrebbe essere un minore perché, essendo incapace di donare, non potrebbe costituire l’usufrutto a favore del donante.

B)   TEORIA DELL’UNICO NEGOZIO teoria moderna[45]: con cui il donante titolare della PIENA PROPRIETA’ riserva a suo favore una parte del contenuto della piena proprietà e cioè l’usufrutto; così come potrebbe trasferire ad un soggetto l’usufrutto e ad un altro la NUDA Proprietà; così come potrebbe riservare a se stesso un altro diritto reale di godimento come un diritto di enfiteusi.

È vero che la proprietà costituisce un diritto unitario e non una somma di diritti, ma non vi è ragione, come è stato rilevato, di negare al proprietario la possibilità di rompere questo vincolo unitario.

 

Secondo ultima Giurisprudenza di merito[46] la donazione con riserva di usufrutto in favore di un terzo da luogo a due distinti negozi, un trasferimento della nuda proprietà in favore del donatario, ed un’offerta di donazione dell’usufrutto in favore del terzo, improduttiva dì effetti fino a che non intervenga l’accettazione del terzo medesimo, prima della morte del costituente, nella prescritta forma dell’atto pubblico; pertanto, ha continuato la stessa Giurisprudenza, ne consegue che, qualora il donante riservi l’usufrutto sui beni donati a proprio vantaggio e, dopo di lui, a vantaggio di un terzo, come consentito dall’art. 796 c.c., il donatario della nuda proprietà acquista il pieno dominio alla cessazione dell’ usufrutto del donante, se il terzo riservatario non abbia accettato con le forme previste per tale tipo di contratto, ancorché in un momento successivo alla stipula del medesimo, in data anteriore al decesso del donante.

È bene anche sottolineare che secondo la S.C.[47] al fine di stabilire se l’atto di disposizione patrimoniale compiuto in vita dal de cuius sia lesivo della quota riservata ai legittimari, la donazione con riserva di usufrutto deve essere calcolata come donazione in piena proprietà, riferendone il valore al tempo dell’apertura della successione.

 

5)  La contitolarità dell’usufrutto

 

Non vi è dubbio che l’usufrutto possa spettare a più soggetti ed il fenomeno viene ricondotto al quadro generale della comunione (artt. 1100 e ss c.c.)

Ciascun partecipe è titolare di quota indivisa di usufrutto e può disporre della cosa compatibilmente con l’uso degli latri partecipanti; può percepire una parte di frutti corrispondente alla sua quota; può concorrere all’amministrazione della cosa (amministrazione che dipende dalla volontà della maggioranza dei partecipanti); può, infine, far cessare l’usufrutto mediante la divisione, salve le eccezioni espressamente stabilite per ogni comunione ordinaria o ereditaria.

Secondo la S.C.[48] in ipotesi di concorso sullo stesso bene di diritti reali di natura diversa, come appunto il diritto di proprietà ed il diritto di usufrutto, ricorre, sì, una comunione impropria, ma la sua esistenza giuridica deve essere riconosciuta al pari della comunione propria.

In realtà, però secondo giurisprudenza di merito[49], l’usufruttuario pro quota dell’immobile non è litisconsorte necessario nel giudizio di divisione in cui si chieda lo scioglimento della comunione non ereditaria, atteso che l’usufrutto, ove spetti a più persone, dà luogo esclusivamente ad un concorso di diritti su cosa altrui e non anche ad una comunione in senso proprio che, sola, invece, giustifica la configurabilità di un litisconsorzio necessario.

La comunione di godimento

È anche possibile che il godimento spetti in comune[50] ad un usufruttuario pro quota ed a un pieno proprietario pro quota.

Proprietario ed usufruttuario sono, in altri termini, entrambi autorizzati ad usare la cosa, purché non impediscano l’uso dell’altro; partecipano in proporzione alla loro quota alla percezione dei frutti, concorrendo in eguale misura al pagamento delle spese; concorrono all’amministrazione; contribuiscono a formare la maggioranza necessaria alle deliberazioni attinenti all’uso, la godimento e all’approvazione e del relativo regolamento.

 

Bisogna distinguere, nel caso di disposizione testamentaria, due ipotesi[51], a seconda che esista o non un’espressa volontà del testatore.

A)   Es. – Lego a Tizio la proprietà del fondo Tuscolano e a Caio l’usufrutto” – tale ipotesi viene interpretata nel senso che Tizio è legatario della sola nuda proprietà e Caio di tutto l’usufrutto e non vi è, ovviamente, possibilità di accrescimento;

B)   Es. – Tizio lega a Primo la proprietà e a Secondo l’usufrutto del fondo Tuscolano, espressamente disponendo che entrambi i legatari dovranno usare e godere il bene legato. Alla morte di Primo l’usufrutto si accrescerà a Secondo ovvero si consoliderà per la metà a favore degli eredi di Primo?

Alla teoria formalistica, la quale nega l’accrescimento perché si tratterrebbe di oggetti diversi (da un lato la proprietà e dall’altro l’usufrutto – diritti diseguali dal punto di vista quantitativo, ma omogenei dal punto di vista qualitativo), viene autorevolmente[52]  opposto che, ammessa la comunione di godimento (di conseguenza i rapporti tra proprietario ed usufruttuario, per quanto riguarda il godimento, possono considerarsi regolati dalle stesse norme applicabili alla comunione dei diritti reali), non si può escludere che la vocazione dell’usufrutto sia potenzialmente solidale[53].

Si avrà perciò accrescimento a favore di Secondo.

Usufrutto e condominio

Diritto di voto e ripartizione delle spese in condominio

A norma dell’art. 67 delle disposizioni di attuazione del codice civile l’usufruttuario può intervenire nell’assemblea nelle questioni che riguardano l’ordinaria amministrazione e l’uso delle cose e dei servizi comuni.

Le deliberazioni che riguardano innovazioni, ricostruzioni o lavori di straordinaria manutenzione alle parti comuni riguardano invece solo il proprietario.

Difatti secondo una sentenza di merito[54]in tema di condominio, nel caso in cui faccia parte dello stesso un piano o appartamento oggetto di usufrutto, il proprietario deve essere chiamato a partecipare alle assemblee condominiali indette per delibere sulle innovazioni delle opere di manutenzione straordinaria. Ove, al contrario, si tratti di affari di ordinaria amministrazione, deve essere dato avviso all’usufruttuario il quale non può dare il suo voto nelle materie riservate al proprietario.

Secondo ultima sentenza della Corte di Cassazione[55] in tema di ripartizione degli oneri condominiali tra nudo proprietario ed usufruttuario, in applicazione degli artt. 1004 e 1005 c.c., il nudo proprietario non è tenuto, neanche in via sussidiaria o solidale al pagamento delle spese condominiale, né può essere stabilita dall’assemblea una diversa modalità di imputazione degli oneri stessi in deroga alla legge.

Principio ripreso poi da altra Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 24 marzo 2014, n. 6877

secondo la quale tenuto conto della natura del diritto di usufrutto, che costituisce un diritto reale che deve essere reso pubblico con il mezzo della trascrizione (articolo 2643 c.c., n. 2), disciplina cui l’articolo 1026 c.c., fa riferimento in materia di diritto di abitazione. Correlando tale disciplina a quella dettata dal legislatore con riferimento agli obblighi nascenti dall’usufrutto e, segnatamente, alle spese ed oneri per la custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa oggetto del diritto, ne ha dedotto che l’usufruttuario e’ obbligato ad adempiere tutti gli oneri relativi alla custodia, all’amministrazione ed alla manutenzione della cosa oggetto del diritto e, per altro verso, che la sua posizione di titolare di un diritto valevole erga omnes determina tutti gli effetti conseguenti, sostanziali e processuali. E, dunque, e’ l’usufruttuario legittimato attivo e passivo in tutti i rapporti che sono comunque riconducibili al godimento della cosa (nella specie, l’unita’ immobiliare facente parte del condominio) nei limiti previsti dall’articolo 1004 c.c., commi 1 e 2, mentre e’ il nudo proprietario, ex articolo 1005 c.c., che deve provvedere alle riparazioni straordinarie: determinandosi, cosi’, una diversa ma precisa legittimazione attiva e passiva in capo all’usufruttuario ed al nudo proprietario

La deliberazione sul conto consuntivo e preventivo deve prevedere, per la sua validità, un’esatta ripartizione fra spese di ordinaria e straordinaria manutenzione del condominio, ciò per consentire il rispetto dei criteri legali previsti dagli artt. 1004 e 1005 del c.c.

Nella distinzione fra spese ordinarie e straordinarie valgono per l’usufruttuario ed il proprietario le seguenti linee guida:

  • la normalità e/o la prevedibilità dell’intervento;
  • l’entità materiale dell’intervento;
  • il costo dell’intervento in rapporto al reddito della cosa.

In tema è cosa giusta riportare anche una pronuncia del Tribunale di Bologna[56] secondo la quale ai sensi dell’articolo 1014, n. 1, del c.c., l’ usufrutto si estingue per prescrizione allorquando il titolare non abbia esercitato il suo diritto per vent’anni. L’avere sempre pagato le spese condominiali e l’imposta comunale sui rifiuti solidi urbani, sostenendo altresì gli oneri attinenti alle utenze per l’elettricità, l’acqua, il riscaldamento, il telefono evidenziano come l’immobile sia stato utilizzato dalla data dell’acquisto in poi soltanto dall’attrice, la quale si presume abbia destinato l’appartamento a propria abitazione (pur mantenendo la residenza anagrafica altrove). Anche la produzione delle copie dei relativi bollettini di c/c postale dimostrano (altrimenti le ricevute non sarebbero state in suo possesso) di avere sempre provveduto al versamento dell’Ici, nonostante detti bollettini siano intestati all’usufruttuario (ai sensi dell’articolo 3 comma 1, del D.Lgs. 504/1992 il soggetto passivo dell’imposta è infatti il titolare del diritto reale di usufrutto e non il nudo proprietario).

L’usufrutto congiuntivo (con clausola di accrescimento)

Figura di particolare interesse nell’ambito della contitolarità di usufrutto è l’usufrutto congiuntivo, la cui caratteristica consiste nell’accrescimento della quota dell’usufruttuario premorto a favore dei cousufruttuari superstiti, anziché nel consolidamento pro quota  con la nuda proprietà.

Secondo Giurisprudenza di merito[57], infatti, l’attribuzione del diritto di usufrutto per atto tra vivi può avvenire nei confronti di più soggetti contemporaneamente con diritto di accrescimento, ovvero con diritto per l’usufruttuario superstite di vedere accresciuta la propria quota in relazione al decesso dell’altro (o degli altri).

L’accrescimento, peraltro, può risultare anche dal tenore generale dell’atto di costituzione del diritto reale non essendo necessario, in altre parole, che esso sia espressamente previsto in apposita clausola se è, comunque, altrimenti implicitamente deducibile.

 

Il legislatore ha previsto l’accrescimento degli atti tra vivi in due ipotesi:

1)  la prima anteriore all’acquisto (in termini di donazione art. 773, II comma, c.c.).

Relativamente ai negozi non espressamente previsti (ossia diversi dalla donazione)

A)   alcuni autori ritengono che l’accrescimento anteriore all’acquisto non possa operare.

 

1)   Se si tratta di atti a titolo oneroso – si avrà non accrescimento ma modifica del contratto perché se uno dei destinatari della proposta accetta, mentre gli altri rifiutano (o comunque vengono a mancare), egli non sarà acquirente di quote in accrescimento, ma un acquirente per l’intero, conseguentemente obbligato per l’intero.

2)   Anche negli atti a titolo gratuito, diversi dalla donazione, si ha una modifica contrattuale, come nel caso di mutuo, nel quale chi riceve una maggiore quantità di cose, sarà tenuto a restituire questa quantità maggiore.

 

B) Sembra preferibile[58] l’opinione positiva la quale osserva che l’aumento del corrispettivo (o dell’eventuale restituzione nei negozi gratuiti) è in perfetta coerenza con l’acquisto di quota maggiore.

Anche qui, si può aggiungere, non si ha un’unica proposta di contratto rivolta a più soggetti, ma più proposte di contratto con clausola di accrescimento.

Se ad es. Tizio propone a Primo e a Secondo l’acquisto con clausola di accrescimento in parti uguali del fondo Tuscolano per il prezzo di 100 mila euro, e Primo accetta mentre Secondo rifiuta, l’acquisto si realizzerà interamente a favore di Primo, il quale una volta che, con l’accrescimento della sua quota, ha acquistato l’intero, dovrà conseguentemente pagare l’intero prezzo.

 

2) la seconda successiva all’acquisto (in tema di rendita vitalizia art. 1874 c.c.)

 

art. 1874 c.c.   costituzione a favore di più persone: se la rendita è costituita a favore di più persone, la parte spettante al creditore premorto si accresce a favore degli altri, salvo patto contrario.

 

Questo accrescimento (ex lege per i legati e convenzionale per gli atti inter vivos) viene giustificato considerando che l’usufrutto (a differenza della proprietà) è un diritto temporaneo che si estingue con la fine del suo titolare. Di conseguenza, essendo a ciascun cousufruttuario attribuito (per il principio della comunione) il diritto all’intero, sia pure limitato dal diritto degli altri, nessun ostacolo si oppone, a differenza che per la proprietà, per un accrescimento posteriore all’acquisto, figura quest’ultima, oltre tutto, espressamente prevista per la rendita vitalizia.

 

L’ammissione di  un accrescimento successivo all’acquisto, secondo la tesi preferibile[59], seguita anche dalla giurisprudenza della Cassazione, si basa sul presupposto che  bisogna distinguere tra proprietà , usufrutto e comproprietà:

A)   nella prima ipotesi –  l’accrescimento non può ammettersi perché:

1)   il diritto di proprietà è stato irreversibilmente acquistato dal con donatario e, alla sua morte, dovrà necessariamente far parte della sua successione, salvo, ben s’intende, che egli non ne abbia già disposto per atto inter vivos;

2)   inoltre una clausola di tal tipo urterebbe contro il divieto della sostituzione fedecommissaria (art. 692 c.c.) e

3)   contro quello dei patti successori (art. 458 c.c.)

B)   Nel caso di cousufrutto (di uso e di abitazione)  l’accrescimento successivo è possibile. Essendo un diritto di natura temporale e non suscettibile di trasmissione ereditaria nemmeno per rappresentazione, nessun ostacolo in ordine logico – giuridico si pone contro la configurabilità del patto di accrescimento:

1)   non la necessaria trasmissione agli eredi, trattandosi, appunto, di diritto intrasmissibile;

2)   non il divieto di sostituzione fedecommissaria, giacché l’operare dell’accrescimento non determina una vera e propria successione di più soggetti nello stesso diritto, ma la naturale espansione dell’unico godimento, per effetto del venir meno del limiti originario costituito dal concorso altrui;

3)   non il divieto dei patti successori, non potendo il diritto di usufrutto considerarsi in alcun modo quale bene ereditario.

C) Nel caso della comunione tuttavia, l’accrescimento potrebbe aversi per altra strada e, precisamente, perché i soggetti sono fra loro in comunione e si applicheranno, perciò i principi di questo istituto, rispetto al quale bisogna distinguere tra rinunzia e premorienza:

1)             nel primo caso si avrà accrescimento;

se ad es. Primo, titolare in comproprietà con Secondo del fondo Tuscolano acquistato da Tizio, rinunzierà alla sua comproprietà, la sua quota si accrescerà a Secondo non in forza della clausola contenuta nel contratto ma per l’espansione della quota dell’atro comunista; altrimenti la quota del rinunziante spetterebbe al patrimonio dello Stato (art. 827) per i beni immobili o diverrebbe res derelicta per i beni mobili.

2)             nel secondo caso il diritto del comunista si trasmetterà ai suoi eredi.

 

L’usufrutto successivo – in generale è vietato

Non è pertanto ammesso che la riserva sia fatta a favore del donante, dopo di sé, a favore di altre persone e dopo quest’ultime a favore di altri (cd. usufrutto successivo).

Quindi, stante l’intrinseca temporaneità del diritto di usufrutto, questo potrà restare separato dalla nuda proprietà solo per il tempo della vita del donante (primo riservatario) e per quello della vita del secondo riservatario.

L’usufrutto successivo, ha dunque, una struttura nettamente diversa da quello congiuntivo (contemporaneamente a più persone). In questo ultimo si ha un solo usufrutto contemporaneo (o contitolarità dello stesso usufrutto); nell’usufrutto successivo, invece, abbiamo più usufrutti, uno dopo l’altro.

L’usufrutto successivo negli atti mortis causa è assolutamente vietato.

