Servizio di investimento e diritto di recesso in caso di vendita fuori sede

Corte di Cassazione, sezione prima civile, Ordinanza 17 ottobre 2018, n. 25996.

La massima estrapolata:

Il diritto di recesso in caso di vendita fuori sede scatta anche se il servizio di investimento e riguarda l’effettuazione degli ordini impartiti dal cliente in esecuzione di un contratto quadro, se c’è la stessa esigenza di tutela.

Ordinanza 17 ottobre 2018, n. 25996

Data udienza 12 aprile 2018

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GIANCOLA Maria Cristina – Presidente

Dott. TRICOMI Laura – Consigliere

Dott. IOFRIDA Giulia – Consigliere

Dott. CAIAZZO Rosario – Consigliere

Dott. VELLA Paola – rel. Consigliere

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA
sul ricorso 24712/2014 proposto da:
(OMISSIS), elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del ricorso;
– ricorrente –
contro
(OMISSIS) S.p.a., gia’ (OMISSIS) S.p.a., in persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in (OMISSIS), presso lo studio dell’avvocato (OMISSIS), che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato (OMISSIS), giusta procura a margine del controricorso;
– controricorrente –
avverso la sentenza n. 4383/2014 della CORTE D’APPELLO di ROMA, pubblicata il 02/07/2014;
lette le memorie di parte ricorrente ex articolo 380 bis c.p.c., comma 1;
udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del 12/04/2018 dal Cons. Dott. VELLA PAOLA.

FATTI DI CAUSA

1. Con la sentenza qui impugnata, la Corte di Appello di Roma ha respinto l’appello principale proposto da (OMISSIS) (ed accolto invece l’appello incidentale sulle spese, proposto dalla (OMISSIS) S.p.a.) avverso la sentenza con cui il Tribunale di Roma aveva rigettato la domanda di nullita’ delle operazioni di acquisto di obbligazioni (OMISSIS) in data 14/11/2003, fuori dai mercati regolamentati, per mancanza di un valido contratto-quadro in forma scritta (con violazione del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 23 – TUF) ed in presenza di offerta avvenuta fuori sede senza apposita clausola di recesso (in violazione dell’articolo 30 TUF), nonche’ le domande subordinate di annullamento del contratto per violazione degli obblighi informativi, anche sull’esistente conflitto di interessi (ai sensi dell’articolo 21 TUF e degli articoli 26, 27, 28 e 29 del Reg. Consob n. 11522 del 1998), ovvero per errore scusabile ed essenziale, o comunque di risoluzione per inadempimento ex articolo 1453 c.c., in mancanza delle qualita’ promesse.
2. Avverso detta sentenza la (OMISSIS) ha proposto ricorso affidato ad undici motivi, cui la (OMISSIS) S.p.a. ha resistito con controricorso.

