Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 26 luglio 2016, n. 15395
Articolo

Corte di Cassazione, sezione VI civile, ordinanza 26 luglio 2016, n. 15395

Il danno biologico-terminale, che è sempre presente a prescindere dallo stato di coscienza del leso, va liquidato negli importi previsti dalle tabelle relative alla invalidità temporanea assoluta, salvo il risarcimento, da apprezzarsi con criterio equitativo puro, nel caso in cui alla gravità delle lesioni si accompagni la sofferenza psichica (danno catastrofico) determinata dalla coscienza della...

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 22 agosto 2016, n. 17238
Articolo

Corte di Cassazione, sezione lavoro, sentenza 22 agosto 2016, n. 17238

In caso di lavoro prestato oltre il sesto giorno consecutivo, ove il lavoratore richieda, in relazione alla modalità della prestazione, il risarcimento dei danno non patrimoniale, per usura psicofisica, ovvero per la lesione dei diritto alla salute o dei diritto alla libera esplicazione delle attività realizzatrici della persona umana, è tenuto ad allegare e provare...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 19 febbraio 2016, n. 3260. Ai fini della quantificazione equitativa del danno morale, l’utilizzo del metodo del rapporto percentuale rispetto alla quantificazione del danno biologico individuato nelle tabelle in uso, prima della sentenza delle sezioni Unite n. 26972 del 2008, non comporta che, accertato il primo, il secondo non abbia bisogno di alcun accertamento, perché se così fosse si duplicherebbe il risarcimento degli stessi pregiudizi; invece, il metodo suddetto va utilizzato solo come parametro equitativo, fermo restando l’accertamento con metodo presuntivo, attenendo la sofferenza morale a un bene immateriale, dell’esistenza del pregiudizio subito, attraverso l’individuazione delle ripercussioni negative sul valore uomo sulla base della necessaria allegazione del tipo di pregiudizio e dei fatti dai quali lo stesso emerge da parte di chi ne chiede il ristoro

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 19 febbraio 2016, n. 3260 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. AMBROSIO Annamaria – Presidente Dott. ARMANO Uliana – Consigliere Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere Dott. CARLUCCIO Giuseppa – rel. Consigliere Dott....

Articolo

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 27 novembre 2015, n. 24210. Atteso il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 27 novembre 2015, n. 24210 Svolgimento del processo Con sentenza del 5/10/2011 la Corte d’Appello di Venezia, in accoglimento del gravame interposto dal sig. C.J. e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Treviso n. 1529/06, ha parzialmente accolto la domanda proposta nei confronti del sig. M.Z. e della...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 15 ottobre 2015, n. 20895. Nella liquidazione del danno non patrimoniale, quando manchino criteri stabiliti dalla legge, non è consentita la liquidazione equitativa c.d. pura, che non faccia riferimento a criteri obiettivi di liquidazione del danno che tengano conto ed elaborino le differenti variabili del caso concreto, allo scopo di rendere verificabile a posteriori l’iter logico attraverso cui il giudice di merito sia pervenuto alla relativa quantificazione, e di permettere di verificare se e come abbia tenuto conto della gravità del fatto, delle condizioni soggettive della persona, dell’entità della relativa sofferenza e del turbamento del suo stato d’animo. Per garantire non solo una adeguata valutazione delle circostanze del caso concreto, ma anche l’uniformità di giudizio a fronte di casi analoghi, tra i criteri in astratto adottabili deve ritenersi preferibile il riferimento al criterio di liquidazione predisposto dal Tribunale di Milano al quale la S.C., in applicazione dell’art. 3 Cost., riconosce la valenza, in linea generale, di parametro di conformità della valutazione equitativa del danno non patrimoniale alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ., salvo che non sussistano in concreto circostante idonee a giustificarne l’abbandono

