Il tasso di interesse “per relationem”

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 26 giugno 2019, n. 17110.

La massima estrapolata:

Nella vigenza dell’art. 117, comma 4, del d.lgs. n. 385 del 1993, il tasso di interesse può essere determinato “per relationem”, con esclusione del rinvio agli usi, ma in tal caso il contratto deve richiamare criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, non devono essere unilateralmente dalla banca. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto nulla la pattuizione del tasso di interesse, all’interno di un contratto di conto corrente bancario, operata attraverso il riferimento ad un generico “top rate”, concretamente specificato solo in un avviso sintetico redatto dalla banca ed esposto al pubblico.)

Ordinanza 26 giugno 2019, n. 17110

Data udienza 11 aprile 2019

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ACIERNO Maria – Presidente

Dott. MARULLI Marco – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. FALABELLA Massimo – rel. Consigliere

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 10890/2015 proposto da:
(OMISSIS), (OMISSIS), elettivamente domiciliati in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che li rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrenti –
contro
(OMISSIS) Spa, in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende, giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 3696/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, depositata il 04/06/2014;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del 11/04/2019 da FALABELLA MASSIMO.

FATTI DI CAUSA

1. – (OMISSIS) e (OMISSIS) proponevano opposizione al decreto ingiuntivo emesso dal Tribunale di Roma nei loro confronti ad istanza di (OMISSIS) s.p.a.: con tale provvedimento era stato intimato ai predetti opponenti – nella rispettiva qualita’ di obbligato principale e di fideiussore – il pagamento delle seguenti somme: L. 300.856.581 quale saldo debitore del conto corrente identificato col n. (OMISSIS), volturato a sofferenza; L. 134,529.157 quale saldo debitore del conto corrente n. (OMISSIS), volturato a sofferenza; L. 406.167.570, quale saldo debitore del conto corrente n. 17655, pure volturato a sofferenza. A fondamento dell’opposizione erano dedotte: l’assenza di prova scritta del credito azionato, siccome documentato dai soli estratti di cui all’articolo 50 t.u.b. (Decreto Legislativo n. 385 del 1993); la nullita’ dei tre contratti per mancanza di forma scritta; l’illegittima applicazione di interessi ultralegali, anatocistici ed usurari; la contabilizzazione di valute in modo difforme dalla datazione delle singole operazioni di versamento e prelevamento.
Si costituiva (OMISSIS) s.p.a., quale mandataria di (OMISSIS) s.p.a., che assumeva essere cessionaria del credito: (OMISSIS) chiedeva il rigetto dell’opposizione, oltre che, in via subordinata, l’accertamento delle somme pretese in misura diversa da quanto indicato.
Il Tribunale revocava il decreto ingiuntivo e condannava gli opponenti al pagamento della somma di Euro 347.068,61, oltre interessi.
2. – Erano proposti due gravami. Quello di (OMISSIS) e (OMISSIS) era accolto parzialmente, sicche’ l’ammontare della somma da loro dovuta veniva rideterminato in Euro 323.717,05. Quello incidentale della banca era invece respinto.
3. – Contro la pronuncia che la Corte di appello di Roma ha reso in data 4 giugno 2014 i predetti (OMISSIS) e (OMISSIS) ricorrono per cassazione: lo fanno svolgendo cinque motivi. Resiste con controricorso (OMISSIS) s.p.a., nella veste di procuratrice di (OMISSIS) s.r.l., che deduce essere succeduta nel diritto controverso ai sensi dell’articolo 58 t.u.b.. Sono state depositate le memorie di cui all’articolo 380 bis c.p.c., comma 1.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. – Va anzitutto disattesa l’eccezione pregiudiziale sollevata dai ricorrenti, secondo cui (OMISSIS) non avrebbe fornito la prova della propria legittimazione, giacche’ a tal fine non sarebbe sufficiente la produzione del foglio delle inserzioni della Gazzetta Ufficiale con cui si e’ data pubblicita’ al trasferimento in blocco dei crediti ex articolo 58 t.u.b..
Si osserva, in proposito, che in tema di cessione in blocco dei crediti da parte di una banca, ai sensi dell’articolo 58 del cit., e’ sufficiente a dimostrare la titolarita’ del credito in capo al cessionario la produzione dell’avviso di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale recante l’indicazione per categorie dei rapporti ceduti in blocco, senza che occorra una specifica enumerazione di ciascuno di essi, allorche’ gli elementi comuni presi in considerazione per la formazione delle singole categorie consentano di individuare senza incertezze i rapporti oggetto della cessione (Cass. 29 dicembre 2017, n. 31188).
