Trattamento illecito di dati personali

Corte di Cassazione, sezione terza penale, Sentenza 24 ottobre 2019, n. 43534.

Massima estrapolata:

È configurabile il trattamento illecito di dati personali nell’ipotesi in cui taluno, anche solo per un breve lasso di tempo, posta su siti porno fotomontaggi realizzati a partire da foto di sue conoscenti, prelevate da Facebook, a nulla rilevando che si è trattato di una “bravata”.

Sentenza 24 ottobre 2019, n. 43534

Data udienza 19 giugno 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LAPALORCIA Grazia – Presidente

Dott. GALTERIO Donatella – Consigliere

Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere

Dott. SEMERARO Luca – Consigliere

Dott. ZUNICA Fabio – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA
sul ricorso proposto da:
(OMISSIS), nato a (OMISSIS);
avverso la sentenza del 12/04/2018 della Corte di appello di Milano;
visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;
udita la relazione svolta dal Consigliere Dott. ZUNICA Fabio;
udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.ssa FILIPPI Paola, che ha concluso per l’inammissibilita’ del ricorso.

RITENUTO IN FATTO

1. Con sentenza del 12 aprile 2018, la Corte di appello di Milano confermava la sentenza del 4 febbraio 2016, con cui il Tribunale di Milano, all’esito di rito abbreviato, aveva condannato (OMISSIS), con i doppi benefici di legge, alla pena di mesi 6 di reclusione, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167, a lui contestato per avere diffuso, con piu’ azioni esecutive del medesimo disegno criminoso, su due siti a carattere pornografico, immagini di donne realizzate in occasioni private, senza l’autorizzazione di costoro e agendo quindi in violazione del Codice della privacy, determinando con tale condotta una lesione della reputazione delle ragazze coinvolte; fatti commessi in (OMISSIS) nel mese di (OMISSIS).
2. Avverso la sentenza della Corte di appello milanese, (OMISSIS), tramite il suo difensore, ha proposto ricorso per cassazione, sollevando quattro motivi.
Con il primo, la difesa censura la formulazione del giudizio di colpevolezza a carico dell’imputato, osservando come nel caso di specie non fosse ravvisabile uno degli elementi costitutivi della fattispecie incriminatrice, ovvero il dolo specifico di recare ad altri un danno, posto che si era presenza di una mera “bravata”, avendo (OMISSIS) compiuto un’azione certamente provocatoria, ma senza l’intenzione di danneggiare qualcuno, tanto e’ vero che l’imputato si era limitato a realizzare rudimentali fotomontaggi con i volti, reperiti su facebook, di alcune sue conoscenti, senza alcun riferimento all’identita’ effettiva delle ragazze. Peraltro, oltre ad aver provveduto subito alla immediata rimozione delle foto, il ricorrente ha risarcito, con una considerevole somma di denaro, le persone offese, le quali hanno poi rimesso la querela in ordine al delitto di diffamazione originariamente contestato, per cui, anche in considerazione dell’assenza di vantaggi personali per l’imputato e dell’occasionalita’ della condotta, mai perpetrata prima di questa vicenda, doveva escludersi l’elemento soggettivo del reato, non potendosi ipotizzare l’esistenza di una sorta di dolus in re ipsa.
Con il secondo motivo, oggetto di doglianza e’ la mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione alla ritenuta sussistenza del nocumento, evidenziandosi che, nel caso di specie, la condotta di (OMISSIS) aveva prodotto un vulnus minimo alla privacy delle persone offese, per cui la contestata violazione dei dati personali non era meritevole di sanzione.
Dunque, non essendovi prova ne’ del tipo di turbamento patito dalle persone offese, ne’ del numero di utenti che avrebbero visionato le fotografie, nel poco tempo in cui le stesse sono rimaste in rete prima della loro rimozione, doveva escludersi la verificazione della condizione di punibilita’ della condotta, prevista dal Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167 proprio al fine di evitare che la norma predetta trovi un’applicazione solo formale, sganciata da una reale offensivita’.