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III SENTENZA 15 ottobre 2015, n. 20895 Ritenuto in fatto Nel 2000 I.A. , in proprio e n.q. di genitore esercente la potestà sulla figlia minore I.G. , conveniva in giudizio la moglie, C.A. , la S.A.I. quale impresa designata per la liquidazione dei sinistri a carico del F.G.V.S., la...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 18 settembre 2015, n.18305. L’accertamento in un minore in età infantile che lo stato di invalidità permanente alla persona (nella specie sordità causata da non tempestiva diagnosi di meningite, stimata come determinativa di invalidità nella misura del 30% derivante da cofosi bilaterale), cagionato da responsabilità medica, sia rimediabile e sia stato in concreto rimediato tramite l’applicazione di una protesi (nella specie un impianto cocleare), non è ragione sufficiente – per vizio di violazione dell’art. 1223 c.c. sotto il profilo della mancata sussunzione dello stato invalidante come evidenziatore di un danno conseguenza patrimoniale futuro da c.d. perdita – a giustificare l’esclusione dell’esistenza, in ragione della invalidità, e sulla base di una valutazione prognostica, di un danno patrimoniale da lesione della capacità lavorativa del minore, atteso che il dover svolgersi la vita del minore con la percezione della costante applicazione della protesi necessaria per sopperire al deficit derivante dalla invalidità è circostanza che di per sé – ed a maggior ragione quando come nella specie si accompagni ad elementi desunti come sintomatici nello stesso senso dalle modalità di vita del minore nel momento in cui si compie l’accertamento – contraddice e si oppone a quella esclusione

SUPREMA CORTE DI CASSAZIONE SEZIONE III SENTENZA 18 settembre 2015, n.18305 Ritenuto in fatto Con sentenza del 28 settembre 2011 la Corte d’Appello di Roma, provvedendo, per quanto in questa sede interessa, sull’appello incidentale, proposto da B.M. e G.B. in proprio e quali esercenti la potestà genitoriale sulla figlia minore B.V. , ha rigettato entrambi...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 30 luglio 2015, n. 16197. Il danno morale non è ricompreso nella nozione di danno biologico e va liquidato autonomamente

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 30 luglio 2015, n. 16197 Svolgimento del processo Con atto di citazione del 2002 P.A. ha convenuto davanti al Tribunale di Trieste D.F.D. , la s.c.a.r.l. Dinamica Autotrasporti e la s.p.a. Assicurazioni Generali, rispettivamente conducente, proprietaria e assicuratrice di un autocarro Fiat IVECO che il (omissis) omettendo di...

Articolo

Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 19 giugno 2015, n. 12717. Il danno non patrimoniale non può che essere liquidato in via equitativa e che tale valutazione ha da tempo trovato un utile parametro di riferimento nelle note tabelle che sono state elaborate dagli uffici giudiziari per assicurare una tendenziale omogeneità di trattamento fra situazioni analoghe; com’è noto, al fine di assicurare il massimo grado di uniformità, è stato riconosciuto alle tabelle elaborate dal Tribunale di Milano valenza generale di “parametro di conformità della valutazione equitativa del danno biologico alle disposizioni di cui agli artt. 1226 e 2056 cod. civ., salvo che non sussistano in concreto circostanze idonee a giustificarne l’abbandono”. Con specifico riferimento al danno per perdita del rapporto parentale, le tabelle milanesi prevedono – con riferimento ai vari possibili rapporti di parentela – una forbice che, nel caso di danno subito dal genitore per la morte di un figlio, oscillava (nell’edizione 2011, applicabile al momento in cui venne emessa la sentenza impugnata) fra 154.350,00 e 308.700,00 Euro; per quanto emerge dai “criteri orientativi” che illustrano la tabella, tale forbice consente di tener conto di tutte le circostanze del caso concreto, ivi compresa la “qualità ed intensità della relazione affettiva che caratterizzava il rapporto parentale con la persona perduta”. Deve allora ritenersi che, anche a voler assimilare – come ha fatto la Corte d’appello – la situazione del feto nato morto al decesso di un figlio, non può tuttavia non considerarsi che per il figlio nato morto è ipotizzabile soltanto il venir meno di una relazione affettiva potenziale (che, cioè, avrebbe potuto instaurarsi, nella misura massima del rapporto genitore-figlio, ma che è mancata per effetto del decesso anteriore alla nascita), ma non anche di una relazione affettiva concreta sulla quale parametrare il risarcimento all’interno della forbice di riferimento.

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 19 giugno 2015, n. 12717 Svolgimento del processo Cr.Va. e S.L. convennero in giudizio l’Azienda ASL Roma (…) per sentirla condannare al risarcimento dei danni subiti per il fatto che il loro primo figlio era nato morto, assumendo che ciò era dipeso dalla condotta dei sanitari dell’Ospedale di...