Una ipotesi di “abuso del processo”

Corte di Cassazione, sezione terza civile, Ordinanza 25 giugno 2019, n. 16898.

La massima estrapolata:

Costituisce una ipotesi di “abuso del processo”, sanzionabile ai sensi dell’art. 96, comma 3 c.p.c., il ricorso per cassazione che contenga censure inammissibili, in parte perché contrastanti con il principio di autosufficienza ed in parte perché volte ad ottenere riesame nel merito dell’intera controversia

Ordinanza 25 giugno 2019, n. 16898

Data udienza 12 febbraio 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente

Dott. DI FLORIO Antonella – rel. Consigliere

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere

Dott. TATANGELO Augusto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 22959-2017 proposto da:
(OMISSIS), domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS), (OMISSIS) SPA in persona del suo legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS);
– controricorrenti –
avverso la sentenza n. 867/2016 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA, depositata il 16/08/2016;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 12/02/2019 dal Consigliere Dott. ANTONELLA DI FLORIO.

RITENUTO

che:
1. (OMISSIS) ricorre, affidandosi a tre motivi, per la cassazione della sentenza della Corte d’Appello dell’Aquila che, confermando la pronuncia del Tribunale di Pescara, aveva respinto la domanda di risarcimento danni da lui avanzata nei confronti del quotidiano “(OMISSIS)” e del giornalista (OMISSIS) per la diffamazione a mezzo stampa che assumeva fosse stata posta in essere mediante la pubblicazione, nella “cronaca di Pescara” del quotidiano ed in piu’ di una edizione successiva alla data del suo arresto, di notizie relative a circostanze che l’autorita’ giudiziaria non gli aveva mai contestato, visto che oltre tutto era stato assolto dai reati per i quali era partita l’inchiesta giudiziaria e che i fatti a lui ascritti erano stati notevolmente ridimensionati.
2. Gli intimati si sono difesi con controricorso.