Con il terzo motivo, il ricorrente deduce la mancanza, contraddittorieta’ e manifesta illogicita’ della motivazione in relazione al trattamento sanzionatorio, osservando che i giudici di merito non hanno tenuto conto, quanto alla gravita’ del fatto, delle modalita’ dell’azione, la cui carica lesiva si era esaurita in un ristretto arco temporale, dell’esiguita’ del nocumento, in ordine al quale non e’ stata fornita alcuna prova, della mancanza del dolo specifico di danno e del ristoro patrimoniale intervenuto in favore della parti offese, mentre, rispetto alla capacita’ a delinquere dell’imputato, non sarebbero stati adeguatamente valutati la mancanza di precedenti penali a suo carico, la condotta antecedente, contemporanea e susseguente al reato di (OMISSIS), nonche’ le sue condizioni di vita individuale, sociale e familiare e l’assenza di motivi a delinquere.
Con il quarto motivo, infine, viene contestato il mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’articolo 131 bis c.p., evidenziandosi che, nel caso di specie, sussistevano senz’altro i requisiti per qualificare la condotta dell’imputato in termini di particolare tenuita’, applicandosi l’istituto in esame anche ai fatti pregressi all’entrata in vigore del Decreto Legislativo 16 marzo 2015, n. 28.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso e’ inammissibile perche’ manifestamente infondato.
1. Iniziando dai primi due motivi, suscettibili di essere trattati in maniera unitaria, perche’ entrambi concernenti il giudizio di colpevolezza dell’imputato sotto aspetti tra loro sovrapponibili, occorre evidenziare che, in ordine a tale profilo, la sentenza impugnata non presta il fianco alle censure difensive.
Al riguardo deve premettersi che ad essere controversa nel caso di specie non e’ la ricostruzione della vicenda storica, in se’ pacifica, ma la sua qualificazione giuridica, contestando la difesa la configurabilita’ del reato ascritto al ricorrente per l’asserito difetto sia dell’elemento soggettivo, sia del “nocumento”, di cui peraltro, come sara’ di qui a breve sottolineato, si discute se si tratti di una condizione obiettiva di punibilita’ o di un elemento costitutivo del reato.
Prima di soffermarsi sull’inquadramento giuridico dei fatti, appare utile un breve richiamo ai fatti di causa, verificatisi nel mese di febbraio 2012, allorquando (OMISSIS) diffondeva su due siti pornografici, senza alcun preventivo consenso, le immagini di diverse ragazze di sua conoscenza, dopo averle in molti casi manipolate, incitando gli utenti dei siti a “commentare” le immagini caricate. Ben presto le vittime dell’indebita diffusione delle immagini, legate peraltro da legami di reciproca conoscenza, venivano a conoscenza dell’accaduto e non esitavano a sporgere querela, venendo poi rimossi in tempi rapidi dai due siti i contenuti visivi divulgati da (OMISSIS), il quale provvedeva in seguito a risarcire le denuncianti, corrispondendo a ciascuna di loro la somma di 1.300 Euro.
Cio’ posto, deve ritenersi corretto l’inquadramento della condotta nella fattispecie di cui al Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 167 (contestata al pari di quella ex articolo 595 c.p., rispetto alla quale e’ tuttavia intervenuta remissione di querela). In proposito deve premettersi che, al momento del fatto, la norma incriminatrice (rubricata “trattamento illecito di dati personali”) era cosi’ formulata:
“1. Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque, al fine di trarne per se’ o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 18, 19, 23, 123, 126 e 130, ovvero in applicazione dell’articolo 129, e’ punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da sei a diciotto mesi o, se il fatto consiste nella comunicazione o diffusione, con la reclusione da sei a ventiquattro mesi.
2. Salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque, al fine di trarne per se’ o per altri profitto o di recare ad altri un danno, procede al trattamento di dati personali in violazione di quanto disposto dagli articoli 17, 20, 21, articolo 22, commi 8 e 11, articoli 25, 26, 27 e 45, e’ punito, se dal fatto deriva nocumento, con la reclusione da uno a tre anni”.