Il fondamento del divieto di usufrutto successivo si ritrova nell’esigenza di evitare una lunga privazione del godimento del bene da parte del proprietario che inciderebbe sulla sua commerciabilità. La conferma di questa ratio è nell’art. 979 < la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario (artt. 678, 698, 796, 853, 1014 c.c.) >.

Secondo la S.C.[60]il divieto dell’usufrutto successivo, ricollegandosi a quello della sostituzione fedecommissaria, è di ordine pubblico, giacché si coordina anche esso all’esigenza di evitare che siano frapposti ostacoli alla libera circolazione dei beni, mediante l’imposizione di vincoli di durata assai lunga o indeterminata. Tale divieto trova applicazione anche rispetto ai diritti di uso e di abitazione, in quanto l’art. 1026 c.c. richiama espressamente e senza alcuna discriminazione, le norme in tema di usufrutto, tra le quali si inquadra anche l’art. 698 c.c., ed in quanto la ratio di questo ricorre anche per i diritti di uso e di abitazione.

La collocazione del legato di usufrutto successivo nella stessa sezione della sostituzione fedecommissaria spiega una somiglianza formale dei due istituti ma in realtà, l’art. 698 c.c. vieta una fattispecie strutturalmente diversa, perché nell’usufrutto successivo, a differenza del fedecommesso, manca l’obbligo di conservare e restituire essendo l’usufrutto un diritto che si estingue alla morte del suo titolare.

Perciò oggetto del fedecommesso non può essere un usufrutto, ma solo la proprietà.

 

art. 698 c.c.   usufrutto successivo: la disposizione, con la quale è lasciato a più persone successivamente l’usufrutto, una rendita o un’annualità, ha valore soltanto a favore di quelli che alla morte del testatore si trovano primi chiamati a goderne (c.c.796).

 

Es. – Tizio ha legato l’usufrutto del fondo Tuscolano a Caio e successivamente, a Mevio e, successivamente, a Sempronio, l’unico legato di usufrutto valido sarà quello a favore di Caio.

 

Ammissibilità del legato di usufrutto a termine

È discusso se il divieto dell’usufrutto successivo riguardi anche l’ipotesi di usufrutto a termine: Tizio lega un usufrutto a favore di Primo, Secondo e Terzo in modo che primo ne goda per 10 anni, Secondo per i successivi 10 e Terzo per gli altri 10.

È preferibile[61] la tesi[62] della validità perché, in questa ipotesi la durata dell’usufrutto non supera termini certi, mentre l’usufrutto successivo fa riferimenti a termini incerti e, precisamente alla morte degli usufruttuari che si susseguono.

 

La donazione di usufrutto successivo

Il divieto per la donazione di usufrutto successivo è analogo a quello disposto per il legato con la sola differenza che, nel caso appunto di donazione, è consentita la costituzione di un usufrutto in più, vale a dire la riserva in capo al donante stesso.

Il principio generale è che il donante può riservare l’usufrutto a suo favore e poi dopo la sua morte, congiuntamente, a favore di un’altra persona (ad es. moglie) o più persone (ad es. figli) viventi al momento della donazione (USUFRUTTO SUCCESSIVO  eccezionalmente valido).

 

Struttura  

A)   Secondo alcuni autori[63] in questo caso ricorre un’ipotesi di contratto a favore di terzo: il donatario, al quale viene trasferita la proprietà, assumerebbe l’obbligo di costituire l’usufrutto, alla morte del donante, a favore di altra persona.

B)   Invece, secondo altri autori[64], si avranno due DONAZIONI:

1)   DONAZIONE della nuda proprietà ad un soggetto (con riserva di usufrutto al donante – PRIMO RISERVATARIO);

2)   DONAZIONE contestuale ad altro soggetto (o a più soggetti congiuntamente ma non successivamente) avente ad oggetto l’usufrutto (SECONDO RISERVATARIO) per dopo la morte del donante (art. 796 c.c.).

Ne segue che il c.d. terzo, data la struttura contrattuale della donazione, acquisterà l’usufrutto unicamente con l’accettazione, la quale dovrà essere fatta non solo per atto pubblico, ma anche in vita del donante: la sua morte, infatti, toglierà efficacia alla proposta di donazione.

In altre parole, secondo la migliore dottrina, la riserva a favore del secondo riservatario dà luogo ad una PROPOSTA DI DONAZIONE DIRETTA che va accettata in vita del donante (ex art.782 cc).

Tale fattispecie ricorre molto frequentemente nella donazione dal padre ai figli della nuda proprietà, con riserva di usufrutto a favore di esso donante e per dopo la sua morte a favore del coniuge; per perfezionare il contratto di donazione, la moglie dovrà, ad esempio, costituirsi nell’atto[65] notarile ed accettare la donazione (diretta) dell’usufrutto a suo favore (che ovviamente è sottoposta alla condizione della premorienza del marito alla moglie).

Le cose dette valgono, naturalmente, anche per l’ipotesi, legislativamente non prevista, nella quale la riserva è fatta solo a favore del c.d. terzo e non anche a favore del donante. In questo caso, evidentemente, si avranno 2 donazioni distinte e immediate: una della nuda proprietà, l’altra dell’usufrutto.

La teoria della doppia donazione esclude poi la riserva a favore di soggetti indeterminati al momento della donazione e che il donante si riserva di designare successivamente. Un contratto, infatti, non è possibile se non con una persona determinata, alla quale la proposta deve essere indirizzata.

 

Possibilità di conferma

Di particolare interesse è il problema se possono essere confermati ai sensi degli artt. 799 e 590 c.c. le donazioni ed i legati nulli perché in contrasto con il divieto dell’usufrutto successivo.

è preferibile[66] la tesi positiva, seguita da una non recente sentenza della Cassazione e da una meditata dottrina la quale utilizza l’autonomia del negozio di conferma rispetto ai negozi confermati e sostiene che bisogna in concreto individuare se un certo risultato, illecito in quanto perseguito mediante testamento o donazione, sia illecito anche se perseguito inter vivos.

Così, ad esempio, è stata affermata in giurisprudenza la sanabilità del testamento che disponga un usufrutto successivo: la legge, infatti, si limita ad evitare che un simile usufrutto sia costituito mediante testamento (art. 698 c.c.) e mediante donazione (art. 796 c.c.), ma non estende tale divieto agli atti tra vivi diversi dalla donazione, tra i quali s’inquadra il negozio di conferma.

In altri termini, l’eventuale illiceità viene, per questa teoria, trasferita dalle disposizioni testamentarie al negozio di conferma.

 

La costituzione di usufrutto successivo con atto a titolo oneroso

È discussa la sua ammissibilità che ricorre ad esempio quando Tizio vende l’usufrutto del fondo Tuscolano a Caio e, successivamente a Sempronio, nel senso che alla morte di Caio, l’usufrutto di Costui non si consoliderà a favore di Tizio perché avrà inizio l’usufrutto di Sempronio.

La dottrina prevalente[67] e la costante Giurisprudenza della Cassazione hanno ammesso la costituzione di un usufrutto successivo con atto tra vivi a titolo oneroso perché manca qualsiasi norma che lo vieti, sia pure in via indiretta, qual è, per le disposizioni testamentarie e per la donazione, il fedecommesso.

 

Si legge nelle sentenze della Cassazione che la legge (per ragioni di ordine pubblico ricollegatesi al divieto di sostituzione fedecommissaria, come già scritto) vieta soltanto che l’usufrutto successivo possa essere costituito mediante disposizione testamentaria ovvero, salva l’eccezione di cui all’art. 796 c.c., mediante donazione. Non contrasta con l’essenza dell’usufrutto e col suo carattere di temporaneità la costituzione di un usufrutto successivo in favore di persone fisiche tutte viventi al momento della costituzione, mediante un atto tra vivi diverso dalla donazione.

Si aggiunge che l’usufrutto successivo non potrà, comunque, superare la durata di una vita umana, perché gli usufruttuari dovranno necessariamente essere persone già nate.

 

6)  Diritti ed obblighi dell’usufruttuario

A) Possesso della cosa

art. 982 c.c.possesso della cosa: l’usufruttuario ha il diritto di conseguire il possesso della cosa di cui ha l’usufrutto, salvo quanto è disposto dall’art. 1002.

Secondo una pronuncia di merito[68] il possesso dell’usufruttuario, pur dovendosi qualificare come detenzione nei confronti del nudo proprietario, ha tuttavia un’autonoma rilevanza sufficiente ad escludere che altri soggetti, quand’anche in concreto godano ed usino della cosa, possano vantare con la cosa stessa una relazione di fatto idonea a determinare, ove prolungata per i tempi e secondo le modalità all’uopo necessarie, l’usucapione.

Inoltre in tema la S.C.[69] ha affermato che l’usufruttuario ha il diritto di conseguire, nei limiti della propria quota, il possesso della cosa di cui ha l’usufrutto, anche nel caso in cui concorra nell’usufrutto medesimo per una quota minore rispetto a quella di altri usufruttuari, in quanto ove tale diritto spetta a più soggetti si stabilisce tra i medesimi una comunione di godimento (cousufrutto) che può essere caratterizzata da partecipazioni disuguali, cui si applicano le norme regolanti la comunione dei diritti reali (art. 1105 c.c.).

Proprio in virtù di tale possesso ai fini della responsabilità[70] presunta per cose in custodia ai sensi all’art. 2051 c.c., l’usufruttuario – avendo, appunto il possesso della cosa – è parificato al proprietario, senza che si possa distinguere nell’ambito della cosa oggetto dell’ usufrutto (nella specie, villa con parco), per sottrarsi alla responsabilità, tra un singolo bene pertinenziale non fruttifero, destinato a scopi ornamentali, come una pianta di araucaria, e il bene principale, atteso che la capacità di produrre frutti va riferita non alle singole parti, ma al bene nella sua inscindibile totalità.

art. 1002 c.c.inventario e garanzia: l’usufruttuario prende le cose nello stato in cui si trovano (982).

Egli è tenuto a fare a sue spese (1o presupposto per prendere possesso[71])l’inventario dei beni, previo avviso al proprietario (Cod. Proc. Civ. 769). Quando l’usufruttuario è dispensato dal fare l’inventario, questo può essere richiesto dal proprietario a sue spese.

L’usufruttuario deve inoltre dare idonea garanzia(2o presupposto per prendere possesso)(1179). Dalla prestazione della garanzia sono dispensati i genitori che hanno l’usufrutto legale sui beni dei loro figli minori (324). Sono anche dispensati il venditore e il donante con riserva d’usufrutto (796); ma, qualora questi cedano l’usufrutto, il cessionario è tenuto a prestare garanzia.

L’usufruttuario non può conseguire il possesso dei beni (982) prima di aver adempiuto gli obblighi su indicati.

art. 1003 c.c.mancanza o insufficienza della garanzia: se l’usufruttuario non presta la garanzia a cui e tenuto, si osservano le disposizioni seguenti:

gli immobili sono locati o messi sotto amministrazione, salva la facoltà all’usufruttuario di farsi assegnare per propria abitazione una casa compresa nell’usufrutto. L’amministrazione è affidata, con il consenso dell’usufruttuario, al proprietario o altrimenti a un terzo scelto di comune accordo tra proprietario e usufruttuario o, in mancanza di tale accordo, nominato dall’autorità giudiziaria (att. 59);

il danaro è collocato a interesse (1000-2);

i titoli al portatore si convertono in nominativi a favore del proprietario con il vincolo dell’usufrutto, ovvero si depositano presso una terza persona, scelta dalle parti, o presso un istituto di credito, la cui designazione, in caso di dissenso, e fatta dall’autorità giudiziaria;

le derrate sono vendute e il loro prezzo è parimenti collocato a interesse (1000-2).

In questi casi appartengono all’usufruttuario gli interessi dei capitali, le rendite, le pigioni e i fitti.

Se si tratta di mobili i quali si deteriorano con l’uso, il proprietario può chiedere che siano venduti e ne sia impiegato il prezzo come quello delle derrate. L’usufruttuario può nondimeno domandare che gli siano lasciati i mobili necessari per il proprio uso.

Per conseguire il possesso, se questo è esercitato da altri, l’usufruttuario può esperire l’actio confessoria, azione analoga alla rei vendicatio, detta, appunto, anche vendicatio usufructus.

B) diritti dell’usufruttuario

art. 983 c.c. accessioni: l’usufrutto si estende a tutte le accessioni della cosa . Se il proprietario dopo l’inizio dell’usufrutto, con il consenso dell’usufruttuario, ha fatto nel fondo costruzioni o piantagioni, l’usufruttuario è tenuto a corrispondere gli interessi sulle somme impiegate. La norma si applica anche nel caso in cui le costruzioni o piantagioni sono state fatte per disposizione della pubblica autorità.

L’estensione dell’usufrutto alle accessioni della cosa non è subordinata, nel caso di costruzioni o piantagioni fatte dal proprietario con il consenso dell’usufruttuario o per disposizione della pubblica autorità, alla condizione della corresponsione degli interessi sulle somme impiegate[72].

Sempre per la S.C.[73], in deroga alla previsione ex art. 983 c.c., in ipotesi di usufrutto stabilito soltanto sopra un edificio, se questo perisce, trova applicazione il secondo comma dell’art. 1018 c.c., che sancisce un’eccezione alla regola generale contenuta nell’art. 983 c.c.

Pertanto, ove il proprietario costruisca un nuovo edificio, avvalendosi del diritto di occupare l’area e di adoperare i materiali, il nuovo edificio non è soggetto ad usufrutto ed all’usufruttuario rimane soltanto il diritto di credito, avente ad oggetto gli interessi sulla somma corrispondente al valore dell’area e dei materiali. Consegue che, essendosi estinto l’usufrutto con la costruzione del nuovo edificio, al successivo evento della morte dell’originario usufruttuario non si verifica consolidazione e non è, quindi, dovuta l’imposta di consolidazione.

La proprietà dei frutti naturali si acquista con al separazione, i frutti civili si acquistano giorno per giorno in ragione della durata del diritto.

Questa regola generale si applica anche all’usufruttuario.

art. 984 c.c.frutti: i frutti naturali e i frutti civili spettano all’usufruttuario per la durata del suo diritto (820 s )

Se il proprietario e l’usufruttuario si succedono nel godimento della cosa entro l’anno agrario o nel corso di un periodo produttivo di maggiore durata, l’insieme di tutti i frutti si ripartisce fra l’uno e l’altro in proporzione della durata del rispettivo diritto nel periodo stesso (199; att. 150).

Le spese per la produzione e il raccolto sono a carico del proprietario e dell’usufruttuario nella proporzione indicata dal comma precedente ed entro i limiti del valore dei frutti (821).

art. 985 c.c.miglioramenti: l’usufruttuario ha diritto a un’indennità per i miglioramenti che sussistono al momento della restituzione della cosa (att. 157).

L’indennità si deve corrispondere nella minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento di valore conseguito dalla cosa per effetto dei miglioramenti.

L’autorità giudiziaria, avuto riguardo alle circostanze, può disporre che il pagamento della indennità prevista dai commi precedenti sia fatto ratealmente, imponendo in questo caso idonea garanzia (1179, Cod. Proc. Civ. 119).

Per la Corte[74] nomofilattica, a norma dell’art. 985 c.c. l’usufruttuario deve effettuare con risorse proprie i miglioramenti e può pretendere, solamente per quelle migliorie che sussistano al momento della restituzione della cosa, una indennità, fissata nella minor somma tra l’importo della spesa e l’aumento di valore conseguito dalla cosa.

Pertanto, l’usufruttuario non può legittimamente utilizzare allo scopo danaro del proprietario di cui sia comunque in possesso, né il suo diritto all’indennità diventa attuale fino alla cessazione dell’usufrutto.

Per di più con una recente pronuncia la medesima Corte[75] ha, in deroga al dettato normativo, stabilito che in caso di donazione della nuda proprietà di un immobile con riserva di usufrutto, attesa la natura di diritto reale di quest’ultimo, il nudo proprietario non è tenuto al pagamento di alcuna indennità in favore dell’usufruttuario, salva la sussistenza di titoli diversi o ulteriori, quali la locazione o il possesso di mala fede.

art. 986 c.c.addizioni: l’usufruttuario può eseguire addizioni che non alterino la destinazione economica della cosa.

Egli ha diritto di toglierle alla fine dell’usufrutto, qualora ciò possa farsi senza nocumento della cosa, salvo che il proprietario preferisca ritenere le addizioni stesse. In questo caso deve essere corrisposta all’usufruttuario un’indennità pari alla minor somma tra l’importo della spesa e il valore delle addizioni al tempo della riconsegna.

Se le addizioni non possono separarsi senza nocumento della cosa e costituiscono miglioramento di essa si applicano le disposizioni relative ai miglioramenti (att. 157).