2. – Il primo motivo di ricorso denuncia la violazione dell’articolo 117, commi 1 e 3, t.u.b., articolo 1321 c.c., articolo 1350 c.c., n. 13, e articolo 1418 c.c., comma 3, nonche’ dell’articolo 2725 c.c. e articolo 2729 c.c., comma 2, in relazione all’eccepita nullita’ per l’inosservanza dell’obbligo di forma dei contratti bancari oggetto di causa. La censura investe, anzitutto, l’affermazione circa la validita’ del contratto di apertura di credito collegato al conto corrente n. (OMISSIS): osserva in proposito la parte istante che dall’articolo 6 delle condizioni generali di contratto non deriverebbe alcun obbligo della banca di porre somme a disposizione del cliente e che l’apertura di credito e’ ivi prevista come eventualita’ ipotetica e futura, senza che siano indicati gli elementi essenziali del relativo contratto. Deducono i ricorrenti che, d’altro canto, l’apertura di credito e’ un contratto del tutto autonomo da quello di conto corrente e che esso presuppone un’autonoma manifestazione di volonta’ delle parti: a tale contratto, in assenza di espressa convenzione, non potrebbero dunque applicarsi le condizioni pattuite per il conto corrente. Sempre con riguardo al conto corrente sopra indicato e’ poi rilevato che avrebbe errato il giudice di appello a ritenere perfezionato il negozio nonostante la banca avesse mancato di sottoscrivere il documento contrattuale: in particolare, la Corte di merito non avrebbe potuto valorizzare, ai fini detti, la condotta posta in atto dall’istituto di credito e consistente nell’inoltro di comunicazioni epistolari, nell’invio degli estratti conto e, piu’ in generale, in comportamenti con cui si sarebbe dato corso al rapporto: nessuno di tali elementi sarebbe infatti idoneo al perfezionamento del contratto, per il quale e’ necessaria la forma scritta ad substantiam. Con riguardo ai conti correnti nn. (OMISSIS) viene poi dedotto che su di essi la banca aveva concesso un “castelletto di sconto” e che ai medesimi non sarebbe applicabile il richiamato articolo 6 del contratto di conto corrente, impropriamente richiamato dalla Corte di appello anche con riferimento ad essi. Con specifico riferimento al conto corrente n. (OMISSIS) e’ infine ribadita l’eccezione di nullita’ per mancanza di sottoscrizione.
2.1. – Il motivo, nelle sue diverse articolazioni, e’ infondato.
2.2. – Lo e’ anzitutto con riguardo al profilo afferente l’apertura di credito collegata al conto corrente n. (OMISSIS).
L’articolo 117, comma 2, t.u.b. stabilisce che il C.I.C.R., mediante apposite norme di rango secondario, possa prevedere che particolari contratti, per motivate ragioni tecniche, siano stipulati in forma diversa da quella scritta. La disposizione ricalca quella gia’ contenuta nella L. n. 154 del 1992, articolo 3, comma 3, in forza della quale sono stati emanati il decreto del Ministro del Tesoro del 24 aprile 1992 (che, all’articolo 4, rimetteva alla Banca d’Italia la facolta’ di “individuare modalita’ particolari per i contratti relativi a operazioni e servizi che si innestano su rapporti preesistenti originati da contratti redatti per iscritto”) e le istruzioni del 24 maggio 1992 della Banca d’Italia, che al punto 1.4 dell’articolo 2 stabiliva non essere necessaria la forma scritta “per operazioni e servizi gia’ previsti in contratti redatti per iscritto”. Le due disposizioni hanno mantenuto vigore anche a seguito dell’entrata in vigore del Decreto Legislativo n. 385 del 1993: infatti, l’articolo 161 t.u.b., nell’abrogare, insieme ad altre norme, la L. n. 154 del 1992, ha disposto nel senso che segue: “Le disposizioni emanate dalle autorita’ creditizie ai sensi di norme abrogate o sostituite continuano a essere applicate fino alla data di entrata in vigore dei provvedimenti emanati ai sensi del presente decreto legislativo”.