Orbene, la condotta di (OMISSIS) e’ stata inquadrata nella fattispecie di cui al citato articolo 167, comma 1, essendosi ravvisata l’illegittimita’ del trattamento dei dati nella violazione del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 23, che subordina la liceita’ del trattamento, consistente in tal caso nella diffusione sul web delle proprie immagini, al consenso liberamente espresso dalla persona interessata. Premesso che la recente modifica operata dal Decreto Legislativo 10 agosto 2018, n. 101 (articolo 15, comma 1, lettera b) non ha inciso in termini sostanziali sul contenuto della norma incriminatrice, deve osservarsi che e’ rimasto in particolare invariato l’elemento soggettivo del reato, costituito dal fine dell’agente di trarre per se’ o per altri un profitto o di recare ad altri un danno mediante l’illecito trattamento. Il reato si connota pertanto come delitto a dolo specifico (cosi’ Sez. 3, n. 3683 del 11/12/2013, dep. 2014, Rv. 258492), la cui struttura finalistica e’ incompatibile con la forma del dolo eventuale, che postula l’accettazione solo in via ipotetica, seppure avverabile, del conseguimento di un determinato risultato.
Nel caso di specie, le due conformi sentenze di merito, all’esito di un razionale percorso argomentativo, hanno ritenuto configurabile il dolo specifico in capo all’imputato, rimarcando la circostanza che questi aveva manipolato e diffuso le foto delle sue conoscenti, inviandole a siti pornografici, talora incitando i relativi utenti a fare commenti, per cui deve ritenersi che (OMISSIS) abbia agito al fine di ledere la reputazione delle ragazze ritratte nelle foto, a nulla rilevando che le immagini abusivamente divulgate siano state poi rimosse su iniziativa dello stesso imputato, stante la natura istantanea del delitto per cui si procede, oltre che la potenziale diffusivita’ dei contenuti inoltrati sulla rete anche per poche ore.
Il danno all’onorabilita’ delle persone offese era dunque pienamente ricompreso nel perimetro volitivo dell’agente, e tanto anche in considerazione della natura pornografica dei due siti dove sono state caricate le foto delle ignare ragazze.
2. Ribadita la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, deve ritenersi immune da censure anche la valutazione delle sentenze di merito rispetto alla configurabilita’ dell’ulteriore requisito normativo del “nocumento”.
Al riguardo occorre premettere che, nell’attuale versione normativa (“salvo che il fatto costituisca piu’ grave reato, chiunque, al fine di trarre per se’ o per altri profitto ovvero di arrecare danno all’interessato, operando in violazione di quanto disposto dagli articoli 123, 126 e 130 o dal provvedimento di cui all’articolo 129 arreca nocumento all’interessato, e’ punito con la reclusione da sei mesi a un anno e sei mesi”), la determinazione del nocumento si configura chiaramente come un elemento costitutivo della fattispecie penale.
Nella precedente formulazione del reato, peraltro vigente al momento del fatto, e’ stata invece a lungo prevalente nella giurisprudenza di legittimita’, anche in ragione del tenore testuale della norma (l’agente “e’ punito, se dal fatto deriva nocumento”) la tesi che qualificava il nocumento come una condizione obiettiva di punibilita’, idonea cioe’ ad attualizzare l’offesa dell’interesse tutelato gia’ realizzata dal fatto tipico (cfr. Sez. 3, n. 7504 del 16/07/2013, dep. 2014, Rv. 259261 e Sez. 5, n. 44940 del 28/09/2011, Rv. 251448), anche se si e’ poi delineata una diversa impostazione ermeneutica, invero piu’ condivisibile, secondo la quale il nocumento per la persona alla quale i dati illecitamente trattati si riferiscono costituisce, per la sua omogeneita’ rispetto all’interesse leso, e la sua diretta derivazione causale dalla condotta tipica, un elemento costitutivo del reato, e non una condizione oggettiva di punibilita’, con la conseguenza che esso deve essere previsto e voluto o comunque accettato dall’agente come effetto della propria azione, indipendentemente dal fatto che costituisca o si identifichi con il fine dell’azione (Sez. 3, n. 40103 del 05/02/2015, Rv. 264798). Quanto poi al contenuto del nocumento, deve richiamarsi la condivisa affermazione di questa Corte (cfr. ex multis Sez. 3, n. 52135 del 19/06/2018, Rv. 275456 e Sez. 3, n. 15221 del 23/11/2016, dep. 2017, Rv. 270055), secondo cui il nocumento previsto dal Decreto Legislativo 30 giugno 2003, n. 196, articolo 167, deve intendersi come un pregiudizio giuridicamente rilevante di qualsiasi natura, patrimoniale o non patrimoniale, subito dal soggetto cui si riferiscono i dati protetti oppure da terzi quale conseguenza dell’illecito trattamento.