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso si deduce la “violazione del Decreto Legislativo 1 luglio 1998, n. 58, articolo 23 (TUF) nonche’ dell’articolo 1350 c.c., n. 13, articolo 2704 c.c., comma 1, articoli 2722, 2725, 2729 c.c., nonche’ falsa applicazione dell’articolo 2704 c.c., comma 2, il tutto in relazione al n. 3 dell’articolo 360 c.p.c., ed a proposito della non rilevata mancanza della data certa del contratto di negoziazione, diventata tale solamente quando quest’ultimo e’ stato prodotto in giudizio dalla banca (ex articolo 2704 c.c., comma 1)”. In sostanza, la ricorrente si duole che la Corte distrettuale abbia “ricavato la data certa (quella anteriore agli ordini di acquisto) dalla allegata scheda di profilazione e dalla dichiarazione del cliente di ricevuta del documento sui rischi generali dell’investimento, ambedue sottoscritti dalla ricorrente e riportanti la data della pretesa stipula del contratto di negoziazione (26.7.2000) e, soprattutto, perche’ la scheda sarebbe stata “allegata” (come- con scotch, con una spilla o solo accostata-)”.
2.1. La censura – in disparte le colorite espressioni adottate – e’ inammissibile in quanto, sebbene veicolata come violazione di legge, investe in realta’ un accertamento in fatto, non censurabile in questa sede, sulla scorta del quale il giudice di merito, dopo aver analizzato le prove documentali versate in atti – segnatamente “una copia del contratto di investimento (doc. 14 fascicolo di primo grado di parte convenuta) con allegata scheda di profilazione, quest’ultima riportante la data di compilazione”, nonche’ “il documento sui rischi generali dell’investimento” recante la dichiarazione della cliente “firmata e datata” – ha ritenuto “certo che il contratto di investimento sia stato stipulato in forma scritta perlomeno nella stessa data della redazione della scheda informativa”.
2. Con il secondo mezzo si deduce “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti in relazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, secondo la nuova formulazione del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni con la L. 7 agosto 2012, n. 134 e comunque violazione dell’articolo 1326 c.c., articolo 1350 c.c., n. 13, articoli 2725 e 2729 c.c., in relazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3”, con riguardo alla dedotta nullita’ del contratto di negoziazione ex articolo 23 TUF “perche’ non sottoscritto dalla banca”. Secondo la ricorrente, la Corte d’appello si sarebbe “limitata ad affrontare solo l’argomento della non necessarieta’ della simultaneita’ delle sottoscrizioni e, soprattutto, della produzione in giudizio del contratto da parte della Banca, da valere, a suo dire, quale equipollente della sottoscrizione della parte, dimenticando sia che il presupposto di questo equipollente e’ la mancanza di revoca del consenso (che invece nella causa de qua vi era stata con la richiesta di nullita’), sia che, comunque, il preteso perfezionamento del contratto si sarebbe verificato solo dopo la stipula degli ordini di acquisto (con la produzione in giudizio del medesimo) e, quindi, del tutto inutilmente”.
2.1. La censura, oltre a presentare profili di inammissibilita’ – in quanto prospetta cumulativamente e confusamente mezzi di impugnazione eterogenei (vizi motivazionali ed errores in iudicando), in contrasto con la tassativita’ dei motivi di ricorso e con l’orientamento di questa Corte per cui una simile tecnica espositiva riversa impropriamente sul giudice di legittimita’ il compito di isolare le singole censure (ex plurimis, Cass. nn. 19761, 19040, 13336 e 6690 del 2016; n. 5964 del 2015; nn. 26018 e 22404 del 2014) – e’ comunque infondata, alla luce del recente insegnamento delle Sezioni Unite di questa Corte per cui “in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullita’ (azionabile dal solo cliente) del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalita’ di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicche’ tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed e’ sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben puo’ desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti” (Sez. U. 16/01/2018 n. 898, Rv. 646965-01).
