Trasferimento dipendente per incompatibilità ambientale non ha natura disciplinare

Corte di Cassazione, sezione lavoro, Ordinanza 26 ottobre 2018, n. 27226

La massima estrapolata:

Il trasferimento del dipendente dovuto a incompatibilità ambientale non ha natura disciplinare, ma è connesso alle esigenze tecniche, organizzative e produttive del datore di lavoro e, in particolare, alla necessità di avere un’unità produttiva organizzata e funzionale. Pertanto, la legittimità del provvedimento prescinde dall’accertamento della responsabilità dei lavoratori trasferiti e non è subordinata

Ordinanza 26 ottobre 2018, n. 27226

Data udienza 21 giugno 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. NOBILE Vittorio – Presidente

Dott. CURCIO Laura – Consigliere

Dott. NEGRI DELLA TORRE Paolo – Consigliere

Dott. ARIENZO Rosa – Consigliere

Dott. MAROTTA Caterina – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 8809-2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS) rappresentato e difeso dall’avvocato (OMISSIS);
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.P.A. ((OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che lo rappresenta e difende;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 1552/2013 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA, depositata il 3/12/2013; R.G.N. 391/2011.
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 21/06/2018 dal Consigliere Dott. CATERINA MAROTTA.

RILEVATO

che:
1.1. con ricorso ai Tribunale di Roma (OMISSIS), dipendente di (OMISSIS) S.p.A. (gia’ (OMISSIS) S.p.A. e poi (OMISSIS) S.p.A.), chiedeva accertarsi l’illegittimita’ del trasferimento disposto dal datore di lavoro dalla sede di (OMISSIS) a quella di (OMISSIS), l’intervenuta dequalificazione professionale presso la sede ad quem, e conseguentemente il riconoscimento dei danni patrimoniale, biologico ed esistenziale nonche’ il rimborso delle spese mediche sostenute ed il pagamento del premio aziendale relativo agli anni 2006 e 2007;
1.2. il Tribunale accoglieva la domanda, dichiarava il trasferimento illegittimo e condannava la societa’ al pagamento in favore del (OMISSIS) della somma di Euro 10.920,00 a titolo di danno patrimoniale nonche’ della somma di Euro 1.252,80 per spese mediche oltre al risarcimento del danno patrimoniale consistente nella diaria chilometrica e nella diaria di trasferta (da calcolarsi in separata sede);
1.3. la decisione era riformata dalla Corte di appello di Bologna che respingeva in toto l’azionata domanda;
riteneva la Corte territoriale che il trasferimento del (OMISSIS) fosse stato determinato dall’esigenza di risolvere una situazione di conflittualita’ all’interno del piccolo ufficio di (OMISSIS) e dalla necessita’ di evitare che la situazione, a causa della degenerazione del rapporto personale tra il (OMISSIS) e la collega (OMISSIS), per vicende non attinenti all’ambito lavorativo, potesse compromettere il funzionamento dell’unita’ produttiva;
2. avverso l’anzidetta sentenza della Corte territoriale, propone ricorso per cassazione (OMISSIS) fondato su due motivi;
3. resiste con controricorso (OMISSIS) S.p.A.;
4. entrambe le parti hanno depositato memoria.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1.1. con il primo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 2103 e 2697 cod. civ., dell’articolo 108 c.c.n.l. aziende concessionarie del servizio riscossione tributi, degli articoli 115 e 116 cod. proc. civ., omessa valutazione di elementi decisivi della causa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la sentenza ha ritenuto che il trasferimento fosse sorretto da ragioni organizzative/produttive (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5);
censura la sentenza impugnata per non aver considerato che il trasferimento disposto ai danni del (OMISSIS) sottintendesse piuttosto una finalita’ sanzionatoria o disciplinare;
rileva che l’unico alterco con la collega (OMISSIS) fosse avvenuto al di fuori dell’ambiente di lavoro e per motivi ad esso estranei e che detta collega fosse rimasta assente dal lavoro fino alla data del trasferimento del (OMISSIS);
assume che la degenerazione del rapporto personale con la (OMISSIS) non potesse assurgere neppure ad elemento presuntivo a sostegno della pretesa incompatibilita’ ambientale e che il datore di lavoro non avesse fornito altri elementi deponenti per tale supposta incompatibilita’;
1.2. con il secondo motivo il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione degli articoli 1175 e 1375 cod. civ. in riferimento agli articoli 213 e 2697 cod. civ. e dell’articolo 108c.c.n.l. di categoria (articolo 360 c.p.c., nn. 3 e 5);