A torto, dunque, i ricorrenti assumono che il contratto di apertura di credito per cui e’ causa (disciplinato dall’articolo 6 delle condizioni generali del contratto di conto corrente) sia da considerarsi nullo per carenza del requisito di forma. Infatti, il detto requisito non doveva essere osservato proprio in quanto il detto contratto aveva la sua regolamentazione in quello di conto corrente. Ne’ appare concludente l’obiezione degli istanti secondo cui il contratto di apertura di credito non potrebbe essere assimilato a una “operazione” o a un “servizio”. Poiche’, infatti, l’esonero della forma scritta opera come eccezione alla regola contenuta nello stesso cit. punto 1.4, per cui i contratti relativi alle operazioni e ai servizi sono redatti per iscritto, e’ evidente che la prescrizione riguardi i negozi cui quelle prestazioni sono riconducibili. E del resto, questa S.C. ha gia’ precisato che le disposizioni contenute nel Decreto Ministeriale 24 aprile 1992 e nelle istruzioni della Banca d’Italia, al pari di quelle di cui alla delibera del C.I.C.R. del 4 marzo 2003, emanata in attuazione dell’articolo 117, comma 2, t.u.b., escludano che il contratto di apertura di credito, qualora risulti gia’ previsto e disciplinato da un contratto di conto corrente stipulato per iscritto, debba essere documentato a sua volta, a pena di nullita’ (Cass. 9 luglio 2005, n. 14470; piu’ di recente, in relazione alla cit. delibera del C.I.C.R., Cass. 27 marzo 2017, n. 7763 e Cass. 22 novembre 2017, n. 27836).
2.3. – Nemmeno la doglianza sollevata con riferimento ai restanti contratti, di cui la Corte di merito non si occupa espressamente, merita condivisione: e cio’ in quanto l’assunto della stipula di diversi negozi di “castelletto di sconto” costituisce affermazione che non trova riscontro nell’accertamento condotto dal giudice del merito e il sindacato di legittimita’ non puo’ ovviamente investire lo scrutinio delle risultanze di causa; peraltro, sono gli stessi ricorrenti a dar ragione, attraverso la parziale trascrizione delle intercorse convenzioni, del fatto che la stipula interesso’ contratti aventi ad oggetto (anche) rapporti di anticipazione, e non gia’ contratti di conto corrente cui era estranea un’attivita’ di finanziamento (cfr. pagg. 15 e 18 del ricorso ove i conti in questione sono rispettivamente denominati “anticipazione contratti” e “anticipazione fatture”: e difatti il giudice del gravame, a pag. 21 della sentenza impugnata, qualifica come conto corrente il solo contratto n. 17665).
2.4. – Quanto, poi, alla censura fondata sulla mancata sottoscrizione dei contratti da parte del funzionario dell’istituto di credito e’ sufficiente osservare come la Corte di merito, dopo aver ritenuto che anche le copie sottoscritte dalla banca e destinate ad uso interno soddisfacessero il requisito della forma scritta, ha rilevato che “ove anche dovesse ritenersi la mancanza della sottoscrizione”, era sufficiente che risultasse per iscritto l’intento dell’istituto di avvalersi dei contratto: e a tal e fine, ad avviso del giudice distrettuale, andava attribuito rilievo al periodico invio degli estratti conto e al fatto che la banca avesse dato corso al rapporto contrattuale. Tale seconda ratio decidendi – distinta da quella fondata sul valore da attribuirsi ai documenti destinati ad uso interno – si sottrae a censura. Va infatti rammentato che le Sezioni Unite di questa Corte, in due recenti pronunce, hanno affermato, in materia di intermediazione finanziaria, il seguente principio di diritto: “Il requisito della forma scritta del contratto-quadro relativo ai servizi di investimento, disposto dal Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 23, e’ rispettato ove sia redatto il contratto per iscritto e ne venga consegnata una copia al cliente ed e’ sufficiente la sola sottoscrizione dell’investitore, non necessitando la sottoscrizione anche dell’intermediario, il cui consenso ben si puo’ desumere alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti” (Cass. Sez. U. 23 gennaio 2018, n. 1653; Cass. Sez. U. 16 gennaio 2018, n. 898). Il principio trova applicazione in tema di rapporti bancari, essendosi rilevato, anche con riferimento ad essi, che la mancata sottoscrizione e’ priva di rilievo, in presenza di comportamenti concludenti dell’istituto di credito idonei a dimostrare la volonta’ di questo di avvalersi del contratto (ad es.: Cass. 18 giugno 2018, n. 16070).