Ad esempio a tutela del diritto di godere al pieno il proprio diritto di usufrutto è bene già sottolineare che, secondo la S.C.[76], va confermata in quanto sorretta da motivazione congrua e corretta non soltanto per quanto riguarda la scelta del procedimento di liquidazione equitativa ma anche per quel che concerne la determinazione in concreto del pregiudizio la sentenza di merito che, nel pronunciare la condanna al risarcimento del danno determinato dal mancato godimento del diritto di usufrutto, ha evidenziato, oltre alla limitata estensione del terreno, la circostanza che lo stesso, dalla data di costituzione dell’ usufrutto a quella dello spossessamelo era rimasto incolto per alcuni periodi.

Per ultima sentenza della S.C.

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 26 novembre 2015, n. 24150

la disciplina dei miglioramenti e delle addizioni nell’usufrutto, contenuta negli artt. 985 e 986 cod. civ., assume a riferimento gli interventi sul bene posti in essere dall’usufruttuario, che si traducono, al momento della restituzione, in altrettanti obblighi del nudo proprietario al pagamento di un indennizzo. Situazione diversa è quella in cui il donatario nudo proprietario deduca, come nella specie, di avere attuato a sue spese opere sul bene oggetto di usufrutto, che ne abbiano accresciuto il valore. In tale situazione – che può verificarsi in quanto non esiste un divieto, per il nudo proprietario, di effettuare interventi sul bene, con il consenso dell’usufruttuario, come desumibile dall’art. 983 cod. civ. -le opere eseguite dal nudo proprietario non possono “giovare all’usufruttuario o ai suoi eredi”, poiché ad esse non corrisponde affatto un credito dell’usufruttuario nei confronti del nudo proprietario. Viene a mancare, in tale situazione, la giustificazione del conferimento, in sede di collazione, del valore corrispondente al bene donato, comprensivo di opere realizzate dal donatario – nudo proprietario a sue spese.

C)  disponibilità del diritto di usufrutto

Oltre alla cessione l’usufruttuario può concedere l’ipoteca sull’usufrutto stesso (art. 2810, n. 2).

art. 980  c.c.    cessione dell’usufrutto: l’usufruttuario può cedere il proprio diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata, se ciò non è vietato dal titolo costitutivo (1002, 1350 n. 2, 2643 n. 2, 2810).

La cessione deve essere notificata al proprietario; finché non sia stata notificata, l’usufruttuario è solidalmente obbligato con il cessionario verso il proprietario (1292).

 

Sul tema la Corte di Piazza Cavour[77], ha affermato che, appunto, l’usufruttuario può cedere temporaneamente l’esercizio del suo diritto, conferendo al cessionario tutti i poteri inerenti e caratterizzanti il suo diritto reale, ma non il solo godimento di tale diritto, mediante un contratto di locazione che, ai sensi dell’art. 1571 c.c., può avere oggetto solo un cosa mobile o immobile.

Mentre non è configurabile la cessione temporanea del diritto di usufrutto a favore del nudo proprietario, in quanto ciò comporta la estinzione per consolidazione ai sensi dell’art. 1014 n. 2 c.c., senza possibilità che, allo spirare del pattuito termine della cessione, si verifichi la reviviscenza dell’usufrutto ormai estinto, è ben possibile, invece, la cessione temporanea dell’esercizio del diritto di usufrutto, poiché esso comporta il conferimento al cessionario delle sole facoltà di uso e di godimento della cosa, senza trasferimento del diritto, dando luogo ad un rapporto obbligatorio costituito dall’impegno del cedente (che conserva la titolarità dell’usufrutto) di lasciare esercitare al cessionario tutti i poteri inerenti a tale diritto che, pur presentando delle affinità, si distingue dall’affitto di fondo rustico, sicché è da escludere, trattandosi di un negozio atipico, l’assoggettabilità del rapporto al regime vincolistico previsto per i contratti di affitto di fondo rustico le cui norme, stante il loro carattere cogente, non sono suscettibili di interpretazione analogica[78].

In merito al divieto eventualmente previsto dal titolo costitutivo bisogna precisare che a differenza della fattispecie disciplinata dall’art. 1379 c.c. le alienazioni effettuate contro tale previsione saranno efficace anche nei confronti dei terzi.

art. 1379 c.c.   divieto di alienazione: il divieto di alienare stabilito per contratto ha effetto solo tra le parti, e non è valido (1° limite)  se non è contenuto entro convenienti limiti di tempo  [in caso di mancanza della fissazione del termine,  è preferibile la tesi dell’invalidità ( poiché è contraria a norma imperativa ex art. 1418) e non dell’annullabilità,  perché le norme che abilitano il giudice a sostituirsi alle parti nella fissazione di un termine sono di carattere eccezionale, non applicabili, dunque, per analogia](965) (2° limite) e se non risponde a un apprezzabile interesse di una delle parti (1260).

L’istituto è inserito dal legislatore nel capitolo sugli effetti del contratto per sottolineare la sua efficacia obbligatoria e non reale, a conferma del principio della tipicità dei diritti reali, ossia di quei diritti la cui efficacia, invece, si produce anche nei confronti dei terzi.

Si tratta di una regola inderogabile, nel senso che non potrà  certo, né una pattuizione espressa, né la trascrizione dall’atto, attribuire al patto efficacia reale per renderlo opponibile ai terzi.

In tal caso, invece, i trasferimenti effettuati contro il divieto saranno perciò validi e non pregiudicheranno l’acquisto del terzo, né potranno determinare un risarcimento del danno a suo carico; tuttavia, colui che si è obbligato a non alienare risponderà dei danni verso la parte alla quale aveva promesso di non disporre della cosa o del diritto.

art. 999 c.c.    locazioni concluse dall’usufruttuario: le locazioni concluse dall’usufruttuario, in corso al tempo della cessazione dell’usufrutto, purché constino da atto pubblico (2699) o da scrittura privata di data certa (2704) anteriore[79], continuano per la durata stabilita (1599), ma non oltre il quinquennio dalla cessazione dell’usufrutto.

Se la cessazione dell’usufrutto avviene per la scadenza del termine stabilito, le locazioni non durano in ogni caso se non per l’anno e, trattandosi di fondi rustici dei quali il principale raccolto è biennale o triennale, se non per il biennio o triennio che si trova in corso al tempo in cui cessa l’usufrutto (att. 51).

In merito la Corte di Piazza Cavour[80] ha affermato che il nudo proprietario di un immobile, concesso in locazione dall’usufruttuario ad un prezzo inferiore al valore di mercato, non può ottenere la declaratoria di invalidità di tale contratto.

Infatti, mancando nel nostro ordinamento una norma generale che sanzioni il contratto in frode ai terzi, l’unica tutela in ipotesi garantita al nudo proprietario è quella di cui all’art. 999 c.c., che circoscrive temporalmente l’opponibilità della locazione in corso al momento della cessazione dell’ usufrutto.

Ancora in precedenza la stessa Corte[81], ha stabilito che la posizione soggettiva in cui versa, in pendenza dell’usufrutto, il nudo proprietario, benché consenta a quest’ultimo il compimento di atti conservativi, non lo legittima ad agire, in difetto di un interesse concreto ed attuale (che non può identificarsi nella pendenza di giudizio relativo a domanda di cessazione dell’usufrutto per lamentati abusi dell`usufruttuario né nella circostanza dell’età avanzata di questi, tale che lasci presumere l`imminenza del consolidamento del pieno diritto di proprietà), per fare accertare la simulazione assoluta di un contratto di affitto del bene in usufrutto, concluso dall’usufruttuario.

Inoltre[82] la regola prevista dall’art. 999 c.c. (secondo cui i contratti posti in essere dall’usufruttuario non possono avere una durata superiore al quinquennio successivo alla cessazione dell’ usufrutto), vale in ogni caso e non può dirsi abrogata dalla legislazione successiva, in particolare dalla legge n. 392/78.

Questo perché mentre la c.d. legge sull’equo canone detta la disciplina «generale» dei contratti di locazione urbani, l’art. 999 c.c. costituisce – invece – norma «speciale», in quanto diretta a disciplinare, con riguardo al tempo della cessazione dell’ usufrutto, i contratti di locazione conclusi dall’usufruttuario.

Restando in tema, secondo la S.C.[83] l’adesione del nudo proprietario al contratto stipulato dal primo per una durata eccedente i cinque anni dalla cessazione dell’ usufrutto vale a derogare al divieto posto al riguardo dall’art. 999 c.c., che ha valore dispositivo, in quanto volto a dirimere interessi privati.

Infatti, la suddetta norma regola solo le interferenze tra il pieno godimento del proprietario successivamente alla cessazione dell’usufrutto ed il godimento del conduttore che derivi il suo diritto da contratto anteriormente stipulato con l’usufruttuario dando, per un verso, una preferenza al conduttore, che conserva il diritto anche nei confronti del proprietario, benché terzo rispetto al contratto di locazione, ma limitando, per altro verso, il vantaggio in tal modo attribuito al conduttore entro i cinque anni dalla data di cessazione dell’usufrutto.

art. 1078 c.c.   servitù costituite a favore del fondo enfiteutico, dotale o in usufrutto: le servitù costituite dall’enfiteuta a favore del fondo enfiteutico non cessano con l’estinguersi dell’enfiteusi. Lo stesso vale per le servitù costituite dall’usufruttuario a favore del fondo di cui ha l’usufrutto o dal marito a favore del fondo dotale (166 bis).

La costituzione di servitù da parte dei titolari dei descritti diritti reali parziali si ritengono costituite dunque fin dall’inizio come accessorie del diritto di proprietà e, pertanto, anche a favore del nudo proprietario, con la conseguenza che non possono essere oggetto di rinunzia da parte dell’enfiteuta, o dell’usufruttuario in quanto costoro non possono disporre del diritto che spetta anche al proprietario.

Su di un piano strettamente teorico può ammettersi la costituzione di una servitù passiva da parte dell’usufruttuario, purché essa sia limitata nel tempo al periodo per cui dura l’usufrutto e non importi un mutamento nella destinazione economica della cosa.

Tuttavia il codice ha espressamente voluto disconoscere all’usufruttuario la facoltà di costituire servitù passive, facendo seguire immediatamente all’art. 1077 c.c. (che regola la sorte delle servitù costituite dall’enfiteuta o non contempla affatto l’ipotesi di servitù costituite dall’usufruttuario), l’art. 1078 il quale, invece, dispone, relativamente alle servitù acquistate dall’enfiteuta a favore del fondo da lui goduto e contempla anche le servitù acquistate dall’usufruttuario.

D)  obblighi preliminari

All’inizio all’usufruttuario s’impongono l’obbligo di fare l’inventario, se non è stato dispensato, e l’onere di dare un’idonea garanzia.

Secondo le Sezioni Unite[84], infatti, il nudo proprietario, ancorchè abbia consentito che l’usufruttuario consegua il possesso dei beni senza previa prestazione d’idonea garanzia, può proporre domanda di accertamento dell’obbligo dell’usufruttuario di prestarla.

E tale domanda del nudo proprietario nei confronti dell’usufruttuario, per ottenere l’adempimento di quest’ultimo agli obblighi della effettuazione dell’inventario e della prestazione di idonea garanzia ha natura meramente personale[85], in quanto non investe l’esistenza ed il contenuto del diritto di usufrutto. Pertanto, in ipotesi di comunione ereditaria, la suddetta azione deve ritenersi esperibile anche dal singolo coerede, senza che insorga necessità di integrazione del contraddittorio nei confronti degli altri eredi.

La Cassazione[86] ha anche affermato, una sorta di deroga parziale, che l’usufruttuario non è tenuto a prestare la garanzia prevista dall’art. 1002 c.c. se l’usufrutto è costituito su immobili dati in precedenza in locazione ad altri e fino a quando dura il relativo rapporto.

Pertanto, finché dura la locazione, il proprietario non può pretendere che, in mancanza della garanzia, l’esercizio dei diritti del locatore, nascente dai contratti di locazione in corso, sia affidato, sia pure per conto dell’usufruttuario, a persona diversa da questo, in quanto le sanzioni previste dall’art. 1003 c.c. per il caso che l’usufruttuario non presti idonea cauzione (dare in locazione o porre sotto amministrazione gli immobili) hanno carattere alternativo e l’una esclude l’altra.

L’omessa prestazione della cauzione e l’omessa compilazione dell’inventario inibiscono all’usufruttuario l’acquisto del possesso (come già detto[87]) ma non intaccano l’acquisto immediato del diritto[88], né, trattandosi di usufruttuario ex lege, l’acquisto della qualità di partecipe della comunione di godimento e della contitolarità dei rapporti locatizi relativi alla cosa oggetto dell’usufrutto con i connessi poteri di disposizione. Tale principio è valido anche nel caso di mancato conseguimento del possesso da parte del coniuge superstite exart. 649 ultimo comma c.c., secondo il quale il legatario deve, per conseguire il possesso della cosa legata domandarla all’onorato.

E)  obblighi durante l’usufrutto

art. 981 c.c.    contenuto del diritto di usufrutto: l’usufruttuario ha diritto di godere della cosa, ma deve rispettarne la destinazione economica.

Egli può trarre dalla cosa ogni utilità che questa può dare (1998), fermi i limiti stabiliti in questo capo.

 

In merito per la Corte di Cassazione[89] in relazione al concetto di «destinazione economica» della cosa, che l’usufruttuario deve rispettare, quale limite al suo diritto di godimento della cosa stessa, posto dall’art. 981 comma I, c.c., deve aversi riguardo non alla funzione a cui la cosa sarebbe oggettivamente idonea, secondo i criteri della comune vita sociale bensì alla funzione a cui la cosa era adibita in concreto in precedenza dal pieno proprietario. In ogni caso, quello di cui occorre tener conto non è il regime giuridico della cosa, che può essere anche variato (così ad esempio l’usufruttuario può dare in locazione l’immobile che l’originario pieno proprietario abitava personalmente), bensì lo sfruttamento utilitario assegnato alla cosa, che non può essere di regola mutato.

Ciò posto, salvo il caso di particolari divieti contenuti nell’atto costitutivo dell’usufrutto ed idonei essi stessi a determinare una particolare destinazione economica della cosa e salvo che specifiche limitazioni non siano imposte dalla particolare natura di essa, deve ritenersi che, come non è dato al nudo proprietario di interferire negli accordi tra l’usufruttuario ed il terzo circa l’uso o il godimento della cosa, allo stesso modo non è richiesto il consenso del nudo proprietario per rendere a lui opponibili quegli accordi, a tanto provvedendo direttamente la legge con la disposizione dell’art. 999 c.c.

Di conseguenza[90] l’usufruttuario, che esegue (o che consenta siano eseguite) opere che alterino l’originaria destinazione dell’immobile oggetto del suo diritto, si rende inadempiente all’obbligazione di godere della cosa usando della diligenza del buon padre di famiglia e, essendo tenuto a risarcire il danno che ne derivi al nudo proprietario, può essere condannato al risarcimento del danno in forma specifica e, perciò al ripristino delle precedenti condizioni dell’immobile.

 

art. 1001 c.c.   obbligo di restituzione. Misura della diligenza: l’usufruttuario deve restituire le cose che formano oggetto del suo diritto, al termine dell’usufrutto, salvo quanto è disposto dall’art. 995 (2930).

Nel godimento della cosa egli deve usare la diligenza del buon padre di famiglia (1176).

 

Nel godimento del bene l’usufruttuario deve tenere la diligenza del buon padre di famiglia; ad esempio, perciò, se oggetto di usufrutto è un fondo rustico dato in gestione a terzi, l’usufruttuario è tenuto a controllare che non siano compromesse la naturale destinazione del fondo e la normale efficienza dell’organizzazione della produzione e del suo mantenimento[91].

 

art. 1004 c.c.   spese a carico dell’usufruttuario: le spese e, in genere, gli oneri relativi alla custodia, amministrazione e manutenzione ordinaria della cosa sono a carico dell’usufruttuario.

Sono pure a suo carico le riparazioni straordinarie rese necessarie dall’inadempimento degli obblighi di ordinaria manutenzione.

 

L’usufruttuario ha l’obbligo di provvedere alle spese ed in genere agli oneri relativi alla manutenzione ordinaria dell’immobile, ma non anche a quelli relativi ad interventi di restauro[92], né è tenuto a comunicare al proprietario la necessità di tali interventi.

Non è, pertanto, configurabile alcuna sua responsabilità per la mancata comunicazione della predetta necessità, né per aver omesso di provvedere direttamente alle riparazioni non eseguite dal proprietario, essendo prevista al riguardo dall’art. 1006 cod. civ. soltanto una facoltà.