3. Con il terzo motivo si deduce (testualmente) la “violazione dell’articolo 23 TUF e dell’articolo 1350, n. 3, articoli 2702, 2725, 2729, nonche’ degli articoli 116 n. 214, 215 e 221 c.p.c. e dei principi della valenza probatoria dei singoli atti con conseguente nullita’ degli ordini di acquisto non sottoscritti dalla ricorrente ma da un rappresentante senza firma autenticata, il tutto in relazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3”. Il motivo e’ articolato in due profili: con il primo si obietta che i due ordini di acquisto per cui e’ causa “erano privi di valenza probatoria in quanto… era stato dedotto dalla ricorrente “che essendo stati detti ordini firmati da un terzo non era possibile conoscerne l’autenticita’””; con il secondo si afferma che anche per gli ordini di acquisto era necessaria la forma scritta ad substantiam.
3.1. La censura e’ infondata.
3.1. Sotto il profilo giuridico, la statuizione del giudice d’appello e’ conforme all’orientamento di questa Corte per cui “in tema di intermediazione finanziaria, del Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 23, laddove impone la forma scritta, a pena di nullita’, per i contratti relativi alla prestazione di servizi di investimento, si riferisce ai contratti quadro e non ai singoli ordini di investimento (o disinvestimento) che vengano poi impartiti dal cliente all’intermediario, la cui validita’ non e’ invece soggetta a requisiti formali, salvo diversa previsione dello stesso contratto quadro. In tal caso, infatti, il principio di cui all’articolo 1352 c.c., secondo cui la forma convenuta dalle parti per la futura stipulazione di un contratto si presume pattuita “ad substantiam”, e’ estensibile, ai sensi dell’articolo 1324 c.c., agli atti che seguono a quella stipulazione, come nell’ipotesi degli ordini suddetti (Sez. 1, 09/08/2017 n. 19759, Rv. 645194-02; conf. Sez. 1, 02/08/2016 n. 16053).
3.2. Con riguardo poi alla forma scritta convenzionale per gli ordini di acquisto di cui alla clausola n. 5 del contratto di negoziazione inter partes, riportata a pag. 30 del ricorso (“il cliente puo’ impartire i propri ordini per iscritto, a mezzo specifico modulo, lettera, telegramma con copia, telex, telefax; in forma telefonica, ferma restando la registrazione da parte della banca e/o dei promotori, di cui la stessa si avvale, delle relative conversazioni; con sistema telematico”), il giudice d’appello ha espressamente rilevato che “gli ordini di investimento risultano sottoscritti dal rappresentante dell’appellante cui la stessa aveva conferito ampia procura, prodotta e mai disconosciuta, per operare e disporre nelle forme piu’ varie nei confronti della banca (cfr. doc. 17 fascicolo di primo grado della convenuta)”, cosi’ effettuando un accertamento in fatto, sulla base del materiale probatorio acquisito, che non e’ sindacabile in questa sede, essendo inammissibili in sede di legittimita’ le censure volte ad ottenere una rivisitazione (e differente ricostruzione) delle risultanze istruttorie; spetta infatti al giudice del merito, “in via esclusiva, il compito di individuare le fonti del proprio convincimento, di assumere e valutare le prove, di controllarne l’attendibilita’ e la concludenza, di scegliere, tra le complessive risultanze del processo, quelle ritenute maggiormente idonee a dimostrare la veridicita’ dei fatti ad esse sottesi, dando cosi’ liberamente prevalenza all’uno o all’altro dei mezzi di prova acquisiti, salvo i casi tassativamente previsti dalla legge” (Cass. 19547/2017; cfr. ex plurimis, Cass. Sez. U. 7931/2013; Cass. 26860/2014, 962/2015, 16056/2016, 9097/2017); ne consegue che non puo’ essere rimesso in discussione il “valore indiziario” attribuito dal giudice d’appello alla “delega conferita dalla ricorrente al Sig. (OMISSIS)” (v. pag. 22 e ss. del ricorso).