3. – Il secondo motivo lamenta la violazione del giudicato interno e dell’articolo 112 c.p.c.. Viene osservato, con riguardo ai contratti di conto corrente nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), che la Corte di appello avrebbe sconfessato un’affermazione del Tribunale che era coperta da giudicato, in quanto non oggetto di impugnazione: quella per cui le sigle apposte in calce ai moduli contrattuali erano prive di valenza negoziale e risultavano percio’ inidonee a manifestare la volonta’ dell’istituto di credito di concludere il negozio; il giudice del gravame aveva infatti ritenuto che le copie sottoscritte dalla banca, e destinate ad uso meramente interno, soddisfacessero il prescritto requisito di forma.
3.1. – Il motivo va disatteso.
Come si e’ appena avvertito, la Corte di appello ha respinto l’eccezione di nullita’ per difetto di forma, che qui interessa,
attraverso una doppia ratio decidendi: e si e’ detto che una di esse (quella su cui ci si e’ da ultimo soffermati, nel trattare il primo motivo) e’ conforme a diritto. In linea di principio, va fatta percio’ applicazione del principio per cui qualora la decisione di merito si fondi su di una pluralita’ di ragioni, tra loro distinte e autonome, singolarmente idonee a sorreggerla sul piano logico e giuridico, il mancato accoglimento delle censure mosse ad una delle rationes decidendi rende inammissibili, per sopravvenuto difetto di interesse, le censure relative alle altre ragioni esplicitamente fatte oggetto di doglianza, in quanto queste ultime non potrebbero comunque condurre, stante l’intervenuta definitivita’ delle altre, alla cassazione della decisione stessa. Con riguardo a tali censure si profila, dunque, una inammissibilita’ per difetto di interesse (per tutte: Cass. 18 aprile 2017, n. 9752; Cass. 14 febbraio 2012, n. 2108).
Ne’ puo’ efficacemente opporsi che la Corte di merito, nel privare di significato la sottoscrizione della banca, abbia violato un precedente giudicato: il Tribunale non ha difatti affermato che alcuno dei contratti conclusi dagli odierni istanti fosse nullo per vizio di forma. Ne discende che quanto rilevato dal giudice di prime cure circa la mancata evidenza di un “consenso scritto” della banca quanto ai contratti di conto corrente nn. (OMISSIS) e (OMISSIS) resta estraneo alla ratio decidendi della sentenza del Tribunale: questa si fonda, di contro, sull’assunto per cui “nei contratti a forma vincolata il contraente di cui manca la sottoscrizione puo’ validamente perfezionare l’accordo manifestando alla controparte la volonta’ di avvalersi del contratto” (cfr. ricorso, pag. 34). Va ricordato, al riguardo, che il giudicato non si determina sul fatto, ma su di una statuizione minima della sentenza, costituita dalla sequenza fatto, norma ed effetto, suscettibile di acquisire autonoma efficacia decisoria nell’ambito della controversia (per tutte: Cass. 16 maggio 2017, n. 12202): sicche’ la mera affermazione, da parte del giudice di primo grado, dell’assenza di “consenso scritto” – e cioe’, in pratica, di una sottoscrizione dei moduli riferiti ai richiamati contratti – risulta essere priva dell’attitudine al giudicato.
4. – Col terzo motivo viene lamentata la violazione dell’articolo 117, comma 4, t.u.b. e dell’articolo 1284 c.c. in relazione alla validita’ delle pattuizioni concernenti gli interessi debitori. E’ dedotto: che nessun interesse era stato pattuito con riferimento ai diversi contratti di apertura di credito e di “castelletto di sconto”; che i tassi richiamati dai moduli di conto corrente risultavano convenuti solo in relazione ad un “eccezionale e transitorio scoperto di conto” (circostanza che assumeva particolare rilievo con riferimento al conto n. (OMISSIS), che pure indicava il tasso debitore nella misura fissa del 15%); che l’indicazione del saggio di interesse non era soddisfatto dal richiamo, nei due contratti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS), al top rate; che l’indicazione di tale tasso non poteva reputarsi determinabile per relationem attraverso l’avviso sintetico esposto al pubblico e la pubblicazione periodica attuata sulla Gazzetta Ufficiale.
4.1. – Il motivo appare fondato nei termini che si vengono a precisare.