Le Sezioni Unite[93], hanno affermato che i criteri di ripartizione dei carichi di godimento e delle spese di custodia fra nudo proprietario ed usufruttuario, operano nei rapporti interni e, di regola, non sono opponibili al terzo creditore, salvo che diversamente risulti dal titolo del suo credito.

art. 1005 c.c.   riparazioni straordinarie: le riparazioni straordinarie sono a carico del proprietario.

Riparazioni straordinarie sono quelle necessarie ad assicurare la stabilità dei muri maestri e delle volte, la sostituzione delle travi, il rinnovamento, per intero o per una parte notevole, dei tetti, solai, scale, argini, acquedotti, muri di sostegno o di cinta.

L’usufruttuario deve corrispondere al proprietario, durante l’usufrutto, l’interesse (1284) delle somme spese per le riparazioni straordinarie.

 

Secondo il Tribunale Capitolino[94], con ultima sentenza, le riparazioni elencate nella disposizione normativa di cui all’art. 1005 c.c. non sono tassative, potendo e dovendo far rientrare in esse ogni opera che comporti la sostituzione di entità preesistenti, ma ormai inefficienti, con altre pienamente efficienti.

Ha specificato la S.C.[95] che il concetto di rinnovamento delle entità abbisognevoli di riparazione, cui si riferisce l’art. 1005 c.c. in tema di ripartizione delle spese relative alla cosa oggetto di usufrutto, è ben diverso dal concetto di innovazione cui si riferiscono, in tema di condominio negli edifici, gli artt. 1120 e 1121 c.c. Il primo concetto va posto in relazione ad opere che comportano la sostituzione di entità preesistenti, ma ormai inefficienti con altre pienamente efficienti. Il secondo riguarda, invece, opere che importano un mutamento della cosa nella forma e nella sostanza, con aggiunta di entità non preesistenti o trasformazione di alcuna di quelle preesistenti.

 

art. 1006 c.c.  rifiuto del proprietario alle riparazioni: se il proprietario rifiuta di eseguire le riparazioni poste a suo carico o ne ritarda l’esecuzione senza giusto motivo, e in facoltà dell’usufruttuario di farle eseguire a proprie spese. Le spese devono essere rimborsate alla fine dell’usufrutto senza interesse. A garanzia del rimborso l’usufruttuario ha diritto di ritenere l’immobile riparato (2756; att. 152).

 

Per ultima Cassazione

Corte di Cassazione, sezione II, sentenza 6 novembre 2015, n.22703

ciò che rileva, ai fini della distinzione tra gli interventi gravanti a carico dell’usufruttario e del nudo proprietario, non è la maggiore o minore attualità del danno da riparare, ma la essenza e la natura dell’opera, e cioè il suo carattere di ordinarietà o straordinarietà, poiché solo tale caratterizzazione incide sul diritto di cui l’uno o l’altro dei due soggetti sono titolari: spettando all’usufruttuario l’uso e il godimento della cosa, salva rerum substantia, si deve a lui lasciare la responsabilità e l’onere di provvedere a tutto ciò che riguarda la conservazione e il godimento della cosa nella sua sostanza materiale e nella sua attitudine produttiva; si devono, invece, riservare al nudo proprietario le opere che incidono sulla struttura, la sostanza e la destinazione della cosa, perché afferiscono alla nuda proprietà (v Cass. 4-1-1969 n. 10 citata).
Ha errato, pertanto – si legge nella sentenza in commento – la Corte di Appello nel ritenere che l’art. 1006 c.c. si riferisca alle sole spese di “riparazione”, con esclusione delle spese di “manutenzione straordinaria”, quali quelle che, come si legge nella sentenza impugnata, sono state liquidate dal giudice di primo grado in favore della convenuta.

art. 1007 c.c.   rovina parziale di edificio accessorio: le disposizioni dei due articoli precedenti si applicano anche nel caso in cui, per vetusta o caso fortuito, rovini soltanto in parte l’edificio che formava accessorio necessario del fondo soggetto a usufrutto.

 

art. 1008 c.c.   imposte e altri pesi a carico del l’usufruttuario: l’usufruttuario è tenuto per la durata del suo diritto, ai carichi annuali, come le imposte, i canoni, le rendite fondiarie e gli altri pesi che gravano sul reddito.

Per l’anno in corso al principio e alla fine dell’usufrutto questi carichi si ripartiscono tra il proprietario e l’usufruttuario in proporzione della durata del rispettivo diritto (984).

 

 

art. 1009 c.c.    imposte e altri pesi a carico del proprietario: al pagamento dei carichi imposti sulla proprietà durante l’usufrutto, salvo diverse disposizioni di legge, è tenuto il proprietario, ma l’usufruttuario gli deve corrispondere l’interesse (1284) della somma pagata.

Se l’usufruttuario ne anticipa il pagamento, ha diritto di essere rimborsato del capitale alla fine dell’usufrutto.

 

Ad esempio secondo una pronuncia della Commissione Tributaria provinciale di Milano[96] ai sensi dell’art. 3, D.Lgs. 504792, soggetto passivo dell’imposta comunale sugli immobili è il proprietario di immobili ovvero il titolare di diritto reale di usufrutto, uso, abitazione, enfiteusi, superficie, sugli stessi.

art. 1010 c.c.   passività gravanti su eredità in usufrutto: l’usufruttuario di un’eredità o di una quota di eredità (588) è obbligato a pagare per intero, o in proporzione della quota, le annualità e gli interessi dei debiti o dei legati da cui l’eredità stessa sia gravata.

Per il pagamento del capitale dei debiti o dei legati, che si renda necessario durante l’usufrutto, e in facoltà dell’usufruttuario di fornire la somma occorrente, che gli deve essere rimborsata senza interesse alla fine dell’usufrutto.

Se l’usufruttuario non può o non vuole fare questa anticipazione, il proprietario può pagare tale somma, sulla quale l’usufruttuario deve corrispondergli l’interesse (1284) durante l’usufrutto, o può vendere una porzione dei beni soggetti all’usufrutto fino alla concorrenza della somma dovuta.

Se per il pagamento dei debiti si rende necessaria la vendita dei beni, questa è fatta d’accordo tra proprietario e usufruttuario, salvo ricorso all’autorità giudiziaria in caso di dissenso. L’espropriazione forzata deve seguire contro ambedue.

 

Si è affermato che questo tipo di vocazione non attribuisce la qualità di erede, ma quella di legatario con la conseguenza che l’usufruttuario non è obbligato al pagamento dei debiti e dei pesi ereditari, fatta eccezione per le annualità e gli interessi dei debiti o dei legati da cui l’eredità stessa sia gravata ex art. 1010 c.c..

art. 1011 c.c.   ritenzione per le somme anticipate: nelle ipotesi contemplate dal secondo comma dell’art. 1009 e dal secondo comma dell’art. 1010, l’usufruttuario ha diritto di ritenzione sui beni che sono in suo possesso fino alla concorrenza della somma a lui dovuta (att. 152).

G)  Obblighi alla fine dell’usufrutto

art. 1001 c.c.  obbligo di restituzione. Misura della diligenza: l’usufruttuario deve restituire le cose che formano oggetto del suo diritto, al termine dell’usufrutto, salvo quanto è disposto dall’art. 995 (quasi usufrutto) (2930).

art. 996 c.c.    cose deteriorabili: se l’usufrutto comprende cose che, senza consumarsi in un tratto, si deteriorano a poco a poco, l’usufruttuario ha diritto di servirsene secondo l’uso al quale sono destinate, e alla fine dell’usufrutto e soltanto tenuto a restituirle nello stato in cui si trovano.

 

7) Estinzione dell’usufrutto

art. 1014 c.c.   estinzione dell’usufrutto: oltre quanto è stabilito dall’art. 979 (328), l’usufrutto si estingue:

l) per prescrizione per effetto del non uso durato per venti anni (2934 e seguenti);

2) per la riunione dell’usufrutto e della proprietà nella stessa persona (2814);

3) per il totale perimento della cosa su cui è costituito (1016 e seguenti).        

 

 A) prescrizione ventennale per non uso

È il caso di precisare che qualsiasi atto di esercizio vale a interrompere il non uso, anche un atto con il quale l’usufruttuario traesse dal bene un’utilità minore di quella che la titolarità del diritto gli consentirebbe, ovvero quando egli, inerte nel godimento, ne disponesse cedendola ad altri o costituendovi un’ipoteca o esercitando le azioni del suo diritto.

Non si estingue, invece, l’usufrutto par la c.d. usucapio libertatis la quale consiste nel possedere il fondo in stato di libertà da parte di un terzo.

Se, infatti, Tizio possiede il fondo come libero per 20 anni, acquisterà la proprietà piena non per la sua usucapione, ma solo perché, contemporaneamente, l’usufrutto si estingue per non uso non avendo l’usufruttuario esercitato il suo diritto in alcun modo.

B) Perimento del bene

art. 1016 c.c.   perimento parziale della cosa: se una sola parte della cosa soggetta all’usufrutto perisce, l’usufrutto si conserva sopra ciò che rimane.

 

art. 1018 c.c.    perimento dell’edificio: se l’usufrutto è stabilito sopra un fondo, del quale fa parte un edificio, e questo viene in qualsiasi modo a perire, l’usufruttuario ha diritto di godere dell’area e dei materiali.

La stessa disposizione si applica se l’usufrutto e stabilito soltanto sopra un edificio. In tal caso, però, il proprietario, se intende costruire un altro edificio, ha il diritto di occupare l’area e di valersi dei materiali, pagando all’usufruttuario, durante l’usufrutto, gli interessi (1284) sulla somma corrispondente al valore dell’area e dei materiali.

C)  consolidazione

art. 1014 c.c.   estinzione dell’usufrutto: …………………………………..

2) per la riunione dell’usufrutto e della proprietà nella stessa persona (2814);

D) La morte dell’usufruttuario

art. 979 c.c.   durata: la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario

Gli stessi effetti produce la dichiarazione di morte presunta la quale, ad ogni effetto giuridico, equivale alla morte vera.

E) abusi

art. 1015 c.c.   abusi dell’usufruttuario: l’usufrutto può anche cessare per l’abuso[97] (2561, 2814) che faccia l’usufruttuario del suo diritto alienando i beni o deteriorandoli o lasciandoli andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni (1004).

L’autorità giudiziaria può, secondo le circostanze, ordinare che l’usufruttuario dia garanzia, qualora ne sia esente, o che i beni siano locati o posti sotto amministrazione a spese di lui, o anche dati in possesso al proprietario con l’obbligo di pagare annualmente all’usufruttuario, durante l’usufrutto, una somma determinata.

I creditori dell’usufruttuario possono intervenire nel giudizio per conservare le loro ragioni, offrire il risarcimento dei danni e dare garanzia per l’avvenire (2900).

Ottima disamina dell’istituto viene fornita dalla Corte di Piazza Cavour[98] con una nota sentenza secondo la quale l’art. 1015 c.c., conforme all’art. 516 c.c. del 1865, prevede tre distinte ipotesi in presenza delle quali l’usufruttuario può essere dichiarato decaduto dall’usufrutto. Tali ipotesi ricorrono quando l’usufruttuario alieni i beni o li deteriori o li lasci andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni. La decadenza, peraltro, non può riguardare che i casi più gravi, in quanto, per gli abusi di minore gravità, la legge stessa prevede, nel secondo comma dell’art. 1015 c.c., rimedi meno rigorosi, di carattere non repressivo e sanzionatorio, ma semplicemente cautelari a tutela preventiva del diritto del nudo proprietario. Per tali più lievi abusi l’autorità giudiziaria, che ha in proposito il più ampio potere discrezionale, può, secondo le circostanze, o limitarsi ad imporre allo usufruttuario una cauzione, qualora ne sia esente, o adottare un provvedimento che privi l’usufruttuario di ogni ingerenza sui beni, disponendo che essi siano locati, o posti sotto amministrazione a spese di lui, o anche dati in possesso al nudo proprietario, con l’obbligo per costui di pagare annualmente all’usufruttuario, durante l’usufrutto, una somma determinata. Ai fini della determinazione delle conseguenze sanzionatorie, l’accertamento del giudice del merito è fondato su un apprezzamento discrezionale, insindacabile in cassazione, purché sia sorretto da congrua valutazione di tutti gli elementi decisivi concorrenti a determinare la colpa dell’usufruttuario.

Principio ripreso da altra recente sentenza della S.C.

Corte di Cassazione, civile, Ordinanza|| n. 11627

secondo la quale larticolo 1015 del codice civile conformemente all’articolo 516 del codice civile del 1865, prevede tre distinte ipotesi in presenza delle quali l’usufruttuario può essere dichiarato decaduto dall’usufrutto, che ricorrono quando l’usufruttuario alieni i beni o li deteriori o li lasci andare in perimento per mancanza di ordinarie riparazioni. La decadenza, peraltro, non può che riguardare i casi più gravi, in quanto per gli abusi di minore gravità la stessa legge prevede, nel comma 2 dell’articolo 1015 del codice civile, rimedi meno rigorosi di carattere non repressivo e sanzionatorio, ma semplicemente cautelari, a tutela preventiva del diritto del nudo proprietario.

L’estinzione, quindi, non si ha ipso iure, bensì ope iudicis.

E nell’ambito di tale giudizio[99], il nudo proprietario il quale chieda la decadenza dell’usufruttuario dal suo diritto, adducendo che si sia verificata una delle ipotesi previste dall’art. 1015 c.c. (abuso del diritto consistente nell’alienazione o nel deterioramento dei beni che ne formano oggetto, ovvero nella mancanza di ordinarie riparazioni che li lasci andare in perimento), deve limitarsi a dimostrare la sussistenza di tali condizioni al momento della proposizione della domanda esaurendosi con questa prova l’onere posto a suo carico. Pertanto, l’usufruttuario, il quale affermi che la mancanza di manutenzione preesisteva alla costituzione del suo diritto, propone un’eccezione che, essendo diretta a paralizzare la pretesa fatta valere in giudizio, deve essere da lui provata.

Per di più[100] l’usufruttuario, che esegue (o che consenta siano eseguite) opere che alterino l’originaria destinazione dell’immobile oggetto del suo diritto, si rende inadempiente all’obbligazione di godere della cosa usando della diligenza del buon padre di famiglia e, essendo tenuto a risarcire il danno che ne derivi al nudo proprietario, può essere condannato al risarcimento del danno in forma specifica e, perciò al ripristino delle precedenti condizioni dell’immobile.

F)  la scadenza del termine trentennale (a favore di una persona giuridica)

art. 979 c.c.   durata: la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario (678, 698, 796, 853, 1014).

L’usufrutto costituito a favore di una persona giuridica non può durare più di trenta anni (999, 1014).

G)  altre cause d’estinzione

1)   annullamento

2)   rescissione

3)   risoluzione

4)   la revocazione della donazione

5)   rinuncia

Per rinunciare all’usufrutto, in generale, c’è bisogno di rivolgersi ad un notaio. Le norme di riferimento sono gli articoli 2643, comma 1, numero 5, e 2657, del Codice civile.

La prima norma dispone che si devono trascrivere gli atti di rinuncia che abbiano ad oggetto diritti reali su beni immobili (qual è, appunto, la rinuncia al diritto di usufrutto su un appartamento).

La seconda, richiede, ai fini della trascrizione nei Registri Immobiliari, l’atto pubblico o la scrittura privata autenticata.

Con la risoluzione n. 25/E del 16 febbraio, l’Agenzia delle entrate ha precisato che l’atto di rinuncia a titolo gratuito del diritto di usufrutto in favore del nudo proprietario, configurando una forma di donazione indiretta, è soggetto all’imposta prevista dal Dlgs 346/90, come reintrodotto dalla legge 286/06, di conversione del Dl n. 262, nonché alle imposte ipotecaria e catastale in misura proporzionale.

L’equiparazione di un atto di rinuncia abdicativo, a titolo gratuito, agli atti di trasferimento di diritti reali di godimento, è pressoché pacifico nella giurisprudenza della Cassazione[101], in virtù dell’effetto di arricchimento del beneficiario conseguente alla rinuncia del diritto da parte del suo titolare.

Infatti, la rinuncia al diritto da parte dell’usufruttuario in favore del titolare della nuda proprietà, determinando la ricostituzione della piena proprietà dell’immobile, precedentemente gravato dal diritto di usufrutto, è assimilabile a un atto di trasferimento di un diritto di godimento.

