Corte di Cassazione, penale, Sentenza|23 maggio 2022| n. 20053.
Un finanziamento dissimulato da acconti su di un contratto di appalto
Un finanziamento dissimulato da acconti su di un contratto di appalto per ristrutturazione con emissione di fatture relative ad operazioni inesistenti, anche in caso di effettivo pagamento degli importi indicati nelle predette fatture, costituisce un’azione con evidente finalità di evasione.
Sentenza|23 maggio 2022| n. 20053. Un finanziamento dissimulato da acconti su di un contratto di appalto
Data udienza 14 aprile 2022
Integrale
Tag – parola: Fatture per operazioni inesistenti – Decreto legislativo 74 del 2000 – Condanna – Presupposti – Decreto legislativo 158 del 2015 – Criteri – Determinazione della pena – Articolo 81 cp – Continuazione – Motivazione del giudice di merito – Un finanziamento dissimulato da acconti su di un contratto di appalto
REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE TERZA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. MARINI Luigi – Presidente
Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere
Dott. ACETO Aldo – Consigliere
Dott. GAI Emanuela – rel. Consigliere
Dott. ZUNICA Fabio – Consigliere
ha pronunciato la seguente:
SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 05/07/2021 della Corte d’appello di Torino;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal consigliere Emanuela Gai;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore generale Dott. MOLINO Pietro, che ha concluso chiedendo l’inammissibilita’ del ricorso;
udito per l’imputato l’avv. (OMISSIS), che ha concluso chiedendo l’accoglimento del ricorso.
Un finanziamento dissimulato da acconti su di un contratto di appalto
RITENUTO IN FATTO
1. Con sentenza del 5 luglio 2021, la Corte d’appello di Torino, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Torino, previa dichiarazione di non doversi procedere nei confronti di (OMISSIS) per il reato di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 8, commesso fino a settembre 2011, perche’ estinto per prescrizione, ha ridotto la pena, nella misura di mesi dieci di reclusione, confermando nel resto l’impugnata sentenza che lo aveva condannato per avere, quale legale rappresentante e amministratore di (OMISSIS) srl, al fine di consentire a (OMISSIS) srl l’evasione delle imposte, emesso fatture per operazioni oggettivamente inesistenti indicate nel capo di imputazione negli anni 2011 e 2012.
2. Avverso la sentenza di condanna ha presentato ricorso l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo i seguenti motivi di ricorso.
– Violazione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b), in relazione alla configurazione delle operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 1.
Argomenta il ricorrente che, nel caso in esame, non sarebbe configurabile l’emissione di fatture per operazioni oggettivamente inesistenti e cio’ in quanto la (OMISSIS) srl, destinataria delle fatture, avrebbe regolarmente annotato le stesse in contabilita’; non vi sarebbe prova di un ritorno economico da (OMISSIS) srl verso la (OMISSIS) srl. L’operazione economica sottostante le fatture incriminate sarebbe esistente e reale in quanto “acconto” sul contratto di appalto, per la ristrutturazione di alcuni immobili, concluso tra le due societa’, contratto che prevedeva la possibilita’ per (OMISSIS) srl di fruire della garanzia collegata a detta tipologia contrattuale. Tale garanzia era necessaria poiche’ la societa’ emittente (OMISSIS) srl, che aveva concluso un contratto di subentro nel leasing immobiliare di (OMISSIS) srl, non avendo gradimento economico verso il concedente finanziatore, aveva ottenuto da (OMISSIS) srl l’impegno di subentro ad (OMISSIS), e, in tale contesto, aveva concluso un contratto di appalto con la (OMISSIS) srl.
Cio’ premesso, argomenta il ricorrente che, ammessa la possibilita’ di una prestazione autonoma di garanzia scollegata da un contratto di appalto, verrebbe in rilievo la questione della qualificazione giuridica della prestazione dedotta/ ovvero se debba essere quella del contratto di appalto o quella di prestazione di autonoma garanzia, in ogni caso sarebbe presente ed esistente l’operazione economica. Anche ad ammettere la rilevanza penale dell’inesistenza giuridica, purche’ volta ad alterare la realta’ e funzionale ad ottenere o a far ottenere un indebito vantaggio, nel caso in esame, difetterebbe tale requisito poiche’, pacifico il rapporto economico tra le due societa’, la natura sottostante l’operazione economica era da individuarsi nell’accordo di subentro prima tra (OMISSIS) srl e (OMISSIS) srl e, poi, tra (OMISSIS) srl e la (OMISSIS) srl. La veste giuridica del rapporto economico non sarebbe idonea a generare alcun indebito vantaggio fiscale.
