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Corte di Cassazione, sezione III, sentenza 26 gennaio 2015, n. 3417. La ritrattazione della persona offesa non costituisce tecnicamente una nuova prova idonea a giustificare l'accoglimento di un'istanza di revisione di una sentenza penale da parte del giudice. Tali dichiarazioni, infatti, hanno la natura di semplici elementi di prova non bastevoli da soli ad assumere valore probatorio

Suprema Corte di Cassazione sezione III sentenza 26 gennaio 2015, n. 3417   REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE TERZA PENALE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. FIALE Aldo – Presidente Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere Dott. ANDREAZZA Gastone – Consigliere Dott. SCARCELLA Alessio – rel. Consigliere Dott. MENGONI...

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Corte di Cassazione, sezione IV, sentenza 9 febbraio 2015, n. 5879. In tema di convalida dell'arresto, il giudice deve compiere una valutazione diretta a stabilire la sussistenza dei fumus commissi delicti, al fine di stabilire, ex post, se l'indagato sia stato privato della libertà personale in presenza della flagranza di uno dei reati previsti dagli artt. 380 e 381 cod. proc. pen., dovendosi escludere che il controllo del giudice della convalida debba investire i gravi indizi di reità o la responsabilità per il reato addebitato, tali accertamenti essendo riservati alle successive fasi processuali. In particolare, il controllo sulla legittimità dell'operato della polizia va effettuato sulla base del criterio di ragionevolezza, ovvero dell'uso ragionevole dei potere discrezionale riservato alla polizia giudiziaria, e solo quando ravvisi un eccesso o un malgoverno di tale discrezionalità il giudice può negare la convalida, fornendo in proposito adeguata motivazione , senza sostituire ad un giudizio ragionevolmente fondato una propria differente valutazione. Con specifico riferimento all'ipotesi di arresto facoltativo, i presupposti della gravità del fatto e della pericolosità del soggetto non devono essere necessariamente presenti congiuntamente, essendo sufficiente che ricorra almeno uno dei due parametri. Né va dimenticato che, se da un canto la polizia giudiziaria è tenuta ad indicare le ragioni che l'hanno indotta ad esercitare il proprio potere di privare della libertà in relazione alla gravità del fatto o alla pericolosità dell'arrestato, dall'altro tale indicazione non deve necessariamente concretarsi nella redazione di una apposita motivazione del provvedimento, essendo sufficiente che tali ragioni emergano dal contesto descrittivo del verbale d'arresto o dagli atti complementari in modo da consentire al giudice della convalida di prenderne conoscenza e di sindacarle.

Suprema Corte di Cassazione sezione IV sentenza 9 febbraio 2015, n. 5879   Ritenuto in fatto 1. II Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Locri ricorre per cassazione avverso l’ordinanza indicata in epigrafe con la quale non è stato convalidato l’arresto in flagranza di reato di C.F.. Va premesso che il C. era stato...

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Corte di Cassazione, sezione VI, 10 febbraio 2015, n. 6101. In tema di delitto di oltraggio a pubblico ufficiale, la frase "non rompermi i coglioni" e "non rompere le scatole a mia moglie" ha un evidente contenuto oltraggioso e lesivo dei prestigio dei pubblico ufficiale, cui è rivolta, anche se si tratta di espressione usata frequentemente, tanto più se rivolta da un detenuto ad una persona addetta alla sua sorveglianza, verso la quale egli ha il dovere di serbare un comportamento riguardoso; ancora, un'espressione intrinsecamente offensiva – quale, nella specie, "si tolga dalle scatole"-, anche se viene usata nel linguaggio comune, non perde il carattere di antigiuridicità quando è pronunciata in circostanze tali che, esulando dai limiti della critica o della protesta garbata, trasmodi in aperto vilipendio della persona destinataria e della pubblica amministrazione da essa rappresentata. Infine, per la sussistenza del delitto di oltraggio a pubblico ufficiale non si richiede il dolo specifico essendo sufficiente la consapevolezza, nel soggetto attivo, dei significato oltraggioso delle parole usate. Tale consapevolezza è in re ipsa quando l'espressione, pur se entrata in uso corrente, non ha perso il suo significato di disprezzo dell'operato altrui (nella specie l'imputato aveva esclamato "a quest'ora mi avete rotto i coglioni, io debbo andare a casa").