4.2 – La Corte di merito ha ritenuto che la mancata indicazione, (in due dei tre contratti conclusi) del tasso di interesse debitore, che era stato invece identificato, nei regolamenti negoziali, nel “top rate di volta in volta vigente” dovesse considerarsi legittima. Ha osservato che esso risultava conforme a quello pubblicato periodicamente sulla Gazzetta Ufficiale e che il requisito di forma richiesto potesse ritenersi osservato per relationem avendo i contratti fatto riferimento al detto tasso, come indicato in apposito avviso sintetico esposto al pubblico: ha poi aggiunto che la pubblicita’ del nominato top rate era assicurata nel modo piu’ esauriente, proprio a mezzo della periodica pubblicazione della Gazzetta Ufficiale.
4.3. – Avendo riguardo al regime anteriore all’entrata in vigore della L. n. 154 del 1992, sulla trasparenza delle operazioni e dei servizi bancari e finanziari, la giurisprudenza di questa S.C. e’ da tempo ferma nel ritenere che la convenzione relativa agli interessi ultralegali soddisfi la condizione posta dall’articolo 1284 c.c., comma 3, allorche’, pur non recando l’indicazione in cifra del tasso di interesse, contenga il richiamo a criteri prestabiliti ed elementi estrinseci, purche’ oggettivamente individuabili, funzionali alla concreta determinazione del tasso stesso (cosi’, tra le piu’ recenti: Cass. 30 marzo 2018, n. 8028; Cass. 23 febbraio 2016, n. 3480; Cass. 27 novembre 2014, n. 25205; Cass. 29 gennaio 2013, n. 2072; Cass. 19 maggio 2010, n. 12276; con particolare riferimento all’ipotesi di tasso di interesse variabile, nel senso che e’ necessario, ai fini dell’esatta individuazione concreta del tasso stesso, il riferimento a parametri che consentano la sua precisa determinazione, non essendo sufficienti generici riferimenti dai quali non emerga con sufficiente chiarezza quale previsione le parti abbiano inteso richiamare con la loro pattuizione: Cass. 13 ottobre 2017, n. 24153; Cass. 30 ottobre 2015, n. 22179; Cass. 29 luglio 2009, n. 17679; Cass. 2 febbraio 2007, n. 2317).
4.4. – Occorre verificare se e in che misura tale orientamento possa essere confermato nella vigenza del testo unico delle leggi bancarie.
Il vigente articolo 117 t.u.b. prescrive, al comma 3, che “(i) contratti indicano il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati, inclusi, per i contratti di credito, gli eventuali maggiori oneri in caso di mora”. Il comma successivo dispone, poi, che “(s)ono nulle e si considerano non apposte le clausole contrattuali di rinvio agli usi per la determinazione dei tassi di interesse e di ogni altro prezzo e condizione praticati nonche’ quelle che prevedono tassi, prezzi e condizioni piu’ sfavorevoli per i clienti di quelli pubblicizzati”.
Dottrina e giurisprudenza di merito, occupandosi della detta disciplina – la quale, ancor prima dell’entrata in vigore del testo unico del 1993, aveva trovato espressione nella previsione della L. n. 154 del 1992, articolo 4 cit. – hanno mostrato di orientarsi, in via prevalente, nel senso che essa non precluda alle parti di identificare per relationem il saggio di interesse (purche’ ovviamente i contraenti non facciano riferimento agli usi: cio’ che la norma, come si e’ visto, vieta).
Tale conclusione puo’ essere senz’altro condivisa. Anzitutto va evidenziato che e’ lo stesso comma 6 dell’articolo 117 t.u.b. a dar ragione, seppure indirettamente, di questa possibilita’: nel proibire, infatti, che le clausole facciano rinvio agli usi, la norma implicitamente ammette che una relatio sia possibile; diversamente, il divieto non avrebbe senso logico, finendo per essere ricompreso, e assorbito, in quello, piu’ ampio, di determinare l’interesse e le altre condizioni del contratto attraverso fonti esterne. In secondo luogo, occorre aver riguardo alla ratio della norma, che – pur nella cornice dei valori costituzionali del corretto funzionamento del mercato e dell’uguaglianza non solo formale tra contraenti (articoli 41 e 3 Cost.: cfr. Cass. Sez. U. 12 dicembre 2014, nn. 26242 e 26243 con generale riferimento alle nullita’ di protezione) – va individuata in una esigenza di salvaguardia del cliente sul piano della trasparenza e della eliminazione delle cosiddette asimmetrie informative: infatti, la prescrizione che fa obbligo di indicare nel contratto “il tasso d’interesse e ogni altro prezzo e condizione praticati” intende porre quel soggetto nelle condizioni di conoscere e apprezzare con chiarezza i termini economici dei costi, dei servizi e delle remunerazioni che il contratto programma: ed e’ evidente, allora, che tale finalita’ possa essere perseguita, con riguardo alla determinazione dell’interesse, non solo attraverso l’indicazione numerica del tasso, ma anche col rinvio a elementi esterni obiettivamente individuabili, la cui materiale identificazione sia cioe’ suscettibile di attuarsi in modo inequivoco.