Un finanziamento dissimulato da acconti su di un contratto di appalto
– Violazione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera e), in relazione alla motivazione sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del dolo specifico.
La corte territoriale avrebbe argomentato la prova del dolo in via logica dalla inesistenza della prestazione indicata nelle fatture e della mancata prova del ritorno economico. In assenza di prova di restituzione non sarebbe prospettabile il fine di consentire l’evasione a terzi e laddove la condotta di emissione di fatture per operazioni inesistenti abbia uno scopo diverso da quello di favorire l’evasione di terzi, il reato non si configurerebbe.
– Violazione di cui all’articolo 606 c.p.p., comma 1, lettera b) ed e), in relazione alla durata dell’applicazione delle pene accessorie ai sensi del Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 12.
La corte territoriale avrebbe confermato la durata dell’applicazione delle pene accessorie disposte dal Tribunale nonostante la dichiarazione di estinzione dei reati fino a settembre 2011 e senza l’osservanza dei principi espressi dalla giurisprudenza secondo cui la durata di queste deve essere determinata in concreto in base ai criteri dell’articolo 133 c.p..
Un finanziamento dissimulato da acconti su di un contratto di appalto
CONSIDERATO IN DIRITTO
3. Il primo motivo di ricorso, che costituisce una riproposizione della stessa censura gia’ devoluta nei motivi di appello, e’ inammissibile perche’ privo della necessaria critica censoria alla sentenza impugnata ed anche diretto a prospettare un’alternativa ricostruzione dei fatti,non consentita in questa sede.
Deve, in primo luogo, rammentarsi il principio secondo il quale quando le sentenze di primo e secondo grado concordano nell’analisi e nella valutazione degli elementi di prova posti a fondamento delle rispettive decisioni, la struttura motivazionale della sentenza di appello si salda con quella precedente per formare un unico complessivo corpo argomentativo, sicche’ e’ possibile, sulla base della motivazione della sentenza di primo grado colmare eventuali lacune della sentenza di appello (Sez. 4, n. 15227 del 14/02/2008, Rv. 239735).
Secondo quanto accertato nelle conformi sentenze di merito, la societa’ di cui l’imputato e’ amministratore e legale rappresentante, aveva emesso, nel corso del 2011 e 2012, fatture per prestazioni riferibili ad un contratto di appalto (acconto su contratto di appalto) stipulato, in data 12/05/2010, tra la (OMISSIS) srl e la (OMISSIS) srl, avente ad oggetto lavori di ristrutturazione dell’immobile sito in (OMISSIS).
La societa’ (OMISSIS) srl, dal canto suo, aveva inserito nelle dichiarazioni fiscali le predette fatture quali costi sostenuti. Tuttavia non erano stati prodotti gli allegati al contratto di appalto, mentre era risultato accertato, e non contestato, che i lavori di ristrutturazione indicati nella fatture non erano mai stati eseguiti e neppure era stata dimostrata la prestazione dissimulata, ossia che gli importi indicati nelle fatture erano relativi ad una prestazione di garanzia autonoma rispetto al contratto di appalto funzionale, secondo l’impostazione difensiva, a garantire il subentro di (OMISSIS) nel contratto di leasing.
I giudici del merito hanno rilevato che i responsabili delle compagini societarie sottoposti a verifica non erano stati in grado di fornire alcun tipo di documentazione, ivi compresi gli allegati al contratto di appalto, ma soprattutto, hanno evidenziato come il responsabile di (OMISSIS) aveva prodotto una memoria, unitamente alle risposte al questionario in sede di verifica fiscale, nella quale ammetteva l’inesistenza della prestazione con riguardo ai lavori di ristrutturazione degli immobili e dichiarava che gli importi indicati nelle fatture erano relativi ad una garanzia autonoma/di cui non vi era prova.
