Istanza intesa alla sollecitazione dell’esercizio dei poteri di autotutela

Consiglio di Stato, sezione quinta, Sentenza 24 settembre 2019, n. 6420.

La massima estrapolata:

La formalizzazione, ad opera di un privato, di istanza intesa alla sollecitazione dell’esercizio dei poteri di autotutela non è, di per sé, in grado di generare, in capo all’Amministrazione, un obbligo giuridico di provvedere, il cui inadempimento possa legittimare l’attivazione delle tutele avverso i rifiuti, le inerzie o i silenzi antigiuridici.

Sentenza 24 settembre 2019, n. 6420

Data udienza 19 settembre 2019

REPUBBLICA ITALIANA
IN NOME DEL POPOLO ITALIANO
Il Consiglio di Stato
in sede giurisdizionale
Sezione Quinta
ha pronunciato la presente
SENTENZA
sul ricorso numero di registro generale 1083 del 2019, proposto da
Eu. Ma., rappresentata e difesa dall’avvocato Lu. Ag., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia e domicilio eletto presso il suo studio in Roma, viale (…);
contro
Roma Capitale, in persona del Sindaco pro tempore, rappresentata e difeso dall’avvocato Ca. Sp., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
nei confronti
Re. Ta., rappresentato e difeso dall’avvocato An. Di., con domicilio digitale come da PEC da Registri di Giustizia;
per la riforma
della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale per il Lazio Sezione Seconda n. 10662/2018, resa tra le parti
Visti il ricorso in appello e i relativi allegati;
Visti tutti gli atti della causa;
Relatore nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019 il Cons. Giovanni Grasso e udito per la parte appellante l’avvocato Ag.;
Ritenuto e considerato in fatto e diritto quanto segue.

FATTO

1.- Con atto di appello, notificato nei tempi e nelle forme di rito, Eu. Ma. esponeva che, con bando pubblicato il 25 marzo 2005, Roma Capitale aveva indetto una procedura concorsuale pubblica, per soli esami, per il conferimento di n. 4 posti di dirigente economico a tempo indeterminato, richiedendo espressamente, tra i requisiti di partecipazione, il possesso del “diploma di laurea specialistica in economia e commercio, economia bancaria, scienze statistiche, scienze politiche con indirizzo economico”, alla quale aveva preso parte.
Precisava che, con determinazione dirigenziale del 12 giugno 2008 n. 1263, era stata approvata la graduatoria definitiva, nell’ambito della quale si era collocata al dodicesimo posto, quale idonea non vincitrice; nondimeno, in virtù di proroghe di legge succedutesi nel tempo per la validità delle graduatorie dei concorsi pubblici, Roma Capitale vi aveva, in prosieguo di tempo, ripetutamente attinto per procedere a nuove assunzioni.
Evidenziava che, da ultimo, nella seduta del 16 dicembre 2016, la Giunta Capitolina aveva stabilito, con deliberazione n. 116: a) di rideterminare la dotazione organica del personale con qualifica dirigenziale; b) di approvare il Piano triennale dei fabbisogni per il periodo 2016-2018; c) di approvare il piano assunzionale volto all’acquisizione, nel periodo 2016-2018, di 26 nuove unità di personale con qualifica dirigenziale, disponendo quindi “l’acquisizione di sei unità di personale dirigenziale, nell’anno 2016, previo scorrimento di graduatorie concorsuali pubbliche vigenti, individuate sulla base delle più rilevanti esigenze funzionali e organizzative”. Di tali sei unità, due venivano riservate al posto di Dirigente Economico.
In ragione di tale deliberazione, l’Amministrazione aveva, quindi, proceduto all’ultimo scorrimento della graduatoria approvata con la ridetta determinazione dirigenziale n. 1263/2008, chiamando a ricoprire il ruolo di Dirigente Economico coloro che, già funzionari dell’Ente, erano collocati al nono e decimo posto.
Ciò posto, evidenziava come dal curriculum vitae del decimo in graduatoria, ultimo assunto, dott. Ta., pubblicato sul sito istituzionale di Roma Capitale, era emerso il mancato possesso del requisito di partecipazione prescritto dal bando circa il titolo di studio: infatti, lo stesso risultava essere in possesso di “laurea vecchio ordinamento in Sociologia, conseguita nel 1982 presso l’Università degli Studi di Roma La Sapienza con votazione di 110/110”.
Inoltre, anche l’undicesimo candidato in graduatoria, la dott.ssa Barbara Farinelli (al momento in servizio presso il Comune di Fiumicino e già dipendente del Comune di Roma) era provvista di laurea in sociologia.
A fronte di ciò, sull’assunto della inammissibilità di titoli di studio pretesamente equipollenti (stante l’assenza della relativa previsione prefigurativa nella lex specialis di procedura), si era indotta a diffidare Roma Capitale a provvedere, in autotutela, all’annullamento delle (illegittime) assunzioni, con conseguente scorrimento della graduatoria a proprio favore.
Stante l’inerzia dell’Amministrazione, aveva adito il TAR per il Lazio per censurare l’illegittimo silenzio-rifiuto, invocando ingiunzione a provvedere sull’istanza, se del caso mediante designazione, in caso di perdurante ed abusiva inerzia, di organo commissariale sostitutivo.
2.- Tanto premesso, lamentava che, con la sentenza epigrafata, resa nel rituale contraddittorio delle parti, il primo giudice avesse inopinatamente dichiarato inammissibile il gravame, sul complessivo ed argomentato assunto:
a) che non fosse ravvisabile alcun obbligo di pronunciarsi su un’istanza volta ad ottenere un provvedimento in via di autotutela, non essendo coercibile ab extra l’attivazione del procedimento di riesame della legittimità di atti amministrativi, per sua natura ampiamente discrezionale;
b) che, in ogni caso, non sussistessero nelle specie cogenti ragioni di interesse pubblico, avuto riguardo alla ampia discrezionalità dell’Amministrazione, in sede di concorso pubblico, in relazione alla valutazione dei singoli tipi di titoli di studio richiesti e all’individuazione dei criteri per l’attribuzione ai candidati dei punteggi spettanti per i titoli da essi vantati;
c) che, peraltro, la graduatoria, oggetto della sollecitata misura revisionale, avrebbe dovuto essere oggetto, nel relativo ed ormai elasso termine decadenziale, di tempestiva impugnazione, atteso che la dedotta mancanza di un requisito richiesto dal bando in capo ai candidati posizionatisi al decimo e all’undicesimo posto non era connessa ad una circostanza sopravvenuta, ma sussisteva sin dalla relativa approvazione.
3.- Avverso la ridetta statuizione, insorgeva con l’appello epigrafato, lamentandone la complessiva erroneità ed ingiustizia ed auspicandone l’integrale riforma.
Si costituivano in giudizio, per resistere al gravame, Roma Capitale e il controinteressato Re. Ta..
Alla camera di consiglio del 19 settembre 2019, sulle reiterate conclusioni dei difensori delle parti costituite, la causa veniva riservata per la decisione.