rileva che la Corte territoriale avrebbe omesso completamente di valutare che la societa’ aveva disposto il trasferimento del lavoratore ad altra sede con diverse e inferiori mansioni senza fornire alcuna dimostrazione delle esigenze che giustificassero la presenza di maggior personale presso la sede di (OMISSIS) e senza valutare che la scelta del lavoratore da trasferire dovesse effettuarsi mediante un’equilibrata valutazione degli interessi in gioco, secondo il canone della correttezza e buona fede, oltre che nel rigoroso rispetto del divieto di discriminazione ed altresi’ tenendo conto delle condizioni familiari e personali del lavoratore trasferito;
2. i motivi, da trattarsi congiuntamente in ragione dell’intrinseca connessione, oltre a presentare profili di improcedibilita’ ed inammissibilita’, sono infondati;
va innanzitutto preliminarmente evidenziato che non ha formato oggetto di censura l’argomentazione della Corte territoriale secondo cui l’esclusione del dedotto demansionamento (oltre che della pretesa relativa alla corresponsione del premio aziendale) fosse passata in giudicato (per mancanza di appello incidentale da parte del (OMISSIS));
tanto precisato, le doglianze sono improcedibili nella parte in cui e’ denunciata la violazione di norme del contratto collettivo senza che sia stata depositata in allegato al ricorso la copia integrale di tale contratto ovvero che risulti precisato, in violazione dell’articolo 366 n. 6 cod. proc. civ., se e quando tale documentazione fosse stata depositata nel corso del giudizio di merito e dove la stessa sia in concreto reperibile;
invero, per costante giurisprudenza (cfr., ex aliis, Cass. 4 marzo 2015, n. 4350; Cass. 15 ottobre 2010, n. 21358; Cass., Sez. U, 23 settembre 2010, n. 20075; Cass. 13 maggio 2010, n. 11614), nel giudizio di cassazione l’onere di depositare i contratti e gli accordi collettivi – imposto, a pena di improcedibilita’ del ricorso, dall’articolo 369 c.p.c., comma 2, n. 4, – e’ soddisfatto solo con la produzione del testo integrale della fonte convenzionale, adempimento rispondente alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione e necessario per l’applicazione del canone ermeneutico previsto dall’articolo 1363 cod. civ.;
ne’ a tal fine basterebbe la mera allegazione dell’intero fascicolo di parte del giudizio di merito in cui tale atto sia stato eventualmente depositato, essendo altresi’ necessario che in ricorso se ne indichi la precisa collocazione nell’incarto processuale (v., ex aliis, Cass. n. 27228/14), il che nel caso di specie non e’ avvenuto;
i motivi, inoltre, laddove denunciano insufficiente e contraddittoria motivazione sono formulati in riferimento al testo dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, nella previgente formulazione, non applicabile, ratione temporis, al presente ricorso;
la sentenza impugnata e’ stata pubblicata dopo l’11 settembre 2012 con la conseguenza che la norma cui occorre fare riferimento e’ quella dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, come sostituito dal Decreto Legge n. 83 del 2012, articolo 54, comma 1, lettera b), che consente la censura soltanto per “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti”;
il controllo della motivazione e’, cosi’, ora confinato sub specie nullitatis, in relazione all’articolo 360 cod. proc. civ., n. 4 il quale, a sua volta, ricorre solo nel caso di una sostanziale carenza del requisito di cui all’articolo 132 c.p.c., n. 4, configurabile solo nel caso di “mancanza assoluta di motivi sotto l’aspetto materiale e grafico”, di “motivazione apparente”, di “contrasto irriducibile tra affermazioni inconciliabili” e di “motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile”, esclusa la riconducibilita’ in detta previsione di una verifica sulla sufficienza e razionalita’ della motivazione medesima mediante confronto con le risultanze probatorie (cfr. Cass., Sez. U, 7 aprile 2014, n. 8053);
nella specie, la motivazione della Corte territoriale supera certamente la soglia del “minimo costituzionale” di cui al nuovo testo articolo 360 c.p.c., n. 5, nella rigorosa interpretazione della citata Cass., Sez. U, n. 8053/2014;
nella parte in cui il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione dell’articolo 2697 cod. civ. senza, pero’, censurare l’erronea applicazione da parte del giudice di merito della regola di giudizio fondata sull’onere della prova e dunque per avere attribuito l’onus probandi a una parte diversa da quella che ne era onerata, il rilievo si colloca al di fuori del novero di quelli spendibili ex articolo 360 c.p.c., comma 1, perche’, nonostante il richiamo normativo in esso contenuto, sostanzialmente sollecita una rivisitazione nel merito della vicenda (non consentita in sede di legittimita’) affinche’ si fornisca un diverso apprezzamento delle prove (Cass., Sez. U., 10 giugno 2016, n. 11892);