Un finanziamento dissimulato da acconti su di un contratto di appalto
Da tali elementi i giudici del merito hanno tratto la conclusione che la causale indicata nelle fatture (acconto su appalto lavori) era del tutto fittizia/non essendo mai stato eseguito alcun tipo di lavoro da parte di (OMISSIS) srl, e cio’ in coerenza con l’oggetto sociale della medesima, costituito nella compravendita di beni immobili, e della circostanza che la medesima era subentrata nei contratti di leasing immobiliare relativi a numerosi immobili, tra cui quelli indicati nel contratto di appalto, a (OMISSIS) srl, societa’ che si trovava in difficolta’ finanziarie. Da tale coacervo di prove era ritenuta dimostrata l’inesistenza oggettiva della prestazione, neppure messa in discussione dalla difesa, in quanto, secondo la tesi difensiva, gli importi in questione rappresentavano il corrispettivo della parziale rinuncia al subentro in plurimi contratti di leasing conclusi tra la societa’ dell’imputato e (OMISSIS) srl, rinuncia che era dipesa dalla circostanza che il concedente non riteneva di essere garantito finanziariamente dalla societa’ (OMISSIS) srl, di recente costituzione, e che aveva suggerito di trovare un conduttore solvibile. Ma, non solo, i giudici del merito hanno anche disatteso l’alternativa causale prospettata dal ricorrente, anche ora riproposta nei motivi di ricorso per cassazione, della garanzia autonoma per la funzionalita’ degli impianti che accedeva al contratto di appalto e cio’ in quanto, secondo il testimoniale, la (OMISSIS) srl fruiva gia’ delle garanzie da parte di imprese terze. In ogni caso non vi era prova della stipulazione del contratto di garanzia, ne’ risultava altrimenti che la (OMISSIS) srl fosse gravata da tale garanzia. Dal compendio probatorio, i giudici del merito hanno tratto la conclusione della inesistenza oggettiva sia delle prestazioni indicate nelle fatture oggetto del capo di imputazione, sia di quelle dissimulate, donde la totale ininfluenza a integrare costi idonei ad abbattere il reddito di impresa (cfr. pag. 7 sentenza Tribunale).
Il ricorrente, nel riproporre la questione della inesistenza oggettiva delle fatture, prospettando la violazione di legge di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 1, non si confronta con la ratio decidendi fondata sulla ricostruzione fattuale che, sorretta da congrua motivazione, non e’ qui rivisitabile, e che ha ritenuto dimostrata sia l’inesistenza della prestazione come indicata nelle fatture, sia quella dissimulata.
La realta’ economica sottostante, per come ricostruita, era quella di un trasferimento di provviste da (OMISSIS) srl alla (OMISSIS) srl, senza causa, da cui l’impossibilita’ di generare costi deducibili per (OMISSIS) srl.
Un finanziamento dissimulato da acconti su di un contratto di appalto
Ed allora non rileva, come assume la difesa, la circostanza che la (OMISSIS) abbia annotato in contabilita’ le fatture, come ha fatto parimenti la societa’ del ricorrente, ne’ rileva la mancanza di dimostrazione del ritorno economico. Ne’ puo’ riproporsi l’alternativa ricostruzione (vedi pag. 3) circa il fatto che le fatture in imputazione erano l’acconto sul contratto di appalto a cui era collegata una garanzia autonoma, alternativa ricostruzione che non puo’ avere ingresso in questa sede e che comunque non si confronta con quanto accertato dai giudici del merito che avevano, si ribadisce, ritenuto dimostrata l’inesistenza oggettiva delle prestazioni indicate nelle fatture (acconto su contratto di appalto) sia della prestazione dissimulata, secondo la tesi difensiva, di prestazione collegata ad un contratto autonomo di garanzia che si inseriva nell’operazione economica volta al subentro di (OMISSIS) srl nel contratto di leasing, essendo stato dimostrato, invece, un mero trasferimento di ricchezza volto a diminuire il carico fiscale su (OMISSIS) srl.
Ed allora e’ corretto il riferimento all’inesistenza oggettivaI’secondo quanto ripetutamente affermato dalla giurisprudenza di legittimita’ secondo cui tra le “operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte” di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 1, comma 1, lettera a), qualificate come “inesistenti” ai fini della configurabilita’ dei reati di cui agli articoli 2 ed 8 del citato decreto, devono intendersi anche quelle “giuridicamente” inesistenti, ovvero quelle aventi una qualificazione giuridica diversa (Sez. 3, n. 13975 del 06/03/2008, Carcano, Rv. 239910 – 01).