DIRITTO

1.- L’appello non è fondato e va respinto.
Costituisce, invero, principio consolidato, dal quale non si ravvisano ragioni per discostarsi, a dispetto delle evidenziate peculiarità, nella vicenda di specie, quello per cui la formalizzazione, ad opera di un privato, di istanza intesa alla sollecitazione dell’esercizio dei poteri di autotutela non è, di per sé, in grado di generare, in capo all’Amministrazione, un obbligo giuridico di provvedere, il cui inadempimento possa legittimare l’attivazione delle tutele avverso i rifiuti, le inerzie o i silenzi antigiuridici (cfr. Cons. Stato, sez. VI, 30 ottobre 2017, n. 5018; Id., sez. V, 22 gennaio 2014, n. 322; Id., sez. IV, 24 settembre 2013, n. 4714; Id., sez. V, 30 dicembre 2011, n. 6995).
Il principio trova non solo conferma testuale nella lettera dell’art. 21 nonies della l. n. 241/1990 (che prefigura l’iniziativa autorimotiva dei soggetti pubblici in termini di mera “possibilità “, con ciò significando la consistenza ampiamente discrezionale dell’annullamento d’ufficio), ma si giustifica, sulla scia di una diuturna e consolidata tradizione, alla luce delle esigenze di certezza delle situazioni giuridiche e della correlata regola di inoppugnabilità dei provvedimenti amministrativi non tempestivamente contestati (regola, all’evidenza, inesorabilmente compromessa dalla automatica rimessione in termini prospetticamente rinveniente dalla postulata doverosità delle misure di riesame).
Del resto, l’interesse pubblico (rilevante, concreto ed attuale) la cui valorizzazione fornisce ad un tempo (indefettibile) giustificazione e legittimazione alle iniziative procedimentali di secondo grado in funzione eliminatoria (non palesandosi, a tal fine, ragione sufficiente, a fronte dei maturati affidamenti, la mera finalizzazione al ripristino di violate legalità ), non è, per definizione, nel dominio della parte privata, la quale, perciò – se ben può sollecitare, nel proprio interesse e con effetto di mera denuncia, l’Amministrazione alla revisione del suo operato ed alla rimodulazione delle decisioni assunte – non può sorreggere (stante la natura soggettiva della giurisdizione, preordinata alla tutela di personali situazioni di vantaggio) una pretesa giuridicamente titolata a provvedere.
Né l’auspicato sindacato giurisdizionale può – senza impingere in valutazioni di merito rimesse all’Amministrazione – spingersi ad apprezzare, in sede contenziosa, le ridette ragioni di pubblico interesse in tesi idonee ad imporre l’attivazione del procedimento di secondo grado.
Per tal via, la mera denunzia di parte privata veicola, nel descritto contesto, un interesse di mero fatto, che non assurge alla necessaria consistenza dell’interesse giuridico di pretesa.
Costituiscono (peraltro solo apparente) eccezione, che conferma la regola, le ipotesi in cui l’autotutela si colora, a vario titolo, di doverosità (come nel caso dell’obbligo conformativo discendente da accertamenti incidentali di giudici non amministrativi, ex art. 5 l. 2248/1965 all. E; ovvero dell’adeguamento ad esiti tutori negativi non immediatamente demolitori, nei residui casi di controlli di legittimità su singoli atti; ovvero ancora – ed al più – del malcerto caso del ritiro, per invalidazione derivativa, di misure non meramente consequenziali a caducati provvedimenti avvinti da nesso di presupposizione).