Pertanto: l’aliquota è pari al 4% del valore dell’usufrutto, per il valore che oltrepassa la franchigia di un milione di euro; le imposte ipotecarie e catastali sono fisse (ciascuna pari a euro 168) se si tratta di prima casa, altrimenti sono rispettivamente pari al 2% e all’1% del valore (catastale) dell’usufrutto.H)  modificazioni dell’usufrutto

Esistono particolari ipotesi nelle quali il bene oggetto dell’usufrutto perisce, mentre il diritto si trasferisce su un altro bene che ne rappresenta in qualche modo, l’equivalente economico.

Anche se con ultima sentenza

Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza n. 22244 del 7 dicembre 2012

la S.C. ha affermato che la rinuncia all’usufrutto non fa perdere al contribuente i benefici prima casa.

La questione da risolvere concerne gli effetti ricollegabili ad un atto di rinuncia all’usufrutto, cioè se allo stesso possa essere ricollegato o meno, l’effetto decadenziale dal beneficio fiscale goduto in sede di acquisto di un immobile in una con altri acquirenti.
I Giudici, infatti, hanno ritenuto che, non potendo la rinuncia all’usufrutto essere qualificato un atto di trasferimento vero e proprio, costituendo, bensì, un atto abdicativo, cui consegue l’estinzione del diritto e non il relativo trasferimento, nessun effetto decadenziale era allo stesso ricollegabile.

art. 1017 c.c.    perimento della cosa per colpa o dolo di terzi: se il perimento della cosa non è conseguenza di caso fortuito, l’usufrutto si trasferisce sull’indennità dovuta dal responsabile del danno.

 

art. 1019 c.c.   perimento di cosa assicurata dall’usufruttuario: se l’usufruttuario ha provveduto all’assicurazione della cosa o al pagamento dei premi per la cosa già assicurata, l’usufrutto si trasferisce sull’indennità dovuta dall’assicuratore.

Se è perito un edificio e il proprietario intende di ricostruirlo con la somma conseguita come indennità, l’usufruttuario non può opporsi. L’usufrutto in questo caso si trasferisce sull’edificio ricostruito. Se però la somma impiegata nella ricostruzione è maggiore di quella spettante in usufrutto, il diritto dell’usufruttuario sul nuovo edificio è limitato in proporzione di quest’ultima.

 

art. 1020 c.c.    requisizione o espropriazione: se la cosa è requisita o espropriata per pubblico interesse, l’usufrutto si trasferisce sull’indennità relativa (1000).

 

Tutte le ipotesi predette possono considerarsi casi di surrogazione reale.

 

8)  Questioni processuali

art. 1012 c.c.   usurpazioni durante l’usufrutto e azioni relative alle servitù: se durante l’usufrutto un terzo commette usurpazione sul fondo o altrimenti offende le ragioni del proprietario, l’usufruttuario e tenuto a fargliene denunzia e, omettendola, è responsabile dei danni che eventualmente siano derivati al proprietario.

L’usufruttuario può far riconoscere (2653) l’esistenza delle servitù a favore del fondo (1079) o l’inesistenza di quelle che si pretende di esercitare sul fondo medesimo (949); egli deve in questi casi chiamare in giudizio il proprietario (Cod. Proc. Civ. 102)

 

L’onere di chiamare in giudizio il nudo proprietario, posto dall’art. 1012 c.c., a carico dell’usufruttuario che intenda esercitare l’azione confessoria o negatoria a tutela del fondo gravato dall’usufrutto, trae la sua giustificazione dal particolare contenuto che caratterizza l’estensione di tale diritto nei confronti della proprietà e dalla correlativa esigenza di evitare la formazione di giudicati la cui inopponibilità al nudo proprietario, derivante dalla sua mancata partecipazione al giudizio, contrasterebbe con la particolare finalità di accertare una condicio o qualitas fundi cui i giudicati stessi sono preordinati[102]. Tale esigenza, non ricorre, invece, nella diversa ipotesi in cui le suddette azioni siano promosse da o contro il nudo proprietario, con la conseguenza che, in tal caso, non è necessaria la partecipazione al giudizio dell’usufruttuario del fondo passivamente o attivamente gravato dalla servitù.

 

La legittimazione processuale

 

Secondo la S.C.[103] in tema di limitazioni legali della proprietà, l’azione per denunciare la violazione da parte del vicino delle distanze nelle costruzioni ha natura di negatoria servitutis, essendo diretta a far valere l’inesistenza di iura in re a carico della proprietà suscettibili di dar luogo ad una servitù, e pertanto al suo esercizio è legittimato, a norma dell’art. 1012, II comma, c.c., anche il titolare del diritto di usufrutto sul fondo.

È bene anche precisare[104] che  rispetto all’originaria domanda di negatoria servitutis, la domanda successivamente avanzata in corso di causa, diretta a ottenere il riconoscimento del diritto di proprietà per intervenuta usucapione ovvero il diritto di usufrutto della strada asseritamente di proprietà di altri, onde giustificare la propria legittimazione ad agire con l’actio negatoria, comporta non una semplice modificazione (emendatio) ma un vero e proprio mutamento della stessa (mutatio libelli), in quanto amplia il petitum sostanziale e introduce nel processo, nei limiti di tale ampliamento, un cambiamento degli elementi di fatto, diversi per consistenza ontologica, struttura e qualificazione giuridica, oltre che un nuovo tema di indagine.

Anche in tema di immissioni è riconosciuto il diritto all’usufruttuario di poter esperire la relativa azione. Infatti secondo la S.C.[105] l’art. 844 c.c.[106], il quale riconosce al proprietario il diritto di far cessare le propagazioni derivanti dal fondo del vicino che superino la normale tollerabilità, deve essere interpretato estensivamente, nel senso di legittimare all’azione anche il superficiario, l’enfiteuta, il titolare di usufrutto, di uso o di abitazione e, inoltre, è applicabile per analogia a chi sia titolare di un diritto personale di godimento sul fondo, come il conduttore ovvero il promissario di vendita immobiliare che abbia ricevuto la consegna del bene in anticipo rispetto alla conclusione del contratto definitivo.

In virtù dell’art. 982 c.c. competono all’usufruttuario anche le azioni possessorie.

Difatti secondo la S.C.[107] l’usufruttuario ha il potere di agire giudizialmente contro coloro che effettuano ingerenze sulla cosa oggetto del suo diritto, e pertanto egli è legittimato alle azioni possessorie ed a quelle petitorie dirette a tutelare l’uso ed il godimento della cosa.

In altre parole[108] deve riconoscersi all’usufruttuario il potere di agire giudizialmente contro coloro che effettuano ingerenze sulla cosa oggetto dell’usufrutto e, quindi, la legittimazione ad agire non solo nella vindicatio usufructus, ma in tutte le azioni, possessorie e petitorie, dirette a conservare il possesso nella sua sfera originaria e a recuperarlo, se perduto in tutto o in parte, e, comunque, dirette a difendere e a realizzare l’uso e il godimento della cosa. Relativamente alle ingerenze di terzi che ledono le ragioni sia dell’usufruttuario sia nel nudo proprietario, il primo, se, da un lato, è tenuto a farne denuncia al secondo, dall’altro, è legittimato ad agire da solo per la tutela del suo diritto, ma soltanto in nome proprio e non anche nell’interesse del nudo proprietario. La necessità del litisconsorzio tra usufruttuario e nudo proprietario è prevista, peraltro, riguardo alle liti in materia di servitù attive e passive promosse dall’usufruttuario, al fine di evitare la formazione di giudicati aventi efficacia solo temporanea.

Ancora, per la Cassazione[109], l’usufruttuario, quale titolare del diritto di godimento sul bene, è attivamente legittimato in ordine all’azione tendente al rilascio di un immobile, sia se fondata su un rapporto contrattuale, quale quello derivante dalla locazione o dal comodato, sia se basata sulla occupazione senza titolo dell’immobile stesso.

Inoltre[110] l’usufruttuario ha un’autonoma legittimazione ad agire ai sensi dell’art. 2043 c.c. per il risarcimento del danno cagionato da un terzo al bene oggetto del suo diritto.

Secondo, ultima Cassazione[111], invece, la legittimazione passiva in ordine all’azione di riduzione in pristino conseguente all’esecuzione, su immobile concesso in usufrutto, di opere edilizie illegittime, perché realizzate in violazione delle distante legali[112], spetta al nudo proprietario, potendosi riconoscere all’usufruttuario il solo interesse a spiegare nel giudizio intervento volontario ad adiuvandum, ai sensi dell’art. 105, II comma, c.p.c., volto a sostenere le ragioni del nudo proprietario alla conservazione del suo immobile, anche quando le opere realizzate a distanza illegittima abbiano riguardato sopravvenute accessioni sulle quali si sia esteso il godimento spettante all’usufruttuario in conformità dell’art. 983 c.c.

 

In un’altro caso particolare, sempre ai fini processuali, secondo Giurisprudenza di merito[113], nella fase esecutiva non vi è lesione del diritto del terzo nudo proprietario rispetto alla procedura di espropriazione esercitata nei confronti del debitore – usufruttuario – del diritto reale (di usufrutto appunto) facente capo allo stesso che, evidentemente, è ricompreso nel suo asse patrimoniale. Tale procedura esecutiva, quindi, rimane estranea alla sfera giuridica del nudo proprietario che, di conseguenza, non ha alcun interesse, ed alcuna legittimazione, ad agire in opposizione alla stessa.

Sempre nell’ambito della medesima fase, per altro Tribunale[114], in pendenza di procedura esecutiva immobiliare avente ad oggetto la nuda proprietà, qualora il titolare del diritto di usufrutto deceda in epoca anteriore all’emissione del decreto di trasferimento, l’aggiudicatario della nuda proprietà non può ritenersi acquirente a titolo originario, anche del diritto di usufrutto del bene da lui acquistato, e per l’effetto non può estendere il limitato diritto a lui trasferito fin quando non si verifichi un successivo fatto estintivo del diritto di godimento medesimo. Ciò in quanto la successione temporale esclude che di tale consolidamento possa giovarsi l’aggiudicatario, quanto piuttosto il creditore procedente e quelli intervenuti nella procedura esecutiva che sono, pertanto, legittimati a chiedere l’estensione del pignoramento anche al diritto di usufrutto sull’immobile esecuta.

Logicamente, come affermato dal Tribunale di Reggio Calabria[115], non si può procedere alla vendita forzata quando il diritto pignorato non corrisponde a quello oggetto di vendita ovvero quando viene pignorato il diritto di proprietà, ma il debitore esecutato risultava titolare del diritto di usufrutto.

 

Litisconsorzio

 

È opportuno, nuovamente sottolineare[116] che, quanto ai due soggetti titolari di usufrutto sul bene, non ricorre una ipotesi di litisconsorzio necessario, atteso che l’usufrutto e la nuda proprietà, costituendo diritti reali diversi, danno luogo – ove spettino a più persone – a un concorso di iura in re aliena sul medesimo bene e non anche a una comunione in senso proprio. Insussistente, dunque, è la pretesa qualità di litisconsorte necessario dell’usufruttuario pro quota dell’immobile, che, all’evidenza, la disposizione dell’art. 784 c.p.c. non prefigura e che si pone in contrasto col principio già enunciato dalla stessa Corte, secondo cui, nel giudizio di divisione relativo ad immobile gravato pro quota da usufrutto in virtù di un negozio trascritto anteriormente alla trascrizione della domanda di divisione giudiziale, l’usufruttuario non è litisconsorte necessario, ma può essere chiamato affinché la sentenza abbia effetto nei suoi confronti, ai sensi dell’art. 1113, comma II, c.c., in relazione all’art. 106 c.p.c.[117]

Difatti[118] nel caso di comproprietà di beni gravati da un diritto di usufrutto, la partecipazione dell’usufruttuario al giudizio di divisione si rende necessaria nella sola ipotesi di comunione ereditaria, e sempreché l’usufruttario rivesta, altresì, la qualità di erede (art. 713 c.c.), ma non in caso di divisione convenzionale, dovendo ritenersi consentito ai comproprietari, nell’esercizio della loro autonomia negoziale, di pattuire fra di essi lo scioglimento della comunione stessa (art. 784 c.p.c.), senza che, in tale giudizio, l’usufruttuario acquisti la veste di litisconsorte necessario.

Principio già  affermato con altra sentenza[119] secondo la quale,  qualora con la domanda di divisione si chieda lo scioglimento della comunione non ereditaria avente ad oggetto la contitolarità della nuda proprietà, l’usufruttuario pro quota dell’immobile non è parte necessaria del giudizio, atteso che l’ usufrutto e la nuda proprietà, costituendo diritti reali diversi, danno luogo – ove spettino a più persone – a un concorso di iura in re aliena sul medesimo bene e non anche ad una comunione in senso proprio, configurabile in presenza della contitolarità del medesimo diritto reale (1100 c.c.) ed alla quale è correlato il giudizio di divisione, che è volto alla trasformazione del diritto ad una quota ideale (della proprietà o di altro diritto reale limitato) in un diritto esclusivo (di proprietà o di altro diritto reale limitato) su beni individuali; nè, d’altra parte, l’art. 784 c.c. prefigura la sussistenza di un litisconsorzio necessario nei confronti dell’usufruttuario “pro quota”, atteso che, nel giudizio di divisione, l’usufruttuario stesso, il quale abbia acquistato il diritto in base a un negozio trascritto in data anteriore alla trascrizione della domanda di divisione, può essere chiamato in giudizio, ai sensi dell’art. 1113 comma III, c.c. in relazione all’art. 106 c.p.c., perché la sentenza abbia effetto nei suoi confronti.

Mentre interpretando a contrario una massima della Cassazione[120] risulta necessario l’integrazione del contraddittorio quando ad esempio è proposta azione negatoria servitutis – diretta a ottenere la condanna del convenuto alla rimozione di opere realizzate sul suo fondo – nei confronti dell’usufruttuario del fondo di proprietà.

Ma in maniera più chiara con una precedente pronuncia la medesima Corte[121] ha stabilito che qualora venga proposta domanda di costituzione di servitù coattiva (nella specie: di passaggio) la stessa non può chiedersi che al proprietario del fondo. Ove, peraltro, quest’ultimo sia gravato da usufrutto è indispensabile che al giudizio partecipi altresì l’usufruttuario e che il medesimo sia quindi evocato in causa unitamente al nudo proprietario, dovendosi assimilare la posizione del proprietario e quella dell’usufruttuario a quella dei condomini, postulandosi così che il giudicato non possa non aver efficacia per tutti e due.

Non sussiste litisconsorzio necessario[122] tra nudo proprietario ed usufruttuario di un fondo quando sia esperita non una azione reale (che investa il fondo gravato di usufrutto e comporti la contestazione di diritti sia del nudo proprietario che dell’usufruttuario), bensì una azione personale nei confronti del proprietario per ottenere il pagamento dei compensi dovuti per un’attività di lavoro subordinato svolta nel fondo alle dipendenze del proprietario stesso.

Sempre ai fini processuali in ambito societario per il Tribunale di Marsala[123] è inammissibile l’intervento del socio di una s.r.l. a sostegno della posizione processuale che altro soggetto, quale usufruttuario di quote sociali, si trovi a rivestire nel giudizio contro il nudo proprietario dì tali quote sociali, e avente ad oggetto l’accertamento dell’abuso dell’ usufrutto e l’adozione dei provvedimenti di cessazione dello stesso.

 

art. 1013 c.c.   spese per le liti: le spese delle liti che riguardano tanto la proprietà quanto l’usufrutto sono sopportate dal proprietario e dall’usufruttuario in proporzione del rispettivo interesse.

 

 

B)   Uso

 

art. 1021 c.c.   uso: chi ha il diritto d’uso di una cosa, può servirsi di essa e, se è fruttifera, può raccogliere i frutti (821) per quanto occorre ai bisogni suoi e della sua famiglia (1023 e seguenti, 1100).

I bisogni si devono valutare secondo la condizione sociale del titolare del diritto.

 

Ai sensi dell’art. 1021 c.c. il diritto d’uso, che ha natura personale, trova la sua fonte in un’obbligazione assunta da un soggetto nei confronti di un altro soggetto, il quale può servirsi della cosa secondo lo schema delineato dalla norma citata, con conseguente divieto di cedere il diritto stesso, ex art. 1024 c.c., salvo espressa pattuizione di deroga ad opera delle parti[124].

Sul tema la S.C.[125] ha stabilito che la differenza, dal punto di vista sostanziale e contenutistico, tra il diritto reale d’uso e il diritto personale di godimento è costituita dall’ampiezza ed illimitatezza del primo, in conformità al canone della tipicità dei diritti reali, rispetto alla multiforme possibilità di atteggiarsi del secondo che, in ragione del suo carattere obbligatorio, può essere diversamente regolato dalle parti nei suoi aspetti di sostanza e di contenuto.