Come evidenziato dai giudici di merito, era inesistente l’operazione come indicata nelle fatture (acconto su contratto di appalto), ma era, altresi’, inesistente anche quella dissimulata, da cui la conclusione che l’indicazione delle prestazioni quali costi era del tutto fittizia. La reale operazione economica sottostante, posto che nessuno mette in discussione il reale pagamento degli importi indicati in fattura, si risolveva in un finanziamento dissimulato da acconti su contratto di appalto per lavori di ristrutturazione, oggetto di false fatturazioni, con correlata indicazione di costi non cosi’ qualificabili, da cui la finalita’ di evasione in capo a (OMISSIS) srl.
L’operazione reale sul piano economico, diversa da quella fittizia indicata nelle fatture, consentiva l’esposizione di costi non dovuti che riducevano il carico fiscale di (OMISSIS) srl.
Il finanziamento, infatti, e’ cosa ben diversa dall’acconto su contratto di appalto perche’ prescinde del tutto da queste e quindi non e’ correlato ad alcuna controprestazione; le due operazioni hanno in comune soltanto la movimentazione di fondi, ma tutto il resto e’ differente: il regime fiscale (le operazioni di finanziamento sono esenti da IVA, Decreto del Presidente della Repubblica n. 633 del 1972, ex articolo 10, n. 1), quello contabile, quello civilistico (avendo tutt’altra natura e oggetto il contenuto dell’accordo). Da tali considerazioni non puo’ che discendere la assoluta condivisione delle conclusioni, cui perviene il giudice del merito e cioe’ che le fatture in questione furono emesse “a fronte di operazioni non realmente effettuate in tutto o in parte”, come recita il richiamato Decreto Legislativo n. 74 del 2000, articolo 1, contrariamente a quanto sostenuto dal difensore del ricorrente.
4. Il secondo motivo di ricorso e’ parimenti inammissibile. Il ricorrente non si confronta con la ratio decidendi.
La sentenza impugnata, sulla scorta di indici sintomatici (vedi supra) ha argomentato il dolo specifico, ovvero il fine di consentire a terzi l’evasione di imposte.
Questa Corte di legittimita’ ha affermato che, ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato in esame, la cui struttura materiale e’ rimasta immutata a seguito del Decreto Legislativo n. 158 del 2015, e’ necessaria la rappresentazione e volizione dell’emissione della fattura per operazione inesistente e il dolo specifico,. ovvero che l’emittente delle fatture si proponga il fine di consentire a terzi l’evasione dell’imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ma non anche che il terzo consegua effettivamente la programmata evasione (Sez. 3, n. 39359 del 24/09/2008, Biffi, Rv. 241040 – 01).
A tali principi si sono correttamente conformati i Giudici di merito, i quali, con congrue e logiche argomentazione hanno ritenuto, tenuto conto della realta’ economica sottostante quella fittiziamente esposta nelle fatture emesse, il fine di consentire a terzi ((OMISSIS) srl) l’evasione di imposte conseguente all’utilizzo nelle dichiarazioni fiscali di fatture indicanti elementi passivi (costi) non dovuti.
A fronte di tale argomento logico non rileva la circostanza che la societa’ emittente avesse annotato in contabilita’ le fatture come parimenti l’assenza di ritorno economico e cio’ in quanto, secondo quanto accertato dai giudici del merito, ricorre un caso di inesistenza giuridica della prestazione,vessendo l’operazione economica diversa da quelle giuridica esposta in fattura, ma comunque reale da punto di vista economico.
5. Il terzo motivo di ricorso non e’ fondato sulla base delle seguenti ragioni.
Il Tribunale di Torino ha applicato le pene accessorie temporanee, di cui al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 12, dell’interdizione dagli uffici direttivi delle persone giuridiche e delle imprese, dell’incapacita’ di contrattare con la pubblica amministrazione e l’interdizione dalle funzioni di rappresentanza e assistenza in materia tributaria per anni uno, nonche’ interdetto in perpetuo dall’ufficio di componente di commissione tributaria, con pubblicazione della sentenza ai sensi dell’articolo 36 c.p..