4. Il quarto mezzo – rubricato “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che e’ stato oggetto di discussione tra le parti in relazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 5, secondo la nuova formulazione del Decreto Legge 22 giugno 2012, n. 83, convertito con modificazioni con la L. 7 agosto 2012, n. 134 e comunque violazione dell’articolo 1352 c.c. e conseguente invalidita’ dei due ordini di acquisto perche’ privi della forma convenzionale il tutto in relazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3” – viene proposto per l’ipotesi in cui, con riguardo al terzo motivo, si ritenga infondato il secondo profilo ma fondato il primo.
4.1. La censura risulta assorbita dal rigetto integrale del terzo motivo, ed e’ comunque affetta da ulteriori profili di inammissibilita’, sia in ragione della impropria formulazione cumulativa ed eterogenea (per quanto gia’ osservato in occasione del secondo motivo) sia perche’ a ben vedere si lamenta l’omesso esame non tanto di un fatto controverso e decisivo, quanto delle argomentazioni svolte dall’appellante e della giurisprudenza appositamente invocata nell’atto di appello e poi in comparsa conclusionale (v. pag. 30 del ricorso).
5. Con il quinto mezzo si deduce la “violazione del Decreto Legislativo 24 febbraio 1998, n. 58, articolo 30, comma 6, per mancato avvertimento della facolta’ di recesso in relazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3. Conseguente nullita’ degli ordini”. In sintesi, la ricorrente lamenta che, trattandosi di offerta “fuori sede”, gli ordini di acquisto dei titoli (OMISSIS) in questione avrebbero dovuto contenere, a pena di nullita’, la clausola che informava l’investitore della facolta’ di recesso, senza spese ne’ corrispettivo, entro i sette giorni successivi; contesta quindi l’erroneita’ della decisione impugnata laddove si afferma che, stante la natura di interpretazione autentica della L. n. 98 del 2013, articolo 56-quater – di conversione con modifiche del Decreto Legge n. 69 del 2013 – “la disciplina dello jus poenitendi deve applicarsi fino al 1 settembre 2013 ai soli servizi di collocamento in senso stretto e di gestione di portafogli”.
5.1. Il motivo merita accoglimento, alla luce dell’orientamento maturato da questa Corte in tema di diritto di recesso ex articolo 30, comma 6, T.U.F., in base al quale “e’ la circostanza che l’operazione d’investimento si sia perfezionata al di fuori dalle sede dell’intermediario a rendere necessaria una speciale tutela per l’investitore al dettaglio (la normativa non si applica agli investitori professionali, come chiarisce il comma 2 del citato articolo 30), perche’ cio’ significa che, di regola, l’iniziativa non proviene da lui”, in simili ipotesi dovendosi presumere che “l’investimento non sia conseguenza di una premeditata decisione dello stesso investitore, il quale a tale scopo si sia recato presso la sede dell’intermediario, ma costituisca invece il frutto di una sollecitazione, proveniente da promotori della cui opera l’intermediario si avvale; sollecitazione che, percio’ stesso, potrebbe aver colto l’investitore impreparato ed averlo indotto ad una scelta negoziale non sufficientemente meditata” (Cass. Sez. U. 03/06/2013, n. 13905). In altri termini, il differimento dell’efficacia del contratto, con la possibilita’ di recedere nel frattempo senza oneri per il cliente, vale a ripristinare a posteriori quella mancanza di adeguata riflessione preventiva che la descritta situazione potrebbe aver causato. Di qui la reiterata affermazione del principio per cui “il diritto di recesso accordato all’investitore dell’articolo 30, comma 6 t.u.f. e la previsione di nullita’ dei contratti in cui quel diritto non sia contemplato, contenuta nel successivo settimo comma, trovano applicazione non soltanto nel caso in cui la vendita fuori sede di strumenti finanziari da parte dell’intermediario sia intervenuta nell’ambito di un servizio di collocamento prestato dall’intermediario medesimo in favore dell’emittente o dell’offerente di tali strumenti, ma anche quando la medesima vendita fuori sede abbia avuto luogo in esecuzione di un servizio d’investimento diverso, ivi compresa l’effettuazione di ordini impartiti dal cliente in esecuzione di un contratto quadro, ove ricorra la stessa esigenza di tutela” (Cass. nn. 7776/2014, 1368/2016, 9134/2016, 3644/2018).