Cio’ vale, pero’, ove il richiamo ai detti elementi trovi un reale fondamento giustificativo nella necessita’ di ancorare il tasso di interesse a indici o parametri di sicura identificazione che non siano determinati dalla banca: in tale ipotesi la finalita’ di trasparenza che sottende la norma puo’ ritenersi soddisfatta, giacche’ non si e’ in presenza di alcun occultamento delle condizioni economiche contrattuali e la relatio e’ necessitata proprio dalla volonta’ di far dipendere l’ammontare dell’interesse da elementi esterni non predeterminabili. In un caso siffatto, oltretutto, va valorizzata la meritevolezza di tutela dello strumento dell’indicizzazione, che consente al cliente della banca di accedere a formule di finanziamento a tasso variabile che altrimenti gli sarebbero precluse. Deve invece negarsi che il rinvio a fonti esterne possa operare allorquando il saggio di interesse sia fatto dipendere dalla determinazione unilaterale dell’istituto di credito, da pubblicizzare con una certa modalita’: ipotesi, quest’ultima, in cui il rinvio non ha propriamente ad oggetto l’indice o il parametro attraverso cui va determinato il tasso di interesse contrattuale – come accade, ad esempio, nel caso del mutuo con saggio di interesse parametrato all’euribor -, ma l’elemento documentale con cui la banca verra’ a dare rappresentazione esteriore alla propria determinazione.
Se, in altri termini, l’esigenza di trasparenza sottesa alla norma e’ compatibile con meccanismi di relatio che consentano alle parti di modulare il rapporto in funzione di termini esterni, indipendenti dalla loro azione e non puntualmente predeterminabili, altrettanto non puo’ dirsi ove venga in questione la mancata esplicitazione, nel corpo del documento contrattuale, del tasso di interesse che la banca abbia intenzione di praticare (e che la stessa dichiari essere desumibile da altri elementi); in questa seconda ipotesi il rinvio urta con la precitata ratio della norma, giacche’ rappresenta lo strumento attraverso cui viene celata una condizione economica del rapporto: condizione economica che l’istituto di credito ben avrebbe potuto indicare all’interno del contratto (come impone il comma 4 dell’articolo 117 t.u.b.) e riservarsi poi di modificare, nei limiti in cui cio’ risultasse giuridicamente possibile, attraverso l’esercizio dello jus variandi di cui all’articolo 118 t.u.b.. E’ infatti da sottolineare, a quest’ultimo riguardo, che la volonta’ della banca di modificare il tasso da essa inizialmente prescelto debba attuarsi con le modalita’ all’uopo prescritte: e cioe’ con l’adesione del cliente alla modificazione contrattuale proposta dall’istituto di credito, secondo il modello delineato dall’articolo 118 cit. (che a tal fine valorizza, come e’ noto, una condotta tipizzata, consistente nel mancato recesso dal contratto del cliente stesso). Questa Corte ha del resto precisato che l’esonero della banca dall’obbligo di comunicare al cliente le variazioni unilaterali delle condizioni di contratto, previsto dall’articolo 118 t.u.b., e’ inoperante quando la variazione del saggio di interesse o di altre condizioni sia stata concordemente subordinata dalle parti alle corrispondenti “variazioni di elementi obiettivi ed esterni, quali, ad esempio, il tasso di cambio di una valuta”, mentre si configura in caso di modificazioni decise dalla banca stessa in senso sfavorevole alla controparte (Cass. 29 maggio 2012, n. 8548; Cass. 25 novembre 2002, n. 16568). E tra queste ultime modificazioni rientrano, come e’ evidente, anche quelle che la banca si riprometta unilateralmente di adottare attraverso la variazione del saggio di interesse da essa prescelto per una determinata categoria di operazioni. In termini generali, ammettere che la banca possa richiamare, in contratto, un tasso di interesse non espresso in cifra, ma dalla medesima definito con riferimento a proprie condotte, o prassi aziendali, presenti e future, significa consentire non solo l’elusione dell’articolo 117, comma 4, t.u.b., con riferimento all’obbligo, ivi previsto, di enunciazione in contratto del tasso di interesse, ma altresi’, quella dell’articolo 118 t.u.b., recante le condizioni e modalita’ dello jus variandi.