La nozione di nocumento, in definitiva, coerentemente con l’etimologia del termine (derivante dal verbo nuocere, ovvero arrecare un danno fisico o morale), evoca l’esistenza di una concreta lesione della sfera personale o patrimoniale, che, nell’ottica della fattispecie per cui si procede, deve ritenersi direttamente riconducibile a un’operazione di illecito trattamento dei dati protetti.
Tanto premesso, deve ritenersi senz’altro corretta la qualificazione in termini di “nocumento” del pregiudizio delle persone offese, le cui immagini, sia pure per poco tempo, sono state diffuse su siti pornografici in assenza di autorizzazione. La divulgazione delle fotografie delle ragazze su quel tipo di siti ha infatti comportato una lesione della loro onorabilita’ giuridicamente apprezzabile, dovendosi unicamente precisare, interpretando il nocumento come elemento costitutivo del reato, che nella vicenda in esame deve ritenersi che il pregiudizio delle persone offese sia senz’altro entrato nella sfera volitiva dell’imputato, il quale ha inviato le foto delle ragazze dopo averle manipolate, esponendole consapevolmente alla visione e ai commenti degli utenti dei siti pornografici, in tal modo arrecando un evidente e non lieve nocumento alla loro reputazione.
Deve pertanto rimarcarsi la manifesta infondatezza delle censure relative all’inquadramento giuridico della condotta illecita dell’imputato, avendo il Tribunale e la Corte di appello ritenuto correttamente ravvisabili tutti i requisiti della norma incriminatrice, sia dal punto di vista oggettivo che soggettivo.
3. Passando al terzo motivo di ricorso, deve rilevarsi che, anche nella parte relativa al trattamento sanzionatorio, le sentenze di merito resistono ampiamente alle censure difensive, dovendosi evidenziare che il non eccessivo discostamento della pena base (fissata in 1 anno di reclusione) dal minimo edittale (6 mesi) e’ stato giustificato, in maniera non illogica, in ragione della pluralita’ delle persone offese coinvolte, fermo restando che in favore di (OMISSIS) sono state riconosciute le attenuanti generiche e l’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., n. 6, per cui deve escludersi che la determinazione della pena finale (stabilita in mesi 6 di reclusione per effetto della scelta del rito) sia stata ispirata da criteri di particolare rigore, tanto piu’ ove si consideri che all’imputato sono state applicati anche i doppi benefici di legge.
Di qui la manifesta infondatezza della doglianza difensiva.
4. Alle medesime conclusioni deve pervenirsi rispetto alla censura concernente il mancato riconoscimento della causa di non punibilita’ prevista dall’articolo 131 bis c.p., dovendosi rilevare innanzitutto che, con l’atto di appello, non fu avanzata alcuna sollecitazione in tal senso, il che spiega il motivo per cui la Corte territoriale non ha trattato la relativa questione.
Al di la’ di questo profilo, deve in ogni caso osservarsi che, alla luce degli elementi fattuali cristallizzati nelle sentenze di merito, non vi sarebbe comunque spazio per la qualificazione della condotta in termini di particolare tenuita’, avuto riguardo al numero elevato (ben 17) delle giovani donne le cui immagini, senza il loro consenso, sono state indebitamente diffuse su due siti pornografici.
5. In conclusione, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso di (OMISSIS) deve essere dichiarato inammissibile, con conseguente onere per il ricorrente, ex articolo 616 c.p.p., di sostenere le spese del procedimento.
Tenuto conto infine della sentenza della Corte costituzionale del 13 giugno 2000 n. 186 e considerato che non vi e’ ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza “versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilita’”, si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000 in favore della Cassa delle Ammende.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle Ammende.
In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalita’ e gli altri dati identificativi, ai sensi del Decreto Legislativo n. 196 del 2003, articolo 52, in quanto imposto dalla legge.

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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