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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 19 gennaio 2015, n. 2324. Quando sia stata indicata la data dell'udienza per l'esame dei testi, la loro omessa citazione ad opera della parte che li ha introdotti o ha interesse al loro esame comporta la decadenza dalla relativa prova. Il potere organizzativo della gestione delle udienze, quando la complessità del processo renda già dal suo inizio prevedibile l'impossibilità di concluderne la trattazione in giornata, non solo trova specifica fonte normativa negli artt. 468.2, 495 e 496 cod.proc.pen. ma risulta, sul piano sistematico, del tutto coerente sia al principio costituzionale della ragionevole durata del processo sia alle caratteristiche strutturali essenziali del processo di merito di primo grado (oralità ed immediatezza dell'assunzione delle prove), che sarebbero del tutto vanificate se la concreta gestione di tale assunzione venisse lasciata al sostanziale ed insindacabile arbitrio delle parti del processo. Né l'attribuire conseguenze specifiche, e sistematicamente coerenti, all'omessa citazione per un'udienza tempestivamente indicata e concordata dei testi introdotti dalla parte potrebbe configurare alcuna incompatibilità con esigenze di tutela riconducibili ai principi del processo giusto (ex art. Ili Cost.) o equo (art. 6 Cedu)

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 19 gennaio 2015, n. 2324 Considerato in fatto 1. Con sentenza del 5.7.2013 la Corte d’appello di Firenze ha confermato la condanna di Z.L. e C.M. per reato continuato ex artt. 336 e 337 cod. pen. e 4 legge 110/1975 (entrambi), nonché 56, 582, 583, 61 n. 2...

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 21 novembre 2014, n. 48432. La notificazione del decreto di citazione in giudizio d'appello al difensore di fiducia non è di per sé, in virtù del solo rapporto fiduciario, idonea a determinare la conoscenza effettiva del procedimento a carico dell'imputato contumace che ha eletto domicilio presso la proprio abitazione

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 21 novembre 2014, n. 48432 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE SESTA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. CONTI Giovanni – Presidente Dott. FIDELBO Giorgio – Consigliere Dott. DI STEFANO Pierluigi – Consigliere Dott. DI SALVO Emanuele – Consigliere Dott....

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Corte di Cassazione, sezione VI, sentenza 21 novembre 2014, n. 48433. Condannato per il delitto di cui all'art. 73 del d.P.R. n. 309/1990, relativamente alla detenzione, in concorso con altri, di 38 bustine contenenti marijuana, per un peso lordo di circa 42 grammi (120,7 dosi singole medie). A seguito dell'intervento sopravvenuto della sentenza della Corte costituzionale n. 32/2014, la sanzione inflitta all'imputato, nel caso si specie, risulta incompatibile con i criteri legali di determinazione, in quanto fissata in misura eccedente rispetto ai valori edittali che devono ormai considerarsi vigenti (in particolare, quanto al massimo, rispetto al limite di sei anni per la reclusione). Infatti, con decisione integralmente confermata dalla Corte d'appello, il Giudice di primo grado aveva indicato il valore di partenza della sanzione detentiva in sette anni, aumentato fino ad otto anni per la ritenuta recidiva, e diminuito fino a cinque anni e quattro mesi per l'applicazione dell'art. 442 cod. proc. pen. La sentenza impugnata va dunque annullata con rinvio, affinché la competente Corte territoriale provveda ad una nuova determinazione del trattamento sanzionatorio, da operarsi con riferimento ai valori edittali vigenti riguardo alla illecita detenzione di sostanza stupefacente del genere marijuana.

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 21 novembre 2014, n. 48433 Ritenuto in fatto 1. È impugnata la sentenza del 13/01/2014 con la quale la Corte d’appello di Napoli ha confermato la sentenza del Giudice per le indagini preliminari dei locale Tribunale, in data 04/11/2013, di condanna nei confronti di F.R. per il delitto...

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Corte di Cassazione, sezione V, sentenza 18 novembre 2014, n. 47584. Perché possa ritenersi sussistente I'impossibilità assoluta a comparire per legittimo impedimento la quale costituisce condizione per il rinvio dell'udienza, è necessario che il difensore indichi le ragioni che non hanno consentito la nomina di un sostituto, atteso che provvedere alta propria sostituzione non è facoltà discrezionale del difensore medesimo e che anzi integra un suo preciso dovere indicare le ragioni per cui gli è impossibile farlo; cosicchè è onere del difensore che presenta istanza di rinvio dell'udienza per legittimo impedimento dare giustificazione della mancata nomina dì un sostituto la cui necessità è desumibile, oltreché da ragioni d'ordine sistematico, dall'ultimo periodo dell'art. 420 ter comma c.p.p.Nel caso si specie si è, pertanto, correttamente posta nell'alveo di legittimità la decisione della Corte terriroiale che ha rigettato la doglianza relativa all'omesso riconoscimento dell'assoluto impedimento del difensore rispetto ad un ricovero programmato ed iniziato quasi una settimana prima dell'udienza prevista – ad onta della asserita urgenza del suo verificarsi – considerando non assoluto l'impedimento e ingiustificata la non sostituibilità dello stesso professionista nell'espletamento dell'incarico nell'ambito dei quale aveva chiesto di far valere l'impedimento per ottenere il rinvio della udienza

Suprema Corte di Cassazione sezione V sentenza 18 novembre 2014, n. 47584 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 11.12.2012 la Corte di appello di Napoli, a seguito di gravame interposto dall’imputato M.G. avverso la sentenza emessa il 14.5.2008 dal Tribunale della stessa città, ha confermato detta sentenza con la quale l’imputato è stato riconosciuto...