CONSIDERATO

che:
1. Con il primo motivo, il ricorrente, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 3, deduce la manifesta violazione e falsa applicazione delle norme di diritto “richiamate nel ricorso per cassazione ed atti di parte, dai giudici e c/p, da aversi per ivi riportati e trascritti, violati e falsamente applicati nonostante il precedente contrario, nel frattempo divenuto cosa giudicata formale, come si dimostra in allegato”.
1.1. In relazione a tale premessa, lamenta la violazione degli articoli 91 e 92 c.p.c., conseguente alla soccombenza in ordine alle domande ripresentante dal terzo sulla scorta della sentenza 607/05 del medesimo Tribunale (cfr. pag. 7 del ricorso); denuncia altresi’ la violazione degli articoli 99, 100, 101, 112, 113, 115 e 116 c.p.c. (a pag. 22 rigo 11 del ricorso); nonche’ degli articoli 347, 166, 167, 345, 346 e 329 c.p.c. (cfr. pag. 13 del ricorso) e la conseguente “decadenza, inutilizzabilita’ – acquiescenza” dei documenti tardivamente riprodotti.
1.2. Il motivo e’ inammissibile.
Il giudizio di cassazione postula una critica vincolata, delimitata e cristallizzata dai motivi di ricorso che assumono una funzione identificativa, condizionata dalla loro formulazione tecnica con riferimento alle ipotesi tassative formalizzate dal codice di rito.
1.3. Ne consegue che il motivo di ricorso deve necessariamente possedere i caratteri della tassativita’ e della specificita’ ed esige una precisa enunciazione, di modo che il vizio denunciato oltre a rientrare nelle categorie logiche previste dall’articolo 360 c.p.c., contenga critiche mirate e comprensibili rispetto al percorso argomentativo della motivazione censurata: sicche’ e’ inammissibile la censura generica della sentenza impugnata, formulata con un unico motivo “sotto una molteplicita’ di profili tra loro confusi e inestricabilmente combinati, non collegabili ad alcuna delle fattispecie di vizio enucleata dal codice di rito.” (cfr. Cass. 19959/2014; Cass. 11603/2018).
1.4. Nel caso in esame, le censure proposte mancano del tutto di specificita’.
Il ricorrente, infatti, nella parte argomentativa del primo motivo, sviluppato insieme agli altri due sotto la rubrica “Motivi di impugnazione, argomentazioni a sostegno delle censure indicate sinteticamente sopra”, ripropone la mescolanza di tutti i fatti gia’ esaminati in sede penale e civile dal Tribunale di Pescara mascherando la richiesta di un terzo grado di merito, notoriamente non consentito (cfr. Cass. 8758/2017; Cass. 18721/2018).
2. Con il secondo motivo, ancora, deduce, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 ed articolo 111 Cost., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione e l’omesso esame di fatti decisivi per il giudizio che sono stati oggetto di discussione fra le parti ed “in specie la gia’ ritenuta offesa della diffamazione commessa in danno dell’attore e soci con articolo pubblicato dai convenuti il (OMISSIS) con la sentenza all. del medesimo Tribunale adito n 607/2005 contraddetta con evidenti vizi di motivazione (e conseguente nullita’); della sentenza d’appello che si impugna per i seguenti specifici motivi indicati con lettera e correlati al primo motivo ed al seguente” (pag. 8 primo cpv ricorso).
Seguono argomentazioni concernenti, per lo piu’, la critica alla valutazione della Corte territoriale in merito all’articolo del (OMISSIS), pubblicato sul (OMISSIS).
2.1. Il motivo e’ inammissibile sia perche’ deduce il difetto di motivazione della sentenza, con riferimento alla formulazione dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5 non piu’ vigente (dalla data di entrata in vigore della L. n. 134 del 2012), omettendo di considerare che tale critica non e’ piu’ consentita; sia perche’, nel riferirsi alla sentenza del Tribunale di Pescara – rispetto alla quale lamenta l’omesso esame – non riporta i passaggi della pronuncia oggetto di censura, con difetto di autosufficienza.
2.2. Anche la doglianza in esame risulta, dunque, totalmente priva di specificita’: ne’ viene indicato con sufficiente chiarezza, in relazione alla correlativa denuncia, il fatto storico di cui sarebbe stato omesso l’esame (cfr. al riguardo, Cass. 22880/2017; Cass. 22607/2014).
3. Con il terzo motivo, il ricorrente deduce, ex articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 4, “la manifesta nullita’ delle sentenze di merito impugnate: ed, in specie, ex articolo 347, 166, 167, 345, 346 e 329 c.p.c. deduce la decadenza, inammissibilita’-acquiescenza, inutilizzabilita’ formale delle domande nuove, eccezioni non rilevabili d’ufficio e produzioni tardivamente fatte dalle c/p in appello, invece valutate illegittimamente con la sentenza d’appello per affermare il contrario di quanto gia’ accertato e dichiarato con la sentenza del Tribunale n 607/2005 allegata; anche per manifesta violazione degli articoli 99, 100, 101, 112, 113, 115 e 116 c.p.c..” (cfr. pag. 16 del ricorso).
3.1. Tale censura e’ complessivamente inammissibile per totale assenza di specificita’ e per incomprensibile intreccio delle argomentazioni prospettate che si concludono, in punto di liquidazione delle spese, anche con l’erroneo riferimento, al “triplo grado di giudizio” (cfr. pag. 27 del ricorso) che disvela l’intento di ottenere una rivisitazione di merito della controversia, prospettando questioni alle quali la sentenza impugnata non fa cenno se non per precisare l’assenza di rilievo e discussione nel giudizio (cfr. pag. 14 della sentenza impugnata), difetti questi che risultano reiterati in questa sede in cui non viene affatto allegata l’avvenuta deduzione di essi dinanzi al giudice di merito.