Del resto, anche nel caso del contrasto con il diritto eurocomune (in cui obiettivamente più incisiva potrà apparire l’esigenza di sterilizzare assetti confliggenti con la primazia della normativa comunitaria), il carattere definitivo di una decisione amministrativa, acquisito alla scadenza di termini ragionevoli di ricorso o in seguito all’esaurimento dei mezzi di tutela giurisdizionale, contribuisce alle esigenze di certezza del diritto, di tal che “il diritto comunitario non esige che un organo amministrativo sia, in linea di principio, obbligato a riesaminare una decisione amministrativa che ha acquistato tale carattere definitivo” (cfr. Corte di giustizia UE, sentenza 13 gennaio 2004 C-453/00, Kü hne & Heitz, che limita la pretesa al riesame ai soli casi, palesemente eccezionali, in cui ricorra la quadruplice condizione per cui: a) il diritto nazionale contempli la possibilità per l’organo amministrativo di ritornare sulle proprie decisioni; b) la decisione amministrativa sia divenuta definitiva in seguito ad una sentenza del giudice nazionale di ultima istanza; c) tale sentenza si fondi, alla luce della successiva giurisprudenza della Corte di giustizia, su un’interpretazione errata del diritto comunitario adottata senza previo rinvio pregiudiziale; d) l’interessato chieda il riesame subito dopo aver avuto notizia della nuova giurisprudenza della Corte).
Per tal via, deve ribadirsi il principio che, a fronte del rifiuto di provvedere in autotutela, il privato (che avesse omesso, come nella specie, di formalizzare tempestiva impugnazione del provvedimento lesivo ed asseritamente illegittimo) vanta un interesse di mero fatto, non suscettibile, come tale, di tutela giurisdizionale. Esattamente, perciò, il primo giudice ha dichiarato inammissibile il ricorso proposto avverso il silenzio serbato dall’Amministrazione.
2.- A diverso intendimento non può indurre l’assunto per cui solo successivamente alla approvazione della graduatoria concorsuale sarebbe emersa la circostanza (attinente alla pretesa carenza, in capo ai controinteressati, dei titoli per l’utile accesso alla procedura) che aveva dato la stura alla richiesta di annullamento.
Invero, le sopravvenienze idonee ad attivare (nella prospettiva dell’art. 2 della l. n. 241/1990) l’obbligo di procedere dell’Amministrazione (che, in una prospettiva di massimizzazione garantistica delle posizioni giuridiche di parte, è tenuta a riaprire il procedimento e a rinnovare l’istruttoria, ai fini della alternativa assunzione di determinazioni ad esito confermativo, modificativo o rimotivo) devono avere carattere oggettivo, non potendo essere riferite alla posteriore (o tardiva) percezione o acquisizione della parte: nella specie, la denunziata illegittimità, ove mai sussistente, sarebbe esistita già al momento di definizione, con l’approvazione della graduatoria, della procedura concorsuale, essendo irrilevante che solo in progresso di tempo l’appellante ne abbia acquisito, in vario modo, occasionale contezza.
3.- Alla luce delle considerazioni che precedono, l’appello deve essere complessivamente respinto.
Sussistono, ad avviso del Collegio, giustificate ragioni per disporre, tra le parti costituite, l’integrale compensazione di spese e competenze di lite.

P.Q.M.

Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale
Sezione Quinta, definitivamente pronunciando sull’appello, come in epigrafe proposto, lo respinge.
Spese compensate.
Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall’autorità amministrativa.
Così deciso in Roma nella camera di consiglio del giorno 19 settembre 2019 con l’intervento dei magistrati:
Francesco Caringella – Presidente
Fabio Franconiero – Consigliere
Raffaele Prosperi – Consigliere
Federico Di Matteo – Consigliere
Giovanni Grasso – Consigliere, Estensore

 

 

In caso di diffusione omettere le generalità e gli altri dati identificativi dei soggetti interessati nei termini indicati.

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