la violazione dell’articolo 115 cod. proc. civ. e’, poi, apprezzabile, in sede di ricorso per cassazione, nei limiti del vizio di motivazione di cui all’articolo 360 c.p.c., comma 1, n. 5, e non anche in termini di violazione di legge, dovendo emergere direttamente dalla lettura della sentenza, non gia’ dal riesame degli atti di causa, inammissibile in sede di legittimita’ (v. Cass. 20 giugno 2006, n. 14267; Cass. 30 novembre 2016, n. 24434);
ne’ tale violazione e’ ravvisabile nella mera circostanza che il giudice di merito abbia valutato le prove proposte dalle parti attribuendo maggior forza di convincimento ad alcune piuttosto che ad altre, ma soltanto nel caso in cui il giudice abbia giudicato sulla base di prove non introdotte dalle parti e disposte di sua iniziativa al di fuori dei casi in cui gli sia riconosciuto un potere officioso di disposizione del mezzo probatorio (Cass., Sez. U., 5 agosto 2016, n. 16598; Cass., Sez. U, 10 giugno 2016, n. 11892);
la violazione dell’articolo 116 cod. proc. civ. e’ configurabile solo allorche’ il giudice apprezzi liberamente una prova legale, oppure si ritenga vincolato da una prova liberamente apprezzabile (Cass., Sez. U., n. 11892/2016 cit.; Cass. 19 giugno 2014, n. 13960; Cass. 20 dicembre 2007, n. 26965), situazioni queste non sussistenti nel caso in esame;
anche la violazione dell’articolo 2103 cod. civ. non e’ configurabile sol che si consideri che, come piu’ volte affermato da questa Corte il trasferimento del dipendente dovuto ad incompatibilita’ ambientale, trovando la sua ragione nello stato di disorganizzazione e disfunzione dell’unita’ produttiva, va ricondotto alle esigenze tecniche, organizzative e produttive, di cui all’articolo 2103 cod. civ., piuttosto che, sia pure atipicamente, a ragioni punitive e disciplinari, con la conseguenza che la legittimita’ del provvedimento datoriale di trasferimento prescinde dalla colpa (in senso lato) dei lavoratori trasferiti, come dall’osservanza di qualsiasi altra garanzia sostanziale o procedimentale che sia stabilita per le sanzioni disciplinari (v. Cass. 9 marzo 2001, n. 3525; Cass. 12 dicembre 2002, n. 17786);
in tale caso, il controllo giurisdizionale sulle comprovate ragioni tecniche, organizzative e produttive, che legittimano il trasferimento del lavoratore subordinato, deve essere diretto ad accertare soltanto se vi sia corrispondenza tra il provvedimento datoriale e le finalita’ tipiche dell’impresa (e cioe’ se l’incompatibilita’, determinando conseguenze quali tensione nei rapporti personali o contrasti nell’ambiente di lavoro che costituiscono esse stesse causa di disorganizzazione e disfunzione nell’unita’ produttiva, realizzi un’obiettiva esigenza aziendale di modifica del luogo di lavoro – v. Cass. 1 settembre 2003, n. 12735; Cass. 22 agosto 2013, n. 19425-);
il suddetto controllo, trovando un preciso limite nel principio di liberta’ dell’iniziativa economica privata (garantita dall’articolo 41 Cost.), non puo’ essere esteso al merito della scelta imprenditoriale, ne’ questa deve presentare necessariamente i caratteri della inevitabilita’, essendo sufficiente che il trasferimento concreti una tra le scelte ragionevoli che il datore di lavoro possa adottare sul piano tecnico, organizzativo o produttivo (cfr. Cass. n. 17786/2002 cit. nonche’ Cass. 2 aprile 2003, n. 5087; Cass. 23 febbraio 2007, n. 4265; Cass. 5 novembre 2013, n. 24775 ed ancora Cass. 27 gennaio 2017, n. 2143 e Cass. 11 maggio 2017, n. 11568, in materia di pubblico impiego privatizzato);
nella specie, la Corte ha valutato la scelta aziendale alla luce delle possibili conseguenze dell’episodio “increscioso” che aveva visto quali protagonisti il (OMISSIS) e la (OMISSIS) (episodio, secondo la versione della (OMISSIS), degenerato in “vie di fatto” e sfociato in denunce penali reciproche), del clamore che lo stesso aveva sollevato all’interno della struttura di piccole dimensioni, delle tensioni nei rapporti personali tra i suddetti dipendenti (la (OMISSIS), in malattia dopo il suddetto episodio increscioso, prima di rientrare in servizio aveva inviato al datore di lavoro tramite il proprio legale una lettera con cui aveva richiesto l’adozione di provvedimenti che non le consentissero una vicinanza con il (OMISSIS)), della circostanza che i due dipendenti avessero la frequente possibilita’ di incontrarsi sul posto di lavoro (l’ingresso per accedere alle rispettive postazioni era promiscuo e i loro uffici, ricavati in un unico ambiente, si trovavano sullo stesso corridoio ed erano separati solo da armadi), ed ha ritenuto che tutti i suddetti elementi, rendendo altamente probabile un ulteriore peggioramento della situazione con inevitabili conseguenze sul piano della funzionalita’ dell’unita’ produttiva, richiedessero una modifica del luogo di lavoro al fine di evitare che la situazione potesse ulteriormente peggiorare creando disservizi nell’ambiente lavorativo e/o ripercussioni sullo stato di salute dei due dipendenti;