Sul punto la sentenza non e’ stata oggetto di impugnazione e la Corte d’appello, non investita da impugnazione, si limita a confermare la statuizione del primo giudice.
Va rammentato che, secondo la piu’ recente giurisprudenza, la durata delle pene accessorie per le quali e’ previsto un limite minimo e massimo, deve essere determinata in concreto, con adeguata motivazione, sulla base dei criteri stabiliti dall’articolo 133 c.p., dovendo escludersi la necessaria correlazione con quella della pena principale (Sez. 3, n. 41061 del 20/06/2019, Paterno’, Rv. 277972 01).
Nel caso in esame, il Tribunale ha condannato l’imputato alla pena di mesi dieci di reclusione. La misura della pena, che muoveva dalla pena base di un anno di reclusione, era inferiore al minimo edittale previsto ratione temporis, essendo il minimo edittale pari ad un anno e mesi sei di reclusione e, dunque, all’imputato e’ stata inflitta una pena in misura inferiore al limite minimo edittale.
La corte territoriale, in assenza di impugnazione, si e’ limitata a confermare le statuizioni.
Cio’ detto, ritiene la Corte che, in ragione di quanto esposto al par. 6, la corte territoriale non dovesse ridurre la durata di queste in ragione della pronuncia di estinzione del reato per prescrizione, e che la durata indicata dal primo giudice, soddisfi i requisiti di cui all’articolo 133 c.p., implicitamente valutati.
6. Rileva, infine, il Collegio, che non e’ maturata la prescrizione del reato al momento della pronuncia.
Il Collegio intende dare continuita’ – e ribadire – all’indirizzo interpretativo, mai smentito, secondo cui il delitto di emissione di fatture per operazioni inesistenti, previsto dal Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 8, e’ reato istantaneo che si consuma nel momento di emissione della fattura ovvero, ove si abbiano plurimi episodi nel medesimo periodo di imposta, nel momento di emissione dell’ultima di esse (Sez. 3, n. 47459 del 05/07/2018, Melpignano, Rv. 274865 01; Sez. 3, n. 25816 del 21/04/2016, De Roia, Rv. 267664 – 01; Sez. 3, n. 10558 del 06/02/2013, D’Ippoliti, Rv. 254759 – 01; Sez. 3, n. 6264 del 14/01/2010, Ventura, Rv. 246193 – 01).
Questa Corte di legittimita’, sin dalla decisione n. 6264 del 2010, ha affermato che il momento consumativo del reato di emissione di false fatture va individuato nella data di emissione del singolo documento fiscale oppure, nella ipotesi di plurimi episodi nel corso del medesimo anno d’imposta, nella data di emissione dell’ultimo di essi.
Secondo la Corte, tale principio costituisce attuazione della chiara disposizione che, al Decreto Legislativo 10 marzo 2000, n. 74, articolo 8, in deroga agli ordinari principi previsti dall’articolo 81 cpv. c.p., in tema di continuazione, prevede un regime di favore per l’imputato mediante la riconduzione ad unita’ dei plurimi episodi di emissione di fatture per operazioni inesistenti commessi nell’arco del medesimo arco di imposta. A fronte di tale regime favorevole, che riconduce la pluralita’ ad unico reato e in tal modo esclude l’aumento di pena che sarebbe applicato in via ordinaria, corrisponde la conseguenza che il termine prescrizionale non decorre dalla data di commissione di ciascun episodio, bensi’ dall’ultimo di essi.
L’interpretazione qui accolta e’ stata successivamente ribadita nelle pronunce, divenendo cosi’ indirizzo uniforme, seppur non sempre seguito dai giudici di merito, come dimostra la sentenza impugnata che ha, erroneamente, prosciolto l’imputato per prescrizione per il reato commesso fino a settembre 2011, individuando il momento consumativo nella data di emissione della singola fattura, statuizione che, in assenza di impugnazione del P.M., non puo’ essere modificata.
Tuttavia, fermo il proscioglimento per prescrizione con riguardo alla fatture del 2011, la corretta individuazione del momento consumativo del reato porta a concludere che al momento della decisione impugnata non e’ maturata la prescrizione del reato con riferimento alle fatture emesse nel 2012 (che maturera’ nel settembre 2022).
7. Sulla base delle considerazioni che precedono il ricorso deve essere respinto e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’articolo 616 c.p.p..
P.Q.M.
Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.
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