 

Inoltre[126] il diritto di uso non è limitato a soddisfare i bisogni personali del titolare, ma si estende a tutte le utilità che possono obiettivamente trarsi dal bene secondo la sua destinazione, potendo l’usuario – non diversamente dall’usufruttuario – servirsi della cosa in modo pieno, dovendo soltanto rispettare la destinazione economica di essa. Ne consegue che la costruzione di un manufatto da adibire a garage rientra nell’ambito delle facoltà riconosciute dall’art. 1021 c.c. al titolare – in forza di convenzione scritta – di un diritto di uso su un’area nuda, salva la rilevanza che detta opera assume nella regolamentazione dei rapporti tra le parti al momento della cessazione del diritto.

 

Per la costituzione del diritto d’uso non può assurgere a titolo costitutivo di un diritto reale una generica clausola di stile[127], che non sostanzi un’esplicita manifestazione di volontà in ordine alla precisa individuazione del diritto reale fatto valere in giudizio.

 

Infine altra sentenza[128] degna di nota ha stabilito che il diritto all’uso dell’area pertinente ad un fabbricato per parcheggio dell’auto è di natura reale (artt. 18 legge 6 agosto 1967 n. 765 e 26 legge 28 febbraio 1985 n. 47), e pertanto si prescrive – per il combinato disposto dagli artt. 1026 e 1014 c.c. – dopo vent’anni dall’acquisto dell’unità immobiliare.

 

 

C)   Abitazione

 

art. 1022 c.c.  abitazione: chi ha il diritto di abitazione[129] di una casa può abitarla limitatamente ai bisogni suoi e della sua famiglia.

 

Nel corso degli anni questo istituto, in particolare, ha avuto dispute giurisprudenziali in merito alla possibilità dell’usucapione.

Secondo una prima pronuncia è stato escluso il possesso ad usucapiendum[130], poiché il godimento di un immobile nell’esercizio di un diritto reale di abitazione non costituisce possesso idoneo all’usucapione del diritto dominicale, occorrendo a tal fine un mutamento del titolo del possesso stesso, ai sensi dell’art. 1164 c.c.

Pertanto, con riguardo ad un contratto avente ad oggetto la cessione del godimento di una casa per la durata della vita del beneficiario, la ricorrenza di un atto costitutivo di diritto reale di abitazione, anziché di un rapporto di locazione, non può essere di per sé ravvisata nel carattere irrisorio o simbolico del canone pattuito, sotto il profilo della sua funzione meramente ricognitiva a tutela del proprietario contro la possibilità di usucapione, atteso che una siffatta esigenza cautelativa assume maggiore rilievo proprio nei confronti di chi entra in relazione con la cosa altrui in forza di un rapporto obbligatorio.

Successivamente con altra sentenza la Cassazione[131], in senso generale, ha previsto che il diritto di abitazione, che ha le sue origini nell’usus domus del diritto romano classico, ha natura reale e quindi può essere costituito mediante testamento, usucapione o contratto, per il quale è richiesta ad substantiam la forma dell’atto pubblico o della scrittura privata (art. 1350 n. 4 c.c.).

Proseguendo su questa scia si arriva ad un’altra pronuncia[132] di merito, che in maniera chiara ha previsto che il diritto di abitazione sull’appartamento del convivente può essere usucapito in ambito di una relazione more uxorio.

Con altra sentenza[133], inoltre, si è precisato che il diritto di abitazione si estende sia a tutto ciò che concorre ad integrare la casa che ne è oggetto, sotto forma di accessorio o pertinenza (balconi, verande, giardino, rimessa, ecc.), giacché l’abitazione non è costituita soltanto dai vani abitabili, ma anche da tutto quanto ne rappresenta la parte accessoria, sia, in virtù del combinato disposto degli artt. 983 e 1026 cod. civ., alle accessioni (nella specie: nuova costruzione).

 

art. 1023 c.c.   ambito della famiglia: nella famiglia si comprendono anche i figli nati dopo che è cominciato il diritto d’uso o d’abitazione, quantunque nel tempo in cui il diritto e sorto la persona non avesse contratto matrimonio. Si comprendono inoltre i figli adottivi (291 e seguenti), i figli naturali riconosciuti (250 e seguenti) e gli affiliati (404 e seguenti), anche se l’adozione, il riconoscimento o l’affiliazione sono seguiti dopo che il diritto era già sorto. Si comprendono infine le persone che convivono con il titolare del diritto per prestare a lui o alla sua famiglia i loro servizi (att. 153).

 

L’ art. 1023 c.c., nel determinare l’ambito della famiglia in relazione ai diritti di uso e di abitazione contemplati nei due articoli precedenti, si riferisce al nucleo familiare[134] del “titolare del diritto”, cioè del diritto di uso o di abitazione, e non al nucleo familiare del suo “dante causa” per atto tra vivi o mortis causa.

 

 

art. 1024 c.c.  divieto di cessione: i diritti di uso e di abitazione non si possono cedere (853) o dare in locazione.

 

Derogabilità del divieto[135]

 

Il divieto di cessione dei diritti di uso e di abitazione, sancito dall’art. 1024 c.c., non è di ordine pubblico e pertanto può essere oggetto di deroga ove espressamente convenuta tra il proprietario (costituente) e l’usuario, senza che la stessa possa desumersi, implicitamente, per il solo fatto che quest’ultimo, violando la norma, ceda il suo diritto a terzi.

 

art. 1025 c.c.   obblighi inerenti all’uso e all’abitazione: chi ha l’uso di un fondo e ne raccoglie tutti i frutti o chi ha il diritto di abitazione e occupa tutta la casa e tenuto alle spese di coltura, alle riparazioni ordinarie e al pagamento dei tributi come l’usufruttuario (1004 e seguenti).

Se non raccoglie che una parte dei frutti o non occupa che una parte della casa, contribuisce in proporzione di ciò che gode.

 

art. 1026 c.c.   applicabilità delle norme sull’usufrutto: le disposizioni relative all’usufrutto (978 e seguenti) si applicano, in quanto compatibili, all’uso e all’abitazione.

 

 

1) Riserva a favore del coniuge

 

Ipotesi legale di  abitazione e di uso

A favore del coniuge superstite prevista al II co. dell’art. 540 c.c.

Coniuge e diritto di abitazione

Il legislatore ha inteso tutelare non tanto un interesse economico del coniuge superstite a disporre di un alloggio, quanto un interesse morale legato alla conservazione dei rapporti effettivi e di consuetudine con la casa familiare, oltre che al mantenimento del tenore di vita, delle relazioni sociali e degli status simbols goduti durante il matrimonio.

 

art. 540  c.c.     riserva a favore del coniuge: a favore del coniuge (c.c.459) è riservata la metà  ½  del patrimonio dell’altro coniuge, salve le disposizioni dell’art. 542 per il caso di concorso con i figli.

Al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati    1)   i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare (c.c.144), e   2)   di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni. Tali diritti gravano sulla porzione disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per il rimanente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.

 

L’art. 540, comma II,  c.c., dispone che al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti d’abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni.

Il diritto di abitazione si estende sia a tutto ciò che concorre ad integrare la casa che ne è oggetto, sotto forma di accessorio o pertinenza (balconi, verande, giardino, rimessa etc.), giacché l’abitazione non è costituita soltanto dai vani abitabili, ma anche da tutto quanto ne rappresenta la parte accessoria, sia, in virtù del combinato disposto degli artt. 983 e 1026 cod. civ., alle accessioni (nella specie, nuova costruzione)[136].

Secondo la migliore dottrina[137] tali diritti rappresentano propriamente dei prelegati ex lege che l’art. 540, c.c. ha considerato come un’aggiunta alla quota di piena proprietà già riservata al coniuge. I compilatori hanno voluto, cioè, attribuire al legato in questione funzione di porzione aggiunta non solo qualitativa (garantire al coniuge il godimento della casa familiare arredata), ma anche quantitativa. Solo se la disponibile non è sufficiente, i diritti in esame potranno gravare sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.

Ne consegue che al coniuge, anche quando concorra con altri chiamati, sono riservati i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano, se di proprietà del defunto o comuni, quale prelegato, che, in prededuzione, grava sulla porzione c.d. disponibile e, qualora questa non sia sufficiente, per la parte eccedente sulla quota di riserva del coniuge ed eventualmente sulla quota riservata ai figli.

Conforme a tale dottrina è la giurisprudenza di legittimità[138] secondo la quale la titolarità del diritto di abitazione riconosciuto dall’art. 540, capov., c.c. al coniuge superstite sulla casa adibita a residenza familiare, che, costituendo ex lege oggetto di un legato, viene acquisita immediatamente da detto coniuge, secondo la regola dei legati di specie (art. 649, secondo comma, cod. civ.), al momento dell’apertura della successione, ha necessario riferimento al diritto dominicale spettante sull’abitazione al de cuius. Pertanto, nel caso in cui la residenza familiare del de cuius sia sita in un immobile in comproprietà, il diritto di abitazione del coniuge superstite trova limite ed attuazione in ragione della quota di proprietà del coniuge defunto, con la conseguenza che ove per l’indivisibilità dell’immobile non possa attuarsi il materiale distacco della porzione dell’immobile spettante e l’immobile stesso venga assegnato per intero ad altro condividente, deve farsi luogo all’attribuzione dell’equivalente monetario di quel diritto senza che — non ricorrendo l’ipotesi di legato di prestazione obbligatoria — possa verificarsi l’effetto estintivo per impossibilità della prestazione, previsto dal II comma dell’art. 673 c.c.

In tema con ultima pronuncia sono intervenute le sezioni unite

Corte di Cassazione, sezioni unite, sentenza 27 febbraio 2013 n. 4847

stabilendo, nuovamente, e precisando che nella successione legittima spettano al coniuge del de cuius i diritti di abitazione sulla casa adibita a residenza familiare e di uso sui mobili che la corredano previsti dall’articolo 540 secondo comma del codice civile; il valore capitale di tali diritti deve essere stralciato dall’asse ereditario per poi procedere alla divisione di quest’ultimo tra tutti i coeredi secondo le norme della successione legittima, non tenendo conto dell’attribuzione dei suddetti diritti secondo un meccanismo assimilabile al prelegato

È giusto evidenziare, anche, che ai diritti reali di abitazione della casa adibita a residenza familiare e di uso dei mobili che l’arredano, attribuiti al coniuge superstite dall’art. 540 comma 2, c.c., non si applicano gli artt. 1021 e 1022 c.c. nella parte in cui limitano il diritto in relazione al fabbisogno del titolare[139]. Tali diritti si configurano, pertanto, come diritti esclusivi e non comprimibili del coniuge superstite, con la conseguenza che, così come non potrà trovare accoglimento la domanda di riconoscimento di un diritto di co-abitazione o di co-utilizzazione dei beni da parte di un coerede, al contrario dovrà essere accolta la domanda di esclusione dall’uso dei beni e dal diritto di abitazione della casa già residenza familiare, di un terzo, per quanto contitolare dell’immobile per diritto ereditario.

Infine, in tema sempre di rapporto tra coniugi, per la S.C.[140], inoltre, in tema di divorzio e con riguardo al trattamento economico del coniuge divorziato in caso di morte dell’ex coniuge, l’accordo intervenuto tra i coniugi in ordine all’attribuzione dell’usufrutto sulla casa coniugale a titolo di corresponsione dell’assegno di divorzio in unica soluzione, a norma dell’art. 5, comma 8, della legge 1 dicembre 1970, n. 898, è idoneo a configurare la titolarità di detto assegno, alla stregua del principio della riconduzione ad assegno divorzile di tutte le attribuzioni operate in sede od a seguito di scioglimento del vincolo coniugale, dalle quali il beneficiario ritrae utilità espressive della natura solidaristico-assistenziale dell’istituto; ne consegue che tale costituzione di usufrutto soddisfa il requisito della previa titolarità di assegno prescritto dall’art. 5 della legge ai fini dell’accesso alla pensione di reversibilità, o, in concorso con il coniuge superstite, alla sua ripartizione.

 

 NOTE


[1] Capozzi – I diritti reali

[2]Capozzi – I diritti reali

[3] Consiglio di Stato Sezione IV, sentenza 26 maggio 2006, n. 3201

[4] Allara

[5] Berbero – Pugliese – Paleremo

[6]Trib. min. Roma, 25 giugno 1984. Può essere accolta la domanda della madre separata, affidataria dei figli minori, e comproprietaria insieme col marito dell’appartamento nel quale vive con la prole, di costituzione in proprio favore, ai sensi dell’art. 194 cod. civ., dell’usufrutto sulla quota di tale bene appartenente al coniuge, qualora ciò si riveli necessario per garantire alla prole il diritto di vivere in modo indisturbato in un’abitazione idonea a favorirne la crescita equilibrata, considerando che tale diritto non potrebbe esserle adeguatamente assicurato per mezzo dell’ospitalità offerta dai nonni materni, dato che in tal caso i minori non avrebbero la sicurezza e la garanzia di vivere stabilmente nella propria abitazione.

 

[7] Bigliazzi – Geri

[8] Capozzi – Dei diritti reali

[9] De Martino – Pugliese

[10] Corte di Cassazione Sezione 3 civile, sentenza 07 novembre 2003, n. 16724. La successione dell’imprenditore nei rapporti contrattuali inerenti all’azienda non aventi carattere personale, quale effetto del trasferimento dell’azienda, può trovare applicazione, in virtù di una interpretazione estensiva dell’art. 2558 c.c., non solo nelle ipotesi di alienazione, usufrutto e affitto d’azienda, ma anche negli altri casi in cui ricorra la sostituzione di un imprenditore ad un altro nell’esercizio dell’impresa per un fatto voluto dalle parti, o da queste previsto ed in relazione al quale abbiano potuto disporre della sorte dei contratti a prestazioni corrispettive inerenti l’azienda ancora non completamente eseguiti; ne consegue che sono estranei all’ambito di applicazione dell’art. 2558 c.c. tutte le ipotesi in cui il trasferimento dell’azienda sia la conseguenza diretta di un fatto non negoziale o sia la conseguenza soltanto mediata di una fattispecie negoziale. (Nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto che non subentri nei rapporti contrattuali in corso il locatore dell’azienda che ne riacquisti il godimento prima della scadenza in conseguenza della risoluzione del contratto per inadempimento dell’affittuario).

[11] Ad esempio il diritto di voto nell`assemblea della società a responsabilità  limitata, per le quote che siano state date in usufrutto, compete unicamente all`usufruttuario, il quale esercita al riguardo un diritto suo proprio e perciò non e` obbligato ad attenersi alle eventuali istruzioni di voto che gli abbia impartito il nudo proprietario. Nell`esercitare tale diritto, però, l’usufruttuario deve astenersi da comportamenti che possano arrecare ingiusto danno al nudo proprietario ed in particolare da modi di esercizio del predetto diritto che possano compromettere la conservazione del valore economico della partecipazione in società; l’eventuale violazione di tale obbligo, tuttavia, espone il responsabile al rischio di estinzione dell’usufrutto, nonchè all’azione risarcitoria del proprietario danneggiato, ma non può riflettersi sulla validità del voto espresso in assemblea, nè, di conseguenza, sulla validità della deliberazione che l`assemblea abbia adottato, anche se quel voto sia risultato determinante. Corte di Cassazione Sezione I civile, sentenza 19 agosto 1996, n. 7614

[12] Tribunale di Trento, sentenza 14 gennaio 1997. È inammissibile la costituzione di un diritto di usufrutto su quote di società di persone. Secondo il tribunale Trentino, come correttamente rilevato dal conservatore del registro delle imprese nel provvedimento di rifiuto di iscrizione oggetto del ricorso, “il diritto di usufrutto è un diritto reale limitato, caratterizzato dal requisito di tipicità ed avente ad oggetto, come tale, ogni bene patrimoniale materiale ed immateriale che possa formare oggetto del diritto di proprietà”.Tra tali beni non possono ricomprendersi le quote sociali di società di persone, afferendo le stesse a posizioni contrattuali complesse, non rappresentate da alcun titolo (come invece avviene per le società di capitali) e concernendo posizioni giuridiche non suscettibili di qualificazione nell’ambito della nozione giuridica della proprietà. Si evidenzia, inoltre, che ammettere in via generale la possibilità di costituzione e cessione di diritti reali di usufrutto su quote di società di persone comporterebbe ulteriori, rilevanti problematiche interpretative dai significativi ed immediati risvolti concreti, nell’ipotesi, pur configurabile astrattamente, di cessione di diritti di usufrutto in favore di terzi non soci, alla luce del principio dell’intuitus personae e della responsabilità patrimoniale dei soci (ai quali spetta anche l’amministrazione ex art. 2257 c. c.), caratterizzanti tale forma societaria.