non vi e’ dubbio che i giudici di merito abbiano tenuto conto delle ragioni di incompatibilita’ createsi tra i dipendenti (OMISSIS) e (OMISSIS) ed abbiano considerato i riflessi della situazione come venutasi a creare sul normale svolgimento dell’attivita’ dell’impresa e che quella adottata sia stata una scelta ragionevole (pur tra altre possibili);
del resto l’articolo 2013 cod. civ. non lascia spazio a considerazioni relative alla causa che abbia prodotto le difficolta’ organizzative che il datore di lavoro abbia deciso di risolvere trasferendo uno o piu’ dei propri dipendenti, ma richiede esclusivamente che si valuti la natura oggettiva della condizione in cui versa l’unita’ produttiva interessata e che il provvedimento di trasferimento possa essere annoverato tra gli strumenti che razionalmente il datore di lavoro puo’ impiegare per rimuovere la situazione suscettibile di pregiudicare l’ordinato svolgimento dell’attivita’;
nel caso in esame, del resto, non sono posti in discussione il dato oggettivo del malfunzionamento dell’unita’ produttiva a quo ovvero le ricadute in termini di disfunzioni operative/organizzative che la permanenza del (OMISSIS) presso la sede di (OMISSIS) avrebbe potuto avere sul corretto e proficuo svolgimento dell’attivita’ economica limitandosi il ricorrente a sostenere che la societa’ non avesse dimostrato ne’ tantomeno prospettato quali fossero le esigenze che giustificavano la presenza di maggior personale presso la sede ad quem di (OMISSIS);
in ogni caso la Corte territoriale, con congruo apprezzamento delle specifiche circostanze – il quale non puo’ non essere affidato ad una valutazione a priori, senza dover attendere il verificarsi di elementi effettivamente perturbatori -, ha ritenuto che l’increscioso episodio che aveva visto coinvolti il (OMISSIS) e la (OMISSIS), si palesasse tale da suggerire l’adozione di un provvedimento organizzativo che evitasse tra i suddetti contatti presuntivamente pregiudizievoli, con incidenza negativa sul corretto funzionamento dell’impresa, provvedimento concretizzatosi con il trasferimento del (OMISSIS);
quanto, infine, alla denuncia della violazione dei canoni della buona fede e correttezza e del principio di non discriminazione, va osservato che la stessa e’ posta dal (OMISSIS) non in relazione alla scelta aziendale di trasferire lui e non la (OMISSIS) ma in relazione alla mancata prova della rispondenza del suo trasferimento alle esigenze del miglior funzionamento aziendale e della valorizzazione dell’interessato presso la sede di destinazione nonche’ alla omessa considerazione del disagio e della sofferenza che il trasferimento aveva determinato sulla sua situazione personale e della profonda crisi depressiva causata dallo stesso oltre che alla possibilita’ di reintegrare esso ricorrente presso l’ufficio di (OMISSIS), mediante lo scambio con altra dipendente che, a suo dire, si sarebbe trasferita volentieri a Bologna;
va, al riguardo, rilevato che si tratta di circostanze non esaminate dalla Corte territoriale senza che pero’ si evinca se e in quali termini le stesse siano state sottoposte al giudice d’appello;
si rileva, infatti, dalla sentenza impugnata che l’ambito del devolutum (come delineato dal gravame della societa’) concernesse solo la prova delle ragioni a base del disposto trasferimento, e cioe’ della situazione di incompatibilita’ venutasi a creare all’interno dell’ufficio di (OMISSIS), e non altro (le uniche questioni poste dall’appellato sembrano essere state quella della legittimazione della societa’ appellante, disattesa dalla Corte territoriale e quella posta dalla domanda di accertamento del quantum della somma dovuta a titolo di danno patrimoniale, ritenuta inammissibile);
3. conclusivamente il ricorso deve essere rigettato;
4. la regolamentazione delle spese segue la soccombenza;
5. va dato atto dell’applicabilita’ del Decreto del Presidente della Repubblica 30 maggio 2002, n. 115, articolo 13, comma 1 quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, articolo 1, comma 17.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna il ricorrente al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimita’ che liquida in Euro 200,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 per compensi professionali, oltre accessori come per legge e rimborso forfetario in misura del 15%.
Ai sensi del Decreto del Presidente della Repubblica n. 115 del 2002, articolo 13, comma 1 quater, da’ atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1 bis.

Avv. Renato D’Isa

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