Suprema Corte di Cassazione sezione VI sentenza 10 febbraio 2015, n. 6101 Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 18.3.2014 – a seguito di richiesta di decreto penale formulata dal P.M. – il G.I.P. del Tribunale di Cagliari, ai sensi dell’art. 129 cod. proc. pen., ha assolto perché il fatto non costituisce reato Z. P.B....

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Consiglio di Stato, adunanza plenaria, sentenza 28 gennaio 2015, n. 1. La prova di ammissione ad un corso universitario può essere richiesta per il solo accesso al primo anno di studi e non anche nel caso di domande di trasferimento da università di altri Stati membri per gli anni successivi, in conformità al principio di libera circolazione dei cittadini dell'Unione europea e nel rispetto degli obiettivi perseguiti dalle norme nazionali in materia

Consiglio di Stato adunanza plenaria sentenza 28 gennaio 2015, n. 1 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO IL CONSIGLIO DI STATO IN SEDE GIURISDIZIONALE ADUNANZA PLENARIA ha pronunciato la presente SENTENZA sul ricorso numero di registro generale 24 di A.P. del 2014, proposto da: Università degli Studi di Messina, in persona del legale rappresentante...

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Corte di Cassazione, sezione VI, ordinanza 5 febbraio 2015, n. 2164. L'assegno per il coniuge deve tendere al mantenimento del tenore di vita da questo goduto durante la convivenza matrimoniale, e tuttavia indice di tale tenore di vita può essere l'attuale disparità di posizioni economiche tra i coniugi

Suprema Corte di Cassazione sezione VI ordinanza 5 febbraio 2015, n. 2164   In un procedimento di divorzio tra G.M. e B.P.R.M., la Corte d’Appello di Palermo con sentenza in data 30/03/2011, confermava la sentenza del Tribunale di Sciacca, emessa il 31/3/2010, che aveva posto a carico del marito assegno mensile di euro 300,00 per...

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Corte di Cassazione, sezione I, sentenza 29 gennaio 2015, n. 1725. Fra le categorie di rischio creditizio censite e rispetto alle quali sussiste l’obbligo di segnalazione alla Centrale Rischi, rientra quella di “sofferenza” cui va ricondotta l’intera esposizione per cassa nei confronti di soggetti in stato di insolvenza – anche non accertato giudizialmente o in situazioni sostanzialmente equiparabili -, indipendentemente dalle eventuali previsioni di perdita formulate dalle aziende (cfr. art. 5, comma I, sez. II delle Istruzioni). L’appostazione a sofferenza implica una valutazione da parte dell’Istituto segnalante della complessiva situazione finanziaria del cliente e non può scaturire automaticamente da un mero ritardo di quest’ultimo nel pagamento del debito (art. 5 cit., comma II). Resta estraneo alla nozione di “sofferenza” l’inadempimento correlato ad una situazione di illiquidità contingente e non strutturale, non accompagnato, cioè, da un oggettivo stato di difficoltà a far fronte alle proprie obbligazioni

Suprema Corte di Cassazione sezione I sentenza 29 gennaio 2015, n. 1725 REPUBBLICA ITALIANAIN NOME DEL POPOLO ITALIANO LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE PRIMA CIVILE Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. RORDORF Renato – Presidente Dott. DI AMATO Sergio – Consigliere Dott. DIDONE Antonio – Consigliere Dott. DI VIRGILIO Rosa Maria – Consigliere Dott....