[13] Gradassi – auspicabile, al momento della costituzione dell’usufrutto, disciplinare, in maniera pattizia, la responsabilità, tenuto conto della delicatezza degli interessi contrastanti.

[14] Gradassi

[15]Gradassi

[16] Graziani

[17]Corte di Cassazione Sezione I civile, sentenza 26 maggio 2000, n. 6957. ll diritto di voto nell’assemblea di società a responsabilità limitata, per le quote che siano state date in usufrutto, compete unicamente all’usufruttuario, il quale esercita un diritto sul proprio e non vota in nome e per conto del nudo proprietario. Ne consegue che l’usufruttuario può anche votare in contrasto con le istruzioni eventualmente impartite dal nudo proprietario, senza che ciò si rifletta sulla validità della delibera, potendo solo esporre l’usufruttuario, in caso di abuso, alla cassazione dell’ usufrutto ed all’azione risarcitoria.

[18] distinzione determinata dall’Auletta

[19] Corsini – Ferrara

[20] Tribunale di Bologna del 2001

[21] Tribunale di Siracusa civile, sentenza 13 febbraio  2009

[22] Trib. di Bologna del 2001

[23] Di Sabato – Galgano – Ferrara Corsi

[24] Nel caso di RISERVIZZAZIONE degli utili, l’usufruttuario può partecipare a tale decisione, poiché tale decisione può determinare una lesione del diritto agli utili spettante all’usufruttuario

[25] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 24 febbraio 2009, n. 4435

[26] Ferrara

[27] Gazzoni   – La cessione si realizza mediante accordo tra creditore cedente e terzo cessionario. Si è in presenza dunque ad un contratto ad effetti reali cui è del tutto estraneo il debitore ceduto: trattasi pertanto di contratto bilaterale e non trilaterale. Tuttavia secondo l’art. 1264 la cessione è opponibile al debitore ceduto solo in caso di accettazione (necessaria per la P.A.) o di avvenuta notifica. Peraltro anche prima di tale evento (di cui si discute il profilo formale, se cioè la notificazione debba avvenire nelle forme processuali con intervento dell’ufficiale giudiziario ovvero con atto scritto di data certa o abbia invece – come sembra preferibile – forma libera e dunque possa avvenire anche mediante comunicazione orale), la prestazione è bensì inesigibile dal terzo, ma il debitore che paga al cedente non è liberato se il cessionario prova che il debitore stessa era a conoscenza dell’avvenuta cessione.

Capozzi – è un contratto con il quale il creditore originario (cedente) trasferisce il suo credito [il contratto di cessione può essere – a titolo oneroso se è stabilito un corrispettivo a carico del cessionario e a favore del cedente (vendita, permuta) – a titolo gratuito qualora il cedente voglia beneficiare il cessionario (donazione)] ad una terza persona  (cessionario)  con l’effetto che il debitore (ceduto) invece di dovere eseguire la prestazione nei confronti del cedente, è tenuto verso il cessionario.

[28] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 30 gennaio 2007, n. 1967. Nella specie, è stata escluso che potesse integrare un atto valido per la costituzione del diritto di usufrutto la scrittura privata sottoscritta soltanto dalla parte che aveva invocato l’avvenuta concessione del diritto

[29] Capozzi – Succesioni e Donazioni

[30]Si ricorda che anche per effetto del legato reale sorge a carico dell’onerato (l’erede ovvero il legatario se si tratta di sub legato) un’obbligazione e precisamente, l’obbligo della consegna, come risulta dall’art. 649, III comma, c.c., secondo il quale il legatario deve domandare all’onerato il possesso della cosa legata anche quando ne è stato espressamente dispensato dal testatore.

[31] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 24 febbraio 2009, n. 4435. Conforme Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 12 settembre 2002, n. 13310. L’attribuzione testamentaria dell’usufrutto generale non costituisce assegnazione di legato ma istituzione di erede comprendendo tale attribuzione l’universalità dei beni ai sensi dell’articolo 588 del codice civile.

[32] Tribunale di Bologna civile, sentenza 06 ottobre 2008

[33] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 19 gennaio 2005, n. 1079. Nell’interpretazione di una scheda testamentaria, da condurre essenzialmente sulla base del dato testuale, possono legittimamente assumere rilievo anche elementi estrinseci (purché riferibili al testatore), quale, ad esempio, il grado di cultura del “de cuius”, atteso che l’interpretazione degli atti di ultima volontà è sempre caratterizzata, rispetto all’ermeneutica contrattuale, da una più intensa ricerca della volontà concreta e da un più frequente ricorso all’integrazione con elementi estrinseci. (Nella specie la Corte Cass. ha confermato la sentenza di merito che aveva ravvisato nella disposizione testamentaria la volontà della “de cuius” di attribuire ai propri cugini una rendita vitalizia e non un usufrutto, sulla base di un’attenta interpretazione letterale, precisando che tale conclusione era coerente con il tipo di cultura della testatrice e con l’influenza che sulla stessa aveva avuto il marito avvocato).

[34] Trattasi di una sostituzione prevista dal de cuius, ma non già per il caso in cui l’istituito non possa o non voglia succedere, quanto piuttosto per il momento della morte di costui, dopo quindi che egli ha accettato la delazione.

In sostanza (1)  il testatore ad es. istituisce erede   (2)  Tizio (fedecommesso) con l’obbligo di conservare il patrimonio, che andrà, alla morte di Tizio  ? (3) a Caio (fedecommissario), a prescindere da qualsivoglia manifestazione, positiva o contraria.

Non vi è dunque un obbligo a carico di Tizio (istituito) di fare testamento a vantaggio di Caio (sostituito), perché Caio succederà direttamente (poiché vi è una duplice delazione) al de cuius originario che ha disposto la sostituzione fidecommissaria.

 

Per un maggior approfondimento dell’istituto aprire il collegamento La delazione

 

[35] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 18 luglio 2005, n. 15130. In precedenza la stessa Corte (Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 18 settembre 1998, n. 9320) ha avuto modo di affermare che è corretta l’interpretazione di un testamento- da effettuare secondo il principio del favor – con il quale un genitore di un incapace di intendere e volere lascia alle proprie cugine il suo patrimonio a condizione che lo assistano, ancorchè disponendo la loro immissione nel possesso dei beni dopo la morte di tale figlio, nel senso di un` istituzione di eredi delle predette nella nuda proprietà del patrimonio, e di un legato di usufrutto a favore dell` incapace, anzichè di una sostituzione fedecommissaria- nulla perchè in violazione dell’art. 692 c.c.- perchè manca la doppia vocazione in ordine successivo e l` obbligo, per il figlio, di conservare e restituire.

[36] Si tratta quindi di una tutela di tipo non già quantitativo, come per l’azione di riduzione, ma qualitativo, che permette anche di evitare l’aleatorietà della durata della vita dell’usufruttuario.

[37] Capozzi – Successioni e Donazioni – Tomo I

[38] Capozzi – Successioni e Donazioni – Tomo I

[39]Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 18 gennaio 1995, n. 511 Nella specie, la S.C. ha annullato la sentenza, con cui il giudice di merito aveva accolto l’azione di riduzione esperita da legittimario – coniuge del de cuius, al quale il testatore aveva destinato alcuni beni in piena proprietà ed inoltre l’ usufrutto di tutti gli altri beni, in piena proprietà ed inoltre l’ usufrutto di tutti gli altri beni, perchè non erano state valutate, come fatto potenzialmente idoneo ad esprimere la scelta in questione, le circostanza relative al possesso e godimento esclusivo da parte dell’attore degli immobili costituenti l’asse ereditario

[40]Vedi pag. 24

[41] Vedi pag. 8

[42] Vedi pag. 66

[43] Corte d’Appello di Roma Sezione III civile, sentenza 22 giugno 2010, n. 2711

[44] vecchia teoria di Biondi e Messineo e Barbero (adottata dai software per le trascrizioni immobiliari)

[45] Torrente, Capozzi, Pugliese

[46] Tribunale di Nola Sezione I civile, sentenza 12 febbraio 2008. Conforme, Tribunale di Napoli civile
Sentenza 17 maggio 2006. La donazione con riserva di usufrutto in favore di un terzo da luogo a due distinti negozi, un trasferimento della nuda proprietà in favore del donatario, ed un ‘offerta di donazione dell’ usufrutto in favore del terzo, improduttiva di effetti fino a che non intervenga l’accettazione del terzo medesimo, prima della morte del costituente, nella prescritta forma dell’atto pubblico; ne consegue che, qualora il donante riservi l’ usufrutto sui beni donati a proprio vantaggio e, dopo di lui, a vantaggio di un terzo, come consentito dall’art. 796 c.c, il donatario della nuda proprietà acquista il pieno dominio alla cessazione dell’ usufrutto del donante, se il terzo riservatane non abbia accettato prima della morte del donante stesso.

 

[47] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 24 luglio 2008, n. 20387

[48] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 05 marzo 2009, n. 5399

[49] Tribunale di Vicenza Sezione I civile, sentenza 11 ottobre 2010, n. 1695

[50] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 27 aprile 2005, n. 8727. Il diritto di servitù, per sua natura indivisibile in quanto inerente a tutto il fondo dal lato sia attivo che passivo, non può formare oggetto di comunione, poiché essa presuppone la frazionabilità per quote della cosa o del diritto comune, e ciò neppure nella sua forma cosiddetta impropria (che ricorre là dove il proprietario partecipa anch’egli per una determinata quota al godimento della cosa, insieme all’usufruttuario, ovvero quando su di un medesimo bene concorrono un diritto di proprietà ed uno di usufrutto, nella prima ipotesi trattandosi di vera e propria comunione di godimento, e nella seconda di concorso di diritti reali differenti per tipo). Infatti, diversamente da quest’ultima ipotesi (il cui elemento caratterizzante, coincidente con quanto si ha nella comunione propria, è da ravvisare nella estensione in forma diffusa sull’intero cespite di tutti i diritti coincidenti sul medesimo bene, solo astrattamente limitati dalla quota), in presenza di più servitù di passaggio sul medesimo fondo (“a fortiori” se quest’ultimo è in comproprietà tra più soggetti) si ha coesistenza di diritti di godimento di tipo diverso, differentemente connotati e non omogenei, il cui rispettivo contenuto è delimitato dalle utilità che il fondo dominante può trarre da quello asservito, con occasionale, frammentata e parziale coincidenza di facoltà inerenti all’esercizio di diritti di proprietà comune e servitù in rapporto a circoscritte porzioni del bene, sicché la disciplina di cui agli artt. 1100 e segg. cod. civ. risulta in tal caso inapplicabile.

[51] Capozzi – I diritti reali

[52] Pugliese – Vassalli

[53] Capozzi

[54] Tribunale di Rovigo civile sentenza 31 maggio 2007, n. 61. In merito alla distinzione tra atti di ordinaria e straordinaria amministrazione, la sentenza precisa che è negli atti diretti alla mera conservazione dell’immobile che devono individuarsi quelli di ordinaria amministrazione. Tale osservazione è conforme a quanto disposto dall’art. 1108 c.c. che individua nelle “innovazioni dirette al miglioramento della cosa” gli atti di straordinaria amministrazione ed in generale negli atti non diretti alla mera conservazione del bene. In senso conforme, vedi, Cassazione civile, sentenza 5 novembre 1990, n. 10611.

[55] Corte di Cassazione, Sezione II civile, sentenza 28 agosto 2008, n. 21774. Altra massima estrapolata dalla medesima sentenza prevede che quando la porzione di immobile facente parte di un condominio è oggetto del diritto di usufrutto, l’atto dal quale tale situazione deriva, se debitamente trascritto, è opponibile erga omnes e quindi anche al condominio, il quale è tenuto a osservare le norme dettate dagli articoli 1004 e 1005 del c.c. in ordine alla ripartizione delle spese fra nudo proprietario e usufruttuario, tenuto conto che, in relazione al pagamento degli oneri condominiali che costituiscono un’obbligazione propter rem, la qualità di debitore dipende dalla titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale sulla cosa; pertanto, poiché anche le spese dovute dall’usufruttuario si configurano come obbligazioni propter rem, non è necessario all’assemblea interferire sull’imputazione e sulla ripartizione dei contributi stabiliti dalla legge in ragione della loro natura, non rientrando nei suoi poteri introdurre deroghe che verrebbero a incidere su diritti individuali. Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 27 ottobre 2006, n. 23291.  Conforme. Quando la porzione di immobile facente parte di un condominio è oggetto del diritto di usufrutto, l’atto dal quale tale situazione deriva, se debitamente trascritto, è opponibile erga omnes e quindi anche al condominio, il quale è tenuto ad osservare le norme dettate dagli artt.1004 e 1005 c.c. in ordine alla ripartizione delle spese fra nudo proprietario e usufruttuario, tenuto conto che – in relazione al pagamento degli oneri condominiali che costituiscono un’obbligazione propter rem, quindi tipica – la qualità di debitore dipende dalla titolarità del diritto di proprietà o di altro diritto reale sulla cosa; pertanto, poiché anche le spese dovute dall’usufruttuario si configurano come obbligazioni propter rem, non è consentito all’assemblea interferire sulla imputazione e sulla ripartizione dei contributi stabiliti dalla legge in ragione della loro natura, non rientrando nei suoi poteri introdurre deroghe che verrebbero a incidere su diritti individuali. Ne consegue che l’assemblea, in sede di approvazione del bilancio, deve ripartire le spese secondo a loro funzione e il loro fondamento, spettando all’amministratore, in sede di esecuzione, ascrivere i contributi, secondo la loro natura, ai diversi i soggetti obbligati anche nel caso in cui l’assemblea non abbia provveduto ad individuarli.

 

[56] Tribunale di Bologna, Sezione II civile, sentenza 06 luglio 2004, n. 2051

[57] Corte d’Appello di Firenze, Sezione II civile, sentenza 10 febbraio 2009, n. 163

[58]Capozzi

[59] Capozzi

[60] Corte di Cassazione, sentenza del 14 maggio 1962, n. 1024. Secondo altra pronuncia, Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 4376 del 27 marzo 2002, a norma degli artt. 979 e 980 c.c. la durata dell’usufrutto non può eccedere la vita dell’usufruttuario, il quale, peraltro, può cedere il suo diritto per un certo tempo o per tutta la sua durata. La temporaneità del diritto, pertanto, esclude che esso possa formare oggetto di disposizione testamentaria o ricadere nell’ambito di una successione mortis causa; tuttavia, una volta che l’usufrutto sia stato ceduto per atto inter vivos, esso, fino alla morte dell’originario e primo usufruttuario, si rende suscettibile di successione mortis causa ove l’originario cessionario deceda prima del cedente, e, se il cessionario in questione non ne abbia disposto per atto di ultima volontà, esso si trasmette per legge agli eredi dello stesso (ed è suscettibile di successive trasmissioni mortis causa), non essendosi estinto e continuando a far parte del patrimonio relitto fino alla sua estinzione per morte del primo usufruttuario.

[61] Capozzi

[62] Talamanca – Gangi – Ricca – Azzariti

[63] Barbero

[64] Capozzi – Torrente

[65] Clausola tipica “Tizio, riservando l’usufrutto a suo favore e per dopo la sua morte a favore della moglie, DONA ai figli ……… che accettano, la nuda proprietà dell’appartamento……. La moglie Tizia accetta la donazione dell’usufrutto a suo favore diritto che nascerà al momento della morte di Tizio.”

 

[66] Capozzi – Delle successioni e donazioni

[67] De Martino

[68]Tribunale di Torino, Sezione II civile, sentenza 07 ottobre 2004, n. 34582 . Nella fattispecie, la parte convenuta, chiamata in giudizio dall’usufruttuario di un bene immobile per il pagamento dell’indennizzo derivante dall’occupazione senza titolo del bene stesso, eccepiva di aver usucapito l’ usufrutto dell’immobile sulla base di un semplice utilizzo temporaneo dello stesso. Utilizzo che, in assenza di prova scritta, aveva dato luogo ad un mero comodato, dovendosi escludere l’uso e l’abitazione che richiedono la forma scritta.

[69] Corte di  Cassazione del 10 marzo 1981, n. 1339. Nella specie, è stato riconosciuto a una usufruttuaria minoritaria il diritto al compossesso dei beni ereditari, negandosi che alla stessa competa soltanto un diritto personale di credito.

[70] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 05 luglio 2004, n. 12280. L’usufruttuario, come si desume dal combinato disposto degli artt. 982 e 1004 c.c., ha il possesso e la custodia della cosa ed è, pertanto, ai fini della responsabilità di cui all’art. 2051 c.c., in tutto e per tutto parificato al proprietario.