6. Con il sesto motivo – rubricato “violazione degli articoli 1394 e 1395 c.c., nonche’ dell’articolo 21 TUF e articolo 27 del regolamento Consob 11522 dell’1.7.98 per mancato accoglimento della domanda di annullamento in relazione dell’articolo 360, n. 3” – si lamenta che “il piu’ grave conflitto di interessi, dei tre denunciati, e’ stato escluso dalla sentenza perche’ (nonostante che la circostanza dei debiti della (OMISSIS) con il MPS non fosse stata contestata) essa sarebbe generica. E non e’ stata nemmeno contestata la circostanza che il (OMISSIS) era leader del Consorzio di collocamento… e, comunque, rientra tra i finanziatori della (OMISSIS). E’ evidente quindi che i titoli emessi il 19.12.2001 alla data degli acquisti (13.11.2003) esistevano nel portafoglio della Banca da due anni”, sicche’ “l’istituto di credito non poteva disfarsi di titoli gia’ presenti nel suo portafoglio senza renderne edotto il proprio cliente”.
6.1. La censura presenta profili di inammissibilita’ e di infondatezza.
6.2. Ed invero essa, in quanto veicolata solo come violazione di legge e non anche come vizio motivazionale, non e’ idonea a rimettere in discussione in questa sede la valutazione di merito effettuata dalla Corte distrettuale circa la genericita’ della circostanza per cui “la (OMISSIS) era creditrice della (OMISSIS)” e la mancanza di prova della “conoscenza da parte della convenuta dello stato della (OMISSIS) a causa della sua condizione di finanziatrice della societa’”.
6.3. Quanto invece al di conflitto di interessi legato al fatto che “gli acquisti sarebbero avvenuti in contropartita diretta dal momento che la Banca, in realta’ diversa dalla attuale convenuta, avrebbe trasferito titoli del proprio paniere”, il giudice a quo ha correttamente escluso che “l’esecuzione di un siffatto ordine in conto proprio da parte dell’intermediario configuri, di per se sola, un’ipotesi di annullabilita’ dell’atto in forza degli articoli 1394 o 1395 c.c. (Cass. N. 28432/2011)”, facendo applicazione di un orientamento di questa Corte che puo’ dirsi ormai consolidato, nel senso che “la negoziazione in contropartita diretta costituisce uno dei servizi di investimento al cui esercizio l’intermediario e’ autorizzato, al pari della negoziazione per conto terzi, come si evince dalle definizioni contenute nel Decreto Legislativo n. 58 del 1998, articolo 1, essendo essa una delle modalita’ con le quali l’intermediario puo’ dare corso ad un ordine di acquisto o di vendita di strumenti finanziari impartito dal cliente. Ne deriva che l’esecuzione dell’ordine in conto proprio non comporta, di per se’ sola, l’annullabilita’ dell’atto ai sensi degli articoli 1394 o 1395 c.c.” (Sez. 1, 09/06/2016 n. 11876, Rv. 639905-01; Sez. 1 11/06/2018, n. 15161, Rv. 648899-01).
7. Con il settimo mezzo – rubricato “subordinatamente violazione degli articoli 1218, 1453, 2730 c.c. e dell’articolo 29 Regolamento Consob 11522/98 in relazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3” – si deduce che “anche se il 2 motivo sara’ frazionato e venisse rigettata la prima parte relativa all’applicazione dell’articolo 23 TUF, ma venisse accolta quella della inesistente valenza probatoria delle firme apposte agli ordini, si profilerebbe un grave inadempimento (consistente nell’inadeguatezza) rendendo illegittimo il rigetto della richiesta di risoluzione dei contratti di acquisto ex articolo 1453 c.c.”.
7.1. La censura, oltre ad essere confusamente formulata in modo generico, senza il necessario riferimento alla parte della sentenza impugnata che con esso si intende contestare, e’ comunque da respingere, in quanto espressamente condizionata all’ipotesi di un parziale accoglimento del secondo motivo, che invece e’ stato respinto in toto.