3.2. Al riguardo, questa Corte ha avuto modo di affermare il principio, pienamente condiviso da questo Collegio, secondo cui “in tema di ricorso per cassazione, qualora siano prospettate questioni di cui non vi sia cenno nella sentenza impugnata, il ricorrente deve, a pena di inammissibilita’ della censura, non solo allegarne l’avvenuta loro deduzione dinanzi al giudice di merito ma, in virtu’ del principio di autosufficienza, anche indicare in quale specifico atto del giudizio precedente cio’ sia avvenuto, giacche’ i motivi di ricorso devono investire questioni gia’ comprese nel “thema decidendum” del giudizio di appello, essendo preclusa alle parti, in sede di legittimita’, la prospettazione di questioni o temi di contestazione nuovi, non trattati nella fase di merito ne’ rilevabili di ufficio” (cfr. Cass. 20694/2018).
4. In conclusione il ricorso e’ inammissibile.
5. Le spese del giudizio di legittimita’ seguono la soccombenza.
6. Ricorrono, inoltre, i presupposti di cui all’articolo 96 c.p.c., u.c..
6.1. Questa Corte ha recentemente riesaminato la questione relativa alla funzione sanzionatoria della condanna per lite temeraria prevista dalla norma teste’ richiamata, in relazione sia alla necessita’ di contenere il fenomeno dell’abuso del processo sia alla evoluzione della fattispecie dei “danni punitivi” che ha progressivamente fatto ingresso nel nostro ordinamento.
6.2. Al riguardo, e’ stato affermato che “la condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, applicabile d’ufficio in tutti i casi di soccombenza, configura una sanzione di carattere pubblicistico, autonoma ed indipendente rispetto alle ipotesi di responsabilita’ aggravata ex articolo 96 c.p.c., commi 1 e 2, e con queste cumulabile, volta al contenimento dell’abuso dello strumento processuale; la sua applicazione, pertanto, non richiede, quale elemento costitutivo della fattispecie, il riscontro dell’elemento soggettivo del dolo o della colpa grave, bensi’ di una condotta oggettivamente valutabile alla stregua di “abuso del processo”, quale l’aver agito o resistito pretestuosamente (Cass. 27623/2017) e cioe’ nell’evidenza di non poter vantare alcuna plausibile ragione.
6.3.Tale pronuncia e’ stata preceduta da un altro fondamentale arresto volto a valorizzare la sanzione prevista dalla norma, secondo il quale “nel vigente ordinamento, alla responsabilita’ civile non e’ assegnato solo il compito di restaurare la sfera patrimoniale del soggetto che ha subito la lesione, poiche’ sono interne al sistema la funzione di deterrenza e quella sanzionatoria del responsabile civile, sicche’ non e’ ontologicamente incompatibile con l’ordinamento italiano l’istituto, di origine statunitense, dei “risarcimenti punitivi” (Cass. SSUU 16601/2017), nella motivazione della sentenza richiamata, l’articolo 96 c.p.c., u.c. e’ stato inserito nell’elenco delle fattispecie rinvenibili, nel nostro sistema, con funzione di deterrenza.
6.4. In relazione a cio’, va ribadito, a mero titolo esemplificativo, che ai fini della condanna ex articolo 96 c.p.c., comma 3, puo’ costituire abuso del diritto all’impugnazione la proposizione di un ricorso per cassazione basato su motivi manifestamente incoerenti con il contenuto della sentenza impugnata, o completamente privo di autosufficienza oppure contenente una mera complessiva richiesta di rivalutazione nel merito della controversia, oppure fondato sulla deduzione del vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 5, ove sia applicabile, ratione temporis, l’articolo 348ter c.p.c., u.c. che ne esclude la invocabilita’.
In tali ipotesi, il ricorso per cassazione integra un ingiustificato sviamento del sistema giurisdizionale, essendo non gia’ finalizzato alla tutela dei diritti ed alla risposta alle istanze di giustizia, ma destinato soltanto ad aumentare il volume del contenzioso e, conseguentemente, a ostacolare la ragionevole durata dei processi pendenti ed il corretto impiego delle risorse necessarie per il buon andamento della giurisdizione.
6.5. Nel caso in esame, le censure contenute nel ricorso – tutte inammissibili: in parte per violazione del principio di autosufficienza ed in parte perche’,sia pur attraverso il formale riferimento al vizio di cui all’articolo 360 c.p.c., n. 3, si richiedeva, nella sostanza, un riesame nel merito dell’intera controversia, notoriamente non consentito in sede di legittimita’ – devono ritenersi gravemente erronee e non piu’ compatibili coni un quadro ordinamentale che, da una parte, deve universalmente garantire l’accesso alla giustizia ed alla tutela dei diritti (cfr. articolo 6 CEDU) e, dall’altra, deve tener conto del principio costituzionalizzato della ragionevole durata del processo (articolo 111 Cost.) e della necessita’ di creare strumenti dissuasivi rispetto ad azioni meramente dilatorie e defatigatorie: in tale contesto questa Corte intende valorizzare la sanzionabilita’ dell’abuso dello strumento giudiziario (cfr. Cass. 10177/2015), proprio al fine di evitare la dispersione delle risorse per la giurisdizione (cfr Cass. SSUU. 12310/2015 in motivazione) e consentire l’accesso alla tutela giudiziaria dei soggetti meritevoli e dei diritti violati, per il quale, nella giustizia civile, il primo filtro valutativo – rispetto alle azioni ed ai rimedi da promuovere – e’ affidato alla prudenza del ceto forense coniugata con il principio di responsabilita’ delle parti.
7. Deve pertanto concludersi per la condanna del ricorrente, d’ufficio, al pagamento in favore della controparte, in aggiunta alle spese di lite, di una somma equitativamente determinata in Euro 2500,00, pari, all’incirca, in termini di proporzionalita’ (cfr. Cass. SU 16601/2017 sopra richiamata), alla meta’ dei compensi liquidati in relazione al valore della causa.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

P.Q.M.

La Corte,
dichiara inammissibile il ricorso.
Condanna il ricorrente alle spese del giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 5200,00 per compensi ed Euro 200,00 per esborsi, oltre accessori e rimborso spese forfettario nella misura di legge.
Condanna altresi’ il ricorrente, ex articolo 96 c.p.c., u.c., al risarcimento del danno nei confronti dei contro ricorrenti che liquida in Euro 2500,00.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso proposto, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

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