[71]Vedi pag. 46

[72] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 15 giugno 2010, n. 14442 . Muovendo dal disposto dell’art. 983 c.c. (“1. L’ usufrutto si estende a tutte le accessioni della cosa. Se il proprietario, dopo l’inizio dell’ usufrutto, ha fatto nel fondo costruzioni o piantagioni, l’usufruttuario è tenuto a corrispondere gli interessi sulle somme impiegate. 2. La norma si applica anche nel caso in cui le piantagioni o costruzioni sono state fatte per disposizione della pubblica autorità”) la Corte censura la decisione impugnata per aver ritenuto che l’estensione dell’ usufrutto alle costruzioni o piantagioni realizzate dal nudo proprietario sia subordinata all’adempimento dell’obbligo di corresponsione degli interessi, nelle ipotesi in cui questi sono dovuti. Tale assunto, a giudizio della Corte di legittimità, non è condivisibile, in quanto la norma non pone affatto una simile condizione: infatti, risulterebbe incongruo far dipendere l’acquisto (e altresì l’estinzione e il ripristino) di un diritto reale dall’esecuzione periodica di una prestazione pecuniaria, formante oggetto di una obbligazione “propter rem”, della quale proprio la sussistenza di quel diritto è il presupposto: l’ usufrutto sulle costruzioni o piantagioni sorgerebbe, verrebbe meno e tornerebbe in essere, secondo che il versamento degli interessi, rispettivamente, inizi, cessi o riprenda. Si deve invece ritenere, conclude la Corte, che l’usufruttuario ha comunque diritto di godere anche delle accessioni della cosa, indipendentemente dalla corresponsione degli interessi sulle somme impiegate, cui è tenuto se le costruzioni o piantagioni sono state eseguite con il suo consenso dal proprietario, o per disposizione della pubblica autorità. Della questione affrontata nella sentenza in esame non constano precedenti nella giurisprudenza di legittimità.

[73] Corte di Cassazione 30 marzo 1971, n. 913

[74] Corte di Cassazione, sentenza 21 ottobre 1980, n. 5651

[75] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 8765 del 13 aprile 2010

[76] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 24 maggio 2010, n. 12613

[77] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 27 ottobre 1992, n. 11687

[78] Corte di Cassazione  8 gennaio 1981, n. 172.

[79]Tribunale di Roma Sezione V civile, sentenza 20 febbraio 2006, n. 17746. Ai sensi dell’art. 999 c.c. le locazioni immobiliari stipulate dall’usufruttuario sono opponibili, per tutta la loro residua durata, al pieno proprietario che consolidi la propria titolarità dominicale in conseguenza della cessazione dell’ usufrutto, solamente qualora esse constino da atto pubblico ovvero da scrittura privata avente data certa anteriore; va, pertanto, accolta la domanda proposta dal proprietario tale divenuto a seguito dell’estinzione dell’ usufrutto nei confronti del conduttore e volta ad ottenere il rilascio del bene al medesimo concesso in godimento personale dall’usufruttuario in forza di titolo negoziale non rivestente i detti requisiti di forma, come nel caso della c.d. locazione verbale. Massima estratta già da una sentenza della Corte di Cassazione Sezione 3 civile (sentenza 25 luglio 2003, n. 11561). L’ art. 999 c.c., a norma del quale le locazioni concluse dall’usufruttuario ed in corso alla data di cessazione dell’ usufrutto sono opponibili al proprietario, purché constino da atto pubblico o da scrittura privata di data certa anteriore, in ogni caso per una durata non eccedente il quinquennio dalla cessazione dell’ usufrutto, non è stato implicitamente abrogato dalla legge 3 maggio 1982, n. 203 (Norme sui contratti agrari), nè per quanto riguarda la forma del contratto di affitto posto in essere dall’usufruttuario, richiesta per l’opponibilità al proprietario, nè per quanto riguarda la durata del contratto di affitto

[80] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 20 marzo 2008, n. 7485. Conforme, Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 25 luglio 2003, n. 11561. Non esiste nell’ordinamento positivo un’azione di impugnativa della locazione, stipulata dall’usufruttuario, per frode in danno del nudo proprietario, l’unico strumento previsto a tutela di quest’ultimo essendo la disciplina specifica dettata dall’art. 999 c.c., che stabilisce, oltre che le condizioni di forma e di sostanza richieste per l’opponibilità al proprietario del contratto costitutivo del diritto personale di godimento, la durata massima del rapporto di locazione dopo la cessazione dell’ usufrutto. Nè la mancata configurazione, a tutela del proprietario, accanto e ad integrazione di quanto derivante dalla previsione contenuta nel citato art. 999, di un’azione diretta a far valere la nullità per frode della locazione stipulata dall’usufruttuario, si pone in contrasto con gli artt. 3 e 42 Cost., essendo la disciplina in materia frutto di un equilibrato contemperamento dei vari interessi in gioco. Si segnala, inoltre, una pronuncia contraria di merito, Tribunale di Parma civile, sentenza 23 giugno 1999, secondo la quale il nudo proprietario può ottenere la risoluzione di un contralto di locazione stipulato dall’usufruttuario per durata e condizioni tali da dimostrare un consilium fraudis tra i contraenti in danno di lui proprietario (nella specie, il novantunenne usufruttuario d’un fondo rustico, deceduto poco dopo il contratto impugnato dal proprietario del fondo, l’aveva affittato per la durata di venti anni e per un canone apparso esiguo).

[81] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 20 gennaio 1994, n. 464. Conforme, Corte di Cassazione, sezione III, sentenza del 09 aprile 1988, n. 2802

[82] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 10 aprile 2008, n. 9345

[83] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 26 luglio 2005, n. 15599

[84] Corte di Cassazione Sezioni Unite civili, sentenza 14 febbraio 1995, n. 1571

[85] Corte di Cassazione  22 aprile 1986, n. 2817

[86] Corte di Cassazione 10 maggio 63, n. 1150

[87] Vedi pag. 38

[88] Corte di Cassazione 15 ottobre 1968, n. 3294

[89] Corte di Cassazione 19 giugno 1962, n. 1550

[90] Corte di Cassazione, Sez. Un., 14 febbraio 1995, n. 1571

[91] Corte di Cassazione 2 marzo 1976, n. 699

[92] Corte di Cassazione, sezione II, sent. 4426 del 24 febbraio 2009

[93] Corte di Cassazione, Sez. Unite, sentenza  del 6 agosto 1975, n. 2986

[94] Tribunale di Roma Sezione V civile, sentenza 31 maggio 2010, n. 12356

[95] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 28 novembre 1998, n. 12085

[96] Commissione Tributaria provinciale di Milano Sezione VIII, sentenza 26 ottobre 2005, n. 231

[97] Tribunale di Marsala, Ordinanza 07 giugno 2005. La disciplina dettata dall’art. 1015 c.c. è improntata a fornire al nudo proprietario forme graduali di tutela del proprio diritto, che vanno dal rimedio più radicale della cessazione dell’ usufrutto, previsto nel comma 1 per i casi più gravi, alle altre cautele di cui al comma 2, che l’autorità giudiziaria può ordinare per i casi più gravi. Ne consegue, in assenza di elementi da cui poter desumere una diversa interpretazione, che la norma in esame ha natura sostanziale, in quanto disciplinante i rapporti tra nudo proprietario e usufruttuario nella fase patologica del rapporto, e non già processuale, non potendosi ravvisare in essa alcuna funzione introduttiva dei rimedi cautelari tipici azionabili nelle forme di cui agli artt. 669 bis ss. c.p.c.. Tale tutela può pertanto essere invocata, in via cautelare e anche ante causam, utilizzando il rimedio atipico di cui all’art. 700 c.p.c., che l’ordinamento appresta in tutte le ipotesi di assenza di uno strumento cautelare ad hoc. Né può ipotizzarsi la fungibilità di tale rimedio con quello previsto dall’art. 670 c.p.c., non avendo il primo natura di strumento processuale cautelare tipico ed emendo diversi i presupposti delle due fattispecie (controversia sulla proprietà o sul possesso di un bene nell’un caso, pencolo di pregiudizio al valore economico del bene dato in usufrutto nell’altro), quanto le forme di intervento giudiziario che l’ordinamento appronta per far fronte al pericolo ad esse connaturato (sequestro del bene da una parte, modificazione del diritto dell’usufruttuario dall’altra).

 

[98] Corte di Cassazione 18 giugno 1971, n. 1878

[99] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 11 agosto 1998, n. 7886

[100] Corte di Cassazione Sezioni Unite civili, sentenza 14 febbraio 1995, n. 1571

 

[101]cfr sentenze nn 16495 e 24512 del 2005

[102] Corte di Cassazione 12 maggio 1971, n. 1375

[103] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 21 ottobre 2009, n. 22348

[104] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 13 luglio 1996, n. 6363

[105] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 11 novembre 1992, n. 12133

[106]Per una maggiore disamina dell’istituto, aprire il seguente collegamento

Le Immissioni

 

[107] Corte di  Cassazione 26 ottobre 1973, n. 2777. Nella specie l’usufruttuario di un appartamento facente parte di un edificio condominiale, aveva agito contro un condomino che aveva incorporato nel suo appartamento un vano di proprietà comune.

[108] Corte di Cassazione 11 gennaio 1967, n. 106

[109] Corte di Cassazione, sentenza n. 4806 del 25 luglio 1981,

[110] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 11 agosto 2000, n. 10733. Nel caso di specie l’usufruttuario lamentava fatti integranti una riduzione del suo diritto di godimento, consistenti nel crollo del muro di contenimento del fabbricato in usufrutto

[111] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 5900 del 11 marzo 2010

[112]Per una maggiore disamina dell’istituto, aprire il collegamento

Le distanze tra le costruzioni ex artt. 873 e ss. c.c.

 

[113] Tribunale di Bari Sezione II civile, sentenza 21 aprile 2009, n. 1323

[114] Tribunale di Latina Sezione II civile, decreto 12 dicembre 2006. Principio affermato dalla Corte di Cassazione Sezione 3 civile, sentenza 25 agosto 2006, n. 18492  Nell’espropriazione immobiliare, oggetto del trasferimento è il bene descritto nell’ordinanza di vendita così che, ove risulti sottoposta a pignoramento la nuda proprietà di un immobile, il cui usufrutto appartiene ad un soggetto diverso, il consolidamento dell’ usufrutto per sopravvenuta morte dell’usufruttuario, non indicato nell’ordinanza di vendita e nel decreto di trasferimento, consente l’aggiudicazione e, il trasferimento della sola nuda proprietà.

[115] Tribunale di Reggio Calabria Sezione I civile, sentenza 09 giugno 2006, n. 752

[116] Vedi pag. 27

[117] Tribunale di Milano Sezione IV civile, sentenza 12 marzo 2009, n. 3431. Cassazione Civile, n. 27415 del 2005, Cassazione civile,  n. 4858 del 1981

[118] Corte di Cassazione Sezione III civile, sentenza 08 giugno 2001, n. 7785

[119] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 13 dicembre 2005, n. 27412

[120]Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 09 agosto 2007, n. 17581

Il difetto di integrità del contraddittorio per omessa citazione di alcuni litisconsorti necessari può essere dedotto per la prima volta anche nel giudizio di legittimità. Tuttavia, tale eccezione può essere formulata solo alla duplice condizione che gli elementi posti a fondamento emergano, con ogni evidenza, dagli atti già ritualmente acquisiti nel giudizio di merito, senza quindi la necessità di nuove prove e dello svolgimento di ulteriori attività – vietate in sede di legittimità – e che sulla questione non si sia formato il giudicato. Deriva, da quanto precede, pertanto, che, proposta azione negatoria servitutis – diretta a ottenere la condanna del convenuto alla rimozione di opere realizzate sul suo fondo – è inammissibile l’eccezione relativa alla mancata integrazione del contraddittorio nei confronti dell’usufruttuario del fondo di proprietà del convenuto, sollevata per la prima volta in sede di legittimità qualora gli atti acquisiti nel giudizio di merito non offrano la prova né dell’esistenza del diritto di usufrutto, che deve necessariamente risultare dalla produzione dell’atto di costituzione di acquisto, né dell’esistenza in vita dell’usufruttuario, tenuto conto che tale diritto si estingue con la morte del titolare, l’inammissibile, d’altra parte, è la produzione della documentazione al riguardo depositata in sede di legittimità al fine di dimostrare l’esistenza di siffatto diritto di usufrutto.

[121] Corte di Cassazione Sezione I civile, sentenza 23 maggio 2002, n. 7541

[122] Corte di Cassazione 26 marzo 1968, n. 937

[123] Tribunale di Marsala civile, Ordinanza 21 luglio 2005. Inoltre per il medesimo Tribunale la scelta tra le misure da adottare per fronteggiare una situazione di abuso di usufrutto è rimessa al giudice, che dovrà valutare le concrete circostanze e attenersi ai criteri della proporzionalità della misura rispetto all’abuso, dell’adeguatezza della misura alla salvaguardia della res, del contemperamento degli interessi del nudo proprietario e dell’usufruttuario. Infine, costituisce abuso di usufrutto di quote sociali il contributo causale e consapevole ad una situazione di paralisi dell’assemblea, condotta eziologicamente in grado di determinare una causa dì scioglimento della società e il conseguente venir meno del bene-quota concesso in usufrutto.

[124]Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 02 marzo 2006, n. 4599

[125] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 26 febbraio 2008, n. 5034. Nella specie, la S.C. ha confermato la sentenza di merito la quale – in relazione al conferimento di attrezzature sciistiche e di uso di terreni nell’ambito del patrimonio di una società in fase di costituzione – aveva ritenuto che tale conferimento avesse il carattere di un diritto personale di godimento e non di un diritto reale di uso, in considerazione della stretta connessione tra l’uso dei terreni ed il mantenimento degli impianti sciistici in questione

[126] Corte di Cassazione Sezione 2 civile, sentenza 04 aprile 2006, n. 7811 Nella specie la S.C. ha confermato la sentenza di merito che aveva respinto la domanda di accertamento di intervenuta usucapione proposta dall’usuario.

[127] Corte di Cassazione 20 giugno 1963, n. 1651

[128] Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 15 novembre 2002, n. 16053. Conforme, Corte di Cassazione Sezione II civile, sentenza 14 novembre 2000, n. 14731. Al diritto reale d’uso sulle aree a parcheggio di cui all’art. 41 “sexies” della legge 17 agosto 1942 n. 1150 secondo il testo introdotto dall’art. 18 della legge 6 agosto 1967 n.765, è applicabile il modo di estinzione per non uso protrattosi per venti anni, previsto dal combinato disposto degli artt. 1014 n.1) e 1026 cod.civ..

[129] Particolare, quanto singolare appare questa pronuncia del Tribunale di Modena Sezione I civile
Sentenza 22 agosto 2006, n. 1390 secondo la quale non integra il presupposto per l’annullamento per errore la convinzione relativa al contenuto della riserva del diritto di abitazione rispetto alla riserva di usufrutto, dal momento che essendo un errore di diritto doveva essere l’unica o comunque fondamentale ragione della stipulazione.

[130] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza  n. 5310 del 20 ottobre 1984

[131] Corte di Cassazione, sentenza n. 4562 del  21 maggio 1990.

[132] Tribunale di Torino civile, sentenza 14 marzo 2002. il Tribunale, nel caso di specie, ha ammesso che il convivente more uxorio del defunto comproprietario dell’immobile avesse usucapito, per averne avuto il cogodimento esclusivo con il defunto per oltre vent’anni, il diritto di abitazione dell’intera casa in cui aveva convissuto con il de cuius

[133] Corte di Cassazione 17 aprile 1981, n. 2335

[134] Corte di Cassazione, Sezione II, sentenza n. 5044 del 09 giugno 1987Nella specie, i giudici del merito, con riguardo al diritto di abitazione spettante al coniuge superstite sulla casa coniugale ex art. 540, secondo comma, cod. civ., avevano riconosciuto ad una collaboratrice convivente, quale facente parte del nucleo familiare, l’uso di una stanza e di un gabinetto, sebbene la sua collaborazione fosse cessata dopo la morte del “de cuius”. La Suprema Corte ha annullato la decisione, enunciando il principio di cui in massima.

[135] Corte di Cassazione, sezione II, sentenza n. 3565 del 31 luglio 1989.

[136] Corte di Cassazione 17 aprile 1981, n. 2335

[137] Capozzi, Successioni e Donazioni

[138] Corte di Cassazione 10 marzo 1987, n. 2474

[139] Tribunale di Bologna civile, sentenza 18 marzo 2002, n. 953

[140] Corte di Cassazione Sezione I civile, sentenza 28 maggio 2010, n. 13108

Avv. Renato D’Isa

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