8. Con l’ottavo motivo – rubricato (testualmente) “omessa pronuncia da parte del Tribunale e della Corte di appello su fatto decisivo e controverso (annullamento ex articoli 1427, 1428, 1429, 1439 c.c.) dell’errore essenziale e scusabile e discusso tra le parti in relazione al n. 5 dell’articolo 360 c.p.a. cosi’ come novellato il 22.6.2012” – si lamenta che “l’attrice e’ incorsa in errore essenziale e scusabile sulla qualita’ dell’oggetto della prestazione per colpa e/o dolo esercitato dalla Banca al momento in cui e’ stata indotta ad acquistare “bonds” (OMISSIS), a seguito di tutte le inadempienze dell’intermediario mobiliare poste in luce ai punti che precedono” e, dopo una lunga citazione di due precedenti di merito, si conclude (testualmente) che “il fatto omesso e controverso (contestazione avversaria a pagina 41, 42 e 423 della comparsa conclusionale in appello) era decisivo e se necessario sara’ esaminato dalla Suprema Corte”.
8.1. La censura e’ palesemente inammissibile, non solo perche’ formulata in modo pressoche’ incomprensibile, ma anche perche’ prospetta come “omessa pronuncia” una pronuncia in realta’ evidentemente non condivisa – quella in base alla quale la Corte d’appello ha ritenuto palesemente infondata la domanda di “annullamento degli ordini di investimento sotto il profilo di vizio della volonta’, nella specifica ipotesi dell’errore… anche perche’ privo di ogni deduzione specifica” – e cio’ in contrasto con il granitico orientamento di questa Corte per cui il ricorso per cassazione rappresenta un rimedio impugnatorio a critica vincolata e cognizione determinata dall’ambito dei vizi dedotti, non gia’ uno strumento per accedere ad un terzo grado di giudizio nel quale far valere la supposta ingiustizia della sentenza impugnata, spettando esclusivamente al giudice di merito la selezione degli elementi del suo convincimento (ex plurimis, Cass. Sez. U. 7931/2013; conf. Cass. 14233/2015, 12264/2014).
9. Il nono mezzo – rubricato “omessa pronuncia da parte del Tribunale e della Corte di appello su fatto controverso ma decisivo (richiesta risarcimento danni ex articoli 1218 e 1453 c.c.) e ristretto illegittimamente dal Tribunale solo ai danni che sarebbero stati eliminati con il concordato Bondi, il tutto in relazione al n. 5 dell’articolo 360 c.p.c., come novellato il 22.6.2012” – oltre a soffrire degli stessi profili di inammissibilita’ rilevati nel motivo precedente, veicola come censura motivazionale un asserito vizio di omessa pronuncia sulla domanda risarcitoria che invece la Corte distrettuale ha espressamente dichiarato assorbita dal rigetto delle domande di inadempimento.
10. Anche il decimo motivo – rubricato “violazione dell’articolo 5 parte 2 della lettera B del comma 1 (“consegnare agli investitori il documento sui rischi generali degli investimenti in strumenti finanziari di cui all’allegato n. 1″) del Regolamento Consob 30.9.1997 n. 10943 nonche’ dell’articolo 28, comma 1, lettera B (che conferma il precedente modificando solo l’allegato come n 3) del Regolamento Consob n. 11522 dell’1.7.1998, in relazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3” – risente dell’inammissibilita’ evidenziata per il settimo, in quanto espressamente condizionato al caso in cui “verra’ accolta la parte del motivo di cassazione basato sull’inefficacia della valenza probatoria della firma del rappresentante”, che invece come visto non ha trovato accoglimento.
11. L’undicesimo ed ultimo mezzo – rubricato “ingiusto assorbimento dell’ultimo motivo di appello sulla richiesta subordinata della banca in caso di vittoria della ricorrente di ottenere la restituzione delle cedole riscosse e degli interessi eventualmente riscossi, si censura tale assorbimento rilevando la violazione degli articoli 820 e 1148 c.c., in relazione dell’articolo 360 c.p.c., n. 3” – e’ difficilmente comprensibile e comunque infondato, in quanto afferente una domanda svolta dall’appellata che si sarebbe dovuta esaminare solo in caso di accoglimento delle domande dell’appellante.
12. In conclusione, la sentenza impugnata va cassata in accoglimento del solo quinto motivo di ricorso, stante il rigetto di tutti i restanti motivi, con rinvio al giudice d’appello in diversa composizione, anche ai fini della statuizione sulle spese del giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il quinto motivo di ricorso, rigetta tutti i restanti, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di Appello di Roma, in diversa composizione, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimita’.

Avv. Renato D’Isa