D’altro canto l’obbligo, da parte della banca, di indicare in contratto un tasso di interesse non gia’ dipendente da fattori ad essa estranei, ma dalla stessa prescelto, e’ implicitamente desumibile dalle richiamate istruzioni della Banca d’Italia del 1992. Stabilisce, infatti, il cit. articolo 1.4 dell’articolo 2: “Alcuni degli elementi che concorrono alla determinazione del costo complessivo dell’operazione possono essere omessi dal contratto nel caso in cui dipendano dalla quotazione di titoli o valute ad una data futura ovvero non siano comunque individuabili al momento della stipula del contratto scritto. In tali casi il contratto contiene gli elementi per la determinazione delle suddette componenti di costo” (analoga previsione e’ contenuta, poi, nelle istruzioni della Banca d’Italia del 2009: sezione III, punto 3). Sulla base di tale previsione, dunque, la possibilita’ della banca di far rinvio a fonti esterne per definire la misura degli interessi e’ circoscritta ai casi in cui non sia materialmente possibile definire in cifra il tasso.
4.5. – Ha errato, allora, la Corte di appello nel ritenere legittima la pattuizione del saggio di interesse operata attraverso il riferimento a un generico top rate. La disposizione contrattuale non contiene, difatti, alcun rinvio ad elementi esterni, puntualmente individuabili, e non potrebbe comunque giustificare, per quanto fini qui rilevato, la relatio a un indice predeterminato dalla banca.
In questa duplice prospettiva non rileva il richiamo della clausola ad “apposito avviso sintetico esposto al pubblico”, giacche’, per un verso, tale espressione non e’ sufficiente a far ritenere che la determinazione del tasso fosse indipendente dalla volonta’ della banca (cio’ che, d’altro canto, nemmeno la controricorrente assume), mentre e’ sicuro che se il nominato avviso sintetico avesse riprodotto il valore numerico del top rate aziendale, la disposizione in parola si porrebbe in contrasto con l’articolo 117, comma 4, t.u.b. per la mancata riproduzione di tale dato all’interno della scrittura contrattuale. Del resto, anche a voler prescindere da quanto si e’ detto fin qui, l’adempimento di obblighi pubblicitari, quali quelli contemplati dall’articolo 116, comma 1, t.u.b., nel testo vigente ratione temporis (a mente del quale in ciascun locale aperto al pubblico sono pubblicizzati i tassi di interesse, i prezzi, le spese per le comunicazioni alla clientela e ogni altra condizione economica relativa alle operazioni e ai servizi offerti, senza potersi far rinvio agli usi) non puo’ supplire alla mancata specificazione, nel contratto, del tasso di interesse convenuto: e cio’ e’ reso evidente proprio dalle prescrizioni dettate nel successivo articolo 117 quanto alla forma e al contenuto dei contratti conclusi dalla clientela con la banca.
Tanto meno rileva che la misura del tasso fosse pubblicizzata in Gazzetta Ufficiale: infatti, tale indicazione – cui la clausola contrattuale non faceva, del resto, nemmeno rinvio – non esonerava dalla puntuale enunciazione, in contratto, della misura dell’interesse dovuto.
4.6. – Non puo’ essere invece accolta la censura che, a questo punto, assume rilievo per il solo contratto n. 5864, in cui il tasso di interesse e’ determinato in cifra (15%). Sul punto, la Corte di merito ha chiarito che le parti avevano convenuto l’interesse debitore non solo per gli “scoperti transitori ed eccezionali” (come rilevato dai ricorrenti), ma “anche nella ipotesi di utilizzo del credito concesso dalla banca” e tale giudizio, che riflette un accertamento di fatto, non e’ sindacabile nella presente sede.
5. – Col quarto motivo la sentenza impugnata e’ denunciata per violazione dell’articolo 118 t.u.b. in relazione alla ritenuta legittimita’ delle variazioni sfavorevoli dei tassi debitori. Gli istanti lamentano che la Corte di merito avrebbe ritenuto legittima la variazione sfavorevole dei tassi di interesse oggetto di pubblicazione sulla Gazzetta Ufficiale, ma non comunicata al cliente presso il suo domicilio.
5.1. – Il motivo risulta assorbito per quel che concerne i contratti nn. (OMISSIS) e (OMISSIS). Con riguardo al contratto n. (OMISSIS) la doglianza e’ invece inammissibile.
I ricorrenti, infatti, non forniscono alcuna precisa indicazione quanto alle variazioni attuate attraverso la contestata pubblicazione dei tassi di interesse in Gazzetta Ufficiale: sicche’ si ignora in quali occasioni sia stato modificato il tasso di interesse del conto corrente n. (OMISSIS), a quali criteri abbiano obbedito i mutamenti delle condizioni contrattuali e quale ne fosse il preciso contenuto. In tal senso, la censura e’ carente di autosufficienza. Tra l’altro, gli stessi istanti fanno menzione, nel corpo del motivo (a pag. 50 del ricorso) di una comunicazione personalizzata della modificazione dei tassi di interesse, che si sarebbe attuata a mezzo dell’invio degli estratti conto: e poiche’ tale affermazione non e’ in se’ incompatibile con una attuazione dello jus variandi conforme al dettato dell’articolo 118 t.u.b., la censura svolta pare finanche priva della necessaria decisivita’.
6. – Col quinto motivo e’ denunciata la violazione dell’articolo 1815 c.c., ovvero dell’articolo 1284 c.c. in relazione al tasso di sostituzione degli interessi ritenuti usurari. La doglianza concerne il punto della decisione in cui si e’ ritenuto che per i rapporti di conto corrente non esauriti al momento di entrata in vigore della L. n. 108 del 1996 debba operare la riconduzione degli interessi usurari al tasso soglia.
6.1 – Il motivo e’ infondato.
La Corte di merito ha ritenuto che la L. n. 108 del 1996 trovi applicazione ai contratti stipulati prima della sua entrata in vigore, ove i rapporti non siano esauriti: con la conseguenza che in tal caso opererebbe la sostituzione automatica dei tassi convenzionali con i tassi soglia applicabili in relazione ai diversi periodi. Tale regola e’ da ritenersi per la verita’ superata dal recente arresto delle Sezioni Unite, secondo cui se, nel corso dello svolgimento del rapporto, venga superata la soglia dell’usura, come determinata in base alle disposizioni della L. n. 108 del 1996, non si verifica la nullita’ o l’inefficacia della clausola contrattuale di determinazione del tasso degli interessi stipulata anteriormente all’entrata in vigore della predetta legge o della clausola stipulata successivamente per un tasso non eccedente tale soglia quale risultante al momento della stipula (Cass. Sez. U. 19 ottobre 2017, n. 24675). Peraltro, prima di tale pronuncia questa Corte aveva affermato che l’applicazione della L. n. 108 del 1996 ai contratti, contenenti tassi usurari, stipulati prima dell’entrata in vigore della legge stessa generasse, come conseguenza, la sostituzione automatica dei tassi convenzionali con i tassi soglia applicabili in relazione ai diversi periodi (Cass. 11 gennaio 2013, n. 602). Pertanto, il risultato cui aspira il ricorrente – vale a dire l’azzeramento, nel caso di usura sopravvenuta, degli interessi percepiti dalla banca, in applicazione dell’articolo 1815 c.c., comma 2, – rappresenta, sul concreto piano applicativo, un esito del tutto estraneo alla giurisprudenza, sia passata che presente, di questa Corte.
7. – La sentenza e’ dunque cassata in relazione al solo terzo motivo.
Il giudice del rinvio, cui e’ demandata la decisione sulle spese del giudizio di legittimita’, dovra’ fare applicazione dei seguenti principio di diritto:
“Nella vigenza del Decreto Legislativo n. 385 del 1993, articolo 117, il tasso di interesse puo’ essere determinato per relationem, con esclusione del rinvio agli usi, ma in tal caso il contratto deve richiamare criteri prestabiliti ed elementi estrinseci che, oltre ad essere oggettivamente individuabili e funzionali alla concreta determinazione del tasso, risultano essere sottratti all’unilaterale determinazione della banca”.

P.Q.M.

La Corte accoglie il terzo motivo, rigetta il primo, il secondo e il quinto, dichiara in parte inammissibile e in parte assorbito il quarto; cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Corte di appello di Roma, in diversa composizione, anche per le spese.

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